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Sed mihi haec ac talia audienti in incerto iudicium est fatone res mortalium et necessitate immutabili an forte vulvantur. Quippe sapientissimos veterum quique sectam eorum aemulantur diversos reperies, ac multis insitam opinionem non initia nostri, non finem, non denique homines dis curae; ideo creberrime tristia in bonos, laeta apud deteriores esse. Contra alii fatum quidem congruere rebus putant, sed non e vagis stellis, verum apud principia et nexus naturalium causarum; ac tamen electionem vitae nobis reliquunt, quam ubi elegeris, certum imminentium ordinem.Neque mala vel bona quae vulgus putet: multos qui conflictari adversis videantur beatos, at plerosque quamquam magnas per opes miserrimos, si illi gravem fortunam constanter tolerent, hi prospera inconsulte utantur. Ceterum plurimis mortalium non eximitur quin primo cuiusque ortu ventura destinentur, sed quaedam secus quam dicta sint cadere fallaciis ignara dicentium: ita corrumpi fidem artis cuius clara documenta et antiqua aetas et nostra tulerit.
Ma a me che sento queste cose e di tal genere resta in dubbio se le cose dei mortali siano determinate dal fato e da un’immutabile ineluttabilità o a caso. Certamente troverai i più sapienti tra gli antichi e coloro che, di diversa opinione, imitano il loro modo di pensare, e insita in molti l’opinione che né l’inizio della nostra vita, né la fine, né insomma gli esseri umani stiano a cuore agli dèi. Perciò frequentissimamente ci sono cose tristi verso i buoni, liete presso i malvagi. Di contro altri pensano che proprio il fato concorra agli eventi, ma non dalle vaghe stelle, ma presso i principi ed i rapporti delle cause naturali; e tuttavia lasciano a noi la scelta della vita, e dove tu l’abbia scelta, un certo ordine delle cose imminenti. E (pensano) che non siano né buone né cattive le cose che la gente ritiene: che molti che sembrano beati sono tormentati dalle avversità, ma i più sventurati sebbene con grandi ricchezze, se quelli tollerano una fortuna infame, questi senza avvedutezza si servono della prosperità. Del resto, alla maggior parte dei mortali non si toglie la convinzione che il futuro di ciascuno sia stabilito fin dalla nascita, ma che certe cose accadano diversamente da come sono state dette accadere a causa degli imbrogli di coloro che indovinano cose che non conoscono: così viene meno la credibilità di un’arte di cui sia l’età antica che la nostra hanno portato prove evidenti.
523
Sed tanti erant antiquitus in oppido omnium rerum ad bellum apparatus tantaque multitudo tormentorum, ut eorum vim nullae contextae viminibus vineae sustinere possent. Asseres enim pedum XII cuspidibus praefixi atque hi maximis bllistis missi per IIII ordines cratium in terra defigebantur. Itaque pedalibus lignis coniunctis inter se porticus integebantur, atque hac agger inter manus proferebatur. Antecedebat testudo pedum LX aequandi loci causa facta item ex fortissimis lignis, convoluta omnibus rebus, quibus ignis iactus et lapides defendi possent.Sed magnitudo operum, altitudo muri atque turrium, multitudo tormentorum omnem administrationem tardabat. Crebrae etiam per Albicos eruptiones fiebant ex oppido ignesque aggeri et turribus inferebantur; quae facile nostri milites repellebant magnisque ultro illatis detrimentis eos, qui eruptionem fecerant, in oppidum reiciebant.
Ma tante erano in città, da molto tempo, le attrezzature belliche di ogni tipo e tanto grande la moltitudine delle baliste che nessuna vinea, per quanto coperta di vimini, poteva sostenere la loro violenza. Infatti travi di dodici piedi, munite di punte di ferro e scagliate da enormi balestre, si configgevano in terra dopo avere trapassato quattro ordini di graticci. E così, congiungendo insieme travi dello spessore di un piede, si costruivano gallerie, attraverso le quali si passava di mano in mano il materiale per il terrapieno. Procedeva innanzi una testuggine di sessanta piedi per spianare il terreno, costruita anch'essa di aste di legno molto resistente e ricoperta di tutto ciò che poteva proteggere da pietre e proiettili incendiari. Ma l'imponenza dei lavori, l'altezza del muro e delle torri, la moltitudine delle macchine da guerra rallentavano tutto l'andamento dell'assedio. Venivano anche fatte numerose incursioni fuori della città da parte degli Albici e si cercava di appiccare il fuoco al terrapieno e alle torri; i nostri soldati con facilità respingevano tali tentativi e inoltre, infliggendo loro gravi perdite, ricacciavano in città gli incursori.
936
Germani post tergum clamore audito, cum suos interfiei viderent, armis abiectis signis militaribus relictis se ex castris eiecerunt, et cum ad confluentem Mosae et Rheni pervenissent, reliqua fuga desperata, magno numero interfecto, reliqui se in flumen praecipitaverunt atque ibi timore, lassitudine, vi fluminis oppressi perierunt. Nostri ad unum omnes incolumes, perpaucis vulneratis, ex tanti belli timore, cum hostium numerus capitum CCCCXXX milium fuisset, se in castra receperunt.Caesar iis quos in castris retinuerat discedendi potestatem fecit. Illi supplicia cruciatusque Gallorum veriti, quorum agros vexaverant, remanere se apud eum velle dixerunt. His Caesar libertatem concessit.
I Germani, uditi i clamori alle spalle, quando videro che i loro venivano massacrati, gettarono le armi, abbandonarono le insegne e fuggirono dall'accampamento. Giunti alla confluenza della Mosa con il Reno, dove non avevano più speranze di fuga, molti vennero uccisi, gli altri si gettarono nel fiume e qui, vinti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte corrente, morirono. I nostri, tutti salvi dal primo all'ultimo, con pochissimi feriti, rientrarono al campo dopo le apprensioni nutrite per uno scontro così rischioso, considerando che il nemico contava quattrocentotrentamila persone. Ai Germani prigionieri nell'accampamento Cesare permise di allontanarsi, ma costoro, temendo atroci supplizi da parte dei Galli di cui avevano saccheggiato i campi, dissero di voler rimanere presso di lui. Cesare concesse loro la libertà.
720
Dum haec apud Alesiam geruntur, Galli concilio principum indicto non omnes eos qui arma ferre possent, ut censuit Vercingetorix, convocandos statuunt, sed certum numerum cuique ex civitate imperandum, ne tanta multitudine confusa nec moderari nec discernere suos nec frumentandi rationem habere possent. Imperant Aeduis atque eorum clientibus, Segusiavis, Ambivaretis, Aulercis Brannovicibus, Blannoviis, milia XXXV; parem numerum Arvernis adiunctis Eleutetis, Cadurcis, Gabalis, Vellaviis, qui sub imperio Arvernorum esse consuerunt; Sequanis, Senonibus, Biturigibus, Santonis, Rutenis, Carnutibus duodena milia; Bellovacis X; totidem Lemovicibus; octona Pictonibus et Turonis et Parisiis et Helvetiis; [Suessionibus,] Ambianis, Mediomatricis, Petrocoriis, Nerviis, Morinis, Nitiobrigibus quina milia; Aulercis Cenomanis totidem; Atrebatibus [IIII milibus]; Veliocassis, Lexoviis et Aulercis Eburovicibus terna; Rauracis et Boiis bina; [XXX milia] universis civitatibus, quae Oceanum attingunt quaeque eorum consuetudine Armoricae appellantur, quo sunt in numero Curiosolites, Redones, Ambibarii, Caletes, Osismi, Veneti, Lemovices, Venelli.Ex his Bellovaci suum numerum non compleverunt, quod se suo nomine atque arbitrio cum Romanis bellum gesturos dicebant neque cuiusquam imperio obtemperaturos; rogati tamen ab Commio pro eius hospitio duo milia una miserunt.
Così andavano le cose ad Alesia. Nel frattempo, i Galli indicono un concilio dei capi, stabiliscono di non chiamare alle armi tutti gli uomini abili, come aveva chiesto Vercingetorige, ma di imporre ad ogni popolo la consegna di un contingente determinato, perché temevano che fosse impossibile, tra tanta confusione di popoli, mantenere la disciplina, riconoscere le proprie truppe, amministrare le provviste di grano. Agli Edui e ai loro alleati, ossia i Segusiavi, gli Ambivareti, gli Aulerci Brannovici, i Blannovi, ordinano di fornire trentacinquemila uomini; altrettanti agli Arverni insieme agli Eleuteti, ai Cadurci, ai Gabali, ai Vellavi, da tempo clienti degli Arverni stessi; ai Sequani, ai Senoni, ai Biturigi, ai Santoni, ai Ruteni, ai Carnuti dodicimila ciascuno; ai Bellovaci diecimila; ottomila ciascuno ai Pictoni, ai Turoni, ai Parisi e agli Elvezi; agli Ambiani, ai Mediomatrici, ai Petrocori, ai Nervi, ai Morini, ai Nitiobrogi cinquemila ciascuno; altrettanti agli Aulerci Cenomani; agli Atrebati quattromila; ai Veliocassi, ai Lexovi e agli Aulerci Eburovici tremila ciascuno; ai Rauraci e ai Boi mille ciascuno; ventimila a tutti quei popoli che si affacciano sull'Oceano e che, come dicono loro stessi, si chiamano Aremorici, tra i quali ricordiamo i Coriosoliti, i Redoni, gli Ambibari, i Caleti, gli Osismi, i Lemovici, gli Unelli. Di tutti i popoli citati, solo i Bellovaci non inviarono il contingente completo, dicendo che avrebbero mosso guerra ai Romani per proprio conto e arbitrio e che non avrebbero preso ordini da nessuno. Tuttavia, su preghiera di Commio, in ragione dei vincoli di ospitalità che li legavano a lui, inviarono duemila soldati.
349
Interim confecta frumentatione milites nostri clamorem exaudiunt: praecurrunt equites; quanto res sit in periculo cognoscunt. Hic vero nulla munitio est quae perterritos recipiat: modo conscripti atque usus militaris imperiti ad tribunum militum centurionesque ora convertunt; quid ab his praecipiatur exspectant. Nemo est tam fortis quin rei novitate perturbetur. Barbari signa procul conspicati oppugnatione desistunt: redisse primo legiones credunt, quas longius discessisse ex captivis cognoverant; postea despecta paucitate ex omnibus partibus impetum faciunt.
In quel mentre, i nostri, terminata la raccolta di grano, odono i clamori: i cavalieri accorrono, si rendono conto della gravità della situazione. Ma qui non c'era nessun riparo che potesse accogliere gente in preda al panico: soldati appena arruolati e privi di esperienza militare, rivolgono gli occhi al tribuno e ai centurioni, aspettano i loro ordini. Ma anche i migliori erano sconvolti dagli eventi inattesi. I barbari, scorgendo in lontananza le insegne, cessano l'assedio: dapprima pensano al rientro delle legioni che, su informazione dei prigionieri, sapevano lontane; poi, disprezzando lo scarso numero dei nostri, li attaccano da ogni lato.
761
Ad haec Ariovistus respondit: ius esse belli ut qui vicissent iis quos vicissent quem ad modum vellent imperarent. Item populum Romanum victis non ad alterius praescriptum, sed ad suum arbitrium imperare consuesse. Si ipse populo Romano non praescriberet quem ad modum suo iure uteretur, non oportere se a populo Romano in suo iure impediri. Haeduos sibi, quoniam belli fortunam temptassent et armis congressi ac superati essent, stipendiarios esse factos.Magnam Caesarem iniuriam facere, qui suo adventu vectigalia sibi deteriora faceret. Haeduis se obsides redditurum non esse neque his neque eorum sociis iniuria bellum inlaturum, si in eo manerent quod convenisset stipendiumque quotannis penderent; si id non fecissent, longe iis fraternum nomen populi Romani afuturum. Quod sibi Caesar denuntiaret se Haeduorum iniurias non neglecturum, neminem secum sine sua pernicie contendisse. Cum vellet, congrederetur: intellecturum quid invicti Germani, exercitatissimi in armis, qui inter annos XIIII tectum non subissent, virtute possent.
Ariovisto replicò così: il diritto di guerra permetteva ai vincitori di dominare i vinti a proprio piacimento; allo stesso modo il popolo romano era abituato a governare i vinti non secondo le imposizioni altrui, ma a proprio arbitrio. Se Ariovisto non dava ordini ai Romani su come esercitare il loro diritto, non c'era ragione che i Romani ponessero ostacoli a lui, quando applicava il suo. Gli Edui avevano tentato la sorte in guerra, avevano combattuto ed erano usciti sconfitti; perciò, li aveva resi suoi tributari. Era Cesare a fargli un grave torto, perché con il suo arrivo erano diminuiti i versamenti dei popoli sottomessi. Non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui, ma neppure avrebbe mosso guerra a essi, né ai loro alleati, se rispettavano gli obblighi assunti, pagando ogni anno i tributi. In caso contrario, poco sarebbe servito loro il titolo di fratelli del popolo romano. Se Cesare lo aveva avvertito che non avrebbe lasciato impunite le offese inferte agli Edui, gli rispondeva che nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani, che erano addestratissimi e per quattordici anni non avevano mai avuto bisogno di un tetto.
262
Iucundum, mea vita, mihi proponis amoremhunc nostrum inter nos perpetuumque fore.di magni, facite ut vere promittere possit,atque id sincere dicat et ex animo,ut liceat nobis tota perducere vitaaeternum hoc sanctae foedus amicitiae.
O cara, tu mi prometti che il nostro amore sarà felice e perpetuo fra noi. Grandi dei, fate che possa promettere realmente e che parli sinceramente e dal cuore, perché ci sia possibile far durare per tutta la vita un patto di amicizia giurata.
667
Subductis navibus concilioque Gallorum Samarobrivae peracto, quod eo anno frumentum in Gallia propter siccitates angustius provenerat, coactus est aliter ac superioribus annis exercitum in hibernis collocare legionesque in plures civitates distribuere. Ex quibus unam in Morinos ducendam Gaio Fabio legato dedit, alteram in Nervios Quinto Ciceroni, tertiam in Esubios Lucio Roscio; quartam in Remis cum Tito Labieno in confinio Treverorum hiemare iussit.Tres in Belgis collocavit: eis Marcum Crassum quaestorem et Lucium Munatium Plancum et Gaium Trebonium legatos praefecit. Vnam legionem, quam proxime trans Padum conscripserat, et cohortes V in Eburones, quorum pars maxima est inter Mosam ac Rhenum, qui sub imperio Ambiorigis et Catuvolci erant, misit. Eis militibus Quintum Titurium Sabinum et Lucium Aurunculeium Cottam legatos praeesse iussit. Ad hunc modum distributis legionibus facillime inopiae frumentariae sese mederi posse existimavit. Atque harum tamen omnium legionum hiberna praeter eam, quam Lucio Roscio im pacatissimam et quietissimam partem ducendam dederat, milibus passuum centum continebantur. Ipse interea, quoad legiones collocatas munitaque hiberna cognovisset, in Gallia morari constituit.
Dopo aver tratto in secca le navi e tenuto l'assemblea dei Galli a Samarobriva, vista la magra annata per il grano a causa della siccità, fu costretto a disporre i quartieri d'inverno in modo diverso rispetto agli anni precedenti e a ripartire le legioni su più territori. Ne inviò una presso i Morini sotto la guida del legato C. Fabio, un'altra con Q. Cicerone dai Nervi, una terza con L. Roscio nella regione degli Esuvi; ordinò che una quarta legione, al comando di T. Labieno, svernasse nei territori dei Remi, al confine con i Treveri; ne stanziò tre nel paese dei Belgi, alle dipendenze del questore M. Crasso e dei legati L. Munazio Planco e C. Trebonio. Una legione, di recente arruolata al di là del Po, venne mandata, insieme a cinque coorti, fra gli Eburoni, che per la maggior parte abitano tra la Mosa e il Reno e sui quali regnavano Ambiorige e Catuvolco. Il comando ne fu affidato ai legati Q. Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta. Ripartite così le truppe, stimava di poter ovviare, con grande facilità, alla penuria di grano. Gli accampamenti invernali di tutte le legioni non distavano, comunque, più di cento miglia l'uno dall'altro, eccezion fatta per le milizie di L. Roscio, che però doveva condurle in una zona del tutto tranquilla e sicura. Dal canto suo, Cesare decise di fermarsi in Gallia fino a conferma ricevuta che le legioni erano stanziate nelle rispettive zone e che gli accampamenti erano stati fortificati.
93
Ìlle mì par èsse deò vidètur,ìlle, sì fas èst, superàre dìvos,quì sedèns advèrsus idèntidèm tespèctat et àuditdùlce rìdentèm, miserò quod òmnesèripit sensùs mihi: nàm simùl te,Lèsbia, àspexì, nihil èst supèr mi<vòcis in òre;>lìngua sèd torpèt, tenuìs sub àrtusflàmma dèmanàt, sonitù suòptetìntinànt aurès, geminà tegùnturlùmina nòcte....Òtiùm, Catùlle, tibì molèstus:òtio èxsultàs nimiùmque gèstis:òtium èt regès prius èt beàtaspèrdidit ùrbes.
Quello mi sembra essere pari a un dio,quello, se è lecito(dirlo), (mi sembra) superare gli dei,che sedendoti di fronte ti guarda e ascolta incessantementeche ridi dolcemente a me misero strappa tutti i sentimentiO lesbia ogni volta che ti vedo nulla sopravvive a me di voceMa la lingua è paralizzata, una fiamma sottile si diffonde sotto le membraLe orecchie tintinnano per un suono loro gli occhi sono coperti da una duplice notteL’amore, o catullo, ti è molestoA causa dell’amore ti esalti e smanii troppoL’amore in passato ha mandato in rovina re e città beate
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Contra ea Titurius sero facturos clamitabat, cum maiores manus hostium adiunctis Germanis convenissent aut cum aliquid calamitatis in proximis hibernis esset acceptum. Brevem consulendi esse occasionem. Caesarem arbitrari profectum in Italiam; neque aliter Calnutcs interficiendi Tasgeti consilium fuisse capturos, neque Eburones, si ille adesset, tanta contemptione nostri ad castra venturos esse. Non hostem auctorem, sed rem spectare: subesse Rhenum; magno esse Germanis dolori Ariovisti mortem et superiores nostras victorias; ardere Galliam tot contumeliis acceptis sub populi Romani imperium redactam superiore gloria rei militaris exstincta.Postremo quis hoc sibi persuaderet, sine certa re Ambiorigem ad eiusmodi consilium descendisse? Suam sententiam in utramque partem esse tutam: si nihil esset durius, nullo cum periculo ad proximam legionem perventuros; si Gallia omnis cum Germanis consentiret, unam esse in celeritate positam salutem. Cottae quidem atque eorum, qui dissentirent, consilium quem habere exitum? In quo si non praesens periculum, at certe longinqua obsidione fames esset timenda.
A ciò Titurio obiettava, gridando, che si sarebbero mossi tardi, con le forze avversarie ormai più consistenti per l'arrivo dei Germani oppure dopo qualche disastro negli accampamenti vicini. Avevano poco tempo per decidere. Riteneva che Cesare fosse partito per l'Italia, altrimenti i Carnuti non avrebbero preso la decisione di eliminare Tasgezio, né gli Eburoni, se lui era presente in Gallia, avrebbero marciato sul campo con tanto disprezzo per le nostre forze. Le proposte del nemico non c'entravano, si trattava di valutare la situazione: il Reno era vicino; la morte di Ariovisto e le nostre precedenti vittorie avevano costituito un gran dolore per i Germani; la Gallia bruciava per le molte umiliazioni subite, per dover sottostare al dominio del popolo romano, per l'antica gloria militare oscurata. Infine, ma chi poteva convincersi che Ambiorige avesse assunto una decisione del genere senza uno scopo ben preciso? La sua proposta era sicura in entrambi i casi: se non si verificava nulla di grave, avrebbero raggiunto la legione più vicina, senza rischi; se, invece, la Gallia era tutta d'accordo con i Germani, l'unica speranza di salvezza era riposta nella rapidità. Il parere di Cotta e di chi dissentiva, a cosa portava? Se per il presente non rappresentava un pericolo, certo avrebbero dovuto temere la fame, in un lungo assedio.
371
At Pompeius cognitis his rebus, quae erant Orici atque Apolloniae gestae, Dyrrachio timens diurnis eo nocturnisque itineribus contendit. Simul Caesar appropinquare dicebatur, tantusque terror incidit eius exercitui, quod properans noctem diei coniunxerat neque iter intermiserat, ut paene omnes ex Epiro finitimisque regionibus signa relinquerent, complures arma proicerent ac fugae simile iter videretur. Sed cum prope Dyrrachium Pompeius constitisset castraque metari iussisset, perterrito etiam tum exercitu princeps Labienus procedit iuratque se eum non deserturum eundemque casum subiturum, quemcumque ei fortuna tribuisset.Hoc idem reliqui iurant legati; tribuni militum centurionesque sequuntur, atque idem omnis exercitus iurat. Caesar praeoccupato itinere ad Dyrrachium finem properandi facit castraque ad flumen Apsum ponit in finibus Apolloniatium, ut bene meritae civitates tutae essent praesidio, ibique reliquarum ex Italia legionum adventum exspectare et sub pellibus hiemare constituit. Hoc idem Pompeius fecit et trans flumen Apsum positis castris eo copias omnes auxiliaque conduxit.
Ma Pompeo, venuto a conoscenza di quanto era avvenuto a Orico e ad Apollonia e temendo la perdita di Durazzo, vi si dirige marciando giorno e notte, mentre si andava dicendo che Cesare si avvicinava. Una paura tanto grande si impadronì del suo esercito che, poiché nella fretta faceva della notte giorno, non interrompendo la marcia, quasi tutti i soldati dell'Epiro e quelli provenienti dalle regioni vicine disertavano, parecchi gettavano le armi e la marcia pareva simile a una fuga. Ma quando Pompeo si fermò presso Durazzo e ordinò di porre il campo, poiché l'esercito era ancora in preda al terrore, Labieno per primo si fa avanti e giura di non lasciarlo e di essere pronto ad andare incontro alla medesima sorte che la Fortuna avesse riservato a Pompeo. Lo stesso giuramento fanno gli altri luogotenenti; li seguono i tribuni dei soldati e i centurioni e il medesimo giuramento fa tutto l'esercito. Cesare, visto che la marcia su Durazzo era stata prevenuta da Pompeo, finisce di marciare in fretta e pone il campo presso il fiume Apso nel territorio degli Apolloniati, perché le città benemerite fossero difese da fortini e posti di guardia [a difesa] e stabilisce di aspettare qui l'arrivo delle altre legioni dall'Italia e di svernare in tenda. Altrettanto fa Pompeo e, posto il campo al di là del fiume Apso, vi conduce tutte le milizie e le truppe ausiliarie.
501
Publice maximam putant esse laudem quam latissime a suis finibus vacare agros: hac re significari magnum numerum civitatum suam vim sustinere non posse. Itaque una ex parte a Suebis circiter milia passuum C agri vacare dicuntur. Ad alteram partem succedunt Ubii, quorum fuit civitas ampla atque florens, ut est captus Germanorum; ii paulo, quamquam sunt eiusdem generis, sunt ceteris humaniores, propterea quod Rhenum attingunt multum ad eos mercatores ventitant et ipsi propter propinquitatem [quod] Gallicis sunt moribus adsuefacti.Hos cum Suebi multis saepe bellis experti propter amplitudinem gravitatem civitatis finibus expellere non potuissent, tamen vectigales sibi fecerunt ac multo humiliores infirmiores redegerunt.
Reputano vanto principale per la propria nazione che le regioni di confine, per il tratto più ampio possibile, siano disabitate: è segno che moltissimi popoli non sono in grado di resistere alla loro forza militare. A tal proposito corre voce che, in una zona di confine degli Svevi, le campagne siano spopolate per seicento miglia. Un'altra parte del loro territorio confina con gli Ubi, popolo un tempo numeroso e fiorente, per quanto possano esserlo i Germani. Gli Ubi sono un po' più civili rispetto alle altre genti della loro razza perché, vivendo lungo il Reno, sono visitati di frequente dai mercanti e, per ragioni di vicinanza, hanno assorbito i costumi dei Galli. Gli Svevi li avevano spesso affrontati in guerra, ma non erano riusciti a scacciarli dalle loro terre per via del loro numero e della loro importanza; tuttavia, li avevano costretti a versare tributi, rendendoli molto meno potenti e forti.
419
Hac victoria sublatus Ambiorix statim cum equitatu in Aduatucos, qui erant eius regno finitimi, proficiscitur; neque noctem neque diem intermittit pedita tumque subsequi iubet. Re demonstrata Aduatucisque concitatis postero die in Nervios pervenit hortaturque, ne sui in perpetuum liberandi atque ulciscendi Romanos pro eis quas acceperint iniuriis occasionem dimittant: interfectos esse legatos duos magnamque partem exercitus interisse demonstrat; nihil esse negoti subito oppressam legionem quae cum Cicerone hiemet interfici; se ad eam rem profitetur adiutorem.Facile hac oratione Nerviis persuadet.
Imbaldanzito dalla vittoria, Ambiorige con la cavalleria si dirige verso gli Atuatuci, che confinavano col suo regno. Non interrompe la marcia né di notte, né di giorno e ordina alla fanteria di tenergli dietro. Illustrato l'accaduto e spinti gli Atuatuci alla ribellione, il giorno seguente raggiunge i Nervi e li spinge a non perdere l'occasione di rendersi per sempre liberi e di vendicarsi dei Romani per le offese ricevute. Racconta che due legati erano stati uccisi e il grosso dell'esercito eliminato; non era affatto difficile cogliere di sorpresa la legione che svernava con Cicerone e distruggerla; promette il suo aiuto nell'impresa. Con tali parole persuade facilmente i Nervi.
288
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me paucis, si tibi di favent, diebus, si tecum attuleris bonam atque magnam cenam, non sine candida puella et vino et sale et omnibus cachinnis. Haec si, inquam, attuleris, venuste noster, cenabis bene; nam tui Catulli plenus sacculus est aranearum. Sed contra accipies meros amores seu quid suavius elegantiusve est: nam unguentum dabo, quod meae puellae donarunt Veneres Cupidinesque, quod tu cum olfacies, deos rogabis, totum ut te faciant, Fabulle, nasum.
Mio Fabullo, tra pochi giorni, se gli dei ti assistono, cenerai bene da me, se porterai con te una cena buona e grande, non senza una splendida fanciulla, e vino e (sale) arguzia, e tante risa. Dico, se porterai ciò, bello mio, cenerai bene; infatti, il borsellino del tuo Catullo è pieno di ragnatele. Ma riceverai in cambio sincero affetto, e quanto ci sia di più dolce e raffinato: infatti ti darò un profumo, che Venere e gli Amorini donarono alla mia fanciulla, che, quando tu odorerai, chiederai agli dei di diventare tutto naso, Fabullo.
855
Ipsi Massilienses et celeritate navium et scientia gubernatorum confisi nostros eludebant impetusque eorum decipiebant et, quoad licebat latiore uti spatio, producta longius acie circumvenire nostros aut pluribus navibus adoriri singulas aut remos transcurrentes detergere, si possent, contendebant; cum propius erat necessario ventum, ab scientia gubernatorum atque artificiis ad virtutem montanorum confugiebant. Nostri cum minus exercitatis remigibus minusque peritis gubernatoribus utebantur, qui repente ex onerariis navibus erant producti neque dum etiam vocabulis armamentorum cognitis, tum etiam tarditate et gravitate navium impediebantur; factae enim subito ex humida materia non eundem usum celeritatis habebant.Itaque, dum locus comminus pugnandi daretur, aequo animo singulas binis navibus obiciebant atque iniecta manu ferrea et retenta utraque nave diversi pugnabant atque in hostium naves transcendebant et magno numero Albicorum et pastorum interfecto partem navium deprimunt, nonnullas cum hominibus capiunt, reliquas in portum compellunt. Eo die naves Massiliensium cum eis, quae sunt captae, intereunt VIIII.
Gli stessi Marsigliesi, confidando nella velocità delle navi e nell'abilità dei timonieri, si prendevano gioco dei nostri e schivavano i loro assalti e, finché era loro possibile prendere il largo, estesa per un tratto più ampio la linea del combattimento, si sforzavano di circondare i nostri o di assalire a una a una le nostre navi con un gran numero di loro navi o, se era possibile, di affiancarsi e rompere i remi. Quando poi non potevano fare a meno di venire abbordati, messa da parte l'arte e le astuzie dei piloti, facevano ricorso al valore dei montanari. I nostri non solo avevano rematori meno addestrati e nocchieri meno accorti, che erano stati presi in gran fretta dalle navi da carico e non avevano ancora imparato il vocabolario tecnico degli attrezzi, ma erano anche impediti dalla lentezza e dal peso delle navi. Erano infatti state costruite in fretta con legname non stagionato e non avevano lo stesso vantaggio della celerità. E così pur di avere modo di combattere da vicino, volentieri si scagliavano con una singola nave contro due e, lanciate le mani di ferro, tenendo ferme entrambe le navi, combattevano da una parte e dall'altra, arrembando le navi dei nemici. Uccidono un gran numero di Albici e di pastori, affondano parte delle navi, ne catturano alcune con l'equipaggio, ricacciano nel porto le altre. In quel giorno andarono perdute nove navi marsigliesi, comprese quelle catturate.
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Helvetii omnium rerum inopia adducti legatos de deditione ad eum miserunt. Qui cum eum in itinere convenissent seque ad pedes proiecissent suppliciterque locuti flentes pacem petissent, atque eos in eo loco,quo tum essent ,suum adventum expectare iussisset, paruerunt. Eo postquam Caesar pervenit, obsides, arma, servos qui ad eos perfugissent, poposcit. Dum ea conquiruntur et conferuntur, nocte intermissa circiter hominum milia VI eius pagi, qui Verbigenus appellatus, sive timore perterriti, ne armis traditis supplicio afficerentur, sive spe salutis inducti, quod in tanta multitudine dediticiorum suam fugam aut occultari aut omnino ignorari posse existimarent, prima nocte e castris Helvetiorum egressi ad Rhenum finesque Germanorum contenderunt.
Gli Elvezi, costretti dalla mancanza di ogni cosa, mandarono inviati a lui circa la resa. Essi, avendolo incontrato in marcia, ed essendosi gettati ai suoi piedi e parlando supplichevolmente, avendo chiesto piangendo la pace, e avendo egli ordinato loro che attendessero il suo arrivo in quel luogo nel quale allora erano, obbedirono. Dopo che Cesare giunse là, domandò gli ostaggi, le armi, gli schiavi che si erano rifugiati presso di loro. Mentre queste cose si ricercano e si radunano, sopraggiunta la notte, circa seimila uomini di quella tribù che si chiama Verbigeno, sia atterriti dalla paura che, consegnate le armi, venissero messi a morte, sia indotti dalla speranza di salvarsi, perché, in sì gran moltitudine di arresi, ritenevano che la loro fuga potesse o restar nascosta o essere ignorata del tutto, usciti dall’accampamento degli Elvezi al principio della notte, si avviarono verso il Reno e le terre dei Germani.
541
Caesar eito exercitu et loco castris idoneo capto, ubi ex captivis cognovit quo in loco hostium copiae consedissent, cohortibus decem ad mare relictis et equitibus trecentis, qui praesidio navibus essent, de tertia vigilia ad hostes contendit, eo minus veritus navibus, quod in litore molli atque aperto deligatas ad ancoram relinquebat, et praesidio navibus Q. Atrium praefecit. Ipse noctu progressus milia passuum circiter XII hostium copias conspicatus est.Illi equitatu atque essedis ad flumen progressi ex loco superiore nostros prohibere et proelium committere coeperuut. Repulsi ab equitatu se in silvas abdiderunt, locum nacti egregie et natura et opere munitum, quem domestici belli, ut videbantur, causa iam ante praeparaverant: nam crebris arboribus succisis omnes introitus erant praeclusi. Ipsi ex silvis rari propugnabant nostrosque intra munitiones ingredi prohibebant. At milites legionis septimae, testudine facta et aggere ad munitiones adiecto, locum ceperunt eosque ex silvis expulerunt paucis vulneribus acceptis. Sed eos fugientes longius Caesar prosequi vetuit, et quod loci naturam ignorabat, et quod magna parte diei consumpta munitioni castrorum tempus relinqui volebat.
Cesare provvide allo sbarco dell'esercito e alla scelta di un luogo adatto per il campo. Non appena dai prigionieri seppe dove si erano attestate le truppe nemiche, lasciò nella zona costiera dieci coorti e trecento cavalieri a presidio delle navi e, dopo mezzanotte, mosse contro i nemici, senza alcun timore per le imbarcazioni, lasciate all'ancora su un litorale in lieve pendio e senza scogli; lasciò a capo del distaccamento e delle navi Q. Atrio. Dopo aver percorso, di notte, circa dodici miglia, Cesare avvistò i nemici, che dalle alture, con la cavalleria e i carri, avanzarono verso il fiume: qui, stando in posizione più elevata, impedirono ai nostri di procedere e attaccarono battaglia. Respinti dalla cavalleria, cercarono rifugio nelle selve, sfruttando una zona egregiamente difesa dalla conformazione naturale e da fortificazioni allestite già in passato, probabilmente in occasione di guerre interne: avevano abbattuto molti alberi, disponendoli in modo da precludere ogni accesso. I Britanni, disseminati qua e là, combattevano dall'interno delle selve e ostacolavano l'ingresso dei nostri nella loro roccaforte. Ma i soldati della settima legione, dopo aver formato la testuggine ed essere riusciti a costruire un terrapieno fino ai baluardi nemici, presero la postazione dei Britanni e, subendo poche perdite, li costrinsero a lasciare le selve. Ma Cesare ordinò di non proseguire l'inseguimento, sia perché non conosceva la zona, sia perché era già giorno inoltrato e voleva dedicare le ultime ore di luce a rinsaldare le difese del proprio campo.
175
“Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur. Nihil est enim illi principi deo qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur”.
"Ma, Africano, affinchè tu sia più sollecito a difendere lo Stato, tieni per certo questo: per tutti coloro che hanno conservato, aiutato e accresciuto la patria, è assicurato in cielo un luogo particolare, dove i beati godono dell’eternità. Infatti nulla è più gradito a quel dio che governa tutto il mondo, almeno per quanto riguarda ciò che accade in terra delle comunità e delle aggregazioni di uomini, associati nel diritto, che sono chiamati stati; i governanti e i salvatori di questi stati partiti da qui, qui ritornano”.
654
Itaque duabus legionibus missis in ulteriorem Hispaniam cum Q. Cassio, tribuno plebis, ipse DC cum equitibus magnis itineribus progreditur edictumque praemittit, ad quam diem magistratus principesque omnium civitatum sibi esse praesto Cordubae vellet. Quo edicto tota provincia pervulgato nulla fuit civitas, quin ad id tempus partem senatus Cordubam mitteret, non civis Romanus paulo notior, quin ad diem conveniret. Simul ipse Cordubae conventus per se portas Varroni clausit, custodias vigiliasque in turribus muroque disposuit, cohortes duas, quae colonicae appellabantur, cum eo casu venissent, tuendi oppidi causa apud se retinuit.Eisdem diebus Carmo nenses, quae est longe firmissima totius provinciae civitas, deductis tribus in arcem oppidi cobortibus a Varrone praesidio, per se cohortes eiecit portasque praeclusit.
Pertanto mandate nella Spagna Ulteriore due legioni con Quinto Cassio, tribuno della plebe, egli stesso con seicento cavalieri avanza a marce forzate e si fa precedere da un editto, fissando il giorno in cui voleva che i magistrati e i capi di tutte le città gli si presentassero a Cordova. Dopo la promulgazione di questo editto in tutta la provincia non vi fu città che non mandasse a Cordova, alla data stabilita, una rappresentanza del senato, non vi fu cittadino romano di una certa importanza che non vi giungesse nel giorno fissato. Contemporaneamente la stessa colonia di Cordova, di propria iniziativa, chiuse le porte a Varrone, dispose sulle torri e sulle mura sentinelle e corpi di guardia e trattenne presso di sé per la difesa della città le due coorti che erano dette coloniali, giunte colà per caso. Nel medesimo tempo gli abitanti di Carmona, di gran lunga la città più potente di tutta la provincia, di propria iniziativa cacciarono le tre coorti, mandate da Varrone a presidiare la rocca della città, e chiusero le porte.
976
Caesar consilio eius probato, etsi opinione trium legionum deiectus ad duas redierat, tamen unum communis salutis auxilium in celeritate ponebat. Venit magnis itineribus in Nerviorum fines. Ibi ex captivis cognoscit, quae apud Ciceronem gerantur, quantoque in periculo res sit. Tum cuidam ex equitibus Gallis magnis praemiis persuadet uti ad Ciceronem epistolam deferat. Hanc Graecis conscriptam litteris mittit, ne intercepta epistola nostra ab hostibus consilia cognoscantur.Si adire non possit, monet ut tragulam cum epistola ad amentum deligata intra munitionem castrorum abiciat. In litteris scribit se cum legionibus profectum celeriter adfore; hortatur ut pristinam virtutem retineat. Gallus periculum veritus, ut erat praeceptum, tragulam mittit. Haec casu ad turrim adhaesit neque ab nostris biduo animadversa tertio die a quodam milite conspicitur, dempta ad Ciceronem defertur. Ille perlectam in conventu militum recitat maximaque omnes laetitia adficit. Tum fumi incendiorum procul videbantur; quae res omnem dubitationem adventus legionum expulit.
Cesare approvò la decisione di Labieno e, benché, così, caduta la speranza di contare su tre legioni, dovesse accontentarsi di due, continuava a pensare che l'unica via di salvezza comune consistesse nella rapidità di azione. A marce forzate raggiunge la regione dei Nervi. Qui, dai prigionieri apprende che cosa succede nel campo di Cicerone e come la situazione sia critica. Allora, offrendogli un forte compenso, persuade uno dei cavalieri galli a portare a Cicerone una lettera. La scrive in greco, per evitare che i nemici, in caso di intercettazione, scoprissero i nostri piani. Dà ordine al Gallo, se non fosse riuscito a penetrare nel campo romano, di scagliare all'interno delle fortificazioni una tragula, con la lettera legata alla correggia. Nella missiva scrive che era già in marcia con le legioni e che presto sarebbe giunto; esorta Cicerone a mostrarsi all'altezza dell'antico valore. Il Gallo, temendo il pericolo, scaglia la tragula secondo gli ordini ricevuti. Il caso volle che si conficcasse in una torre e che per due giorni i nostri non se ne accorgessero. Il terzo giorno viene notata da un soldato, divelta e consegnata a Cicerone. Egli legge attentamente la missiva e poi ne comunica il contenuto pubblicamente, con grande gioia di tutti. Al tempo stesso si scorgevano, in lontananza, fumi di fuochi: ogni dubbio sull'arrivo delle legioni venne fugato.
94
Mellitos oculos tuos, Iuventi,si quis me sinat usque basiare,usque ad milia basiem trecentanec numquam videar satur futurus,non si densior aridis aristissit nostrae seges osculationis.
I tuoi occhi, o Giovenzio, dolci come miele,se qualcuno mi lasciasse liberamente baciare,io li bacerei migliaia di volte,ne mi parrebbe di essere mai sazio,anche se più fitta delle spighe maturefosse la messe dei miei sbaciucchiamenti.
967
Cum uterque utrimque exisset exercitus, in conspectu fereque e regione castris castra ponebant dispositis exploratoribus, necubi effecto ponte Romani copias traducerent. Erat in magnis Caesaris difficultatibus res, ne maiorem aestatis partem flumine impediretur, quod non fere ante autumnum Elaver vado transiri solet. Itaque, ne id accideret, silvestri loco castris positis e regione unius eorum pontium, quos Vercingetorix rescindendos curaverat, postero die cum duabus legionibus in occulto restitit; reliquas copias cum omnibus impedimentis, ut consueverat, misit, apertis quibusdam cohortibus, uti numerus legionum constare videretur.His quam longissime possent egredi iussis, cum iam ex diei tempore coniecturam ceperat in castra perventum, isdem sublicis, quarum pars inferior integra remanebat, pontem reficere coepit. Celeriter effecto opere legionibusque traductis et loco castris idoneo delecto reliquas copias revocavit. Vercingetorix re cognita, ne contra suam voluntatem dimicare cogeretur, magnis itineribus antecessit.
I due eserciti rimanevano l'uno al cospetto dell'altro, ponevano i campi quasi dirimpetto. La sorveglianza degli esploratori nemici impediva ai Romani di costruire in qualche luogo un ponte per varcare il fiume. Cesare correva il rischio di rimanere bloccato dal fiume per la maggior parte dell'estate, in quanto l'Allier non consente con facilità il guado prima dell'autunno. Così, per evitare tale evenienza, pose il campo in una zona boscosa, dinnanzi a uno dei ponti distrutti da Vercingetorige; il giorno seguente si tenne nascosto con due legioni. Le altre truppe, con tutte le salmerie, ripresero il cammino secondo il solito, ma alcune coorti vennero frazionate perché sembrasse inalterato il numero delle legioni. Ad esse comandò di protrarre la marcia il più possibile: a tarda ora, supponendo che le legioni si fossero accampate, intraprese la ricostruzione del ponte, utilizzando gli stessi piloni rimasti intatti nella parte inferiore. L'opera venne rapidamente realizzata e le legioni furono condotte sull'altra sponda. Scelse una zona adatta all'accampamento e richiamò le rimanenti truppe. Vercingetorige, informato dell'accaduto, per non trovarsi costretto a dar battaglia contro la sua volontà, le precedette e si allontanò a marce forzate.
103
Tu ne quaesieris - scire nefas -, quem mihi, quem tibifinem di dederint, Leuconoë, nec Babyloniostemptaris numeros! Ut melius, quidquid erit, pati,seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,quae nunc oppositis debilitat pumicibus mareTyrrhenum: sapias! Vina liques et spatio brevispem longam reseces! Dum loquimur, fugerit invidaaetas: carpe diem, quam minimum credula postero!
Non chiedere, o Leuconoe, (è illecito saperlo) qual fine abbiano a te e a me assegnato gli dei, e non scrutare gli oroscopi babilonesi.Qunt'è meglio accettare quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni,oppure ultimo quello che ora affatica il mar Tirreno contro gli scogli, sii saggia,filtra vini, tronca lunghe speranze per la vita breve.Parliamo, e intanto fugge l'atioso tempo. Afferra oggi, credi al domani quanto meno puoi.
390
Hostes in insidus dispositi, cum sibi delegissent campum ad rem gerendam non amplius patentem in omnes partes passibus mille, silvis undique aut impeditissimo flumine munitum, velut indagine hunc insidiis circumdederunt. Explorato hostium consilio nostri ad proeliandum animo atque armis parati, cum subsequentibus legionibus nullam dimicationem recusarent, turmatim in eum locum devenerunt. Quorum adventu cum sibi Correus oblatam occasionem rei gerendae existimaret, primum cum paucis se ostendit atque in proximas turmas impetum fecit.Nostri constanter incursum sustinent insidiatorum neque plures in unum locum conveniunt; quod plerumque equestribus proeliis cum propter aliquem timorem accidit, tum multitudine ipsorum detrimentum accipitur.
I nemici, in agguato, dopo aver scelto una pianura non più ampia di un miglio in tutte le direzioni, circondata su ogni lato da selve o da un fiume inguadabile, si erano disposti tutt'attorno, per accalappiare la preda. I nostri, al corrente delle intenzioni nemiche, erano pronti alla lotta sia con le armi, sia nell'animo, e visto l'arrivo imminente delle legioni, non avrebbero rinunciato a nessun tipo di scontro: sul luogo dell'imboscata giunsero squadrone per squadrone. Al loro arrivo, Correo pensò che gli si offrisse l'occasione di agire: cominciò a mostrarsi con pochi uomini e attaccò i primi squadroni. I nostri resistono saldamente all'assalto, non si ammassano in un sol luogo, cosa che, quando si verifica negli scontri di cavalleria per un senso di paura, determina un grave danno proprio per il numero dei soldati.
462
Dum in his locis Caesar navium parandarum causa moratur, ex magna parte Morinorum ad eum legati venerunt, qui se de superioris temporis consilio excusarent, quod homines barbari et nostrae consuetudinis imperiti bellum populo Romano fecissent, seque ea quae imperasset facturos pollicerentur. Hoc sibi Caesar satis opportune accidisse arbitratus, quod neque post tergum hostem relinquere volebat neque belli gerendi propte anni tempus facultatem habebat neque has tantularum rerum occupationes Britanniae anteponendas iudicabat, magnum iis numerum obsidum imperat.Quibus adductis eos in fidem recipit. Navibus circiter octoginta onerariis coactis, contractisque quot satis esse ad duas transporandas legiones existimabat, quicquid praeterea navium longarum habebat, id quaestori legatis praefectisque tribuit. Huc accedebant duodeviginti onerariae naves, quae ex loco a milibus passum octo vento tenebantur, quominus in eundem portum venire possent; has equitibus tribuit. Reliquum exercitum Q. Titurio Sabino et L. Aurunculeio Cottae legatis in Menapios atque in eos pagos Morinorum, a quibus ad eum legati non venerant, ducendum dedit; P. Sulpicium Rufum legatum cum eo praesidio quod satis esse arbitrabatur, portum tenere iussit.
Mentre Cesare si trattiene ancora in questi luoghi per le navi da preparare, ambasciatori da gran parte dei Morini vennero presso di lui affinché si scusassero della decisione del tempo precedente, poiché gli uomini barbari ed ignoranti i nostri costumi mossero guerra al popolo romano, e promettessero di aver intenzione di fare ciò che avrebbe ordinato. Dopo aver reputato che ciò gli fosse accaduto abbastanza opportunamente, Cesare ordina loro un gran numero di ostaggi, poiché né voleva lasciarsi il nemico alle spalle, né aveva la possibilità di intraprendere una guerra a causa della stagione, né riteneva che queste occupazioni di fatti così insignificanti fossero da anteporre alla Britannia. Dopo aver procurato e radunato circa ottanta navi da carico, quante stimava fossero sufficienti per trasportare due legioni, distribuì inoltre a un questore, agli ambasciatori ed ai prefetti qualsiasi nave da guerra avesse. A ciò si aggiungevano diciotto navi da carico che erano bloccate dal vento a ottomila passi da quel luogo, per cui non riuscivano a giungere nello stesso porto: concesse queste ai cavalieri. Diede il restante esercito agli ambasciatori Q. Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta affinché lo guidassero dai Menapi e presso quei villaggi dei Morini dai quali non erano venuti da lui gli ambasciatori. Ordinò che l'ambasciatore P. Sulpicio Rufo controllasse il porto con quella guarnigione che riteneva essere sufficiente.
584
Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent, important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt.Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent, aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano; continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum; attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum; vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur; pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni; spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam, pertinet; spectat inter occasum solis et septentriones.
La Gallia tutta quanta è divisa in tre parti, delle quali i Belgi abitano una, gli Aquitani un‘ altra, la terza coloro che son chiamati Celti nella lingua di loro stessi, Galli nella nostra. Tutti questi differiscono tra di loro per lingua, costumanze, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna dai Belgi. I Belgi sono i più valorosi di tutti questi perché distano più lontano dalla civiltà e dalla cultura della provincia, e i mercanti vanno ad essi il meno spesso e non importano quelle cose che servono ad infiacchire gli animi, e sono i più vicini a quei Germani che abitano oltre il Reno, con i quali fanno guerra incessantemente. Per la qual causa anche gli Elvezi sorpassano per il valore gli altri Galli perché combattono con i Germani con scontri pressoché quotidiani, allorché o cacciano loro dal proprio territorio, o essi stessi fan guerra nelle terre di quelli. Una parte di loro, la quale è stato detto che i Galli occupano, prende principio dal fiume Rodano; è racchiusa dal fiume Garonna, dall’ Oceano, dalle terre dei Belgi; tocca anche il fiume Reno dalla parte dei Sequani e degli Elvezi; è rivolta verso il settentrione. I Belgi incominciano dagli estremi confini della Gallia; si estendono sino alla parte inferiore del fiume Reno; guardano verso il settentrione e il sole che sorge. L’ Aquitania si stende dal fiume Garonna sino ai monti Pirinei e quella parte dell’ Oceano che è presso la Spagna; guarda tra il tramonto del sole e il settentrione.
868
Proximis diebus habetur extra urbem senatus. Pompeius eadem illa, quae per Scipionem ostenderat agit; senatus virtutem constantiamque collaudat; copias suas exponit; legiones habere sese paratas X; praeterea cognitum compertumque sibi alieno esse animo in Caesarem milites neque eis posse persuaderi, uti eum defendant aut sequantur. Statim de reliquis rebus ad senatum refertur: tota Italia delectus habeatur; Faustus Sulla propere in Mauretaniam mittatur; pecunia uti ex aerario Pompeio detur.Refertur etiam de rege Iuba, ut socius sit atque amicus; Marcellus vero passurum se in praesentia negat. De Fausto impedit Philippus, tribunus plebis. De reliquis rebus senatusconsulta perscribuntur. Provinciae privatis decernuntur duae consulares, reliquae praetoriae. Scipioni obvenit Syria, L. Domitio Gallia; Philippus et Cotta privato consilio praetereuntur, neque eorum sortes deiciuntur. In reliquas provincias praetores mittuntur. Neque exspectant, quod superioribus annis acciderat, ut de eorum imperio ad populum feratur paludatique votis nuncupatis exeant. Consules, quod ante id tempus accidit nunquam, ex urbe proficiscuntur, lictoresque habent in urbe et Capitolio privati contra omnia vetustatis exempla. Tota Italia delectus habentur, arma imperantur; pecuniae a municipiis exiguntur, e fanis tolluntur: omnia divina humanaque iura permiscentur.
Nei giorni successivi, le sedute del senato si tengono fuori Roma. Pompeo presenta quelle medesime proposte che aveva fatto conoscere per bocca di Scipione; loda la fermezza e la coerenza del senato; enumera le sue forze; afferma di avere pronte dieci legioni; inoltre di avere appreso e accertato che i soldati sono ostili a Cesare: non li si può indurre a difenderlo o, soltanto, a seguirlo. Circa le altre questioni viene proposto al senato quanto segue: si facciano leve in tutta Italia; Fausto Silla sia mandato in Mauritania come propretore; sia data facoltà a Pompeo di usare il denaro dell'erario pubblico. Si presentano proposte anche nei riguardi del re Giuba: sia dichiarato alleato e amico. Marcello nega di potere per il momento sottoscrivere la proposta. Filippo, tribuno della plebe, pone il veto alla mozione relativa a Fausto. Vengono registrati i decreti del senato riguardanti gli altri punti. A privati vengono assegnate le province, due consolari, le altre pretorie. A Scipione tocca in sorte la Siria, a L. Domizio la Gallia. Filippo e Cotta vengono esclusi per manovre di parte e i loro nomi non sono posti nell'urna. In tutte le altre province vengono inviati pretori. E non attendono - come era accaduto negli anni precedenti - che il loro potere sia ratificato dal popolo, e, con addosso il paludamento di porpora, dopo avere fatto i sacrifici rituali, escono dalla città. I consoli, cosa non mai accaduta prima, ... si allontanano dalla città e privati cittadini, contrariamente a ogni esempio del passato, tengono littori in città e sul Campidoglio. In tutta Italia si fanno leve, si obbliga a fornire armi, si esige denaro dai municipi, denaro viene sottratto dai templi, tutte le leggi divine e umane vengono sovvertite.
58
“Sed sic, Scipio, ut avus hic tuus, ut ego qui te genui, iustitiam cole et pietatem, quae cum magna in parentibus et propinquis, tum in patria maxima est; ea vita via est in caelum et in hunc coetum eorum qui iam vixerunt et, corpore laxati, illum incolunt locum, quem vides - erat autem is splendidissimo candore inter flammas circus elucens-, quem vos, ut a Graiis accepistis, orbemlacteum nuncupatis”. Ex quo omnia mihi contemplanti praeclara cetera et mirabilia videbantur.Erant autem eae stellae, quas numquam ex hoc loco vidimus, et eae magnitudines omnium quas esse numquam suspicati sumus, ex quibus erat ea minima quae ultima a caelo, citima terris luce lucebat aliena. Stellarum autem globi terrae magnitudinem facile vincebant.Iam vero ipsa terra ita mihi parva visa est, ut me imperii nostri, quo quasi punctum eius attingimus, paeniteret.
Ma, Scipione, come questo tuo nonno e come me che ti ho generato, così (anche tu) coltiva la giustizia e la pietà, che non solo è grande verso i genitori e i parenti, ma è massima verso la patria; una tale vita è la via verso il cielo e a questa comunità di coloro già vissuto che, liberati dal corpo, abitano quel luogo che vedi –si trattava, appunto, di spazio circolare risplendente tra le fiamme, dal candor abbagliante-, che voi come avete appreso dai Greci denominate Via Lattea”. Da qui, a me che contemplavo l’Universo, tutto pareva magnifico e meraviglioso.C’erano tra l’altro stelle che non vediamo mai dalle nostre regioni terrene, e le grandezze di tutte quelle stelle erano tali quale mai avessimo sospettato che fossero, tra queste la più piccola era quella, ultima dalla parte del cielo ma la più vicino alla Terra, risplendeva di luce non propria. Inoltre i globi delle stelle superavano di gran lunga la grandezza della terra. Anzi, in verità, la stessa Terra mi sembrò così piccola che mi sentivo umiliato del nostro dominio, col il quale quasi a malapena ne tocchiamo solo un punto.
578
Sed fortuna, quae plurimum potest cum in reliquis rebus tum praecipue in bello, parvis momentis magnas rerum commutationes efficit; ut tum accidit. Munitionem, quam pertinere a castris ad flumen supra demonstravimus, dextri Caesaris cornu cohortes ignorantia loci sunt secutae, cum portam quaererent castrorumque eam munitionem esse arbitrarentur. Quod cum esset animadversum coniunctam esse flumini, prorutis munitionibus defendente nullo transcenderunt, omnisque noster equitatus eas cohortes est secutus.
Ma la Fortuna, che ha grande potere in tutti gli altri eventi ma sopra tutto in guerra, in breve spazio di tempo produce grandi mutamenti, e così avvenne allora. Le coorti dell'ala destra di Cesare, non conoscendo il posto, avanzarono lungo il trinceramento, che, come sopra abbiamo detto, si estendeva dal campo al fiume, alla ricerca di una porta pensando che quello fosse il trinceramento del campo. Ma quando ci si accorse che esso andava a finire al fiume,dopo avere distrutta la fortificazione senza che nessuno opponesse difesa, la oltrepassarono e tutta la nostra cavalleria seguì quelle coorti.
827
Curio utrumque improbans consilium, quantum alteri sententiae deesset animi, tantum alteri superesse dicebat: hos turpissimae fugae rationem habere, illos etiam iniquo loco dimicandum putare. "Qua enim," inquit, "fiducia et opere et natura loci munitissima castra expugnari posse confidimus? Aut vero quid proficimus, si accepto magno detrimento ab oppugnatione castrorum discedimus? Quasi non et felicitas rerum gestarum exercitus benevolentiam imperatoribus et res adversae odia colligant! Castrorum autem mutatio quid habet nisi turpem fugam et desperationem omnium et alienationem exercitus? Nam neque pudentes suspicari oportet sibi parum credi, neque improbos scire sese timeri, quod his licentiam timor augeat noster, illis studia deminuat." "Quod si iam," inquit, "haec explorata habeamus, quae de exercitus alienatione dicuntur, quae quidem ego aut omnino falsa aut certe minora opinione esse confido, quanto haec dissimulari et occultari, quam per nos confirmari praestet? An non, uti corporis vulnera, ita exercitus incommoda sunt tegenda, ne spem adversariis augeamus? At etiam, ut media nocte proficiscamur, addunt, quo maiorem, credo, licentiam habeant, qui peccare conentur.Namque huiusmodi res aut pudore aut metu tenentur; quibus rebus nox maxime adversaria est. Quare neque tanti sum animi, ut sine spe castra oppugnanda censeam, neque tanti timoris, uti spe deficiam, atque omnia prius experienda arbitror magnaque ex parte iam me una vobiscum de re iudicium facturum confido."
Curione disapprova entrambi i pareri e diceva che quanto una proposta mancava di coraggio, tanto l'altra ne presentava in eccesso: gli uni contavano su di una fuga vergognosissima, gli altri pensavano di dovere combattere anche in una posizione sfavorevole. "Con che fiducia", disse, "confidiamo di potere espugnare un campo oltremodo protetto per natura del luogo e per lavori di fortificazione? O invero che vantaggio avremo se rinunciamo all'assalto del campo dopo avere ricevuto gravi perdite? Come se non fosse il buon esito delle azioni a conciliare ai capi la benevolenza dei soldati e la sconfitta gli odi! E il cambiamento poi del campo che cosa comporta, se non una turpe fuga, la perdita di ogni speranza e il malumore dei soldati? E infatti non è conveniente che i buoni soldati sospettino che si ha poca fiducia in loro né che i cattivi siano consci di essere temuti, poiché la nostra paura agli uni aumenta la sfrenatezza, agli altri riduce l'ardore. Che se anche", continuò, "giudicassimo certo ciò che si dice sul malanimo dell'esercito, cosa che io invero confido essere del tutto falsa o sicuramente meno grave di quello che si pensa, non è meglio dissimularla e tenerla nascosta piuttosto che confermarla col nostro operato? Non è forse vero che, come le ferite di un corpo, così le debolezze di un esercito vanno tenute nascoste per non accrescere nei nemici la speranza? E inoltre aggiungono che si parta a mezzanotte, perché, come io credo, coloro che tentano di tradire possano farlo con maggiore facilità. E infatti azioni di tal fatta sono tenute a freno o dalla vergogna o dal timore, di cui la notte è sopra tutto nemica. Per tali motivi non ho tanta audacia da pensare che si debba, ancorché senza speranza, attaccare l'accampamento, né tanto timore da perdermi d'animo; penso che prima si debba esaminare ogni possibilità e confido di potere ben presto prendere insieme a voi una decisione sul da farsi".
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Caesar, cum animadverteret hostem complures dies castris palude et loci natura munitis se tenere neque oppugnari castra eorum sine dimicatione perniciosa nec locum munitionibus claudi nisi a maiore exercitu posse, litteras ad Trebonium mittit, ut quam celerrime posset legionem XIlI, quae cum T. Sextio legato in Biturigibus hiemabat, arcesseret atque ita cum tribus legionibus magnis itineribus ad se veniret; ipse equites in vicem Remorum ac Lingonum reliquarumque civitatum, quorum magnum numerum evocaverat, praesidio pabulationibus mittit, qui subitas hostium incursiones sustinerent.
Cesare, constatato che ormai da parecchi giorni il nemico si teneva nell'accampamento, difeso dalla palude e dalla conformazione naturale della zona, si era anche reso conto che non poteva né espugnare il loro campo senza un combattimento rovinoso, né circondarlo con opere d'assedio, a meno dell'impiego di truppe più ingenti. Allora invia una lettera a Trebonio, ordinandogli di richiamare quanto prima la tredicesima legione (che svernava nelle terre dei Biturigi con il legato T. Sestio) e di raggiungerlo con le tre legioni a marce forzate. Intanto, ai cavalieri dei Remi, dei Lingoni e degli altri popoli, che aveva richiesto in gran numero, dà l'incombenza di scortare a turno i nostri in cerca di foraggio, per proteggerli da improvvisi attacchi dei nemici.
686
Caesar cum ab hoste non amplius passuum XII milibus abesset, ut erat constitutum, ad eum legati revertuntur; qui in itinere congressi magnopere ne longius progrederetur orabant. Cum id non impetrassent, petebant uti ad eos [equites] qui agmen antecessissent praemitteret eos pugna prohiberet, sibique ut potestatem faceret in Ubios legatos mittendi; quorum si principes ac senatus sibi iure iurando fidem fecisset, ea condicione quae a Caesare ferretur se usuros ostendebant: ad has res conficiendas sibi tridui spatium daret.Haec omnia Caesar eodem illo pertinere arbitrabatur ut tridui mora interposita equites eorum qui abessent reverterentur; tamen sese non longius milibus passuum IIII aquationis causa processurum eo die dixit: huc postero die quam frequentissimi convenirent, ut de eorum postulatis cognosceret. Interim ad praefectos, qui cum omni equitatu antecesserant, mittit qui nuntiarent ne hostes proelio lacesserent, et si ipsi lacesserentur, sustinerent quoad ipse cum exercitu propius accessisset.
Cesare non distava più di dodici miglia dal nemico, quando i membri dell'ambasceria ritornarono, secondo gli accordi. Gli si presentarono che era in marcia e lo pregavano, invano, di non avanzare ulteriormente. Gli chiedevano, allora, di dar ordine alla cavalleria, posta all'avanguardia, di non aprire le ostilità e gli domandavano il permesso di inviare un'ambasceria agli Ubi: se i capi e il senato degli Ubi avessero fornito garanzie mediante un giuramento solenne, si dichiaravano pronti ad accettare le condizioni proposte da Cesare. Ma, per condurre a termine le operazioni necessarie, chiedevano tre giorni di tempo. Cesare riteneva che la richiesta mirasse sempre a consentire, nei tre giorni di tregua, il rientro dei cavalieri che si erano allontanati; tuttavia, disse che per quel giorno si sarebbe spinto in avanti non oltre le quattro miglia, al solo scopo di rifornirsi d'acqua, ma comandò che l'indomani si presentassero lì nel maggior numero possibile per conoscere la sua risposta. Al tempo stesso, ai prefetti della cavalleria, che precedeva l'esercito, manda dei messi con l'ordine di non provocare a battaglia i nemici e di difendersi, in caso di attacco, fino al suo arrivo con le legioni.
451
Quibus rebus cognitis ex perfugis et captivis, Caesar haec genera munitionis instituit. Fossam pedum viginti directis lateribus duxit, ut eius fossae solum tantundem pateret quantum summae fossae labra distarent. Reliquas omnes munitiones ab ea fossa pedes quadringentos reduxit, [id] hoc consilio, quoniam tantum esset necessario spatium complexus, nec facile totum corpus corona militum cingeretur, ne de improviso aut noctu ad munitiones hostium multitudo advolaret aut interdiu tela in nostros operi destinatos conicere possent.Hoc intermisso spatio duas fossas quindecim pedes latas, eadem altitudine perduxit, quarum interiorem campestribus ac demissis locis aqua ex flumine derivata complevit. Post eas aggerem ac vallum duodecim pedum exstruxit. Huic loricam pinnasque adiecit grandibus cervis eminentibus ad commissuras pluteorum atque aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et turres toto opere circumdedit, quae pedes LXXX inter se distarent.
Cesare, appena ne fu informato dai fuggiaschi e dai prigionieri, approntò una linea di fortificazione come segue: scavò una fossa di venti piedi, con le pareti verticali, facendo sì che la larghezza del fondo corrispondesse alla distanza tra i bordi superiori; tutte le altre opere difensive le costruì più indietro, a quattrocento piedi dalla fossa: avendo dovuto abbracciare uno spazio così vasto e non essendo facile dislocare soldati lungo tutto il perimetro, voleva impedire che i nemici, all'improvviso o nel corso della notte, piombassero sulle nostre fortificazioni, oppure che durante il giorno potessero scagliare dardi sui nostri occupati nei lavori. A tale distanza, dunque, scavò due fosse della stessa profondità, larghe quindici piedi. Delle due, la più interna, situata in zone pianeggianti e basse, venne riempita con acqua derivata da un fiume. Ancor più indietro innalzò un terrapieno e un vallo di dodici piedi, a cui aggiunse parapetto e merli, con grandi pali sporgenti dalle commessure tra i plutei e il terrapieno allo scopo di ritardare la scalata dei nemici. Lungo tutto il perimetro delle difese innalzò torrette distanti ottanta piedi l'una dall'altra.
911
Crassus equitum praefectos cohortatus, ut magnis praemiis pollicitationibusque suos excitarent, quid fieri vellet ostendit. Illi, ut erat imperatum, eductis iis cohortibus quae praesidio castris relictae intritae ab labore erant, et longiore itinere circumductis, ne ex hostium castris conspici possent, omnium oculis mentibusque ad pugnam intentis celeriter ad eas quas diximus munitiones pervenerunt atque his prorutis prius in hostium castris constiterunt quam plane ab his videri aut quid rei gereretur cognosci posset.Tum vero clamore ab ea parte audito nostri redintegratis viribus, quod plerumque in spe victoriae accidere consuevit, acrius impugnare coeperunt. Hostes undique circumventi desperatis omnibus rebus se per munitiones deicere et fuga salutem petere contenderunt. Quos equitatus apertissimis campis consectatus ex milium L numero, quae ex Aquitania Cantabrisque convenisse constabat, vix quarta parte relicta, multa nocte se in castra recepit.
Crasso, esortati i capi della cavalleria a spronare i loro con la promessa di grandi ricompense, espose il suo piano. Costoro, secondo gli ordini, portarono fuori dal campo le coorti che lo presidiavano, fresche e riposate, compirono una lunga deviazione per non essere visti dall'accampamento nemico e, mentre gli occhi e gli animi di tutti erano intenti alla battaglia, raggiunsero rapidamente le fortificazioni di cui si è parlato, le abbatterono e penetrarono nell'accampamento prima che i nemici potessero scorgerli o capire che cosa stesse accadendo. E quando i nostri sentirono levarsi da lì clamori, ripresero forza, come spesso succede quando si spera di vincere, e iniziarono ad attaccare con maggior vigore. I nemici, circondati da tutti i lati e persa ogni speranza, cercarono di gettarsi giù dalle fortificazioni e di darsi alla fuga. La nostra cavalleria li inseguì nei campi, pianeggianti e privi di vegetazione: di cinquantamila nemici - tali erano stimate le forze provenienti dall'Aquitania e dai Cantabri - appena un quarto si mise in salvo. I nostri cavalieri rientrarono all'accampamento a notte fonda.
196
Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris?
Fino a quando abuserai ancora della nostra pazienza, o Catilina? Per quanto tempo ancora codesto tuo furore ci befferà? A quale limite si spingerà la sfrenata tua audacia? Non ti dicono nulla il presidio notturno del Palatino, le scolte della città, il timore del popolo, il concorso di tutte le persone perbene, questa munitissima sede del Senato, le bocche ed i volti di questi? Non ti accorgi che i tuoi propositi sono conosciuti, che la tua congiura viene pregiudicata dalla conoscenza che tutti questi ne hanno? Pensi forse che noi ignoriamo che cosa tu faccia nella prossima notte o in quella precedente, dove tu sia stato, chi tu abbia convocato, quali suggerimenti tu abbia raccolto?
917
Eodem tempore tertiam aciem Caesar, quae quieta fuerat et se ad id tempus loco tenuerat, procurrere iussit. Ita cum recentes atque integri defessis successissent, alii autem a tergo adorirentur, sustinere Pompeiani non potuerunt, atque universi terga verterunt. Neque vero Caesarem fefellit, quin ab eis cohortibus, quae contra equitatum in quarta acie collocatae essent, initium victoriae oriretur, ut ipse in cohortandis militibus pronuntiaverat. Ab his enim primum equitatus est pulsus, ab isdem factae caedes sagittariorum ac funditorum, ab isdem acies Pompeiana a sinistra parte circumita atque initium fugae factum.Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, aliis quoque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, "tuemini," inquit, "castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo." Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans.
Nel medesimo tempo Cesare ordinò di avanzare alla terza fila che fino a quel momento era rimasta in riposo e ferma nella sua posizione. E così ricevendo i soldati sfiniti il cambio di forze fresche e riposate, mentre gli altri assalivano alle spalle, i Pompeiani non furono in grado di reggere e si diedero tutti alla fuga. Cesare invero non si era ingannato nel pensare che il principio della vittoria dipendeva da quelle coorti che erano state dislocate nella quarta fila contro la cavalleria, come egli stesso aveva affermato nell'esortare i soldati. Da queste coorti infatti dapprima fu sbaragliata la cavalleria, dalle medesime furono annientati arcieri e frombolieri, dalle medesime fu circondata la schiera pompeiana dal lato sinistro e fu provocato l'inizio della fuga nemica. Ma Pompeo, quando vide la propria cavalleria respinta e si accorse che era in preda al terrore quella parte dell'esercito su cui sopra tutto confidava, e, non avendo inoltre fiducia negli altri, si allontanò dal campo di battaglia e subito si diresse a cavallo nell'accampamento e a quei centurioni che aveva posto di guardia presso la porta pretoria disse a voce alta perché i soldati lo udissero: "Proteggete l'accampamento e difendetelo con zelo, se le cose dovessero volgere al peggio. Io faccio il giro delle altre porte per rassicurare i presidi dell'accampamento". Dopo avere detto queste parole, se ne andò nella tenda pretoria, persa la fiducia nell'esito finale, ma tuttavia aspettando gli eventi.
543
Agriculturae non student, maiorque pars eorum victus in lacte, caseo, carne consistit. Neque quisquam agri modum certum aut fines habet proprios; sed magistratus ac principes in annos singulos gentibus cognationibusque hominum, qui una coierunt, quantum et quo loco visum est agri attribuunt atque anno post alio transire cogunt. Eius rei multas adferunt causas: ne adsidua consuetudine capti studium belli gerendi agricultura commutent; ne latos fines parare studeant, potentioresque humiliores possessionibus expellant; ne accuratius ad frigora atque aestus vitandos aedificent; ne qua oriatur pecuniae cupiditas, qua ex re factiones dissensionesque nascuntur; ut animi aequitate plebem contineant, cum suas quisque opes cum potentissimis aequari videat.
Non si occupano della coltivazione dei campi, la maggior parte del loro vitto consiste in latte, formaggio e carne. E nessuno ha una determinata estensione di terreno o terre proprie, ma i magistrati e i capi attribuiscono di anno in anno la quantità di terreno e nel luogo in cui sembra opportuno alle famiglie e alle parentele degli uomini che vivono insieme, e dopo un anno li obbligano a trasferirsi altrove. Adducono molte ragioni di questa usanza: affinché, presi dalla lunga abitudine, non sostituiscano l'agricoltura al desiderio di fare guerra; affinché non desiderino procurarsi campi vasti e i più potenti non scaccino dai possedimenti i più deboli; affinché non costruiscano le case con troppa cura per evitare il freddo e il caldo; affinché non sorga alcuna brama di denaro, motivo per cui nascono fazioni e dissensi; affinché trattengano la plebe con equanimità dato che ciascuno vede che le sue ricchezze sono uguali a quelle dei più facoltosi.
35
SENECA LUCILIO SUO SALUTEMIta fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet.Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. [3] Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere.
Seneca saluta il suo LucilioFai così, o Lucilio; rivendica per te te stesso e riservati e conserva il tempo che fino ad ora o ti era sottratto o ti era rubato o ti sfuggiva. Persuaditi che ciò è così come io scrivo: un certo tempo ci è sottratto, un’altra parte ci è portata via, un’altra passa. Tuttavia la perdita, che avviene per noncuranza, è vergognosissima. E se vorrai osservare, la maggior parte della vita sfugge a chi agisce male, moltissima a coloro che non agiscono per nulla, tutta a coloro che fanno altro. Chi mi troverai che dia un qualche prezzo al tempo, che stimi un giorno, che creda che muore ogni giorno? Infatti in ciò si sbaglia, che prevediamo la morte: infatti una gran parte di quella è passata; la mrote possiede qualunque cosa della vita è accaduta prima. Fa dunque, o mio Lucilio, ciò che scrivi di fare, abbraccia tutte le ore; così accade che dipenderai meno dal domani se ti approprierai del presente. Mentre si rinvia la vita scorre. Tutte le cose, o Lucilio, sono estranee, il tempo è tutto nostro; la natura ci mise in possesso di questa sola cosa effimera e sfuggevole, dalla quale rimuove chiunque voglia. E così grande è la stoltezza dei mortali che sopportano che gli siano imputati, quando le hanno ottenute, cose di nessuna importanza e di nessun valore, facilmente reperibili, nessuno che ha ricevuto del tempo ritiene che debba qualcosa, mentre ciò è l’unica cosa che neppure chi è riconoscente può restituire.
114
His rebus cognitis Caesar legiones equitatumque revocari atque in itinere resistere iubet, ipse ad naves revertitur; eadem fere quae ex nuntiis litterisque cognoverat coram perspicit, sic ut amissis circiter XL navibus reliquae tamen refici posse magno negotio viderentur. Itaque ex legionibus fabros deligit et ex continenti alios arcessi iubet; Labieno scribit, ut quam plurimas posset eis legionibus, quae sunt apud eum, naves instituat. Ipse, etsi res erat multae operae ac laboris, tamen commodissimum esse statuit omnes naves subduci et cum castris una munitione coniungi.
Sapute queste cose, Cesare comandò (lett.: comanda) di richiamare le legioni e la cavalleria e di resistere durante il viaggio, egli stesso torna alle navi; può vedere di persona quasi la stessa cosa che ebbe saputo dai messaggeri e dalle missive, cosicché, perse circa quaranta navi, sembrasse che le restanti potessero essere riparate (solo) con grande sforzo. E così dalle legioni raccolse (lett.: raccoglie) alcuni operai ed ordinà (lett.: ordina) che ne siano presi altri dal continente; scrisse (lett.: scrive) a Labieno che, con le sue legioni che fossero vicine a loro(a Cesare e le truppe), preparasse quante più navi potesse. Egli stesso, anche se era un affare di grande lavoro e sforzo, pensava comunque che fosse molto comodo che le navi fossero tirate in secco e che fossero riunite all’accampamento con una sola fortificazione.
611
Caesar, necessariis rebus imperatis, ad cohortandos milites, quam [in] partem fors obtulit, decucurrit et ad legionem decimam devenit. Milites non longiore oratione cohortatus quam uti suae pristinae virtutis memoriam retinerent neu perturbarentur animo hostiumque impetum fortiter sustinerent, quod non longius hostes aberant quam quo telum adigi posset, proelii committendi signum dedit. Atque in alteram item cohortandi causa profectus pugnantibus occurrit.Temporis tanta fuit exiguitas hostiumque tam paratus ad dimicandum animus ut non modo ad insignia accommodanda sed etiam ad galeas induendas scutisque tegimenta detrahenda tempus defuerit. Quam quisque ab opere in partem casu devenit quaeque prima signa conspexit, ad haec constitit, ne in quaerendis suis pugnandi tempus dimitteret.
Cesare, impartiti gli ordini necessari, corse a spronare i soldati, guidato dal caso: capitò dalla decima legione. Si limitò a incitare i soldati a ricordarsi dell'antico valore, a non lasciarsi turbare, a reggere con vigore all'assalto nemico. Dato che i Nervi erano quasi a tiro e i nostri potevano colpirli con le frecce, diede il segnale d'attacco. E poi si precipitò in un'altra direzione, sempre con lo scopo di incoraggiare i soldati, ma li trovò che stavano già combattendo. Il tempo fu talmente breve e i nemici così risoluti che i nostri non riuscirono non solo ad applicare i fregi, ma neppure a mettersi in testa gli elmi o a togliere le fodere dagli scudi. Chi tornava dai lavori si fermò dove capitava, presso le prime insegne che vide, per non perdere tempo alla ricerca della sua unità di appartenenza.
600
Hac habita contione et ad extremam orationem confirmatis militibus, ne ob hanc causam animo permoverentur neu quod iniquitas loci attulisset id virtuti hostium tribuerent, eadem de profectione cogitans quae ante senserat legiones ex castris eduxit aciemque idoneo loco constituit. Cum Vercingetorix nihil magis in aequum locum descenderet, levi facto equestri proelio atque secundo in castra exercitum reduxit. Cum hoc idem postero die fecisset, satis ad Gallicam ostentationem minuendam militumque animos confirmandos factum existimans in Aeduos movit castra.Ne tum quidem insecutis hostibus tertio die ad flumen Elaver venit; pontem refecit exercitumque traduxit.
Tenuto questo discorso, nella parte finale rinfrancò i soldati: non dovevano turbarsi nell'animo per la sconfitta, né ascrivere al valore nemico ciò che dipendeva solo dagli svantaggi del campo di battaglia. E benché pensasse alla partenza, già prima considerata opportuna, guidò fuori dal campo le legioni e le schierò in un luogo adatto. Vercingetorige, non di meno, continuava a tenersi all'interno delle fortificazioni e non scendeva in pianura. Allora Cesare, dopo una scaramuccia tra le cavallerie, in cui riportò la meglio, ricondusse l'esercito all'accampamento. Il giorno seguente si ripeté la stessa cosa. Cesare, convinto di aver fatto quanto bastava per sminuire la baldanza dei Galli e rinfrancare il morale dei nostri soldati, mosse il campo verso il territorio degli Edui. Neppure allora i nemici si mossero all'inseguimento. Il terzo giorno ricostruì i ponti sull'Allier e condusse l'esercito sull'altra sponda.
202
In principatu commutando saepius nil praeter domini nomen mutant pauperes. Id esse verum parva haec fabella indicat.Asellum in prato timidus pascebat senex. Is hostium clamore subito territus suadebat asino fugere, ne possent capi.At ille lentus: “Quaeso, nun binas mihi clitellas impositurum victorem putas?”. Senex negavit. “Ergo quid refert mea cui serviam? Clitellas dum portem meas”.
el mutar governo i poveri alquanto di frequente non mutano nulla se non il nome del padrone. Questa favoletta dimostra che ciò è vero.Un vecchio timido faceva pascolare un asinello in un prato. Egli spaventato improvvisamente dal rumore dei nemici cercava di persuadere l'asino a fuggire affinchè non fossero presi. Ma quello impassibile: "Di grazia, credi forse che il vincitore non mi metterà sul dorso due basti?".Il vecchio rispose di no. "Dunque cosa mi importa chi servirò? Purchè io porti il mio carico".
487
Eius adventu ex colore vestitus cognito, quo insigni in proeliis uti consuerat, turmisque equitum et cohortibus visis quas se sequi iusserat, ut de locis superioribus haec declivia et devexa cernebantur, hostes proelium committunt. Vtrimque clamore sublato excipit rursus ex vallo atque omnibus munitionibus clamor. Nostri omissis pilis gladiis rem gerunt. Repente post tergum equitatus cernitur; cohortes aliae appropinquant. Hostes terga vertunt; fugientibus equites occurrunt.Fit magna caedes. Sedulius, dux et princeps Lemovicum, occiditur; Vercassivellaunus Arvernus vivus in fuga comprehenditur; signa militaria septuaginta quattuor ad Caesarem referuntur: pauci ex tanto numero se incolumes in castra recipiunt. Conspicati ex oppido caedem et fugam suorum desperata salute copias a munitionibus reducunt. Fit protinus hac re audita ex castris Gallorum fuga. Quod nisi crebris subsidiis ac totius diei labore milites essent defessi, omnes hostium copiae deleri potuissent. De media nocte missus equitatus novissimum agmen consequitur: magnus numerus capitur atque interficitur; reliqui ex fuga in civitates discedunt.
Cesare si affretta, per prendere parte alla battaglia. I nemici, dominando dall'alto i declivi e i pendii dove transitava Cesare, mossero all'attacco, non appena notarono il suo arrivo per il colore del mantello che di solito indossava in battaglia e videro gli squadroni di cavalleria e le coorti che avevano l'ordine di seguirlo. Entrambi gli eserciti levano alte grida, un grande clamore risponde dal vallo e da tutte le fortificazioni. I nostri lasciano da parte i giavellotti e mettono mano alle spade. All'improvviso compare la cavalleria dietro i nemici. Altre coorti stavano accorrendo: i Galli volgono le spalle. I cavalieri affrontano gli avversari in fuga. È strage. Sedullo, comandante e principe dei Lemovici aremorici, cade; l'arverno Vercassivellauno è catturato vivo, mentre tentava la fuga; a Cesare vengono portate settantaquattro insegne militari; di tanti che erano, solo pochi nemici raggiungono salvi l'accampamento. Dalla città vedono il massacro e la ritirata dei loro: persa ogni speranza di salvezza, richiamano le truppe dalle fortificazioni. Appena odono il segnale di ritirata, i Galli fuggono dall'accampamento. E se i nostri soldati non avessero risentito delle continue azioni di soccorso e della fatica di tutta la giornata, avrebbero potuto annientare le truppe avversarie. Verso mezzanotte la cavalleria si muove all'inseguimento della retroguardia nemica: molti vengono catturati e uccisi; gli altri, proseguendo la fuga, raggiungono i rispettivi popoli.
968
Dum haec ad Gergoviam geruntur, Aedui primis nuntiis ab Litavicco acceptis nullum sibi ad cognoscendum spatium relinquunt. Impellit alios avaritia, alios iracundia et temeritas, quae maxime illi hominum generi est innata, ut levem auditionem habeant pro re comperta. Bona civium Romanorum diripiunt, caedes faciunt, in servitutem abstrahunt. Adiuvat rem proclinatam Convictolitavis plebemque ad furorem impellit, ut facinore admisso ad sanitatem reverti pudeat.Marcum Aristium, tribunum militum, iter ad legionem facientem fide data ex oppido Cabillono educunt: idem facere cogunt eos, qui negotiandi causa ibi constiterant. Hos continuo (in) itinere adorti omnibus impedimentis exuunt; repugnantes diem noctemque obsident; multis utrimque interfectis maiorem multitudinem armatorum concitant.
Mentre a Gergovia tale era la situazione, gli Edui, alle prime notizie di Litavicco, non perdono neppure un istante a sincerarsene. Chi spinto dall'avidità, chi dall'iracondia e dall'avventatezza - è la loro caratteristica congenita - tutti danno per sicura una voce priva di fondamento. Saccheggiano i beni dei cittadini romani, ne fanno strage, li rendono schiavi. Convictolitave dà l'ultima spinta a una situazione già in bilico, aizza la folla, perché, una volta commesso il crimine, la vergogna le impedisca di ritornare alla ragione. M. Aristio, tribuno militare, era in marcia verso la legione: gli promettono via libera e lo lasciano uscire dalla città di Cavillono. Con lui costringono alla partenza anche chi si era lì stabilito per commercio. Appena i nostri si mettono in marcia, però, li assalgono e li spogliano di tutti i bagagli. I nostri si difendono, vengono assediati giorno e notte. Quando le perdite erano già molte da entrambe le parti, i Galli chiamano alle armi una folla più numerosa.
29
Igitur ubi animus ex multis miseriis atque periculis requievit et mihi relicuam aetatem a re publica procul habendam decrevi, non fuit consilium socordia atque desidia bonum otium conterere, neque vero agrum colundo aut venando, servilibus officiis, intentum aetatem agere; sed a quo incepto studioque me ambitio mala detinuerat, eodem regressus statui res gestas populi Romani carptim, ut quaeque memoria digna videbantur, perscribere, eo magis quod mihi a spe metu partibus rei publicae animus liber erat.
Così, quando il mio animo, sottraendosi a tante meschinità e pericoli ebbe pace, e decisi di vivere il resto della mia vita lontano dagli ambienti politici, non mi proposi di trascorrere nell'apatia e nell'inerzia la preziosa tranquillità, o coltivando i campi o dedicandomi alla caccia, occupazioni da servi; ma, tornando a quel proponimento e a quegli studi dai quali mi aveva distolto una funesta ambizione, decisi di narrare compiutamente, per monografìe, le imprese del popolo romano, secondo che mi parevano meritevoli di memoria, tanto più che il mio animo era ormai libero da speranze, da timori, da spirito di parte.
965
Haec Afranius Petreiusque et eorum amici pleniora etiam atque uberiora Romam ad suos perscribebant; multa rumor affingebat, ut paene bellum confectum videretur. Quibus litteris nuntiisque Romam perlatis magni domum concursus ad Afranium magnaeque gratulationes fiebant; multi ex Italia ad Cn. Pompeium proficiscebantur, alii, ut principes talem nuntium attulisse, alii ne eventum belli exspectasse aut ex omnibus novissimi venisse viderentur.
Afranio, Petreio e i loro amici mandavano a Roma ai loro queste notizie, anzi le amplificavano ed esageravano. Le dicerie accrescevano ancora le esagerazioni, sicché la guerra sembrava essere quasi terminata. Giunte a Roma queste lettere e queste notizie, vi era un grande accorrere alla casa di Afranio e ci si felicitava; molti partivano dall'Italia e andavano da Cn. Pompeo, alcuni per essere i primi a portare tale notizia, altri per non sembrare di avere atteso l'esito della guerra ed essere arrivati ultimi fra tutti.
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Nuntiabantur haec eadem Curioni, sed aliquamdiu fides fieri non poterat: tantam habebat suarum rerum fiduciam. Iamque Caesaris in Hispania res secundae in Africam nuntiis ac litteris perferebantur. Quibus omnibus rebus sublatus nihil contra se regem nisurum existimabat. Sed ubi certis auctoribus comperit minus V et XX milibus longe ab Utica eius copias abesse, relictis munitionibus sese in castra Cornelia recepit. Huc frumentum comportare, castra munire, materiam conferre coepit statimque in Siciliam misit, uti duae legiones reliquusque equitatus ad se mitteretur.Castra erant ad bellum ducendum aptissima natura loci et munitione et maris propinquitate et aquae et salis copia, cuius magna vis iam ex proximis erat salinis eo congesta. Non materia multitudine arborum, non frumentum, euius erant plenissimi agri, deficere poterat. Itaque omnium suorum consensu Curio reliquas copias exspectare et bellum ducere parabat.
La medesima notizia veniva annunciata a Curione, ma per un certo tempo non ci poté credere tanto grande era la fiducia che aveva nella sua fortuna. E già da messaggeri e da lettere venivano riferiti in Africa i successi di Cesare in Spagna. Esaltato da queste notizie pensava che il re non avrebbe tentato nulla contro di lui. Ma quando venne a sapere da fonti certe che le truppe di Giuba distavano da Utica meno di venticinque miglia, lasciate le opere di fortificazione, si rifugiò nel Campo Cornelio. Cominciò ad ammassare qui frumento, a fortificare il campo, a radunare legname e inviò subito in Sicilia l'ordine di mandargli due legioni e il resto della cavalleria. L'accampamento era adattissimo a condurre la guerra ad oltranza per la natura del luogo e il modo in cui era fortificato, per la vicinanza del mare, per l'abbondanza di acqua e di sale, di cui una grande quantità era stata portata colà dalle vicine saline. Il legname non poteva mancare per la quantità di alberi, non poteva mancare il frumento di cui erano pieni i campi. E così, col consenso di tutti i suoi, Curione si apprestava ad aspettare le rimanenti truppe e a trascinare in lungo la guerra.
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Nihil agis, nihil moliris, nihil cogitas, quod non ego non modo audiam, sed etiam videam planeque sentiam. Recognosce tandem mecum noctem illam superiorem; iam intelleges multo me vigilare acrius ad salutem quam te ad perniciem rei publicae. Dico te priore nocte venisse inter falcarios (non agam obscure) in M. Laecae domum; convenisse eodem complures eiusdem amentiae scelerisque socios. Num negare audes? quid taces? Convincam, si negas. Video enim esse hic in senatu quosdam, qui tecum una fuerunt.O di inmortales! ubinam gentium sumus? in qua urbe vivimus? quam rem publicam habemus? Hic, hic sunt in nostro numero, patres conscripti, in hoc orbis terrae sanctissimo gravissimoque consilio, qui de nostro omnium interitu, qui de huius urbis atque adeo de orbis terrarum exitio cogitent! Hos ego video consul et de re publica sententiam rogo et, quos ferro trucidari oportebat, eos nondum voce volnero! Fuisti igitur apud Laecam illa nocte, Catilina, distribuisti partes Italiae, statuisti, quo quemque proficisci placeret, delegisti, quos Romae relinqueres, quos tecum educeres, discripsisti urbis partes ad incendia, confirmasti te ipsum iam esse exiturum, dixisti paulum tibi esse etiam nunc morae, quod ego viverem. Reperti sunt duo equites Romani, qui te ista cura liberarent et sese illa ipsa nocte paulo ante lucem me in meo lectulo interfecturos pollicerentur. Haec ego omnia vixdum etiam coetu vestro dimisso comperi; domum meam maioribus praesidiis munivi atque firmavi, exclusi eos, quos tu ad me salutatum mane miseras, cum illi ipsi venissent, quos ego iam multis ac summis viris ad me id temporis venturos esse praedixeram.
Non fai nulla, non macchini nulla, non progetti nulla che io non solo sento ma anche vedo e comprendo appieno. Ripercorri dunque con me quella famosa notte passata; capirai immediatamente che con ben maggior zelo io veglio sulla salvezza dello stato di quanto tu sulla sua rovina. Dico che tu la notte scorsa sei giunto nella via dei fabbricanti di falci – che io non faccio segretamente – nella caso di Marco Leca; dico che giunsero in quel medesimo luogo parecchi complici di quella stessa follia e di quello stesso crimine. Forse che osi negare ? Perché taci ? lo proverò, se neghi. Vedo infatti che qui nel Senato ci sono alcuni che furono insieme a te. O dei immortali! Tra quali genti mai siamo ? che stato abbiamo? In quale città viviamo? Sono qui, qui tra le nostre file, senatori, in questo organo decisionale più sacro e fondamentale di tutta la terra, individui tali da macchinare la morte di tutti noi. Io, il console, li vedo e gli chiedo un parere sulla repubblica e quelli che sarebbe stato opportuno uccidere con la spada, quelli io li ferisco ancora neppure con la voce. Dunque tu eri presso Leca quella notte, Catilina, distribuivi parte dell’Italia, decidevi dove volevi che ognuno andasse, hai deciso chi lasciare a Roma, che portare con te, hai assegnato le parti della città da incendiare, hai dimostrato che avevi ancora un po’ d’indugio, e hai detto che anche poche hai un po’ d’indugio, visto che io sono ancora vivo. Sono stati scoperti due cavalieri romani che ti avrebbero liberato da questa preoccupazione e che promisero che mi avrebbero ucciso quella stessa notte nel mio letto poco prima dell’alba. Io ho accertato tutto ciò anche non appena è terminata la vostra riunione; ho rafforzato e fortificato la mia abitazione con maggiori corpi di guardia, e ho lasciato fuori quelli che tu mi hai inviato di mattina a porgermi il saluto, poiché erano venuti proprio quelli che io avevo già detto a molti ed eccellenti uomini che sarebbero venuti da me in quel momento.
678
Quibus cognitis rebus Pompeius deposito adeundae Syriae consilio pecunia societatis sublata et a quibusdam privatis sumpta et aeris magno pondere ad militarem usum in naves imposito duobusque milibus hominum armatis, partim quos ex familiis societatum delegerat, partim a negotiatoribus coegerat, quosque ex suis quisque ad hanc rem idoneos existimabat, Pelusium pervenit. Ibi casu rex erat Ptolomaeus, puer aetate, magnis copiis cum sorore Cleopatra bellum gerens, quam paucis ante mensibus per suos propinquos atque amicos regno expulerat; castraque Cleopatrae non longo spatio ab eius castris distabant.Ad eum Pompeius misit, ut pro hospitio atque amicitia patris Alexandria reciperetur atque illius opibus in calamitate tegeretur. Sed qui ab eo missi erant, confecto legationis officio liberius cum militibus regis colloqui coeperunt eosque hortari, ut suum officium Pompeio praestarent, neve eius fortunam despicerent. In hoc erant numero complures Pompei milites, quos ex eius exercitu acceptos in Syria Gabinius Alexandriam traduxerat belloque confecto apud Ptolomaeum, patrem pueri, reliquerat.
Pompeo, venuto a conoscenza di questi fatti, abbandonato il piano di raggiungere la Siria, preso del denaro dagli appaltatori e chiestone altro a prestito ad alcuni privati, caricata sulle navi una grande quantità di bronzo per uso militare, armati duemila uomini, in parte scelti fra i servi degli appaltatori, in parte raccolti dai mercanti, quelli che ciascun mercante riteneva idonei a questo scopo, giunse a Pelusio. Qui vi era per caso il re Tolomeo, appena fanciullo, che con truppe imponenti stava combattendo contro la sorella Cleopatra, che pochi mesi prima aveva scacciata dal regno su istigazione di amici e parenti. L'accampamento di Cleopatra non distava molto dal suo. Pompeo mandò legati a Tolomeo per chiedergli, in nome dell'ospitalità e dell'amicizia del padre, di accoglierlo in Alessandria e proteggerlo nella disgrazia con le sue forze. Ma gli ambasciatori che erano stati mandati da Pompeo, portato a termine l'incarico, cominciarono a parlare alquanto liberamente con i soldati del re e a esortarli a prestare il loro aiuto a Pompeo e a non abbandonarlo nella sua sorte. Fra quelli vi erano parecchi ex soldati di Pompeo, dal cui esercito Gabinio li aveva accolti in Siria e poi condotti in Alessandria e, terminata la guerra, lasciati presso Tolomeo, padre del fanciullo.
664
Eodem die castra promovit et milibus passuum sex a Caesaris castris sub monte consedit. Postridie eius diei praeter castra Caesaris suas copias traduxit et milibus passuum duobus ultra eum castra fecit eo consilio uti frumento commeatuque qui ex Sequanis et Haeduis supportaretur Caesarem intercluderet. Ex eo die dies continuos V Caesar pro castris suas copias produxit et aciem instructam habuit, ut, si vellet Ariovistus proelio contendere, ei potestas non deesset.Ariovistus his omnibus diebus exercitum castris continuit, equestri proelio cotidie contendit. Genus hoc erat pugnae, quo se Germani exercuerant: equitum milia erant VI, totidem numero pedites velocissimi ac fortissimi, quos ex omni copia singuli singulos suae salutis causa delegerant: cum his in proeliis versabantur, ad eos se equites recipiebant; hi, si quid erat durius, concurrebant, si qui graviore vulnere accepto equo deciderat, circumsistebant; si quo erat longius prodeundum aut celerius recipiendum, tanta erat horum exercitatione celeritas ut iubis sublevati equorum cursum adaequarent.
Nello stesso giorno mosse in avanti il campo e si fermò ai piedi di un monte sei miglia dal campo di Cesare. L'indomani di quel giorno trasferì le sue milizie di là dal campo di Cesare e collocò l’accampamento a due miglia di là da lui, con questo scopo, di tagliare fuori Cesare dal frumento e dai viveri, che venissero portati dai Sequani e dagli Edui. Da quel giorno per cinque giorni consecutivi Cesare fece uscire le sue truppe davanti all'accampamento e tenne l’esercito schierato in battaglia affinché, se Ariovisto volesse combattere, la possibilità non mancasse a lui. In tutti questi giorni Ariovisto trattenne la fanteria nell'accampamento, combatté ogni giorno con uno scontro di cavalleria. Questa era una specie di combattimento, in cui i Germani si erano esercitati. Vi erano sei migliaia di cavalieri, fanti agilissimi e coraggiosissimi, altrettanti in numero, che i singoli cavalieri avevano scelto uno per ciascuno da tutta la moltitudine, allo scopo della propria difesa: si aggiravano nei combattimenti in compagnia di questi. I cavalieri si ritiravano verso questi; questi accorrevano, se alcuna cosa era molto pericolosa, se alcuno era caduto giù dal cavallo, quando veniva ricevuta da lui una ferita alquanto grave, lo circondavano; se era d'uopo avanzarsi in qualche luogo piuttosto lontano o ritirarsi con molta prestezza, la velocità di questi era così grande a causa dell'esercizio che, sostenuti dalle criniere dei cavalli, ne uguagliavano il correre.
459
Caesar postero die T. Labienum legatum cum iis legionibus quas ex Britannia reduxerat in Morinos qui rebellionem fecerant misit. Qui cum propter siccitates paludum quo se reciperent non haberent, quo perfugio superiore anno erant usi, omnes fere in potestatem Labieni venerunt. At Q. Titurius et L. Cotta legati, qui in Menapiorum fines legiones duxerant, omnibus eorum agris vastatis, frumentis succisis, aedificiis incensis, quod Menapii se omnes in densissimas silvas abdiderant, se ad Caesarem receperunt.Caesar in Belgis omnium legionum hiberna constituit. Eo duae omnino civitates ex Britannia obsides miserunt, reliquae neglexerunt. His rebus gestis ex litteris Caesaris dierum XX supplicatio a senatu decreta est.
Il giorno seguente, contro i Morini che si erano ribellati, Cesare inviò il legato T. Labieno alla testa delle legioni rientrate dalla Britannia. Le paludi erano in secca e i nemici, che non potevano rifugiarvisi come l'anno precedente, non sapevano dove ripiegare, perciò si sottomisero quasi tutti all'autorità di Labieno. E i legati Q. Titurio e L. Cotta, che avevano guidato le legioni nella regione dei Menapi, ritornarono da Cesare dopo aver devastato tutti i campi, distrutto i raccolti, incendiato gli edifici, in quanto la popolazione si era rifugiata in massa nel folto dei boschi. Cesare stabilì che tutte le legioni ponessero i quartieri d'inverno nelle terre dei Belgi. Lì pervennero gli ostaggi di due popoli britanni in tutto; gli altri contravvennero all'impegno di inviarli. In seguito a tali imprese, comunicate per lettera da Cesare, il senato decretò venti giorni di feste solenni di ringraziamento.
777
Galli se omnes ab Dite patre prognatos praedicant idque ab druidibus proditum dicunt. Ob eam causam spatia omnis temporis non numero dierum sed noctium finiunt; dies natales et mensum et annorum initia sic observant ut noctem dies subsequatur. In reliquis vitae institutis hoc fere ab reliquis differunt, quod suos liberos, nisi cum adoleverunt, ut munus militiae sustinere possint, palam ad se adire non patiuntur filiumque puerili aetate in publico in conspectu patris adsistere turpe ducunt.
Tutti i Galli vanno dicendo di essere discendenti dall'avo Dite, e dicono che ciò è stato tramandato dai druidi. Per questa ragione determinano la durata di ogni tempo non dal numero dei giorni, ma delle notti; calcolano i compleanni e gli inizi dei mesi e degli anni in modo tale che il giorno segua la notte. Nelle altre usanze di vita differiscono dagli altri generalmente in questo: e cioè che non permettono ai loro figli di avvicinarsi loro in pubblico a loro, se non quando sono cresciuti tanto da potere prestare servizio militare, e considerano sconveniente che il figlio di età impubere stia in pubblico al cospetto del padre.
1,022
Cognito eius adventu Acco, qui princeps eius consili fuerat, iubet in oppida multitudinem convenire. Conantibus, priusquam id effici posset, adesse Romanos nuntiatur. Necessario sententia desistunt legatosque deprecandi causa ad Caesarem mittunt: adeunt per Aeduos, quorum antiquitus erat in fide civitas. Libenter Caesar petentibus Aeduis dat veniam excusationemque accipit, quod aestivum tempus instantis belli, non quaestionis esse arbitrabatur. Obsidibus imperatis centum hos Aeduis custodiendos tradit.Eodem Carnutes legatos obsidesque mittunt usi deprecatoribus Renis, quorum erant in clientela: eadem ferunt responsa. Peragit concilium Caesar equitesque imperat civitatibus.
Saputo del suo arrivo, Accone, responsabile del piano, ordina alla popolazione di rifugiarsi nelle città. Mentre il tentativo era in corso, prima che le operazioni fossero ultimate, viene annunziato che i Romani sono giunti. I Senoni sono costretti a rinunciare ai loro propositi e inviano un'ambasceria a Cesare per scongiurarne il perdono: inoltrano la supplica attraverso gli Edui, che da antico tempo li tutelavano. Dal momento che la richiesta veniva dagli Edui, Cesare concede volentieri il perdono e accetta le giustificazioni, ritenendo che quell'estate fosse la stagione di una guerra imminente, e non dei processi. Esige cento ostaggi e li affida alla custodia degli Edui. Anche i Carnuti gli inviano messi e ostaggi, avvalendosi dell'intercessione dei Remi, di cui erano clienti: ottengono la stessa risposta. Cesare chiude il concilio e impone alle genti galliche di fornirgli cavalieri.
665
Collis erat leniter ab infimo acclivis. Hunc ex omnibus fere partibus palus difficilis atque impedita cingebat non latior pedibus quinquaginta. Hoc se colle interruptis pontibus Galli fiducia loci continebant generatimque distributi in civitates omnia vada ac saltus eius paludis obtinebant sic animo parati, ut, si eam paludem Romani perrumpere conarentur, haesitantes premerent ex loco superiore; ut qui propinquitatem loci videret paratos prope aequo Marte ad dimicandum existimaret, qui iniqui tatem condicionis perspiceret inani simulatione sese ostentare cognosceret.Indignantes milites Gaesar, quod conspectum suum hostes perferre possent tantulo spatio interiecto, et signum proeli ecentes edocet, quanto detrimento et quot virorum tortium morte necesse sit constare victoriam; quos cum sic animo paratos videat, ut nullum pro sua laude periculum recusent, summae se iniquitatis condemnari debere, nisi eorum vitam sua salute habeat cariorem. Sic milites consolatus eodem die reducit in castra reliquaque quae ad oppugnationem pertinebant oppidi administrare instituit.
Il colle si alzava dal basso in dolce pendio. Lo cingeva su quasi tutti i lati una palude difficile da superare e impraticabile, non più larga di cinquanta piedi. I Galli, tagliati i ponti, si tenevano sul colle, confidando nella loro posizione. Divisi per popoli, presidiavano tutti i guadi e i passaggi della palude, pronti a premere dall'alto i Romani impantanati, se avessero tentato di varcarla. Così, chi avesse notato solo la vicinanza dei due eserciti, avrebbe ritenuto i nemici risoluti allo scontro a condizioni uguali o quasi, ma chi avesse considerato la disparità delle posizioni, avrebbe capito che il loro farsi ostentatamente vedere era una vana simulazione. I legionari, irritati che il nemico riuscisse a reggere alla loro vista così da vicino, chiedono il segnale d'attacco, ma Cesare spiega quante perdite, quanti uomini valorosi ci sarebbe inevitabilmente costata la vittoria; vedendoli così pronti ad affrontare qualsiasi pericolo per la sua gloria, avrebbe dovuto essere tacciato di estrema ingiustizia, se non avesse tenuto alla loro vita più che alla propria. Così, dopo aver confortato i soldati, quel giorno stesso li riconduce all'accampamento e inizia a impartire le rimanenti disposizioni per l'assedio della città.
439
Caesar Avarici complures dies commoratus summamque ibi copiam frumenti et reliqui commeatus nactus exercitum ex labore atque inopia refecit. Iam prope hieme confecta cum ipso anni tempore ad gerendum bellum vocaretur et ad hostem proficisci constituisset, sive eum ex paludibus silvisque elicere sive obsidione premere posset, legati ad eum principes Aeduorum veniunt oratum ut maxime necessario tempore civitati subveniat: summo esse in periculo rem, quod, cum singuli magistratus antiquitus creari atque regiam potestatem annum obtinere consuessent, duo magistratum gerant et se uterque eorum legibus creatum esse dicat.Horum esse alterum Convictolitavem, florentem et illustrem adulescentem, alterum Cotum, antiquissima familia natum atque ipsum hominem summae potentiae et magnae cognationis, cuius frater Valetiacus proximo anno eundem magistratum gesserit. Civitatem esse omnem in armis; divisum senatum, divisum populum, suas cuiusque eorum clientelas. Quod si diutius alatur controversia, fore uti pars cum parte civitatis confligat. Id ne accidat, positum in eius diligentia atque auctoritate.
Cesare si trattenne diversi giorni ad Avarico: vi trovò grano e viveri in abbondanza e lasciò che l'esercito si riprendesse dalla fatica e dalle privazioni. L'inverno era ormai quasi finito, la stagione stessa invitava alle operazioni militari: Cesare aveva già deciso di puntare sul nemico, nel tentativo di stanarlo dalle paludi e dalle selve oppure di stringerlo d'assedio. Ma ecco che, in veste di ambasciatori, i principi degli Edui gli si presentano e lo pregano di soccorrere il loro popolo nell'ora più grave. La situazione era assai critica: mentre la consuetudine, fin dai tempi antichi, voleva che un unico magistrato fosse eletto e rivestisse la potestà regale per un anno, adesso due persone ricoprivano tale carica e ciascuno sosteneva che la propria nomina era conforme alle leggi. L'uno era Convictolitave, giovane ricco e nobile, l'altro Coto, persona di antichissima stirpe, lui pure assai potente, che vantava molti legami di parentela, il cui fratello, Valeziaco, aveva rivestito la stessa magistratura l'anno precedente. Tutti gli Edui avevano impugnato le armi, diviso era il senato, diviso il popolo, come pure i clienti dei due rivali. Se il contrasto si fosse protratto, si arrivava alla guerra civile. Impedirlo dipendeva dallo zelo e dal prestigio di Cesare.
362
Eodem tempore C. Fabius legatus complures civitates in fidem recipit, obsidibus firmat litterisque Gai Canini Rebili fit certior quae in Pictonibus gerantur. Quibus rebus cognitis proficiscitur ad auxilium Duratio ferendum. At Dumnacus adventu Fabi cognito desperata salute, si tempore eodem coactus esset et Romanum externum sustinere hostem et respicere ac timere oppidanos, repente ex eo loco cum copiis recedit nec se satis tutum fore arbitratur, nisi flumine Ligeri, quod erat ponte propter magnitudinem transeundum, copias traduxisset.Fabius, etsi nondum in conspectum venerat hostibus neque se Caninio coniunxerat, tamen doctus ab eis qui locorum noverant naturam potissimum credidit hostes perterritos eum locum, quem petebant, petituros. Itaque cum copiis ad eundem pontem contendit equitatumque tantum procedere ante agmen imperat legionum, quantum cum processisset, sine defatigatione equorum in eadem se reciperet castra. Consecuntur equites nostri, ut erat praeceptum, invaduntque Dumnaci agmen et fugientes perterritosque sub sarcinis in itinere adgressi magna praeda multis interfectis potiuntur. Ita re bene gesta se recipiunt in castra.
Nello stesso tempo il legato C. Fabio accetta la resa di parecchi popoli, la sancisce mediante ostaggi e viene avvisato di ciò che stava accadendo tra i Pictoni da una lettera di Caninio. A tale notizia, muove in soccorso di Durazio. Appena lo informano dell'arrivo di Fabio, Dumnaco dispera ormai della salvezza, perché avrebbe dovuto, a un tempo, affrontare sia i Romani, sia i rinforzi esterni, nonché sorvegliare e temere gli abitanti di Lemono. Con rapidità, dunque, ripiega con tutte le truppe e pensa di non poter essere abbastanza al sicuro, se non dopo aver condotto l'esercito oltre la Loira, un fiume che, per la sua imponenza, poteva essere varcato solo su ponte. Fabio, anche se non aveva ancora avvistato i nemici, né si era ricongiunto a Caninio, avvalendosi delle informazioni di chi conosceva la natura della zona, ritenne assai probabile che i nemici, atterriti, si sarebbero diretti là, dove effettivamente si stavano dirigendo. Così, con le sue truppe muove verso lo stesso ponte e ordina alla cavalleria di precedere l'esercito, ma a una distanza di marcia tale, che le consentisse il rientro nell'accampamento comune senza affaticare i cavalli. I nostri cavalieri, secondo gli ordini, partono all'inseguimento e si rovesciano sulla schiera di Dumnaco: avendo aggredito i nemici, già in fuga e atterriti, mentre erano ancora carichi di bagagli e in marcia, ne uccidono molti, si impadroniscono di un ricco bottino. Eseguita con successo la missione, rientrano al campo.
879
Erat nova et inusitata belli ratio cum tot castellorum numero tantoque spatio et tantis munitionibus et toto obsidionis genere, tum etiam reliquis rebus. Nam quicumque alterum obsidere conati sunt, perculsos atque infirmos hostes adorti aut proelio superatos aut aliqua offensione permotos continuerunt, cum ipsi numero equitum militumque praestarent; causa autem obsidionis haec fere esse consuevit, ut frumento hostes prohiberent. At tum integras atque incolumes copias Caesar inferiore militum numero continebat, cum illi omnium rerum copia abundarent; cotidie enim magnus undique navium numerus conveniebat, quae commeatum supportarent, neque ullus flare ventus poterat, quin aliqua ex parte secundum cursum haberent.Ipse autem consumptis omnibus longe lateque frumentis summis erat in angustiis. Sed tamen haec singulari patientia milites ferebant. Recordabantur enim eadem se superiore anno in Hispania perpessos labore et patientia maximum bellum confecisse, meminerant ad Alesiam magnam se inopiam perpessos, multo etiam maiorem ad Avaricum, maximarum gentium victores discessisse. Non illi hordeum cum daretur, non legumina recusabant; pecus vero cuius rei summa erat ex Epiro copia, magno in honore habebant.
Era un modo di combattere nuovo e fuori dal comune sia per il grande numero di fortilizi, per la vastità dell'area, per le imponenti fortificazioni, per le complesse tecniche di assedio, sia per altri motivi. Infatti chiunque tenta un assedio, serra il nemico incalzandolo dopo che esso è stato fiaccato o indebolito o superato in battaglia o provato da qualche insuccesso, forte della sua superiorità nel numero di soldati e cavalieri; scopo poi dell'assedio di solito è questo: impedire il vettovagliamento ai nemici. Ma in quel frangente Cesare, con un numero inferiore di soldati, serrava un esercito integro, in buona salute e che aveva abbondanza di tutto; infatti ogni giorno una gran numero di navi giungeva da ogni parte a portare provviste e non poteva soffiare alcun vento che non fosse favorevole almeno a una parte delle navi. Cesare invece, consumata tutta la scorta di frumento raccolta in lungo e in largo nella zona, si trovava in grandissime difficoltà. Ciò nonostante i soldati sopportavano questa situazione con straordinaria resistenza. Ricordavano infatti che nell'anno precedente in Spagna con gli stessi patimenti, e con la loro fatica e resistenza, avevano portato a termine una guerra durissima; non dimenticavano di avere sofferto una grande carestia presso Alesia, una ancora più grande presso Avarico e di essere risultati vincitori di popoli fortissimi. Ed essi non rifiutavano l'orzo e i legumi, quando venivano loro distribuiti, ma gradivano molto il bestiame, proveniente dall'Epiro, dove ve ne è in grande abbondanza.
825
His tot rebus impedita oppugnatione milites, cum toto tempore frigore et assiduis imbribus tardarentur, tamen continenti labore omnia haec superaverunt et diebus XXV aggerem latum pedes CCCXXX, altum pedes LXXX exstruxerunt. Cum is murum hostium paene contingeret, et Caesar ad opus consuetudine excubaret milites que hortaretur, ne quod omnino tempus ab opere intermitteretur, paulo ante tertiam vigiliam est animadversum fumare aggerem, quem cuniculo hostes succenderant, eodemque tempore toto muro clamore sublato duabus portis ab utroque latere turrium eruptio fiebat, alii faces atque aridam materiem de muro in aggerem eminus iaciebant, picem reliquasque res, quibus ignis excitari potest, fundebant, ut quo primum curreretur aut cui rei ferretur auxilium vix ratio iniri posset.Tamen, quod instituto Caesaris semper duae legiones pro castris excubabant pluresque partitis temporibus erant in opere, celeriter factum est, ut alii eruptionibus resisterent, alii turres reducerent aggeremque inter scinderent, omnis vero ex castris multitudo ad restinguendum concurreret.
Tutto ciò rendeva difficile l'assedio, ma i nostri, pur frenati continuamente dal freddo e dalle piogge incessanti, lavorarono senza sosta: superato ogni ostacolo, in venticinque giorni costruirono un terrapieno lungo trecentotrenta piedi e alto ottanta. L'opera raggiungeva quasi le mura nemiche; Cesare, come suo solito, vegliava sul luogo dei lavori e incitava i soldati a non fermarsi neppure per un istante. Ma ecco che poco prima di mezzanotte si vide uscire del fumo dal terrapieno: i nemici gli avevano dato fuoco da un cunicolo. Mentre da tutte le mura si levavano alte grida, i Galli contemporaneamente tentarono una sortita dalle due porte ai lati delle torri. Altri, dall'alto della cinta, lanciavano sul terrapieno fiaccole e legna secca, cospargendole di pece e di altre sostanze infiammabili: era ben difficile decidere dove dirigersi, dove recar aiuto. Tuttavia, per abitudine di Cesare, due legioni stavano sempre all'erta di fronte all'accampamento, mentre parecchie, a turno, continuavano i lavori. Così, rapidamente accadde che parte dei nostri tenesse testa ai nemici usciti dalla città, parte ritraesse le torri e scindesse il terrapieno, mentre il grosso dell'esercito presente al campo accorreva per estinguere l'incendio.
1,015
Eodem die castra promovit et milibus passuum VI a Caesaris castris sub monte consedit. Postridie eius diei praeter castra Caesaris suas copias traduxit et milibus passuum duobus ultra eum castra fecit eo consilio uti frumento commeatuque qui ex Sequanis et Haeduis supportaretur Caesarem intercluderet. Ex eo die dies continuos V Caesar pro castris suas copias produxit et aciem instructam habuit, ut, si vellet Ariovistus proelio contendere, ei potestas non deesset.Ariovistus his omnibus diebus exercitum castris continuit, equestri proelio cotidie contendit. Genus hoc erat pugnae, quo se Germani exercuerant: equitum milia erant VI, totidem numero pedites velocissimi ac fortissimi, quos ex omni copia singuli singulos suae salutis causa delegerant: cum his in proeliis versabantur, ad eos se equites recipiebant; hi, si quid erat durius, concurrebant, si qui graviore vulnere accepto equo deciderat, circumsistebant; si quo erat longius prodeundum aut celerius recipiendum, tanta erat horum exercitatione celeritas ut iubis sublevati equorum cursum adaequarent.
Quel giorno stesso Ariovisto si spostò in avanti e si stabilì ai piedi di un monte, a sei miglia dall'accampamento di Cesare. L'indomani transitò con le sue truppe davanti al campo romano, lo oltrepassò e pose le tende a due miglia di distanza, con l'intento di impedire a Cesare di ricevere il grano e i viveri che venivano forniti dai Sequani e dagli Edui. Da quel momento, per cinque giorni consecutivi, Cesare condusse le sue truppe davanti al campo, in formazione da combattimento, per dare ad Ariovisto la possibilità di misurarsi con lui, se lo voleva. Ma Ariovisto, per tutti e cinque i giorni, tenne bloccato il suo esercito nell'accampamento, limitandosi quotidianamente a semplici scaramucce di cavalleria. I Germani erano addestrati in questa tecnica militare disponevano di seimila cavalieri e di altrettanti fanti molto veloci e forti; ciascun cavaliere aveva scelto tra tutta la truppa, a propria tutela, un fante, insieme al quale entrava nella mischia. I cavalieri si riparavano presso i fanti, che, se c'era qualche pericolo, si precipitavano; se il cavaliere veniva ferito piuttosto gravemente e cadeva da cavallo, lo attorniavano; se dovevano spingersi più lontano o ripiegare più alla svelta, si erano garantiti con l'esercizio una tale rapidità, da reggere all'andatura dei cavalli, tenendosi aggrappati alla criniera.
550
Quod ubi Caesar resciit, quorum per fines ierant his uti conquirerent et reducerent, si sibi purgati esse vellent, imperavit; reductos in hostium numero habuit; reliquos omnes obsidibus, armis, perfugis traditis in deditionem accepit. Helvetios, Tulingos, Latobrigos in fines suos, unde erant profecti, reverti iussit, et, quod omnibus frugibus amissis domi nihil erat quo famem tolerarent, Allobrogibus imperavit ut iis frumenti copiam facerent; ipsos oppida vicosque, quos incenderant, restituere iussit.Id ea maxime ratione fecit, quod noluit eum locum unde Helvetii discesserant vacare, ne propter bonitatem agrorum Germani, qui trans Rhenum incolunt, ex suis finibus in Helvetiorum fines transirent et finitimi Galliae provinciae Allobrogibusque essent. Boios petentibus Haeduis, quod egregia virtute erant cogniti, ut in finibus suis conlocarent, concessit; quibus illi agros dederunt quosque postea in parem iuris libertatisque condicionem atque ipsi erant receperunt.
Cesare, appena lo seppe, ordinò ai popoli, attraverso i cui territori erano passati i Verbigeni, di cercarli e di riportarglieli, se volevano essere giustificati ai suoi occhi. Trattò come nemici i Verbigeni catturati, mentre accettò la resa degli Elvezi che gli consegnarono ostaggi, armi e fuggiaschi. Comandò agli Elvezi, ai Tulingi e ai Latobici di ritornare nei territori dai quali erano partiti e, poiché in patria erano andati perduti tutti i raccolti e non avevano più nulla con cui sfamarsi, diede disposizione agli Allobrogi di rifornirli di grano. Ordinò agli Elvezi di ricostruire le città e i villaggi incendiati. La sua intenzione era, soprattutto, di non lasciare spopolate le zone dalle quali gli Elvezi si erano mossi: non voleva che i Germani d'oltre Reno passassero nei territori degli Elvezi, più fertili, venendo a confinare con la provincia della Gallia e con gli Allobrogi. I Boi, che avevano dato prova di grande valore, ottennero il permesso di stabilirsi nei territori degli Edui, che lo avevano richiesto. Ai Boi gli Edui diedero campi da coltivare e, in seguito. concessero parità di diritti e la stessa condizione di libertà di cui essi stessi godevano.
834
Quibus rebus cognitis Caesar maturandum sibi censuit, si esset in perficiendis pontibus periclitandum, ut prius quam essent maiores eo coactae copiae dimicaret. Nam ut commutato consilio iter in provinciam converteret, id ne metu quidem necessario faciendum existimabat; cum infamia atque indignitas rei et oppositus mons Cevenna viarumque difficultas impediebat, tum maxime quod abiuncto Labieno atque eis legionibus quas una miserat vehementer timebat.Itaque admodum magnis diurnis nocturnisque itineribus confectis contra omnium opinionem ad Ligerem venit vadoque per equites invento pro rei necessitate opportuno, ut brachia modo atque humeri ad sustinenda arma liberi ab aqua esse possent, disposito equitatu qui vim fluminis refringeret, atque hostibus primo aspectu perturbatis, incolumem exercitum traduxit frumentumque in agris et pecoris copiam nactus repleto his rebus exercitu iter in Senones facere instituit.
Appena ne fu informato, Cesare ritenne di dover accelerare i tempi: se proprio doveva correre il rischio di costruire ponti, voleva combattere prima che si radunassero lì truppe nemiche più consistenti. Infatti, nessuno giudicava inevitabile modificare i piani e ripiegare verso la provincia, neppure in quel frangente: oltre all'onta e alla vergogna, lo impedivano i monti Cevenne e le strade impraticabili, che sbarravano il cammino; ma, soprattutto, Cesare nutriva grande apprensione per Labieno lontano e le legioni al suo seguito. Perciò, forzando al massimo le tappe e marciando di giorno e di notte, giunge alla Loira contro ogni aspettativa. I cavalieri trovano un guado adatto, almeno per quanto le circostanze permettevano: restavano fuori dall'acqua solo le braccia e le spalle per tenere sollevate le armi. Dispone la cavalleria in modo da frangere l'impeto della corrente e guida sano e salvo l'esercito sull'altra sponda, col nemico atterrito alla nostra vista. Nelle campagne trova grano e una grande quantità di bestiame, con cui rifornisce in abbondanza l'esercito. Dopo comincia la marcia sui Senoni.
414
Ex his Calvisius primo adventu summa omnium Aetolorum receptus voluntate, praesidiis adversariorum Calydone et Naupacto eiectis, omni Aetolia potitus est. Cassius in Thessaliam cum legione pervenit. Hic cum essent factiones duae, varia voluntate civitatum utebatur: Hegesaretos, veteris homo potentiae, Pompeianis rebus studebat; Petraeus, summae nobilitatis adulescens, suis ac suorum opibus Caesarem enixe invabat.
Fra questi Calvisio, accolto al suo arrivo col massimo consenso di tutti gli Etoli, respinti i presidi nemici da Calidone e da Naupatto, si impadronì di tutta l'Etolia. Cassio giunse in Tessaglia con una legione. Qui, poiché vi erano due fazioni, trovava differenti disposizioni d'animo fra i cittadini: Egesareto, uomo di antica potenza, era favorevole a Pompeo; Petreo, giovane di grande nobiltà, aiutava Cesare con tutte le sue forze e con i mezzi suoi e della sua fazione.
19
Atque ex eo die triennium totum ego et leo in eadem specu eodemque et victu viximus.Nam, quas venabatur feras, membra opimiora ad specum mihi subgerebat, quae ego ignis copiam non habens meridiano sole torrens edebam.Sed ubi me" inquit "vitae illius ferinae iam pertaesum est, leone in venatum profecto reliqui specum et viam ferme tridui permensus a militibus visus adprehensusque sum et ad dominum ex Africa Romam deductus.
E da quel giorno per un intero triennio io e il leone vivemmo nella stessa grotta ed anche con lo stesso cibo. Infatti mi portava alla grotta le parti del corpo più grasse degli animali che cacciava,che io,nn avendo disponibiità di fuoco,mangiavo abbrustolendole al sole di mezzogiorno.Ma quando -dice- mi venne ormai a noia quella vita selvatica,partitosene il leone per la caccia,abbandonai la guerra e,percorso un cammino di circa tre giorni,fui visto e catturato dai soldati e fui ricondotto dall'Africa a Roma,al mio padrone.
121
Deinde eiusdem adrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus. Alia interim crudelia, inhumana praetereo, quod ne tamquam hominibus quidem sed tamquam iumentis abutimur, quod, cum ad cenandum discubuimus, alius sputa deterget, alius reliquias temulentorum toro subditus colligit.Alius pretiosas aves scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam manum frusta excutit, infelix, qui huic uni vivit, ut altilia decenter secet, nisi quod miserior est qui hoc voluptatis causa docet quam qui necessitatis discit.Alius vini minister in muliebrem modum ornatus cum aetate luctatur: non potest effugere pueritiam, retrahitur, iamque militari habitu glaber retritis pilis aut penitus evulsis tota nocte pervigilat, quam inter ebrietatem domini ac libidinem dividit et in cubiculo uir, in convivio puer est.
Da qui deriva quel proverbio dell'arroganza, che ci sono tanti nemici quanti sono gli schiavi: non abbiamo quelli come nemici ma li facciamo tali. Tralascio per il momento gli altri comportamenti crudeli e disumani, per il fatto che li trattiamo non come uomini ma neppure come bestie, per il fatto che quando ci sdraiamo per cenare, uno deterge (pulisce) gli sputi, un altro chinato sotto il letto triclinio raccoglie i resti degli ubriachi.Un altro seziona gli uccelli preziosi: stacca i pezzetti portando in giro la mano esperta tra i petti e i codrioni, infelice colui che vive solo di questa cosa, ovvero, tagliare decentemente il pollame, se non che è più infelice chi insegna questo per il piacere rispetto a chi impara per necessità.Un altro, ministro del vino (o coppiere), abbigliato come una donna è costretto a lotta con l'età: non può fuggire la fanciullezza, ne viene ritratto (chiamato indietro), è ormai con un aspetto da soldato glabro (rasato), tagliati i peli e strappati profondamente, sta sveglio per tutta la notte, la quale notte divide tra l'ubriachezza del padrone e la sua libidine ed è marito nella stanza da letto, durante il banchetto fanciullo.
366
Germani multum ab hac consuetudine differunt. Nam neque druides habent, qui rebus divinis praesint, neque sacrificiis student. Deorum numero eos solos ducunt, quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum et Lunam, reliquos ne fama quidem acceperunt. Vita omnis in venationibus atque in studiis rei militaris consistit: ab parvulis labori ac duritiae student. Qui diutissime impuberes permanserunt, maximam inter suos ferunt laudem: hoc ali staturam, ali vires nervosque confirmari putant.Intra annum vero vicesimum feminae notitiam habuisse in turpissimis habent rebus; cuius rei nulla est occultatio, quod et promiscue in fluminibus perluuntur et pellibus aut parvis renonum tegimentis utuntur magna corporis parte nuda.
1. I Germani differiscono molto da questo modo di vivere (da queste usanze). Infatti né hanno i Druidi che siano a capo dei riti religiosi (che presiedano ai riti religiosi), né si dedicano ai sacrifici. 2. Annoverano nel numero degli Dei quelli soli, quelli che vedono e (quelli) dalle opere dei quali sono visibilmente aiutati, il Sole, Vulcano, e la Luna, non conoscono altri dei neppure di fama. 3. La vita di tutto consiste nella caccia e nell’esercizio costante dell’attività militare; fin da piccoli si dedicano alla fatica e alla severità. 4. Coloro che rimangono più a lungo casti, grandissima lode tra i loro ottengono; da ciò alcuni la statura, altri le forze e i muscoli ritengono essere affermati. 5. Considerano (stimano) tra le cose più vergognose l’aver avuto un rapporto sessuale con una donna (aver avuto conoscenza di una donna) entro i vent’anni. Non si fa alcun mistero di queste cose, poiché sia si lavano nei fiumi insieme (in modo promiscuo), sia usano pelli o piccole coperture di pelliccia, essendo nuda gran parte del corpo.
291
Miser Catulle, desinas ineptire,et quod vides perisse perditum ducas.Fulsere quondam candidi tibi soles,cum ventitabas quo puella ducebatamata nobis quantum amabitur nulla.Ibi illa multa cum iocosa fiebant,quae tu volebas nec puella nolebat,fulsere vere candidi tibi soles.Nunc iam illa non vult: tu quoque impotens noli,nec quae fugit sectare, nec miser vive,sed obstinata mente perfer, obdura.Vale puella, iam Catullus obdurat,nec te requiret nec rogabit invitam.At tu dolebis, cum rogaberis nulla.Scelesta, vae te, quae tibi manet vita?quis nunc te adibit? cui videberis bella?quem nunc amabis? Cuius esse diceris?quem basiabis? Cui labella mordebis?At tu, Catulle, destinatus obdura.
Povero Catullo, smetti di fare il pazzo, e considera ciò che vedi perduto perduto per sempre. Brillarono un giorno per te splendidi giorni di sole, quando te ne andavi dove la tua ragazza (ti) portava, amata da me quanto non sarà amata nessuna. Allora lì si facevano molti giochi d'amore, che tu volevi e (che) la ragazza non rifiutava. Splendevano davvero per te giorni luminosi. Ora lei non vuole più: e anche tu, che non puoi farci nulla, non volere, e non inseguire colei che fugge, e non vivere miseramente, ma sopporta con mente ferma, resisti. Addio, fanciulla. Catullo ormai resiste, e non ti cercherà, non ti chiederà a te che non vuoi; ma tu sarai addolorata, quando non sarai chiesta da nessuno. Sciagurata, mal per te! Che vita ti rimane? Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai bella? Ora chi amerai? Di chi si dirà che tu sia (la ragazza)? Chi bacerai? A chi mordicchierai le labbra? Ma tu, Catullo, risoluto resisti.
385
Trinobantibus defensis adque ab omni militum niuria prohibitis Cenimagni, Segontiaci, Ancalites, Bibroci, Cassi legationibus missis sese Caesari dedumt. Ab his cognoscit non longe ex eo loco oppidum Cassivellauni abesse silvis paludibusque munitum, quo satis magnus hominum pecorisque numerus onvenerit. Oppidum autem Britanni vocant, cum silvas impeditas vallo atque fossa munierunt, quo incursionis hostium vitandae causa convenire consuerunt. Eo proficiscitur cum legionibus: locum reperit egregie natura atque opere munitum; tamen hunc duabus ex partibus oppugnare contendit.Hostes paulisper morati militum nostrorum impetum non tulerunt seseque alia ex parte oppidi eiecerunt. Magnus ibi numerus pecoris repertus, multique in fuga sunt comprehensi atque interfecti.
Vedendo i Trinovanti protetti e al sicuro da ogni attacco militare, i Cenimagni, i Segontiaci, gli Ancaliti, i Bibroci e i Cassi mandarono a Cesare ambascerie per arrendersi. Da essi seppe che, non lontano, sorgeva la roccaforte di Cassivellauno difesa da selve e paludi, dove erano stati concentrati uomini e bestiame in numero ragguardevole. I Britanni, in effetti, chiamano roccaforte una selva impraticabile munita da vallo e fossa, dove di solito si raccolgono per sottrarsi alle incursioni dei nemici. Lì Cesare si diresse con le legioni: si imbatté in un luogo estremamente ben protetto sia dalla conformazione naturale, sia dall'opera dell'uomo. Nonostante ciò, intraprese l'assedio su due fronti. I nemici opposero una breve resistenza, ma non riuscirono a frenare l'assalto dei nostri e cercarono di mettersi in salvo da un'altra parte della roccaforte. Qui venne trovato un gran numero di capi di bestiame e molti dei fuggiaschi furono catturati e uccisi.
338
His de causis uterque eorum celeritati studebat, et suis ut esset auxilio, et ad opprimendos adversarios ne occasioni temporis deesset. Sed Caesarem Apollonia a directo itinere averterat; Pompeius per Candaviam iter in Macedoniam expeditum habebat. Accessit etiam ex improviso aliud incommodum, quod Domitius, qui dies complures castris Scipionis castra collata habuisset, rei frumentariae causa ab eo discesserat et Heracliam, quae est subiecta Candaviae, iter fecerat, ut ipsa fortuna illum obicere Pompeio videretur.Haec ad id tempus Caesar ignorabat. Simul a Pompeio litteris per omnes provincias civitatesque dimissis proelio ad Dyrrachium facto latius inflatiusque multo, quam res erat gesta, fama percrebuerat, pulsum fugere Caesarem paene omnibus copiis amissis; haec itinera infesta reddiderat, haec civitates nonnullas ab eius amicitia avertebat. Quibus accidit rebus, ut pluribus dimissi itineribus a Caesare ad Domitium et a Domitio ad Caesarem nulla ratione iter conficere possent. Sed Allobroges, Raucilli atque Egi familiares, quos perfugisse ad Pompeium demonstravimus, conspicati in itinere exploratores Domitii, seu pristina sua consuetudine, quod una in Gallia bella gesserant, seu gloria elati cuncta, ut erant acta, exposuerunt et Caesaris profectionem et adventum Pompei docuerunt. A quibus Domitius certior factus vix IIII horarum spatio antecedens hostium beneficio periculum vitavit et ad Aeginium, quod est oppidum obiectum Thessaliae, Caesari venienti occurrit.
Per questi motivi entrambi volevano fare presto, e per essere di aiuto ai loro e per non perdere l'occasione di annientare i nemici. Ma il transito per Apollonia aveva allontanato Cesare dalla via più breve, Pompeo invece, passando attraverso la Candavia, aveva un percorso agevole verso la Macedonia. Inoltre improvvisamente sorse un'altra difficoltà, poiché Domizio che aveva per più giorni tenuto il campo di fronte a Scipione si era allontanato per fare provviste e si era diretto a Eraclea [Sentica che si trova ai piedi dei monti della Candavia], così che sembrava che la Fortuna stessa lo facesse incontrare con Pompeo. Fino a quel momento Cesare ignorava questi fatti. Contemporaneamente, a causa delle lettere sul combattimento svoltosi presso Durazzo, inviate da Pompeo in tutte le province e città, lettere in cui i fatti venivano ampliati e gonfiati, si era diffusa la voce che Cesare era stato battuto e messo in fuga e che aveva perduto quasi tutte le truppe. Queste notizie avevano reso pericoloso il cammino di Cesare, queste notizie alienavano parecchie città dalla sua amicizia. In seguito a questi fatti avvenne che i messi inviati per diverse vie da Cesare a Domizio e da Domizio a Cesare non poterono in alcun modo portare a termine il loro viaggio. Ma gli Allobrogi, famigliari di Roucillo e di Eco, che, come abbiamo detto, erano fuggiti presso Pompeo, visti lungo il percorso gli esploratori di Domizio, un po' per la loro antica amicizia, poiché avevano combattuto insieme in Gallia, un po' perché spinti da vanagloria, riferirono tutto quanto l'accaduto e li informarono della partenza di Cesare e dell'arrivo di Pompeo. Domizio, informato da questi, precedendo grazie a loro il nemico di appena quattro ore, evitò il pericolo e andò incontro a Cesare che giungeva presso Eginio, città situata di fronte alla Tessaglia.
241
Chommoda dicebat, si quando commoda velletdicere, et insidias Arrius hinsidias,et tum mirifice sperabat se esse locutum,cum quantum poterat dixerat hinsidias.Credo, sic mater, sic liber avunculus eius,sic maternus avus dixerat atque avia.Hoc misso in Syriam requierant omnibus aures:audibant eadem haec leniter et leviter,nec sibi postilla metuebant talia verba,cum subito affertur nuntius horribilis:Ionios fluctus, postquam illuc Arrius isset,iam non Ionios esse sed Hionios.
Arrio diceva "homodi" quando voleva dire"comodi", e "hinsidie" (quando voleva dire) "hinsidie",e allora sperava d'aver parlato in modo sorprendente,quando aveva detto "hinsidie" più che poteva.Così aveva parlato la madre, credo, così suo zio materno,così il nonno materno e la nonna.Mandato questo in Siria, le orecchie riposavano in tutti:sentivano le stesse parole pronunciate correttamente e senze difficoltà,e per il futuro non si temevano più tali parole,ma ad un tratto si porta una notizia terribile,il mare Ionio, dopo che c'è andato Arrio,non è più "Ionio", ma "Hionio".
852
Eadem nocte accidit ut esset luna plena, qui dies a maritimos aestus maximos in Oceano efficere consuevit, nostrisque id erat incognitum. Ita uno tempore et longas naves, [quibus Caesar exercitum transportandum curaverat,] quas Caesar in aridum subduxerat, aestus complebat, et onerarias, quae ad ancoras erant deligatae, tempestas adflictabat, neque ulla nostris facultas aut administrandi aut auxiliandi dabatur. Compluribus navibus fractis, reliquae cum essent funibus, ancoris reliquisque armamentis amissis ad navigandum inutiles, magna, id quod necesse erat accidere, totius exercitus perturbatio facta est.Neque enim naves erant aliae quibus reportari possent, et omnia deerant quae ad reficiendas naves erant usui, et, quod omnibus constabat hiemari in Gallia oportere, frumentum in his locis in hiemem provisum non erat.
Capitò che quella notte stessa ci fosse luna piena, momento in cui la marea nell'Oceano è più alta, e i nostri non lo sapevano. Così, nello stesso tempo, la marea sommerse le navi da guerra impiegate per trasportare l'esercito e poi tirate in secco, mentre la tempesta sbatteva l'una contro l'altra le imbarcazioni da carico, che erano all'àncora, senza che i nostri avessero la minima possibilità di manovrare o porvi rimedio. Molte navi rimasero danneggiate, le altre, perse le funi, le ancore e il resto dell'attrezzatura, erano inutilizzabili: un profondo turbamento, com'era inevitabile, si impadronì di tutto l'esercito. Non c'erano, infatti, altre navi con cui ritornare, mancava tutto il necessario per riparare le barche danneggiate e, poiché tutti pensavano che si dovesse svernare in Gallia, sull'isola non si era provvisto il grano per l'inverno.
265
Noli admirari quare tibi femina nulla,Rufe, velit tenerum supposuisse femer,non si illam rarae labefactes munere vestisaut perluciduli deliciis lapidis.laedit te quaedam mala fabula, qua tibi ferturvalle sub alarum trux habitare caper.hunc metuunt omnes; neque mirum: nam mala valdestbestia, nec quicum bella puella cubet.quare aut crudelem nasorum interfice pestem,aut admirari desine cur fugiant.
Non ti stupire del fatto che a te, Rufo, nessuna donnavuole concederti il tenero corpo,nemmeno se la tenti col dono preziosodi una veste o la malia di un gioiello.Ti danneggia una certa cattiva storiella, per la quale si dice che a tesotto le ascelle abita un orrido caprone.Tutte temono questo. Niente di strano: infatti è una malabestia, e una bella donna non dorme con lui.Perciò o allontana la crudele pesta dei nasi,o smetti di stupirti su perché fuggono.
932
His tantis malis haec subsidia succurrebant, quo minus omnis deleretur exercitus, quod Pompeius insidias timens, credo, quod haec praeter spem acciderant eius, qui paulo ante ex castris fugientes suos conspexerat, munitionibus appropinquare aliquamdiu non audebat, equitesque eius angustis spatiis atque his ab Caesaris militibus occupatis ad insequendum tardabantur. Ita parvae res magnum in utramque partem momentum habuerunt. Munitiones enim a castris ad flumen perductae expugnatis iam castris Pompei prope iam expeditam Caesaris victoriam interpellaverunt, eadem res celeritate insequentium tardata nostris salutem attulit.
In questa situazione di massima gravità concorreva a impedire che tutto l'esercito fosse distrutto il fatto che Pompeo, temendo, penso, degli agguati, poiché questi fatti erano accaduti oltre ogni sua speranza, avendo egli visto poco prima fuggire dal campo i suoi soldati, non osò per un certo tempo avvicinarsi alle fortificazioni e la sua cavalleria, per l'angustia dei passaggi e per il fatto che erano stati occupati dai soldati di Cesare, era lenta nell'inseguimento. Così fatti di poco conto ebbero grande importanza per entrambe le parti. Le fortificazioni, condotte dal campo al fiume, impedirono infatti, quando ormai il campo di Pompeo era preso, la vittoria di Cesare quasi ormai certa. Lo stesso ostacolo rallentò la velocità degli inseguitori e recò salvezza ai nostri.
764
In novo genere belli novae ab utrisque bellandi rationes reperiebantur. Illi, cum animadvertissent ex ignibus noctu cohortes nostras ad munitiones excubare, silentio aggressi universi intra multitudinem sagittas coniciebant et se confestim ad suos recipiebant. Quibus rebus nostri usu docti haec reperiebant remedia, ut alio loco ignes facerent ...
In questo nuovo tipo di guerra nuovi metodi di combattimento venivano escogitati da entrambe le parti. I nemici, poiché avevano capito dai fuochi notturni che le nostre coorti bivaccavano presso le fortificazioni, si avvicinavano in silenzio e lanciavano una pioggia di frecce sulla moltitudine, ritirandosi subito presso i loro. In seguito a queste vicende in nostri, resi accorti dall'esperienza, ricorrevano a questo rimedio, accendere altrove i fuochi ...
333
Relinquebatur una per Sequanos via, qua Sequanis invitis propter angustias ire non poterant. His cum sua sponte persuadere non possent, legatos ad Dumnorigem Aeduum mittunt, ut eo deprecatore a Sequanis impetrarent. Dumnorix gratia et largitione apud Sequanos plurimum poterat et Helvetiis erat amicus, quod ex ea civitate Orgetorigis filiam in matrimonium duxerat, et cupiditate regni adductus novis rebus studebat et quam plurimas civitates suo beneficio habere obstrictas volebat.Itaque rem suscipit et a Sequanis impetrat ut per fines suos Helvetios ire patiantur, obsidesque uti inter sese dent perficit: Sequani, ne itinere Helvetios prohibeant, Helvetii, ut sine maleficio et iniuria transeant.
Un’unica via rimaneva attraverso i Sequani, per la quale non potevano andare, se i Sequani non volevano, a causa delle strettezze. Non riuscendo a persuadere costoro di loro influenza, mandano degli inviati all’eduo Dumnorige, per ottenere (ciò) dai Sequani, essendo egli intercessore. Dumnorige poteva moltissimo presso i Sequani per influenza e liberalità, ed era amico degli Elvezi perché aveva condotto in matrimonio da quel popolo una figlia di Orgetorige, e, spinto da brama di regnare, desiderava un rivolgimento politico e voleva avere quanti più popoli (poteva) obbligati a sé dal suo beneficio. Perciò, assume l'incarico, e ottiene dai Sequani che lascino (che) gli Elvezi vadano attraverso le loro terre, e fa in modo che (si) diano ostaggi tra di loro: i Sequani, affinché non impediscano agli Elvezi il cammino, gli Elvezi affinché passino senza danno e offesa.
719
Castris ad eam partem oppidi positis Caesar, quae intermissa [a] flumine et a paludibus aditum, ut supra diximus, angustum habebat, aggerem apparare, vineas agere, turres duas constituere coepit: nam circumvallare loci natura prohibebat. De re frumentaria Boios atque Aeduos adhortari non destitit; quorum alteri, quod nullo studio agebant, non multum adiuvabant, alteri non magnis facultatibus, quod civitas erat exigua et infirma, celeriter quod habuerunt consumpserunt.Summa difficultate rei frumentariae adfecto exercitu tenuitate Boiorum, indiligentia Aeduorum, incendiis aedificiorum, usque eo ut complures dies frumento milites caruerint et pecore ex longinquioribus vicis adacto extremam famem sustentarent, nulla tamen vox est ab eis audita populi Romani maiestate et superioribus victoriis indigna. Quin etiam Caesar cum in opere singulas legiones appellaret et, si acerbius inopiam ferrent, se dimissurum oppugnationem diceret, universi ab eo, ne id faceret, petebant: sic se complures anuos illo imperante meruisse, ut nullam ignominiam acciperent, nusquam infecta re discederent: hoc se ignominiae laturos loco, si inceptam oppugnationem reliquissent: praestare omnes perferre acerbitates, quam non civibus Romanis, qui Cenabi perfidia Gallorum interissent, parentarent. Haec eadem centurionibus tribunisque militum mandabant, ut per eos ad Caesarem deferrentur.
Cesare pose l'accampamento nei pressi della zona che, libera dal fiume e dalle paludi, lasciava uno stretto passaggio, come abbiamo in precedenza illustrato. Cominciò a costruire il terrapieno, a spingere in avanti le vinee, a fabbricare due torri; la natura del luogo, infatti, impediva di circondare la città con un vallo. Quanto all'approvvigionamento di grano, non cessò di raccomandarsi ai Boi e agli Edui: quest'ultimi, che agivano senza zelo alcuno, non risultavano di grande aiuto; i primi, invece, non disponendo di grandi mezzi, perché erano un popolo piccolo e debole, esaurirono in breve tempo le proprie scorte. Una totale penuria di viveri, dovuta alla povertà dei Boi, alla negligenza degli Edui e agli incendi degli edifici, attanagliò l'esercito a tal punto, che per parecchi giorni i nostri soldati rimasero senza grano e placarono i morsi della fame grazie ai capi di bestiame tratti dai villaggi più lontani. Tuttavia, non si udì da parte loro nessuna parola indegna della maestà del popolo romano e delle loro precedenti vittorie. Anzi, quando Cesare interpellò ciascuna legione durante i lavori e disse che avrebbe tolto l'assedio, se la mancanza di viveri risultava troppo dura, tutti, nessuno eccetto, lo scongiurarono di non farlo: sotto il suo comando, in tanti anni, non avevano patito affronti, né si erano ritirati senza portare a termine un'impresa; l'avrebbero considerata una vergogna interrompere l'assedio in corso; era meglio sopportare privazioni d'ogni sorta piuttosto che rinunciare alla vendetta dei cittadini romani massacrati a Cenabo dalla slealtà dei Galli. Simili considerazioni vennero espresse ai centurioni e ai tribuni militari, perché le riferissero a Cesare.
92
Huc est mens deducta tua mea, Lesbia, culpaatque ita se officio perdidit ipsa suo,ut iam nec bene velle queat tibi, si optima fias,nec desistere amare, omnia si facias.
Cosí per colpa tua, Lesbia,mi è perso il mio cuoree cosí si è consumato nella sua fedeltà,che ormai non potrebbe né volerti beneanche se fossi migliore,né cessare d'amarti,anche ogni cosa tu faccia.
989
Hac in utramque partem disputatione habita, cum a Cotta primisque ordinibus acriter resisteretur, "Vincite," inquit, "si ita vultis," Sabinus, et id clariore voce, ut magna pars militum exaudiret; "neque is sum," inquit, "qui gravissime ex vobis mortis periculo terrear: hi sapient; si gravius quid acciderit, abs te rationem reposcent, qui, si per te liceat, perendino die cum proximis hibernis coniuncti communem cum reliquis belli casum sustineant, non reiecti et relegati longe ab ceteris aut ferro aut fame intereant".
Mentre così si discuteva, da una parte e dall'altra, visto che Cotta e i centurioni più alti in grado si opponevano con tenacia, Sabino disse: "E va bene, se proprio lo volete", e a voce più alta, per essere sentito da un gran numero di soldati, proseguì: "Non sarò certo io quello che, in mezzo voi, si lascia spaventare di più dalla paura della morte; ma saranno loro a giudicare e a chiedere conto a te, se succede qualcosa di grave, loro, che se tu lo consentissi, potrebbero raggiungere dopodomani l'accampamento più vicino e affrontare le vicende della guerra insieme agli altri, invece di crepare per mano nemica o sfiniti dalla fame, abbandonati e lontani da tutti".
951
Barbari confisi loci natura, cum dimicare non recusarent, si forte Romani subire collem conarentur, paulatim copias distributas dimittere non possent, ne dispersi perturbarentur, in acie permanserunt. Quorum pertinacia cogruta Caesar XX cohortibus instructis castrisque eo loco metatis muniri iubet castra. Absolutis operibus pro vallo legiones instructas collocat, equites frenatis equis in statione disponit. Bellovaci, cum Romanos ad insequendum paratos viderent neque pernoctare aut diutius permanere sine periculo eodem loco possent, tale consilium sui recipiendi ceperunt.Fasces, ubi consederant (namque in acie sedere Gallos consuesse superioribus commentariis Caesaris declaratum est), per manus stramentorum ac virgultorum, quorum summa erat in castris copia, inter se traditos ante aciem collocarunt extremoque tempore diei signo pronuntiato uno tempore incenderunt. Ita continens flamma copias omnes repente a conspectu texit Romanorum. Quod ubi accidit, barbari vehementissimo cursu refugerunt.
I barbari, forti della posizione, non avrebbero rifiutato lo scontro, se i Romani avessero tentato un attacco al colle; ma non potevano inviare soldati in piccoli gruppi, per evitare che si scoraggiassero, una volta sparpagliati; perciò mantennero la stessa formazione. Cesare, di fronte alla loro pervicacia, lascia pronto un distaccamento di venti coorti e, tracciato il campo, ordina di fortificarlo. Terminati i lavori, schiera le legioni, le dispone, in pieno assetto, dinnanzi al vallo e piazza di guardia i cavalieri con i loro cavalli tenuti a briglia. I Bellovaci, vedendo i Romani pronti all'inseguimento e non potendo né pernottare, né rimanere più a lungo in quel luogo senza correre pericoli, decidono la ritirata con il seguente stratagemma: le fascine di paglia e frasche su cui sedevano (infatti, i Galli sono soliti sedere su fascine, come ricorda Cesare nei precedenti commentari) e che abbondavano nel loro accampamento, se le passarono di mano in mano e le posero dinnanzi alla loro linea. Quando il giorno volgeva al termine, contemporaneamente, a un segnale stabilito, le incendiano. Così, un muro di fiamme, all'improvviso, coprì ai Romani la vista di tutte le truppe nemiche. E subito i barbari ripiegarono con grandissima rapidità.
595
Qua re impetrata arma tradere iussi faciunt. Atque in eam rem omnium nostrorum intentis animis alia ex parte oppidi Adiatunnus, qui summam imperii tenebat, cum DC devotis, quos illi soldurios appellant, quorum haec est condicio, ut omnibus in vita commodis una cum iis fruantur quorum se amicitiae dediderint, si quid his per vim accidat, aut eundem casum una ferant aut sibi mortem consciscant; neque adhuc hominum memoria repertus est quisquam qui, eo interfecto cuius se amicitiae devovisset, mortem recusaret---cum his Adiatunnus eruptionem facere conatus clamore ab ea parte munitionis sublato cum ad arma milites concurrissent vehementerque ibi pugnatum esset, repulsus in oppidum tamen uti eadem deditionis condicione uteretur a Crasso impetravit.
Ma mentre l'attenzione dei nostri era concentrata sulla consegna delle armi, dalla parte opposta della città tentò una sortita Adiatuano, il capo supremo, insieme a seicento fedelissimi, i solduri, come li chiamano i Galli. La condizione dei solduri è la seguente: fruiscono di tutti gli agi dell'esistenza insieme alle persone alla cui amicizia si sono votati, ma se quest'ultime periscono in modo violento, essi devono affrontare lo stesso destino oppure suicidarsi; finora, a memoria d'uomo, non risulta che nessuno si sia rifiutato di morire, dopo che era stata uccisa la persona a cui si era votato. Adiatuano, dunque, tentò una sortita con i solduri, ma dalla zona fortificata dove si era diretto si levarono grida e i nostri corsero alle armi. La lotta fu accanita: alla fine Adiatuano venne ricacciato in città e tuttavia ottenne da Crasso la resa alle stesse condizioni degli altri.
73
Haec ego admirans, referebam tamen oculos ad terram identidem. Tum Africanus: “Sentio”,inquit,“te sedem etiam nunc hominum ac domum contemplari; quae si tibi parva, ut est, ita videtur, haec caelestia semper spectato, illa humana contemnito. Tu enim quam celebritatem sermonis hominum aut quam expetendam consequi gloriam potes? Vides habitari in terra raris et angustisin locis, et in ipsis quasi maculis, ubi habitatur, vastas solitudines interiectas esse, eosque,qui incolunt terram non modo interruptos ita esse, ut nihil inter ipsos ab aliis ad alios manare possit, sed partim obliquos, partim transversos, partim etiam adversos stare vobis; a quibus exspectare gloriam cert nullam potestis.
Pur osservando io tutto ciò, tuttavia rivolgevo a più riprese l’occhio a terra. Allora l’Africano disse: “Mi accorgo chetu contempli anche ora la sede e la dimora degli uomini; e se (la Terra) ti sembra così piccola, come in effetti è, contemplasempre queste cose celesti, non ti curare di quella umana. Infatti tu, quale fama nei discorsi degli uomini o quale gloria che valga la pena ricercare, puoi ottenere? Vedi che sulla Terra si abita luoghi isolati e angusti e che proprio in mezzo a questa sorta di macchie dove si abita, sono interposte vaste regioni deserte, e vedi che coloro che abitano la Terra non solo sono così separati che, tra loro stessi non vi è possibilità di scambio dagli uni agli altri,ma in parte sono in posizione oblique, in parte sono in posizione trasversa, in parte addirittura agli antipodi rispetto a lui; e da essi di certo non potete aspettarvi alcuna Gloria.
950
Quo malo perterriti oppidani cupas sebo, pice, scandulis complent; eas ardentes in opera provolvunt eodemque tempore acerrime proeliantur, ut ab incendio restinguendo dimicationis periculo deterreant Romanos. Magna repente in ipsis operibus flamma exstitit. Quaecumque enim per locum praecipitem missa erant, ea vineis et aggere suppressa comprehendebant id ipsum quod morabatur. Milites contra nostri, quamquam periculoso genere proeli locoque iniquo premebantur, tamen omnia fortissimo sustinebant animo.Res enim gerebatur et excelso loco et in conspectu exercitus nostri, magnusque utrimque clamor oriebatur. Ita quam quisque poterat maxime insignis, quo notior testatiorque virtus esset eius, telis hostium flammaeque se offerebat.
Atterriti dal pericolo, gli abitanti riempiono barili di sego, pece, assicelle, gli danno fuoco e li fanno rotolare sulle nostre costruzioni. Nello stesso tempo attaccano risolutamente, in modo che la lotta minacciosa distolga i Romani dall'estinguere l'incendio. Subito alte fiamme si levano in mezzo alle nostre opere di difesa. Infatti, i barili, dovunque rotolassero a precipizio lungo la china, bloccati dalle vinee e dal terrapieno, appiccavano il fuoco agli ostacoli sul loro cammino. Tuttavia, i nostri soldati, benché costretti a un genere di combattimento pericoloso e in posizione sfavorevole, tenevano testa a tutte le avversità con indomito coraggio. Lo scontro difatti si svolgeva in alto, davanti agli occhi del nostro esercito; da entrambe le parti si levavano alte grida. Così, quanto più uno era conosciuto per il suo coraggio, tanto più si esponeva ai dardi dei nemici e alle fiamme, per rendere ancor più noto e provato il suo valore.
979
Ubi turris altitudo perducta est ad contabulationem, eam in parietes instruxerunt, ita ut capita tignorum extrema parietum structura tegerentur, ne quid emineret, ubi ignis hostium adhaeresceret. Hanc super contignationem, quantum tectum plutei ac vinearum passum est, laterculo adstruxerunt supraque eum locum duo tigna transversa iniecerunt non longe ab extremis parietibus, quibus suspenderent eam contignationem, quae turri tegimento esset futura, supraque ea tigna directo transversas trabes iniecerunt easque axibus religaverunt (has trabes paulo longiores atque eminentiores, quam extremi parietes erant, effecerant, ut esset ubi tegimenta praependere possent ad defendendos ictus ac repellendos, cum infra eam contignationem parietes exstruerentur) eamque contabulationem summam lateribus lutoque constraverunt, ne quid ignis hostium nocere posset, centonesque insuper iniecerunt, ne aut tela tormentis immissa tabulationem perfringerent, aut saxa ex catapultis latericium discuterent Storias autem ex funibus ancorariis tres in longitudinem parietum turris latas IIII pedes fecerunt easque ex tribus partibus, quae ad hostes vergebant, eminentibus trabibus circum turrim praependentes religaverunt; quod unum genus tegimenti alils locis erant experti nullo telo neque tormento traici posse.Ubi vero ea pars turris, quae erat perfecta, tecta atque munita est ab omni ictu hostium, pluteos ad alia opera abduxerunt; turris tectum per se ipsum pressionibus ex contignatione prima supendere ac tollere coeperunt Ubi, quantum storiarum demissio patiebatur, tantum elevarant, intra haec tegimenta abditi atque muniti parietes lateribus exstruebant rursusque alia pressione ad aedificandum sibi locum expediebant. Ubi tempus alterius contabulationis videbatur, tigna item ut primo tecta extremis lateribus instruebant exque ea contignatione rursus summam contabulationem storiasque elevabant. Ita tuto ac sine ullo vulnere ac periculo sex tabulata exstruxerunt fenestrasque, quibus in locis visum est, ad tormenta mittenda in struendo reliquerunt.
Quando l'altezza della torre giunse al primo piano, incastrarono le travi del tavolato nelle pareti così che le estremità delle tavole venissero protette dalla muratura esterna, affinché nulla sporgesse a cui il nemico potesse appiccare il fuoco. Sopra questa travatura, per quanto lo permetteva il riparo del pluteo e delle gallerie, continuarono la costruzione con mattoni e sopra questo muro, non lontano dalle estremità delle pareti, appoggiarono di traverso due travi su cui poggiare quella travatura che doveva essere di tetto alla torre. E sopra quelle travi posero perpendicolarmente dei travicelli che unirono con assi. Fecero questi travicelli un po' più lunghi e sporgenti della parte esterna delle pareti in modo che fosse possibile appendervi stuoie per difendersi dai proiettili e respingerli, mentre sotto quel tavolato continuavano ad essere costruite le pareti. Coprirono la parte superiore dell'impalcatura con mattoni e fango perché il fuoco nemico non potesse essere di danno e sopra vi gettarono imbottiture affinché i proiettili scagliati con le macchine non rompessero la travatura o i sassi scagliati dalle catapulte non sconnettessero i muri. Poi con funi d'ancora fecero tre stuoie lunghe come le pareti della torre e larghe quattro piedi e, lasciandole pendere intorno alla torre, le legarono alle travi che sporgevano, dalle tre parti che davano sul nemico; questo era il solo genere di copertura esperimentato in altre circostanze che non poteva essere trapassato né da dardo né da proiettile. Quando invero quella parte della torre che era stata terminata fu coperta e protetta da ogni tiro dei nemici, portarono via i plutei per usarli in altro lavoro. A partire dal primo piano dell'impalcatura cominciarono a sollevare e a innalzare con leve il tetto della torre che faceva parte a sé. Quando lo avevano innalzato tanto quanto lo permetteva l'altezza delle stuoie, nascosti e protetti dentro queste coperture, costruivano le mura con i mattoni e di nuovo con un'operazione di leve creavano lo spazio per continuare l'edificazione. Quando pareva il momento di costruire un altro piano, come prima collocavano travi protette dalle estremità dei muri e a partire da quella travatura di nuovo sollevavano il tetto e le stuoie. Così con sicurezza e senza alcun danno o pericolo costruirono sei piani e, dove parve opportuno, lasciarono nella costruzione alcune feritoie per il lancio dei proiettili.
826
Curio, ubi perterritis omnibus neque cohortationes suas neque preces audiri intellegit, unam ut in miseris rebus spem reliquam salutis esse arbitratus, proximos colles capere universos atque eo signa inferri iubet. Hos quoque praeoccupat missus a Saburra equitatus. Tum vero ad summam desperationem nostri perveniunt et partim fugientes ab equitatu interficiuntur, partim integri procumbunt. Hortatur Curionem Cn. Domitius, praefectus equitum, cum paucis equitibus circumsistens, ut fuga salutem petat atque in castra contendat, et se ab eo non discessurum pollicetur.At Curio numquam se amisso exercitu, quem a Caesare fidei commissum acceperit, in eius conspectum reversurum confirmat atqne ita proelians interficitur. Equites ex proelio perpauci se recipiunt; sed ei, quos ad novissimum agmen equorum reficiendorum causa substitisse demonstratum est, fuga totius exercitus procul animadversa sese incolumes in castra conferunt. Milites ad unum omnes interficiuntur.
Curione, quando capisce che non si dà ascolto né alle sue esortazioni né alle sue preghiere, essendo tutti attanagliati dal terrore, pensando che, vista la situazione disastrosa, vi era una sola via di salvezza, ordina a tutti di occupare i colli vicini e di portarvi le insegne. Ma questi vengono occupati dalla cavalleria inviata da Saburra. Allora invero i nostri giungono alla massima disperazione e una parte di essi in fuga viene uccisa dalla cavalleria, una parte s'accascia a terra pure senza ferite. Gneo Domizio, comandante della cavalleria, schierandosi con pochi uomini attorno a Curione, lo esorta a cercare salvezza nella fuga e a tornare nel campo, e gli promette di non abbandonarlo. Ma Curione dichiara che mai, dopo avere perduto l'esercito che Cesare gli aveva affidato con fiducia, sarebbe tornato al suo cospetto e così, mentre combatte, viene ucciso. Pochissimi cavalieri si salvano dalla battaglia; ma quelli che, come si è detto, si erano fermati alla retroguardia per ristorare i cavalli, resisi conto da lontano della fuga dell'esercito intero, incolumi ritornano al campo. I fanti, dal primo all'ultimo, vengono tutti uccisi.
323
Bello Helvetiorum confecto totius fere Galliae legati, principes civitatum, ad Caesarem gratulatum convenerunt: intellegere sese, tametsi pro veteribus Helvetiorum iniuriis populi Romani ab his poenas bello repetisset, tamen eam rem non minus ex usu terrae Galliae quam populi Romani accidisse, propterea quod eo consilio florentissimis rebus domos suas Helvetii reliquissent ,uti toti Galliae bellum inferrent imperioque potirentur locumque domicilio ex magna copia deligerent, quem ex omni Gallia oportunissimum ac fructuosissimum iudicassent, reliquasque civitates stipendiarias haberent.Petierunt uti sibi concilium totius Galliae in diem certam indicere idque Caesaris voluntate facere liceret: sese habere quasdam res, quas ex communi consensu ab eo petere vellent. Ea re permissa diem concilio constituerunt et iureiurando, ne quis enuntiaret, nisi quibus communi consilio mandatum esset, inter se sanxerunt.
Dopo che la guerra degli Elvezi fu condotta a termine, inviati di quasi tutta la Gallia, i capi dei popoli, si recarono insieme da Cesare per congratularsi: ”Essi comprendevano che, sebbene avesse domandato loro dei castighi con la guerra per le antiche offese degli Elvezi al popolo Romano, tuttavia una tal cosa era avvenuta non meno a vantaggio della terra di Gallia che del popolo Romano, perché gli Elvezi avevano abbandonato le loro dimore, in circostanze prosperosissime, con l'intendimento di portare guerra a tutta la Gallia, e impadronirsi dell’egemonia e scegliere per dimora da una regione così estesa, quel luogo che avessero stimato il più opportuno e il più fertile di tutta la Gallia, e di avere tributarie tutte le altre popolazioni”. Chiesero che fosse loro lecito indire per un giorno fissato un'assemblea generale di tutta la Gallia e di far ciò con il consenso di Cesare: essi avevano certe cose, che volevano domandare a lui di comune accordo. Concessa tale autorizzazione, stabilirono il giorno per la riunione e sancirono tra di loro con giuramento che nessuno palesasse tranne a coloro ai quali fosse stato ordinato per deliberazione comune.
513
Erat eo tempore Antonius Brundisii; is virtute militum confisus scaphas navium magnarum circiter LX cratibus pluteisque contexit eoque milites delectos imposuit atque eas in litore pluribus locis separatim disposuit navesque triremes duas, quas Brundisii faciendas curaverat, per causam exercendorum remigum ad fauces portus prodire iussit. Has cum audacius progressas Libo vidisset, sperans intercipi posse, quadriremes V ad eas misit. Quae cum navibus nostris appropinquassent, nostri veterani in portum refugiebant: illi studio incitati incautius sequebantur.Iam ex omnibus partibus subito Antonianae scaphae signo dato se in hostes incitaverunt primoque impeto unam ex his quadriremibus cum remigibus defensoribusque suis ceperunt, reliquas turpiter refugere coegerunt. Ad hoc detrimentum accessit, ut equitibus per oram maritimam ab Antonio dispositis aquari prohiberentur. Qua necessitate et ignominia permotus Libo discessit a Brundisio obsessionemque nostrorum omisit.
In quel tempo Antonio si trovava a Brindisi; confidando nel valore dei soldati protesse con graticci e parapetti circa sessanta scialuppe delle navi grandi; vi imbarcò soldati scelti e le dispose in parecchi luoghi separatamente lungo il litoraneo; ordinò alle due triremi, che aveva fatto costruire a Brindisi, di portarsi verso l'imboccatura del porto col pretesto di esercitare i rematori. Quando Libone vide che esse erano avanzate con troppa audacia, sperando di poterle sorprendere mandò contro di esse cinque quadriremi. Quando queste erano vicine alle nostre navi, i nostri veterani si rifugiavano nel porto, quelli, eccitati dal loro ardore, con troppa imprudenza le inseguivano. Così, a un segnale convenuto, all'improvviso da ogni parte le scialuppe di Antonio si lanciarono contro i nemici e, al primo assalto, si impadronirono di una di queste quadriremi con i rematori e i difensori e costrinsero le altre a fuggire vergognosamente. A questo insuccesso si aggiunse il fatto che i cavalieri disposti da Antonio lungo la costa impedivano ai nemici l'approvvigionamento di acqua. Libone, indotto da questa necessità e dall'onta, si allontanò da Brindisi e tolse l'assedio ai nostri.
367
Caesar, cum in Asiam venisset, reperiebat T. Ampium conatum esse pecunias tollere Epheso ex fano Dianae eiusque rei causa senatores omnes ex provincia evocasse, ut his testibus in summa pecuniae uteretur, sed interpellatum adventu Caesaris profugisse. Ita duobus temporibus Ephesiae pecuniae Caesar auxilium tulit. Item constabat Elide in templo Minervae repetitis atque enumeratis diebus, quo die proelium secundum Caesar fecisset, simulacrum Victoriae, quod ante ipsam Minervam collocatum esset et ante ad simulacrum Minervae spectavisset, ad valvas se templi limenque convertisse.Eodemque die Antiochiae in Syria bis tantus exercitus clamor et signorum sonus exauditus est, ut in muris armata civitas discurreret. Hoc idem Ptolomaide accidit. Pergami in occultis ac reconditis templi, quo praeter sacerdotes adire fas non est, quae Graeci aduta appellant, tympana sonuerunt. Item Trallibus in templo Victoriae, ubi Caesaris statuam consecraverant, palma per eos dies inter coagmenta lapidum ex pavimento exstitisse ostendebatur.
Cesare, giunto in Asia, scopriva che Tito Ampio aveva tentato di portare via il tesoro dal tempio di Diana a Efeso e che per questo motivo aveva chiamato tutti i senatori dalla provincia per averli a testimoni sulla somma di denaro, ma che era fuggito perché disturbato dall'arrivo di Cesare. E così in due momenti diversi Cesare venne in soccorso del tesoro di Efeso ... Parimenti, calcolando i giorni a ritroso, si era notato che nel giorno in cui Cesare aveva vinto, nel tempio di Minerva a Elide, una statua della Vittoria, posta proprio davanti a quella di Minerva e rivolta fino a quel momento verso di essa, si era girata verso le porte e la soglia del tempio. Nel medesimo giorno ad Antiochia, in Siria, due volte si udì il clamore dell'esercito e un suono di trombe tanto forte da fare accorrere da ogni parte i cittadini armati sulle mura. La stessa cosa avvenne a Tolemaide. A Pergamo, nei recessi e nelle zone segrete del tempio, dove non è lecito l'accesso tranne che ai sacerdoti, e che i Greci chiamano adyta, risuonarono i timpani. Similmente a Tralli, nel tempio della Vittoria, dove avevano consacrato una statua di Cesare, veniva mostrata una palma spuntata in quei giorni dal pavimento fra le giunture delle pietre.
63
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,sed pater ut gnatos diligit et generos.Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,multo mi tamen es vilior et levior.Qui potis est, inquis? Quod amantem iniuria taliscogit amare magis, sed bene velle minus.
Una volta dicevi di conoscere solo Catullo,Lesbia, e di non voler avere nemmeno Giove al posto mio.Una volta ti amavo, non tanto come la gente comune ama un’amica,ma come un padre ama i generi ed i cognati.Adesso ti ho conosciuto: perciò anche se ardo con maggiore violenzatuttavia mi sei molto più senza valore e di poca importanza.Come è possibile dici? Perché tale offesacostringe l’amante ad amare di più, ma a voler bene di meno.
1,017
Quoniam ad hunc locum perventum est, non alienum esse videtur de Galliae Germaniaeque moribus et quo differant hae nationes inter sese proponere. In Gallia non solum in omnibus civitatibus atque in omnibus pagis partibusque, sed paene etiam in singulis domibus factiones sunt, earumque factionum principes sunt qui summam auctoritatem eorum iudicio habere existimantur, quorum ad arbitrium iudiciumque summa omnium rerum consiliorumque redeat. Itaque eius rei causa antiquitus institutum videtur, ne quis ex plebe contra potentio rem auxili egeret: suos enim quisque opprimi et circumveniri non patitur, neque, aliter si faciat, ullam inter suos habet auctoritatem.Haec eadem ratio est in summa totius Galliae: namque omnes civitates in partes divisae sunt duas.
Poiché si è giunti a questo punto della narrazione non sembra che sia inopportuno parlare dei costumi della Gallia e della Germania e in che cosa differiscono queste popolazioni fra loro. In Gallia esistono fazioni non solo in tutte le città, villaggi e cantoni, ma anche quasi in ogni casa, e di queste fazioni sono i capi coloro che a loro giudizio si stima che abbiano la massima autorità, al cui giudizio e arbitrio è affidato il sommo potere decisionale. E sembra che ciò sia stato stabilito anticamente a questo scopo, affinché nessuno fra la plebe fosse privo di difese contro i più potenti: infatti nessuno sopporta che i suoi vengano oppressi e sopraffatti e non avrebbe nessuna autorità fra i suoi se agisse diversamente. Questo regime è lo stesso in tutta quanta la Gallia: ed infatti tutte le città sono divise in due partiti.
902
Mittuntur ad Caesarem confestim ab Cicerone litterae magnis propositis praemiis, si pertulissent: obsessis omnibus viis missi intercipiuntur. Noctu ex materia, quam munitionis causa comportaverant, turres admodum CXX excitantur incredibili celeritate; quae deesse operi videbantur, perficiuntur. Hostes postero die multo maioribus coactis copiis castra oppugnant, fossam complent. Eadem ratione, qua pridie, ab nostris resistitur. Hoc idem reliquis deinceps fit diebus.Nulla pars nocturni temporis ad laborem intermittitur; non aegris, non vulneratis facultas quietis datur. Quaecumque ad proximi diei oppugnationem opus sunt noctu comparantur; multae praeustae sudes, magnus muralium pilorum numerus instituitur; turres contabulantur, pinnae loricaeque ex cratibus attexuntur. Ipse Cicero, cum tenuissima valetudine esset, ne nocturnum quidem sibi tempus ad quietem relinquebat, ut ultro militum concursu ae vocibus sibi parcere cogeretur.
Senza indugio Cicerone invia una lettera a Cesare, promettendo grandi ricompense a chi fosse riuscito a recapitarla. Le vie, però, erano tutte sorvegliate e i messi vennero intercettati. Di notte, con il legname procurato per le fortificazioni, i Romani costruiscono, con incredibile rapidità, almeno centoventi torri e terminano le strutture difensive non ancora approntate. L'indomani i nemici, raccolte truppe ben più numerose, riprendono l'assedio e riempiono la fossa. I nostri resistono nello stesso modo del giorno prima. L'identica situazione si ripete nei giorni successivi. Di notte i lavori non vengono sospesi, neppure per un istante; non è concesso riposo né ai malati, né ai feriti. Tutto il necessario per l'assedio del giorno seguente lo si prepara di notte; sono approntati molti pali induriti al fuoco e giavellotti pesanti in gran quantità; le torri vengono munite di tavolati, dotate di merli e parapetti di graticci. Cicerone stesso, pur essendo di salute molto cagionevole, neanche di notte si concedeva riposo, tanto che i soldati si accalcarono intorno a lui e lo costrinsero, a forza di insistere, a prendersi un po' di respiro.
571
Toto hoc in genere pugnae, cum sub oculis omnium ac pro castris dimicaretur, intellectum est nostros propter gravitatem armorum, quod neque insequi cedentes possent neque ab signis discedere auderent, minus aptos esse ad huius generis hostem, equites autem magno cum periculo proelio dimicare, propterea quod illi etiam consulto plerumque cederent et, cum paulum ab legionibus nostros removissent, ex essedis desilirent et pedibus dispari proelio contenderent.Equestris autem proeli ratio et cedentibus et insequentibus par atque idem periculum inferebat. Accedebat huc ut numquam conferti sed rari magnisque intervallis proeliarentur stationesque dispositas haberent, atque alios alii deinceps exciperent, integrique et recentes defetigatis succederent.
Nel suo insieme, il tipo di battaglia, svoltasi sotto gli occhi di tutti, davanti all'accampamento, ci permise di capire che i nostri non erano preparati ad affrontare un avversario del genere: appesantiti dall'armamento, i Romani non erano in grado di inseguire i nemici in fuga, né osavano allontanarsi dalle insegne. I cavalieri, poi, correvano grossi rischi nella mischia, perché gli avversari per lo più cedevano, anche di proposito: quando erano riusciti a portare i nostri cavalieri abbastanza lontano dalle legioni, scendevano dai carri e, a piedi, combattevano in posizione di vantaggio. Così, la natura degli scontri di cavalleria era identica per chi inseguiva e per chi si ritirava, presentando pari pericolo per entrambi. Inoltre, i nemici non lottavano mai in formazione serrata, ma a piccoli gruppi molto distanziati, disponendo postazioni di riserva: a turno gli uni subentravano agli altri, soldati freschi e riposati davano il cambio a chi era stanco.
642
Muri autem omnes Gallici hac fere forma sunt. Trabes derectae perpetuae in longitudinem paribus intervallis, distantes inter se binos pedes, in solo collocantur. Hae revinciuntur introrsus et multo aggere vestiuntur: ea autem, quae diximus, inter valla grandibus in fronte saxis effarciuntur. His collocatis et coagmentatis alius insuper ordo additur, ut idem illud intervallum servetur neque inter se contingant trabes, sed paribus intermissae spatiis singulae singulis saxis interiectis arte contineantur.Sic deinceps omne opus contexitur, dum iusta muri altitudo expleatur. Hoc cum in speciem varietatemque opus deforme non est alternis trabibus ac saxis, quae rectis lineis suos ordines servant, tum ad utilitatem et defensionem urbium summam habet opportunitatem, quod et ab incendio lapis et ab ariete materia defendit, quae perpetuis trabibus pedes quadragenos plerumque introrsus revincta neque perrumpi neque distrahi potest.
Le mura dei Galli sono tutte costruite all'incirca così: pongono a terra, su tutta la lunghezza della cinta, travi ad essa perpendicolari, a un intervallo regolare di due piedi. Ne collegano le estremità all'interno e le ricoprono con molta terra. I suddetti spazi tra l'una e l'altra trave, li chiudono all'esterno con grosse pietre. Una volta inserite e ben connesse le prime travi, sopra ne aggiungono un'altra serie, facendo in modo che mantengano la stessa distanza e non si tocchino, ma che ciascuna, a pari intervallo, poggi sulle pietre frapposte e risulti saldamente unita. Così, di seguito, tutta l'opera viene costruita fino all'altezza voluta. Le mura, per forma e varietà, non hanno un aspetto sgradevole, con quest'alternanza di travi e massi che conservano paralleli i propri ordini; al tempo stesso risultano molto utili ed efficaci per la difesa delle città, perché la pietra le preserva dagli incendi, il legno le difende dall'ariete, che non può spezzare o sconnettere le travi, unite in modo continuo all'interno per una lunghezza di quaranta piedi in genere.
715
Druides a bello abesse consuerunt neque tributa una cum reliquis pendunt; militiae vacationem omniumque rerum habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua sponte multi in disciplinam conveniunt et a parentibus propinquisque mittuntur. Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. Itaque annos nonnulli vicenos in disciplina permanent. Neque fas esse existimant ea litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus Graecis litteris utantur.Id mihi duabus de causis instituisse videntur, quod neque in vulgum disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere: quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant. In primis hoc volunt persuadere, non interire animas, sed ab aliis post mortem transire ad alios, atque hoc maxime ad virtutem excitari putant metu mortis neglecto. Multa praeterea de sideribus atque eorum motu, de mundi ac terrarum magnitudine, de rerum natura, de deorum immortalium vi ac potestate disputant et iuventuti tradunt.
I druidi, di solito, non prendono parte alle guerre e sono esentati dai tributi: sono liberi dal servizio militare e godono di ogni altra immunità. Sono molti coloro che, attirati da tutti questi vantaggi o per vocazione, si accostano a questi studi o vi vengono indirizzati dalle famiglie. Si dice che debbano imparare a memoria un gran numero di versi, e così parecchi rimangono in queste scuole per venti anni. Ritengono che non sia lecito, per motivi religiosi, affidare alla scrittura questi insegnamenti, mentre in quasi tutte le altre occasioni, negli affari pubblici e privati, si servono dell'alfabeto greco. Mi sembra che la decisione dipenda da due motivi: non vogliono che la loro dottrina sia divulgata tra il popolo né che i discepoli, facendo affidamento sui testi scritti, trascurino l'apprendimento mnemonico, come accade quasi a tutti, quando per l'aiuto fornito da testi, si trascura l'impegno nello studio e si indebolisce la memoria. L'argomento principale del loro insegnamento consiste nell'inculcare la fede nell'immortalità dell'anima, che dopo la morte trasmigra da un corpo all'altro, e ritengono che questo, eliminando il timore della morte, stimoli grandemente il coraggio. Discutono molto, inoltre, sugli astri e sul loro moto, sulla dimensione del mondo e della terra, sulla natura, sul potere e sugli attributi degli dei immortali, e tramandano queste cognizioni ai giovani.
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Quaeris, quot mihi basiationestuae, Lesbia, sint satis superque.quam magnus numerus Libyssae harenaelasarpiciferis iacet Cyrenisoraclum Iouis inter aestuosiet Batti veteris sacrum sepulcrum;aut quam sidera multa, cum tacet nox,furtiuos hominum uident amores:tam te basia multa basiarevesano satis et super Catullo est,quae nec pernumerare curiosipossint nec mala fascinare lingua.
Chiedi quanti tuoi baci, Lesbia, mi sian sufficienti e di più. Quanto grande il numero di sabbia libica giace nella Cirene produttrice di laserpizio tra l'oracolo dell'infuocato Giove ed il sacro sepolcro dell'antico Batto; o quante stelle, quando la notte tace, vedono i furtivi amori degli uomini: se tu mi baci con cosí tanti baci che i curiosi non possano contarli o le malelingue gettarvi il malocchio, allora si placherà il delirio di Catullo.
1,020
Tum demum Liscus oratione Caesaris adductus quod antea tacuerat proponit: esse non nullos, quorum auctoritas apud plebem plurimum valeat, qui privatim plus possint quam ipsi magistratus. Hos seditiosa atque improba oratione multitudinem deterrere, ne frumentum conferant quod debeant: praestare, si iam principatum Galliae obtinere non possint, Gallorum quam Romanorum imperia perferre, neque dubitare [debeant] quin, si Helvetios superaverint Romani, una cum reliqua Gallia Haeduis libertatem sint erepturi.Ab isdem nostra consilia quaeque in castris gerantur hostibus enuntiari; hos a se coerceri non posse. Quin etiam, quod necessariam rem coactus Caesari enuntiarit, intellegere sese quanto id cum periculo fecerit, et ob eam causam quam diu potuerit tacuisse.
Solo allora Lisco, spinto dal discorso di Cesare, espone ciò che in precedenza aveva passato sotto silenzio: c'erano degli individui che godevano di grande prestigio tra il popolo e che, pur non rivestendo cariche pubbliche, avevano da privati più potere dei magistrati stessi. Erano loro a indurre la massa, con discorsi sediziosi e proditori, a non consegnare il grano dovuto: sostenevano che, se gli Edui non erano più capaci di conservare la signoria sul paese, era meglio sopportare il dominio dei Galli piuttosto che dei Romani; i Romani, una volta sconfitti gli Elvezi, avrebbero senza dubbio tolto la libertà agli Edui insieme agli altri Galli. E le stesse persone rivelavano ai nemici i nostri piani e tutto ciò che accadeva nell'accampamento. Lisco non era in grado di tenerle a freno, anzi, adesso che era stato costretto a palesare a Cesare la situazione così critica, si rendeva conto di quale pericolo stesse correndo. Ecco il motivo per cui aveva taciuto il più a lungo possibile.
556
His rebus permotus Quintus Titurius, cum procul Ambiorigem suos cohortantem conspexisset, interpretem suum Gnaeum Pompeium ad eum mittit rogatum ut sibi militibusque parcat. Ille appellatus respondit: si velit secum colloqui, licere; sperare a multitudine impetrari posse, quod ad militum salutem pertineat; ipsi vero nihil nocitum iri, inque eam rem se suam fidem interponere. Ille cum Cotta saucio communicat, si videatur, pugna ut excedant et cum Ambiorige una colloquantur: sperare ab eo de sua ac militum salute impetrari posse.Cotta se ad armatum hostem iturum negat atque in eo perseverat.
Scosso da tali avvenimenti, Q. Titurio, avendo scorto in lontananza Ambiorige che spronava i suoi, gli invia il proprio interprete, Cn. Pompeo, per chiedergli salva la vita per sé e i legionari. Ambiorige alla richiesta risponde: se Titurio voleva un colloquio, glielo concedeva; sperava di poter convincere le truppe circa la salvezza dei soldati romani; Titurio stesso, comunque, non avrebbe corso alcun rischio, se ne rendeva garante di persona. Titurio si consiglia con Cotta, ferito: gli propone, se era d'accordo, di allontanarsi dalla battaglia e di recarsi insieme a parlare con Ambiorige: sperava di riuscire a ottenere salva la vita per loro e per i soldati. Cotta risponde che non si sarebbe mai recato da un nemico in armi e non recede dalla sua decisione.
708
Quibus rebus perturbatis nostris [novitate pugnae] tempore oportunissimo Caesar auxilium tulit: namque eius adventu hostes constiterunt, nostri se ex timore receperunt. Quo facto, ad lacessendum hostem et committendum proelium alienum esse tempus arbitratus suo se loco continuit et brevi tempore intermisso in castra legiones reduxit. Dum haec geruntur, nostris omnibus occupatis qui erant in agris reliqui discesserunt. Secutae sunt continuos complures dies tempeststes, quae et nostros in castris continerent et hostem a pugna prohiberent.Interim barbari nuntios in omnes partes dimiserunt paucitatemque nostrorum militum suis praedicaverunt et quanta praedae faciendae atque in perpetuum sui liberandi facultas daretur, si Romanos castris expulissent, demonstraverunt. His rebus celeriter magna multitudine peditatus equitatusque coacta ad castra venerunt.
Perciò, mentre i nostri erano disorientati dall'insolita tattica di combattimento, Cesare giunse in aiuto nel momento più opportuno: con il suo arrivo, infatti, i nemici si arrestarono, i nostri ripresero coraggio. Tuttavia, Cesare ritenne che non fosse il momento adatto per sfidare gli avversari e attaccar battaglia, perciò tenne le proprie posizioni e, poco dopo, ricondusse le legioni all'accampamento. Mentre si svolgono questi fatti, tenendo impegnati tutti i nostri, si ritirarono gli altri Britanni che si trovavano nelle campagne. Per parecchi giorni si rovesciarono piogge senza interruzione, che costrinsero i nostri nell'accampamento e impedirono ai nemici di attaccare. Nel frattempo, i barbari inviarono messaggeri in tutte le direzioni, continuando a insistere sul fatto che i nostri erano ben pochi e a spiegare quale bottino, quale possibilità di rendersi per sempre liberi li attendesse, se avessero scacciato i Romani dal loro campo. Così, dopo aver radunato un gran numero di fanti e cavalieri, mossero sull'accampamento romano.
651
Interim paucis post diebus fit ab Vbiis certior Suebos omnes in unum locum copias cogere atque eis nationibus quae sub eorum sint imperio denuntiare, ut auxilia peditatus equitatusque mittant. His cognitis rebus rem frumentariam providet, castris idoneum locum deligit; Vbiis imperat ut pecora deducant suaque omnia ex agris in oppida conferant, sperans barbaros atque imperitos homines inopia cibariorum adductos ad iniquam pugnandi condicionem posse deduci; mandat, ut crebros exploratores in Suebos mittant quaeque apud eos gerantur cognoscant.Illi imperata faciunt et paucis diebus intermissis referunt: Suebos omnes, posteaquam certiores nuntii de exercitu Romanorum venerint, cum omnibus suis sociorumque copiis, quas coegissent, penitus ad extremos fines se recepisse: silvam esse ibi infinita magnitudine, quae appellatur Bacenis; hanc longe introrsus pertinere et pro nativo muro obiectam Cheruscos ab Suebis Suebosque ab Cheruscis iniuriis incursionibusque prohibere: ad eius initium silvae Suebos adventum Romanorum exspectare constituisse.
Intanto, pochi giorni dopo, gli Ubi lo avvertono che gli Svevi stavano concentrando tutte le truppe in un solo luogo e che imponevano ai popoli sottomessi l'invio di rinforzi di fanteria e cavalleria. Saputo ciò, Cesare provvede alle scorte di grano, sceglie un luogo adatto all'accampamento e ordina agli Ubi di portar via i capi di bestiame e di ammassare ogni bene dalle campagne nelle città. Sperava che i nemici, barbari e inesperti com'erano, si lasciassero indurre ad accettare lo scontro anche in posizione di svantaggio, costretti a ciò dalla mancanza di viveri. Incarica gli Ubi di inviare molti esploratori nelle zone degli Svevi per spiarne le mosse. Gli Ubi eseguono gli ordini e, pochi giorni dopo, riferiscono: tutti gli Svevi, avute notizie più sicure sull'esercito dei Romani, si erano ritirati lontano, nei loro territori più remoti, con tutte le truppe e i contingenti alleati da essi raccolti; lì si trovava una foresta sterminata, di nome Bacenis, che si estendeva profonda verso l'interno e formava una sorta di barriera naturale tra i Cherusci e gli Svevi, impedendo agli uni e agli altri violenze e incursioni: sul limitare della foresta gli Svevi avevano deciso di attendere l'arrivo dei Romani.
195
Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? O tempora, o mores! Senatus haec intellegit.Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? Immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos [omnes iam diu] machinaris.
Fino a che punto, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Quanto a lungo ancora questo tuo furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto la tua sfrenata audacia si spingerà? Non ti hanno sconvolto il presidio notturno del Palatino, le veglie notturne della città, il timore del popolo, l'accorrere in massa di tutti gli uomini onesti, questo fortificatissimo luogo della seduta del senato, l'espressione del volto di questi? Non ti accorgi che i tuoi piani sono scoperti? Non vedi che la tua congiura è frenata dalla consapevolezza di tutti questi? Chi di noi pensi che ignori cosa tu abbia fatto la notte precedente e quella successiva, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso? O tempi, o costumi! Il senato capisce ciò, il console lo vede; tuttavia costui vive. Vive? Anzi addirittura ha accesso al senato, partecipa alle decisioni pubbliche, nota e indica con gli occhi perché muoia alla strage ciascuno di noi. Noi tuttavia, uomini forti, sembriamo fare abbastanza per lo stato se riusciamo ad evitare la follia e i dardi di costui. Sarebbe stato necessario che tu fossi condotto a morte, o Catilina, per ordine del console già da prima che fosse rivolta contro di te la rovina che tu già da lungo tempo trami contro noi tutti.
177
Sed iuventutem, quam, ut supra diximus, illexerat, multis modis mala facinora edocebat. Ex illis testis signatoresque falsos commodare; fidem, fortunas, pericula, vilia habere, post, ubi eorum famam atque pudorem attriverat, maiora alia imperabat; si causa peccandi in praesens minus suppetebat, nihilo minus insontis sicuti sontis circumvenire, iugulare; scilicet ne per otium torpescerent manus aut animus, gratuito potius malus atque crudelis erat.Iis amicis sociisque confisus Catilina, simul quod aes alienum per omnis terras ingens erat, et quod plerique Sullani milites, largius suo usi, rapinarum et victoriae veteris memores civile bellum exoptabant, opprimundae rei publicae consilium cepit. In Italia nullus exercitus, Cn. Pompeius in extremis terris bellum gerebat; ipsi consulatum petenti magna spes, senatus nihil sane intentus; tutae tranquillaeque res omnes, sed ea prorsus oportuna Catilinae.
Ma insegnava alla gioventù, che come abbiamo detto sopra aveva adescato, azioni malvagie in molti modi. (Scegliendoli) Fra quelli prestava falsi testimoni e false sottoscrittori; ordinava di disprezzare la parola data, la sorte e i rischi poi, quando aveva distrutto il loro buon nome e il loro senso dell'onore ordinava delitti ancora più gravi. Se sul momento non c'era occasione di delinquere, non di meno insidiava e trucidava tanto innocenti quanto colpevoli: evidentemente perché le mani e la mente (dei suoi) non si intorpidissero nell'inattività, preferiva essere malvagio e crudele senza motivo. Confidando in questi amici e compagni Catilina, poiché i debiti erano ingenti dappertutto e poiché la maggior parte dei veterani sillani che avevano sperperato il loro patrimonio (che avevano usato del loro piuttosto largamente) memori dei saccheggi e dell'antica vittoria desideravano la guerra civile, prese la decisione di conquistare lo stato. In Italia non vi era alcun esercito, Pompeo combatteva in terre lontane; per lui che si candidava al consolato vi era grande speranza, il senato non aveva alcun sospetto, tutta la situazione era calma e tranquilla ma dunque quelle circostanze erano favorevoli a Catilina.
191
MeliboeusTityre, tu patulae recubans sub tegmine fagisilvestrem tenui Musam meditaris avena;nos patriae finis et dulcia linquimus arva.nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbraformosam resonare doces Amaryllida silvas.TityrusO Meliboee, deus nobis haec otia fecit.namque erit ille mihi semper deus, illius aramsaepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus.ille meas errare boves, ut cernis, et ipsumludere quae vellem calamo permisit agresti.MeliboeusNon equidem invideo, miror magis; undique totisusque adeo turbatur agris.en ipse capellasprotenus aeger ago; hanc etiam vix, Tityre, duco.hic inter densas corylos modo namque gemellos,spem gregis, a, silice in nuda conixa reliquit.saepe malum hoc nobis, si mens non laeva fuisset,de caelo tactas memini praedicere quercus.sed tamen iste deus qui sit da, Tityre, nobis.TityrusUrbem quam dicunt Romam, Meliboee, putavistultus ego huic nostrae similem, cui saepe solemuspastores ovium teneros depellere fetus.sic canibus catulos similes, sic matribus haedosnoram, sic parvis componere magna solebam.verum haec tantum alias inter caput extulit urbesquantum lenta solent inter viburna cupressi.MeliboeusEt quae tanta fuit Romam tibi causa videndi?TityrusLibertas, quae sera tamen respexit inertem,candidior postquam tondenti barba cadebat,respexit tamen et longo post tempore venit,postquam nos Amaryllis habet, Galatea reliquit.namque - fatebor enim - dum me Galatea tenebat,nec spes libertatis erat nec cura peculi.quamvis multa meis exiret victima saeptispinguis et ingratae premeretur caseus urbi,non umquam gravis aere domum mihi dextra redibat.MeliboeusMirabar quid maesta deos, Amarylli, vocares,cui pendere sua patereris in arbore poma.Tityrus hinc aberat. ipsae te, Tityre, pinus,ipsi te fontes, ipsa haec arbusta vocabant.TityrusQuid facerem? neque servitio me exire licebatnec tam praesentis alibi cognoscere divos.hic illum vidi iuvenem, Meliboee, quot annisbis senos cui nostra dies altaria fumant,hic mihi responsum primus dedit ille petenti:'pascite ut ante boves, pueri, submittite tauros.'MeliboeusFortunate senex, ergo tua rura manebuntet tibi magna satis, quamvis lapis omnia nuduslimosoque palus obducat pascua iunco.non insueta gravis temptabunt pabula fetasnec mala vicini pecoris contagia laedent.fortunate senex, hic inter flumina notaet fontis sacros frigus captabis opacum;hinc tibi, quae semper, vicino ab limite saepesHyblaeis apibus florem depasta salictisaepe levi somnum suadebit inire susurro;hinc alta sub rupe canet frondator ad auras,nec tamen interea raucae, tua cura, palumbesnec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo.TityrusAnte leves ergo pascentur in aethere cerviet freta destituent nudos in litore pisces,ante pererratis amborum finibus exsulaut Ararim Parthus bibet aut Germania Tigrim,quam nostro illius labatur pectore vultus.MeliboeusAt nos hinc alii sitientis ibimus Afros,pars Scythiam et rapidum cretae veniemus Oaxenet penitus toto divisos orbe Britannos.en umquam patrios longo post tempore finispauperis et tuguri congestum caespite culmen,post aliquot, mea regna, videns mirabor aristas?impius haec tam culta novalia miles habebit,barbarus has segetes. en quo discordia civisproduxit miseros; his nos consevimus agros!insere nunc, Meliboee, piros, pone ordine vites.ite meae, felix quondam pecus, ite capellae.non ego vos posthac viridi proiectus in antrodumosa pendere procul de rupe videbo;carmina nulla canam; non me pascente, capellae,florentem cytisum et salices carpetis amaras.TityrusHic tamen hanc mecum poteras requiescere noctemfronde super viridi. sunt nobis mitia poma,castaneae molles et pressi copia lactis,et iam summa procul villarum culmina fumantmaioresque cadunt altis de montibus umbrae.
MELIBEO: Titiro, tu stando sdraiato all’ombra di un ampio faggio, componi un canto silvestre con un flauto sottile; noi lasciamo il territorio della patria e i dolci campi, noi fuggiamo la patria; tu, Titiro, rilassato all’ombra, insegni ai boschi a far risuonare la bella Amarillide.TITIRO: O Melibeo, un dio ci ha concesso questa pace, infatti quello sarà per me sempre un dio; spesso un tenero agnello (preso) dai nostri ovili bagnerà (di sangue) il suo altare. Egli ha permesso che i miei buoi pascolassero, come vedi, e che io stesso suonassi con il flauto agreste ciò che volessi.MELIBEO: Certamente non ti invidio; piuttosto mi stupisco: dovunque nei campi c’è scompiglio. Ecco io stesso afflitto spingo avanti le caprette; conduco anche questa a stento, o Titiro: qui, tra fitti noccioli, ha lasciato infatti ora due gemelli, speranza del gregge, ahimè, dopo averli partoriti su una pietra nuda. Spesso ricordo che le querce, colpite dal fulmine, predicevano a noi questa sventura, se la mente non fosse stata superficiale. Ma tuttavia, o Titiro, dicci chi sia questo dio.TITIRO: Io ritenni, o Melibeo, da stolto, che la città che chiamano Roma fosse simile a questa nostra, dove spesso noi pastori siamo soliti portare i teneri nati. Così io ero solito paragonare le cose grandi a quelle piccole, cioè come sapevo i cuccioli simili alle cagne, e i capretti alle madri.In verità questa città ha sollevato tanto la testa tra le altre città quanto i cipressi sono soliti (sollevarsi) tra i flessuosi viburni.MELIBEO: E quale fu per te il motivo così importante di vedere Roma?TITIRO: La libertà, che, benché tardi, tuttavia si voltò a guardare me inerte, dopo che la barba cadeva più bianca a me che la tagliavo; tuttavia si voltò a guardarmi e dopo lungo tempo venne, da quando mi possiede Amarillide e Galatea mi ha lasciato. Infatti, lo confesserò, finché mi possedeva Galatea non c’era speranza di libertà né cura del patrimonio. Benché molte vittime (quelle per i sacrifici) uscissero dai miei recinti e grosso formaggio fosse fatto per l’ingrata città, mai a me la mano destra tornava a casa pesante di denaro.MELIBEO: Mi chiedevo stupito perché, o Amarillide, invocassi triste gli dei, per chi lasciassi pendere sull’albero i suoi frutti: Titiro era lontano da qui. Gli stessi pini, o Titiro, le stesse fonti, questi stessi arbusti ti invocavano.TITIRO: Cosa avrei dovuto fare? Non mi era possibile uscire dalla schiavitù né conoscere altrove dei tanto generosi. Qui vidi quel giovane, o Melibeo, per cui dodici giorni all’anno i nostri altari fumano; qui egli per primo diede il responso a me che lo chiedevo: "Pascolate come prima i buoi, o fanciulli, aggiogate i tori".MELIBEO: O vecchio fortunato, dunque i campi rimarranno tuoi, e per te anche abbastanza grandi, benché la nuda pietra e la palude coprano tutte le cose con giunchi fangosi. Pascoli sconosciuti non danneggeranno le pecore gravide , né i cattivi contagi del gregge vicino nuoceranno. O vecchio fortunato, qui tra fiumi noti e fonti sacre riceverai il fresco ombroso; di qui a te, come sempre, dal confine vicino la siepe succhiata nel fiore del salice dalle api Iblee, spesso ti indurrà a prendere sonno con un dolce sussurro; di qui ai piedi di un’alta rupe il potatore canterà all’aria, né tuttavia intanto rauche colombe, tua occupazione, né la tortora cesserà di cantare dall’alto olmo.TITIRO: Dunque cervi leggeri pascoleranno in aria e le onde lasceranno i pesci nudi sulla spiaggia e, dopo aver errato nei territori di entrambi o il Parto esule berrà le acque del fiume Arara o il Germano berrà il Tigri prima che il volto di quello scompaia dal mio cuore.MELIBEO: Ma noi di qui andremo alcuni dagli Africani assetati, in parte berremo nella Scizia e presso l’Oasse che trascina fango e verso i Britanni del tutto separati dal resto del mondo. Ecco ammirerò mai dopo lungo tempo il territorio patrio e il tetto della capanna costruito con zolle rivedendo dietro qualche spiga i miei possedimenti? Un empio soldato possiederà questi campi così coltivati, un barbaro (possiederà) queste messi: ecco dove la discordia ha portato gli infelici cittadini; per questi noi abbiamo coltivato i campi! Innesta ora, o Melibeo, i peri, disponi le viti in ordine! Andate mie caprette, gregge un tempo felice. Io, dopo ciò, disteso in una grotta verdeggiante, non vi vedrò da lontano stare in equilibrio su una rupe piena di cespugli; non canterò alcun carme; senza che io vi pascoli, o caprette, brucherete il citiso in fiore e i salici amari.TITIRO: Tuttavia avresti potuto riposare qui con me questa notte su un verde giaciglio: io ho dolci frutti, morbide castagne e abbondanza di formaggio, e già da lontano gli alti comignoli delle ville fumano e ombre più grandi cadono dalle sommità dei monti.