id
stringlengths
36
36
year
int64
1.9k
1.95k
class
class label
5 classes
year_range
class label
11 classes
text
stringlengths
154
582k
ec9b8602-19fb-4a0c-9c4d-c5aa17ffa3c9
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Cari amici, io dovrei fare il discorso conclusivo , ma in realtà le conclusioni sono già state tirate nella risposta del segretario del partito. Vorrei comunque anteporre alcune osservazioni, che non saranno conclusioni, ma avranno un certo valore riassuntivo sul mio caso personale, non senza chiedervene scusa. Spero che nessuno, anche mio avversario in buona fede, potrà pensare che sopra il nostro partito domini uno spirito carismatico per il quale si creda che le fortune del partito siano associate alle fortune di un nome; che ci sia qualcuno, che possa anche chiamarsi De Gasperi, che creda davvero di rappresentare non una idea, ma un interesse, un’ambizione, una figura di carattere personale e con questi connotati creda di aver trovato il modo di dominare o dirigere una situazione. Un cristiano il quale si trova tutti giorni di contro alle umiliazioni della sua insufficienza, un cristiano il quale deve affrontare nella sua complessità l’esperienza politica e amministrativa, un cristiano il quale spesso, troppo spesso, nonostante i calcoli e la prudenza, si trova di contro ad un imprevisto intervento del destino (noi diciamo giustamente della Provvidenza), un cristiano che è così convinto della relatività del tempo che passa e che ha il senso storico della distinzione tra ciò che è contingente e ciò che è permanente, un cristiano non può cadere in questo errore, nell’errore cioè di credere davvero che la sua persona abbia tale valore concreto e tale valore sintomatico da determinare una situazione . Però, amici miei, io spero di avere potuto accettare il vostro plauso in questo senso, nel senso cioè che esso non era diretto alla mia persona ma all’idea e alla rappresentanza dell’idea. (Applausi). Quale è questa idea che io sembro dal destino, dagli avvenimenti, dalla vita stessa designato più che altri, ma accanto a molti altri, qual è questa idea che sembra dare alla mia attività un così grande rilievo? È l’idea dell’unità. L’idea creata dall’associare la fedeltà ai princìpi, alla doverosa capacità di progressione nella evoluzione storica; l’idea nella fede dell’eterna giovinezza e fecondità del nostro pensiero e della nostra azione. Ecco quello che mi pare di rappresentare, soprattutto. In questo senso penso che il plauso e l’augurio vada diretto all’unità del nostro movimento, all’unità che non può essere conservazione, che non può essere cristallizzazione, stasi, ma che al contrario deve essere progresso, evoluzione, aggiornamento ed eterna giovinezza. (Applausi). Una prima osservazione di carattere generale che mi viene naturale, considerando e riflettendo sul dibattito è la seguente: si è parlato di miti e badate che non voglio polemizzare con l’autorevole amico che ha accennato a questa parola e comprendo benissimo in che senso abbia voluto dirla. Ma egli ha agitato veramente un problema che esiste soprattutto nel cuore dei giovani, di coloro che conoscono meno la storia; egli in sostanza ha accennato alla esigenza di ricercare uno schema, una soluzione programmatica, una aurora, di vedere la Democrazia cristiana che sorge come il sole, come nello stemma socialista, di vedere una prospettiva completa, integrale della vita; soprattutto della vita politica ed economica. Questa idea veramente dovrebbe avere la forza suggestiva di un mito. I giovani specialmente lo cercano questo mito nell’angoscia della concorrenza con altri ideali o con altre prospettive che si lanciano. Se i comunisti hanno questa visione apocalittica del mondo che crolla e paradisiaca del mondo che si riorganizza nell’uguaglianza e nella giustizia, perché anche noi non possiamo trovare il sistema, la rappresentazione organica di questo mondo nuovo che vogliamo costruire, di questa aurora che deve mostrarsi? E ciò è tanto vero che è un bisogno del nostro spirito che nella storia del movimento sociale troviamo parecchi esempi. Voi lo sapete amici perché avete studiato la storia del nostro movimento sociale. Ad un certo momento si è creduto nella funzione organizzativa e rappresentativa integrale della produzione, ossia nel capitalismo. Badate bene distinguiamo, come io distinguo bene la funzione rappresentativa dell’interesse da una parte, e dall’altra la funzione rappresentativa della istituzione corporativa. Un tempo in Italia fu creduto di distinguere queste due cose: che la fatica mia era allora quella di scrivere sotto un anonimo naturalmente per fare comprendere le differenze fondamentali fra l’una e l’altra cosa. E questa interpretazione si è potuta forzare anche dimostrandola e rappresentandola nei documenti pontifici, quando abbiamo avuto la tesi fascista che era in realtà quella del sistema corporativo che allora prendeva campo e dappertutto si trovavano proclamazioni del principio corporativo. Abbiamo il proclama di Leone XIII, lo abbiamo avuto in Francia attraverso l’Action française, lo abbiamo avuto attraverso gli amici cristiani sociali in Austria, abbiamo avuto cioè il tentativo di una riforma corporativa perché si credeva che questa formula corporativa risolvesse il problema acuto in cui ci si dibatteva allora. Quindi o parlate del mito attraverso l’intervento dello Stato oppure parlate della riforma di Dollfuss dello Stato protettore, dello Stato unitario che sotto la sua egida avrebbe risolto il problema, questo mito che è poi dentro gli atti pontifici non soltanto è la premessa politica della stessa fine di Dollfuss, ma ha fatto fallire anche quell’idea ed ha portato a quelle conseguenze economiche di cui tanto si è parlato. Si è parlato anche di coloro che hanno condotto la loro azione fino a che non hanno trovato una grande resistenza per ragioni di applicazione possibile del sistema anche altrove. Ci fu un tempo in cui era difficile fare capire che questa strada, quella dei documenti pontifici costituiva un primo tentativo e, badate si era già proceduti in modo che, parallelamente si era manifestato un altro tentativo meraviglioso che veramente ha sorriso alla mia giovinezza quando ci trovammo accanto i socialisti che attaccavano, in fondo, il capitalismo, e citavano con serie critiche il sistema di Marx o di Lassalle contro lo stesso capitalismo. Allora era parso di aver trovato un’altra leva più potente del capitalismo nella storia, e si era arrivati addirittura al diritto canonico. Voi sapete che questa leva è esistita fin dal Concilio laterananse del 1515 quando si è proclamata l’abolizione assoluta dei prestiti di moneta e di interesse. Se questa previsione si fosse potuta applicare (in sostanza non è mai stata abolita come formula canonica) nel mondo moderno, evidentemente il capitale e il lavoro sarebbero stati distrutti. Tanto si discute su questo principio, e tante discussioni avvennero, principio che era stato ripreso da Benedetto XIV e che era stato discusso fin dal 1880/90: quante speranze aveva suscitato. Poi di fronte alle applicazioni che si sarebbero dovute trarre per la vita moderna, di fronte ai danni che si creavano alle obiezioni che erano nate dalla pratica e dallo sviluppo della organizzazione del credito, il mito del capitalismo venne lasciato ed oggi nessuno vi crede più. Ma questi due miti non sono gli unici: si cerca sempre un altro mito; e se ci riuniremo in altri Congressi ci saranno ancora dei giovani che cercheranno questo mito perché cercheranno una formula che dia soddisfazione; che dia la prospettiva e infiammi le folle. Ma quale è la conclusione per lo meno odierna a cui l’esperienza ci ha condotti?; è questa: le dittature passate e la minacciata dittatura di domani, lo stesso peso fatale della burocrazia statale e dell’interventismo sistematico hanno messo contro ogni teoria e contro ogni riflessione e discussione in prima linea la questione della libertà personale e politica, ossia la questione del regime democratico. E se a questo Congresso il segretario politico ha posto in discussione soprattutto l’ordinamento democratico non è che sia sfuggita in realtà la situazione economica, che egli non abbia voluto toccare l’argomento più difficile. No. Se è vero che prima di tutto è necessario salvare il regime democratico e la libertà, allora è vero che almeno nel periodo attuale, all’epoca che attraversiamo, la linea della soluzione va cercata in una linea di mediazione fra la necessità di servire la libertà e la tendenza ad una sempre maggiore giustizia sociale, fondata naturalmente sopra la distribuzione del credito. Questa è la nostra strada, ma questa strada non l’abbiamo inventata noi; è la conclusione dell’esperienza, è il terreno solido su cui dobbiamo camminare. Naturalmente qui subentra la questione della produzione, la relazione fra libertà e produzione e siamo nel campo dell’esperienza. Allora si presenta il problema della socializzazione. Ma è chiaro, innanzi a questa via di mediazione di cui ho parlato, ad un dato momento prevale la produzione sulla distribuzione, conforme alle premesse locali prevale ora l’una ora l’altra; se avete fonti di energia a disposizione, risorse, prevale il problema di distribuzione, che si impone perché avete già risolto o potete risolvere il problema di produzione. Ma se siete in un paese come l’Italia a cui mancano le fonti di energia o sono scarse, e avete una densità di popolazione dove queste condizioni impongono che prevalga il problema della produzione, o a meno che il problema della distribuzione venga parallelamente ad essere risolto insieme a quello della produzione. Ciò non vuol dire che non ci possa essere socializzazione di singoli servizi, che non ci possa essere soprattutto un piano. Noi non abbiamo il piano quinquennale, ma piani ne abbiamo parecchi: la Cassa del Mezzogiorno è un piano decennale, quello dei Lavori Pubblici è un piano anch’esso, quello della Agricoltura presentato da Fanfani è un piano che vale per 10 anni; il piano delle ricerche nel Mezzogiorno del gas non è qualcosa di controllato? Il piano del petrolio, del metano è anch’esso un piano di socializzazione di una fonte dello Stato. Quindi, in pratica questi problemi vengono risolti, ma bisogna risolverli di caso in caso, secondo un criterio preciso di giustizia sociale e di concretezza. Ecco dove, signori miei, si vede tanto chiaro che non bastano dichiarazioni generiche; bisogna studiare, bisogna vedere i lati concreti, veder di trovare una soluzione, la quale possa corrispondere ad un risultato immediato, oppure ad un risultato prevedibile entro un certo periodo. Studiare di più, il generico è un pessimo servizio; si può buttare una parola in un congresso, ma in una sezione poi, in una riunione di gente competente bisogna arrivare con statistiche e con dati. Così, anche la polemica dello statalismo contro lo statalismo, o per l’intervento dello Stato. Il nostro amico don Sturzo è furibondo contro lo statalismo. Lui se la prende anche contro la statizzazione del petrolio, ma l’abbiamo noi questa questione affrontata, abbiamo avuto discussioni fatte su rapporti, su cifre, su risultati e si è arrivati alla conclusione cosciente, consapevole che fosse necessario che lo Stato intervenisse per dirigere questo sviluppo, queste ricerche e questa energia nazionale. Certo che uno può essere nella Democrazia cristiana e avere delle opinioni in senso contrario e può anche, soprattutto, essere impressionato dalle cattive conseguenze di una amministrazione, dai difetti che si trascinano attraverso una burocrazia. Insomma, anche qui, siamo di fronte a circostanze di fatto che possono essere positive. Innegabilmente vi sono soluzioni che idealmente sarebbero necessarie, accettabili, ma che però, se trovano strumenti non adatti, se trovano un’amministrazione non pura, se trovano facilità di corruttela e soprattutto aumento di un’azione burocratica amministrativa, allora quelle soluzioni che sarebbero a posto possono diventare anormalità, donde il fatto che ci costringe assolutamente – anche il governo – a studiare caso per caso, decidere secondo i dati che abbiamo e le prospettive che si possono presentare. Intervento dello Stato. L’amico Pastore ha accennato in tono commosso alle ragioni per le quali lo Stato non accetta la regolamentazione che la Costituzione prevede e che noi abbiamo cercato di formulare in una data legge , il cui testo sarà sottoposto alla discussione della Camera [ed] è stato approvato dai rappresentanti sindacali. È stato detto «lasciate che il sindacato sia libero» ed è stata giustificata questa richiesta con il fatto che nel periodo degli ultimi cinque anni la scioperomania è diminuita, quindi, il pericolo del disordine nello Stato è diminuito . Amico Pastore, proprio in questi giorni abbiamo degli scioperi, che, se continuano e se non esistesse alcuna sanzione, metteranno lo Stato in una situazione ridicola, perché quando una categoria per mantenere una posizione che ritiene giustificata, ricorre ad abbandonare l’ufficio e a queste misure contro lo Stato, non c’è ministro o governo che abbia l’autorità di fermarla e nemmeno il Parlamento che possa invocare un mandato di fiducia per risolvere questo problema. Ma allora, attraverso il sindacalismo – e vi do atto che voi in quest’ultimo periodo siete intervenuti per non far fare questo sciopero – attraverso questo sindacalismo il carattere dello Stato forte dove va a finire, caro amico Gonella, se siamo forti con tutti e in casa nostra, nei nostri ministeri, siamo deboli? Questo mi dice, amici, che la democrazia, per essere forte, deve essere anche contro la demagogia, (applausi), anche a costo di sacrificare un nostro momentaneo interesse. Se vogliamo essere un governo democratico sul serio, non possiamo permettere, per esempio, che una qualunque categoria ricorra alla forza per mantenere un suo interesse fino a quando ci sono altri mezzi da far valere, come nel caso specifico cui mi riferisco per il quale esiste una legge davanti al Parlamento. Il ricorrere alla forza in questi casi, costituisce un attentato contro la democraticità e la libertà dello Stato. So che è poco popolare dire queste cose, ma uno dei punti deboli del nostro partito è proprio quello di avere il coraggio di dire le cose giuste a qualunque costo. (Applausi). Naturalmente io ho portato questo esempio, perché data la sua attualità, mi brucia maggiormente, ma potrei citarne altri. Evidentemente quando sono di fronte gli interessi dei datori di lavoro, e di una categoria di lavoratori, il nostro istinto è quello di prendere posizione per i secondi, ma quando ci troviamo di fronte allo Stato che rappresenta gli interessi collettivi, se dello Stato noi abbiamo la responsabilità (se fossimo all’opposizione la cosa sarebbe diversa) dobbiamo comportarci in conseguenza, tutelando gli interessi di tutti. Ecco perché io ed altri colleghi abbiamo insistito perché si affrontasse il problema della legge sindacale. Noi non diciamo naturalmente di accettare il testo governativo nella sua esatta formulazione e non diciamo nemmeno di accattare tutti i limiti allo sciopero che proponiamo, ma discutiamone: ci sarà pure un minimo in cui lo Stato avrà il diritto, di fronte alla possibilità dell’abuso (che non commetterete voi della Cisl cui anzi do atto di senso di responsabilità), di battersi per l’interesse collettivo e per la libertà di tutti. (Applausi). Se dunque non esiste la formula del mito, esiste qualche cosa di prezioso nel nostro patrimonio morale e dottrinario, esistono cioè dei princìpi e delle direttive di interesse sociale alle quali noi siamo tenuti. Senza di esse io non so quante volte avremmo smarrito la giusta via. Perciò io mi richiamo al valore del cristianesimo anche nella preparazione sociale. Io ho sentito in questo Congresso il discorso del presidente delle Acli, questa magnifica organizzazione che cura la preparazione dei lavoratori. Non vorrei che suonassero a critica le mie parole se mi accorgo, guardando la storia del nostro movimento sociale che esistono troppi teologi e filosofi, ma pochi economisti. Noi abbiamo molte affermazioni generiche, senza dubbio anche elaborate e razionali, nonché illuminate dalla fede, ma abbiamo pochi dati che ci permettano conclusioni esatte per determinati luoghi e per circostanze specifiche. E se posso raccomandare qualche cosa, specialmente nei riguardi della preparazione di giovani, io prego di far studiare loro i fenomeni economici, sulla base delle statistiche e naturalmente inducendoli ad elaborare e a discutere i fenomeni stessi. Già in parte questo si è fatto ed io non posso negare i progressi fatti dalle «Settimane sociali» ultime, ma è bene cercare di commisurare questi studi alla realtà che si evolve ogni giorno ed ai princìpi che, in fondo, sono contenuti anche in tutti i documenti pontifici. Questi documenti senza dubbio sono giusti e corrispondono ad una precisa visione di un determinato momento; ma la realtà economica si evolve, i problemi si moltiplicano e si complicano ed è necessario commisurarli ai fatti economici così come questi si sviluppano. Lo ha detto bene il segretario politico, esistono i rapporti con l’Azione cattolica. Quando venne Attlee, il capo del laburismo inglese, in Italia egli chiese: «voi siete cristiani?», gli fu risposto: «noi non diciamo di essere cristiani, ma lo supponiamo». Ed io rispondo ad esso: noi non diciamo di essere dell’Azione cattolica ma noi doverosamente lo supponiamo. (Applausi). La collaborazione – ha detto benissimo il segretario Gonella – è assolutamente necessaria, e noi cercheremo di attuarla senza entrare in conflitti. È anche necessario che vi sia una netta distinzione di responsabilità, (applausi), poiché noi siamo portati dalla storia in questo momento a fare della politica secondo il regime democratico, bisogna che queste responsabilità siano fissate, garantite e risolte in base a questi princìpi democratici. (Applausi). Questa è la base del nostro lavoro. Qui, naturalmente, parlo di responsabilità politiche, parlo di responsabilità di partito, che non sono affatto richieste né avocate a sé dall’Azione cattolica. Ma io dico: non esitiamo come democratici cristiani a ricorrere a tutto quello che ci viene non soltanto specificatamente dalla esigenza religiosa ma anche riconosciamo i lumi che ci vengono dalla esperienza sociale della Chiesa. Quando il disastro del Polesine ci rivelò la piaga che esisteva nella valle del Po, abbiamo trovato non soltanto una piaga di carattere sociale, ma una piaga anche di carattere morale e religioso. Come non sentire che laddove questa termite della miseria che corrode l’interno dei paesi e delle istituzioni esercita la sua azione, come non sentire che tutto questo è fatale se non sovviene la mano della Chiesa ad illuminare le coscienze a ad apportare qualche sollievo con la sua carità? Ecco perché, accanto alle distinzioni della responsabilità si manifesta necessaria la collaborazione di quelle che sono le condizioni sociali e la coscienza collettiva. Abbiamo, nel sistema democratico, il mandato politico ed amministrativo con una responsabilità specifica; ed anche questo è un fatto che bisogna fissare molto bene. Però, parallelamente, è vero, non vi è una responsabilità morale dinanzi alla coscienza e che la coscienza per decidere deve essere illuminata dalla dottrina e dall’insegnamento della Chiesa. Noi, amici, dobbiamo sentire soprattutto la libertà e la dignità della Chiesa, dobbiamo sentirci attratti verso il capo della Chiesa universale, (applausi), dobbiamo sentirci come figli debitori, dobbiamo sentirci come i figli devoti in cui il nostro Padre è soggetto con la sua Chiesa, non qui ma altrove, a dolorose persecuzioni. A proposito dell’esortazione allo studio che ho fatto prima vi do un esempio. Si dice e si continua a ripetere che siamo innanzi ad un fenomeno di concentrazione della ricchezza. Allora è giusto che si esaminino le statistiche ed il corso dello sviluppo dell’agricoltura e dell’industria in genere in Italia per arrivare alla conclusione se sia vero che qui da noi e fino a che misura esiste una tendenza fatale alla concentrazione della ricchezza. Se esiste bisogna incidere con provvedimenti molto energici; se non esiste bisogna regolarla con provvedimenti meno energici, ma è necessario che il problema venga esaminato dal punto di vista delle statistiche e dei risultati completi. Vi leggerò alcuni dati che mi ha dato il ministro dell’Agricoltura. Senza calcolare gli effetti della riforma, la piccola e media proprietà rurale costituisce il 74%, se si considera la grande e piccola proprietà cioè quella che va [da] una media di 200 ettari in su. Nei due periodi del dopoguerra, la precedente e quest’ultima, si sono rappresentati sensibili trasferimenti di ricchezza. Dopo il primo conflitto mondiale un milione di ettari andarono a costituire la piccola proprietà. In questo dopoguerra, col decreto legge 24/2/48 che favorisce la piccola proprietà contadina è stato consentito a 151 mila coltivatori di acquistare 328.382 ettari. Ma si calcola che 700 mila ettari siano passati in mano ai contadini e a ciò si deve aggiungere l’azione della riforma agraria. Queste cose bisogna pur dirle, perché si sappiano, perché siano manifeste, bisogna avere il coraggio di dirle anche per raddoppiare il nostro zelo futuro. E lo stesso io dico a proposito del trasferimento della ricchezza: è un problema di statistica ed io non voglio annoiarvi in concreto dandovi dei dati, ma certo è che si tratta di un problema che merita un attento studio. Bisogna anche aggiornarsi nel concreto dell’industria, della vita industriale ed esaminare la distribuzione delle funzioni e gli abusi che si possono verificare, bisogna aggiornarsi sul problema che riguarda le società per azioni. Certe cose noi dobbiamo considerarle per fare del nostro partito un partito che partecipa alla vita nazionale e non come i partiti di opposizione che per principio possono considerare il problema industriale come un problema redditizio esclusivamente per loro. Noi dobbiamo preoccuparci di questo e dobbiamo avere la forza di chiedere e di invocare la collaborazione giornaliera di tutti, perché noi dobbiamo fare una politica di fondo anche in questo, ed intervenire in questo come Stato. Noi siamo lo Stato ed abbiamo tutto l’interesse di rappresentare tutte le forze e di renderle operanti. Il partito nostro è il partito della nazione e perciò dobbiamo avere una visione panoramica degli interessi e cercare di subordinarli tutti all’interesse della comunità, soprattutto di indirizzarli ad un opera di giustizia sociale. Questo vuol dire ciò che mi hanno chiesto alcuni oratori quando hanno detto che cosa vuol dire il nostro interclassismo: solo in questo senso Toniolo parla della classe ed in questo noi dobbiamo intervenire altrimenti obbligheremmo il partito a diventare il partito corporativo, il partito delle diverse categorie; ma non sarebbe mai un partito democratico nazionale, come noi dobbiamo essere e del quale dobbiamo affrontare tutta la responsabilità. Il punto dove ci possiamo facilmente intendere con gli antichi mazziniani o con i liberali di nuovo conio, non quelli di vecchio indirizzo, con questi che reagiscono contro il totalitarismo , era che si operassero dei colpi contro la Commissione e la collettivizzazione, che portarono entrambe ad un collettivismo contro l’egocentrismo della categoria; questo punto è una ragionata giusta opposizione, parallela opposizione a quella che è oggi la nostra situazione politica. Poiché ho sentito dei dubbi e delle formule di perplessità su questo argomento, prego gli amici di studiare, di andare a vedere i documenti dove si parla del nostro spirito informatore. Si dice in quelli: a noi è necessario di mettere la concorrenza confluente in una ragione di giustizia. L’economia e più ancora la potenza economica siano di fatto soggette all’autorità pubblica in ciò che concerne l’ufficio di questa. Le istituzioni del popolo dovranno venire avvantaggiate e soprattutto l’esigenza del bene comune, cioè assoggettate alla legge della giustizia sociale. Ecco il principio che impegna l’intervento dello Stato in molte situazioni. E a proposito anche delle critiche [che] si sono fatte contro la nostra alleanza coi socialisti moderati. Questi potrebbero essere nostri alleati. Ma a proposito di leggi sociali voglio ricordarvi qualche passo dove si dice: [il] socialismo moderato non racchiude più in se i mezzi della produzione; quella supremazia deve essere propria del pubblico potere. Affermando questo si può giungere fino al punto che le massime del socialismo più moderato non discordino dai voti fondati sul principio cristiano. In verità si può sostenere a ragione esservi certe categorie di beni da riservarsi solo ai pubblici poteri quando portano con sé un tale onere economico che non possono essere lasciati in mano ai privati cittadini senza pericolo per [il] bene comune. (Applausi). Poiché il sistema democratico viene invocato e difeso contro il totalitarismo bolscevico, vuol dire che questa socialdemocrazia della quale i cattolici non possono accettare le ideologie (e si distanzia anche per una concezione organica della produzione), vuol dire che questa sociale democrazia ha raggiunto un tale ravvicinamento nell’esperienza sul terreno dei fatti che una possibile collaborazione è in vista o dovrebbe essere in vista quando vi sia la buona fede. (Applausi). Che cosa dobbiamo fare noi dinanzi alla prossima battaglia elettorale? Mi pare che tutto sia stato detto. Vorrei aggiungere solo qualche cosa che può sembrare secondaria ma che di fronte all’opinione pubblica ha un certo valore. Noi dobbiamo rassicurare l’opinione pubblica italiana che la difesa del regime democratico avrà spirito e norma costituzionali; in carattere e misura compatibili con le norme di questa Costituzione. E quindi mi viene spontaneo il ricordo di un violento e veramente inaccettabile attacco che Togliatti ha fatto al presidente della Repubblica. (Applausi vivissimi). Questo impudente attacco che non ha pretesto né fondamenta, questo impudente attacco è sintomatico; vuol dire che si prepara l’opinione pubblica in caso di necessità ad andare contro l’autorità suprema dello Stato che è fuori della lotta politica. Ed è veramente un atto rivoluzionario contro la democrazia, contro lo Stato democratico. Ed in verità noi dobbiamo protestare con tutte le forze ed invocare che la nuova legge che abbiamo proposto al Senato ci dia la possibilità di intervenire. (Prolungati applausi). 1°)Per rassicurare l’opinione pubblica dobbiamo fare in modo che ogni intervento venga effettuato salvaguardando il controllo parlamentare ed i diritti della minoranza. E ciò è fatto anche nella nuova legge. 2°)Bisogna dimostrare che nessun vantaggio ci sarà per nessun partito, neppure per il nostro. La linea di condotta da adottare deve essere consentita o dalla procedura giudiziaria o prevista per i casi di emergenza. Però amici miei quanto più si riveli la necessità di tali interventi, tanto più ci si impone di non comprometterci con le forze antiparlamentari e dittatoriali. (Applausi). Mi rivolgo a quanto ha scritto l’amico Gonella a proposito della riforma elettorale. Voglio soltanto ricordare i meriti del passato e che dovranno anche essere del futuro del nostro amico Scelba. (Lunghi reiterati applausi). A proposito della legge elettorale mi sia consentita soltanto una osservazione, di cui avrete bisogno per le polemiche che vi troverete fra i piedi nei giorni prossimi. Si dice che è una legge «truffaldina». Ho avuto anche io dei telegrammi in proposito. E la si confronta con la legge Acerbo. Ora si può dire truffaldina la legge Acerbo perché dava un’attribuzione di due terzi dei risultati alla lista che avesse raggiunto il 25 per cento di voti di vantaggio. Così avveniva secondo questa legge che con il 25,1 per cento si poteva conseguire il 66,66 per cento dei mandati; questa sì che era una truffa. Ma una legge come la nostra che esige la maggioranza degli elettori per avere un positivo risultato, questa è una legge veramente onesta e che corrisponde allo spirito democratico. Il fatto che non sia matematicamente eguale il rapporto fra voti conseguiti e seggi attribuiti non è una truffa; altrimenti sarebbero una truffa le ultime elezioni inglesi. Ad una maggioranza di voti riportata dai laburisti, corrisponde infatti una maggioranza di seggi riportati dai conservatori. Difatti i conservatori nel 1951 hanno avuto il 47,34 per cento dei voti. I seggi erano 319 e la percentuale dei seggi del 51,45 per cento. I laburisti hanno avuto il 48 per cento dei voti, ma con una percentuale di seggi del 47,25 per cento. E queste conclusioni risultano dalla differenza dei collegi, dalla storicità, da congiunture riguardanti i collegi e da tutto il sistema, perché è difficile che si tratti di sistemi di matematica pura. Ma che cosa avverrebbe se noi avessimo introdotto [il collegio uninominale] – e credo che se dovevo decidere io avrei introdotto il suffragio universale per collegio uninominale – che cosa sarebbe successo? Ma allora, in un dato collegio chi piglia la maggioranza piglia tutto? E per questo bisogna dire che la minoranza è truffata? La truffa sarebbe se alla fine, come conclusione, non si fosse mantenuto il principio della maggioranza che governa: la maggioranza governa la minoranza controlla. A meno che non volete che accettassimo una condizione in cui i due estremi, messi insieme, possono dir di no e negare tutto, compreso il bilancio, e messo insieme non possono dire a niente «sì» perché non ne hanno la forza. (Applausi). Potete, quindi, con tutta tranquillità appoggiare la nostra lotta per questa legge, senza dubbi per la vostra coscienza e, soprattutto, anche per la vostra ragionevolezza. Riguardo agli altri partiti dobbiamo distinguere tra partiti e individui. Noi abbiamo fatto un accordo tra i quattro partiti democratici che sono quelli che possono costituire una maggioranza abbastanza omogenea riguardante certi settori e settori fondamentali per i problemi che possiamo vedere di prossima soluzione. Abbiamo anche deciso che nessun altro partito possa accedere a questo accordo se gli altri quattro non sono della stessa opinione ed il segretario del partito vi ha detto per quale ragione non possiamo supporre di trovarci, in comune con i nostri alleati, coalizioni di altre tendenze che non fossero ben accette. Però, bisogna mettere bene in chiaro una cosa: non è che noi diamo il bando alle persone, che creiamo una specie di ostracismo, che gettiamo fuori – come hanno fatto con noi i fascisti – mettendo qualcuno ai margini della vita civile, no, perché noi riconosciamo che attraverso il suffragio possono arrivare alla funzione di controllo della minoranza e, se hanno la maggioranza, possono conquistare la maggioranza, perché la legge non stabilisce che la maggioranza debba essere democristiana. Ma dobbiamo poi guardare non solo ai partiti ma anche alle persone e dobbiamo tendere a recuperare le persone verso la democrazia con la persuasione della nostra opera di solidarietà, ma non possiamo recuperarle attraverso formule di partito che discriminano in modo tale che la collaborazione diventa impossibile verso le anime di buona fede, perché riconoscono sinceramente che la democrazia deve essere libera e generosa. (Applausi). Verso altri elementi che siano mossi veramente da un sincero sentimento e che si credono per questo ancorati per pregiudizio ad un partito, noi possiamo cercare di persuaderli che la loro opera è negativa, che aiuta proprio i comunisti contro cui dicono di combattere. Non possiamo disperare in una evoluzione di questo e quell’elemento, convincerli che lavoriamo per l’Italia, che sappiamo rendere giustizia e misericordia anche per quello che riguarda il passato. Perciò le due leggi sull’estensione di benefici di vario ordine ai combattenti della Repubblica sociale e quella dei mutilati e quella che riguarda le pensioni dei permanenti della milizia debbono essere portati avanti – sono già al Senato – per dimostrare che non vogliamo essere persecutori del passato, ma vogliamo, attraverso una legge di solidarietà nazionale, trovarli fratelli in questa democrazia che riconosce le libertà altrui. Non ci si lasci ingannare da una stampa provocatoria; il miglior mezzo per mantenersi equi e tranquilli è quello di non seguirla. Ultimo pensiero: mi permetterò di citare un autore francese: «il dispotismo, il cesare-papismo, il collettivismo sono mali che vengono dall’oriente. Dove trovano opposizione? Dove si urtano contro un senso di equilibrio? Si urtano nei paesi mediterranei, si urtano nel nostro senso latino. Approfondiamo, allarghiamo questo senso naturale che è della nostra nazione come pure di altre nazioni e di altri popoli mediterranei. Ricordiamo che lo Stato – ho citato un’altra volta questo autore romantico tedesco –, lo Stato è il rozzo involucro attorno al nocciolo della vita, il muro che cinge l’orto di frutta e di fiori umani. Ma a che giova il muro e la cinta se il terreno è arido? Qui giova solo la pioggia che viene dal cielo». Noi creiamo canali di irrigazione, centrali idrauliche – spero che voi comprendere[te] il mio parlare figurato – e invece prima che creare attrezzature abbiamo bisogno dell’uomo, della coscienza umana operosa e retta. Dobbiamo invocare la pioggia e che ci si illumini la coscienza. L’Italia è il meraviglioso giardino di frutti umani. Qui dopo Enea approdarono Paolo e Pietro , qui venne eretta la prima cattedra; e gli italiani sentono – e diciamolo a conclusione di questo Congresso – gli italiani sentono quanto sia vergognoso che si combatta contro il Papa. Gli italiani sentono; tutti gli italiani credono o perlomeno la stragrande maggioranza di essi che pure non è iscritta al partito, gli italiani di cui ho la certezza in questo momento di interpretare i sentimenti, gli italiani sentono che se questa cattedra fosse rovesciata la luce si spegnerebbe e la libertà sarebbe perduta per sempre. (Applausi).
881d62cf-9afb-47cb-bfd6-b8169bc27687
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sette anni sono passati? È vero, non me n’ero accorto ma non c’è dubbio, perché lo dice il calendario. Vi ringrazio dell’augurio. Ma non c’era ragione di far festa. Il giorno di oggi, come ieri, è uno dei 2.500 e più giorni trascorsi e scomparsi e non rimane di loro che l’esperienza vissuta. Sarebbe antipatico e presuntuoso infliggervi in occasione di un colloquio di cortesia delle considerazioni moralistiche. Quello che vi posso dire di aver imparato in quest’esperienza settennale di governo è che la vita sociale è più complessa di quanto inizialmente si crede, che la relatività delle cose vi gioca una parte maggiore di quella che si prevede, che in un paese come il nostro (e suppongo in molti altri) le opinioni e le valutazioni circa fini immediati e mezzi occorrenti mutano rapidamente. Che deve fare un uomo di governo? L’esperienza mi dice che in tutto ciò che è metodo, strumento o struttura, conviene essere duttili, comprensivi, pazienti e che l’energia, l’inflessibilità deve essere riservata a tutto ciò che per una nazione è certezza e fondamento permanente. Gli organismi possono mutare, ma quello che non deve spegnersi mai è il lume della coscienza morale, la fiamma che alimenta la vita nazionale. E la rende consapevole e libera. Qui è la lotta, qui bisogna battersi con tutte le forze e qui è la responsabilità innanzi alla storia, innanzi ai padri che ce l’hanno tramandata e innanzi a Dio che ci giudica, pesa d’un peso che si sente sempre più grave, a mano a mano che passano i giorni e gli anni. Ecco amici miei le conclusioni dell’esperienza come ve le ho potute rapidamente riassumere in questo momento. Richiesto quali fossero le preoccupazioni e i crucci più attuali, più vicini, più contingenti, il presidente si è così espresso: comprendo dove vuol parare, ma io turberei questo colloquio che vuol essere semplicemente umano con argomenti di polemica. Ma le dirò che anche nel sistema elettorale in discussione ciò che lo eleva e moralmente giustifica è che vuol essere uno strumento per organizzare la democrazia, per rendere consapevoli i democratici dei diversi partiti che la contingenza storica affida loro il compito di salvare il regime democratico con la libertà per tutti, uno strumento insomma che rende possibile e fruttuosa la loro libera colleganza. È uno sforzo di coalizione, come nel settennio altri se ne fecero, sempre al fine di radunare le forze che già diedero prova di fedeltà al regime libero e che daranno prova della loro lealtà verso il regime democratico. Come si può fantasticare di preparazione alla dittatura, quando il sistema ingaggia e unisce tutti i partiti democratici autonomi nel resto e concorrenti fra loro onde assicurare la libertà? Quando faccio l’esame di coscienza su questi sette anni, molte sono le ragioni che mi umiliano: i miei sforzi non furono sempre adeguati, ho certo commesso degli errori, e soprattutto si accreditano a me dei meriti che sono invece dei miei validi collaboratori e più che ad ogni altro sono dovuti alle energie di lavoro e di fede del popolo italiano; ma ciò che mi pare grottesco è il sospetto che un uomo che ha combattuto, sofferto e operato sempre per la libertà, possa, dopo tanta e siffatta esperienza, aprire la via a uno Stato tirannico o totalitario. Questo no, mai, fin che avrò vita e sarò in grado di dare o di eseguire un ordine e di levare la voce.
18a9fc28-590f-4a27-97b4-c2707b606ea8
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Caro Rusconi, no, non bisogna perdere la fiducia nel sistema democratico. Le sue deficienze organiche sono molte e talune diventano evidenti solo quando la macchina è in movimento e il ritmo del suo lavoro si fa più intenso e oneroso. Nel meccanismo rappresentativo non abbiamo fatto i progressi di sincronismo e di precisione raggiunti dalla meccanica in altri settori. Ma i progressi necessari dovranno venire e non sono poi così difficili. Occorre solo riformare in senso più rigoroso il Regolamento e soprattutto accrescere nello statuto e nella prassi l’autorità arbitrale del presidente della Camera. Alla Camera dei Comuni il presidente tiene l’ordine con dei cenni e con brevissimi interventi. Si dirà che gli inglesi sono più flemmatici, ma invece è vero che il parlamento inglese dovette superare a più riprese delle crisi tragiche di violenza e le superò imponendosi una rigida disciplina. Il compito dell’opinione pubblica illuminata è appunto, anche nel nostro caso, quello di chiedere a gran voce che governo, senatori e deputati diano al paese un doveroso esempio di autodisciplina e di fermezza. È inutile illudersi che nelle presenti circostanze, ci si possa gingillare con una prassi che suppone una ragionevolezza e una reciproca comprensione che sventuratamente non esistono. È anche aberrante invocare che il governo, come tale, intervenga al di fuori delle procedure parlamentari e sostituisca le sue responsabilità a quelle che la legge fondamentale attribuisce alla Presidenza delle Camere. Comprendo che facciano scandalo specialmente l’aggressione e la zuffa. Ma il Regolamento prevede la possibilità dell’intervento manu militari, quando il presidente della Camera così disponga. Dunque, il rimedio c’è, ma si capisce che, trattandosi di un intervento diremo chirurgico, possa accadere che non lo si faccia, perché il male diventa acuto all’improvviso ovvero perché per la lunga desuetudine, non ci si era comunque preparati. Senonché l’attuale presidente della Camera, anche nella recente contingenza, è apparso disposto ad assumere le sue responsabilità, né è lecito supporre che, nel caso di necessità grave, egli non sia pronto ad un’operazione che si dimostrasse inevitabile. Insistiamo quindi nello sforzo di salvare e, ove occorra, di migliorare il Parlamento, correggendo il parlamentarismo deteriore e rifiutiamoci, come vedo che fa lei, caro Rusconi, di cadere dalla padella nella brace. È inutile pensare ad una dittatura personalistica e temperata, a mezzadria con la libertà. Prima di tutto non siamo ai tempi di san Luigi, che dettava leggi e sentenze, seduto in trono sotto la quercia, ed in secondo luogo siamo in Italia, con le sue passioni e con le sue esperienze storiche, con i suoi problemi sociali incalzanti ed agitati. Qui la mezzadria politica non va. Chi la tentasse, verrebbe travolto. Allora la dittatura di un uomo, con dietro un partito, un sindaco, un esercito? Esperienza terribilmente fallita. Allora, caro Rusconi, merita incoraggiamenti il suo sforzo di convincere i suoi lettori – se di tal genere ne avesse – che la democrazia va corretta sì, ma difesa, e che al posttutto ogni Parlamento trova nelle elezioni il suo correttivo. Gli organi di opinione pubblica possono far molto nell’illuminare gli elettori, affinché vengano scelti gli uomini ragionevoli e non i violenti, i democratici e non i demagoghi. Ho scritto queste considerazioni non per il pubblico, ma perché possono forse essere utili a lei, quando scrive per il pubblico. Cordialmente
6b26c5cf-1f8d-4b9f-b585-8e5a4e68391a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Prego informare Quaroni se non lo si è già fatto, che io con Eisenhower adoperai tale formula: come europeista non abbiamo obiezioni di principio contro l’Esercito Europeo; ma non accettiamo altri motivi: europeo o atlantico. Consideriamo esercito integrato come provvedimento d’emergenza e di precedenza, ma provveduto una volta al vallo, potremo studiare con più calma la soluzione europea.
dd319f08-9228-48e9-864c-e7b7426e7090
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Per l’onorevole Lombardo. Mi riferisco al Suo telegramma n. 80. Come è stato esplicitamente comunicato al TCC , lo sforzo italiano di difesa per il 1952-1953, indicato in 613 miliardi di lire, contiene per un 15% circa, un «consumo di risorse economiche» a valere sugli stanziamenti straordinari per il seguente esercizio. Se il Parlamento, in altre parole, approva tali stanziamenti, il ministro della Difesa può già impegnare nell’esercizio 1952-1953 parte dei fondi straordinari dell’esercizio 1953-1954 ed ottenere così, mediante mobilitazione di crediti, produzioni straordinarie, destinate al «build up» nel 1952-1953. Non sarebbe possibile per noi, in tali condizioni, accettare un minimo di contribuzione alla CED che si basasse sulla cifra di 613 miliardi da noi avanzate in sede NATO. Aggiungo che detta cifra non diverrà comunque definitiva che dopo le prossime discussioni TCC a Lisbona, relative anche alle condizioni economiche indicate da noi come basilari per la realizzazione del nostro sforzo. Infine, come rilevato nella nostra risposta al TCC, la quota di onere finanziario per la difesa rappresentata dai 613 miliardi supera quanto l’Italia dovrebbe contribuire su una base di equa ripartizione. Se si dovesse accettare il concetto di «minimo», che continua ad apparirci poco opportuno ed anzi controproducente ai fini della CED, tuttavia questo non potrebbe oltrepassare per noi il totale delle spese ordinarie di bilancio per la difesa .
0b94a88e-4a31-4315-9567-c0cfc3cfdb15
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Si ritiene opportuno iniziare fin d’ora discussione problema sede Organi CED e porre candidatura Torino quale sede Assemblea. Palazzo Carignano come noto fu da esperti Consiglio d’Europa trovato a suo tempo tecnicamente acconcio. Contro eventuale proposta Strasburgo può far rilevare che discussione problemi militari è assolutamente vietata da Statuto Consiglio d’Europa, membri Consiglio d’Europa non appartenenti CED potrebbero quindi opporsi; coesistenza due segreterie, necessariamente diverse, potrebbe dar luogo inconvenienti notevoli. Se candidatura Torino fosse accolta, da parte nostra saremmo d’accordo su distribuzione altre sedi come segue: Consiglio Ministri e Commissariato a Parigi e vicinanze scopo miglior coordinamento con Organi NATO e CED, a Aja Corte Giustizia, in Belgio e Germania Scuole Militari. Pregasi svolgere sondaggi del caso presso codesto Governo e riferire.
89341a33-cfd4-4bbf-a6e4-436ffc0c043b
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Da parte autorevolissima statunitense mi è stato annunziato che a Lisbona non si faranno pressioni, perché venga aumentato il previsto stanziamento straordinario per la difesa, giacché si riconosce che le ragioni addotte riguardanti la situazione economica e il caso particolare delle alluvioni spiegano a sufficienza il nostro atteggiamento. Si desidera però che venga dato affidamento di utilizzare più che possibile gli stanziamenti straordinari per la produzione, cioè per accrescere le possibilità difensive, delle formazioni esistenti, avendo di mira piuttosto l’aumento di efficienza che lo sviluppo dei quadri. Tanto ti comunico anche perché tu possa orientare i partecipanti e gli esperti militari che si recano a Lisbona.
d5c99d1e-7ee1-474d-9531-b78f9e2bf4de
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Suo 26. Ritengo opportuno esporre riassunto nostra posizione circa relazioni CED-NATO scopo evitare che sorgano certi malintesi. 1)Progetto garanzia reciproca fra Paesi CED come esposto in art. a) documento lavoro Comitato giuridico Conferenza Parigi del 25 gennaio è stato da noi approvato in via di massima al pari degli altri ministri degli Esteri in seduta 27 gennaio. 2)Non possiamo invece interamente accettare art. b) della stessa proposta, concernente garanzie Paesi CED a favore Paesi Atlantici non membri CED, poiché non riteniamo formulazione proposta sufficientemente chiara quando sancisce reciprocità da parte Paesi Atlantici. Reputiamo necessario infatti anche richiamo ad art. 5 Patto Atlantico così che impegni reciproci siano esattamente identici, per evitare rischio che Paesi CED vengano a dare a Paesi NATO (non membri CED) garanzia più stretta ed automatica di quella che Paesi NATO stessi darebbero, in cambio. Per stesse ragioni non abbiamo accolto l’inciso «au sens de l’art. A ci-dessus» contenuto in art. B del progetto redatto a cura giuristi NATO. A nostro avviso tale posizione su questo punto dovrebbe corrispondere a quella tedesca come accennato in Sezione I lettera a) del documento tedesco di lavoro del 12 corrente alla Conferenza CED, nel quale appunto parlasi di «genau reziproken Bestimmung». 3)Per quanto concerne proposta tedesca contenuta citato documento 12 corrente sezione III lettera a), idea ci appare suscettibile in via generale di essere accolta in sede atlantica. Per poterne parlare a Lisbona con cognizione di causa occorrerebbe conoscere dettagliate proposte tedesche in argomento con particolare riguardo delimitazione casi in cui si dovrebbe prevedere riunione comune Consigli CED ed Atlantico, nonché con riguardo a conseguenze delle eventuali differenze di opinione in dette riunioni comuni. 4)Per quanto concerne coordinamento e collegamento fra organi NATO e organi CED di cui a sezione III lettera b) del citato documento tedesco, essi avverrebbero a livello tecnico e riguarderebbero materie singole: ci sembra che il principio sia in via di massima pacifico. Attuazione di esso potrebbe più utilmente essere oggetto di singoli accordi pratici fra organi NATO e Commissariato, dopo inizio funzionamento Comunità, man mano che singoli problemi dovranno essere risolti.
d6dbd9ae-ae37-4859-aa2a-ce8cdb599f05
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Presente est diretto alla Delegazione italiana alla Conferenza Comunità Europea Difesa. Per opportuna conoscenza si trascrive quanto la nostra Ambasciata di Bonn ha telegrafato in data 13 corrente: «Questa sera sono stato convocato dal sottosegretario Hallstein . Questi ha voluto parlarmi di due questioni delle quali la prima che concerne la garanzia di reciproca assistenza dei Paesi che fanno parte della CED, è considerata da lui molto urgente in quanto prevede che essa sarà domani discussa a Parigi. Hallstein mi ha detto che la delegazione italiana avrebbe riportato ora in discussione la formula sulla garanzia e sulla reciproca consistenza nel caso di aggressione fra i vari Stati membri discostandosi da quella concordata già nelle riunioni precedenti al livello Ministri degli Esteri. Egli ritiene che agli interessi degli Stati più esposti, quali l’Italia e la Germania, corrisponda maggiormente la formula precedente più ampia che è stata proposta ed accettata anche da noi. Mi ha detto che è probabile che si tratti degli stessi scrupoli di natura costituzionale affiorati già nelle discussioni precedenti. Hallstein ha insistito sul fatto che la formulazione adottata non impegnava, oltre il limite consentito dalle rispettive costituzioni, gli Stati partecipanti. Egli anzi ritiene che era stato un successo l’aver ottenuto l’approvazione di Stati meno interessati di noi. Hallstein sarebbe grato se V.E. ritenesse riesaminare la nostra posizione». Informo, per opportuna conoscenza e norma di linguaggio, che ho telegrafato quanto segue alla nostra Ambasciata a Bonn […] .
ab345d69-9fc2-4ac6-a8cf-d90ed4f88ca4
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’on. De Gasperi, prendendo la parola sul rapporto Schuman faceva anzitutto rilevare come le numerose difficoltà che si frapponevano alla realizzazione della CED fossero ormai in via di superamento, e sottolineava la convinzione dell’Italia che la CED debba in breve venir completata da un’associazione a carattere politico che realizzi una struttura federale e confederale. Io credo – diceva l’on. De Gasperi – che sia giusto sottolineare lo spirito di conciliazione e di buona volontà, lo spirito veramente europeo con cui tutte le Delegazioni hanno lavorato, coscienti dell’importanza capitale che il successo dei nostri sforzi aveva per la difesa comune. Questo spirito non ha animato soltanto le Delegazioni dei sei Paesi chiamati a costituire la CED, ma anche tutti i membri del Patto Atlantico. L’on. De Gasperi ricordava poi come attraverso la CED sarà possibile alla Germania di contribuire allo sforzo comune della difesa della Europa occidentale consentendo allo stesso tempo una stretta fusione delle forze dei sei Paesi. L’ordine del giorno approvato dal Parlamento francese – osservava De Gasperi – ha sottolineato la volontà della Francia di concorrere con tutta la sua energia all’edificazione di una Europa unita e di assicurare la subordinazione dell’Esercito europeo ad un potere politico supernazionale sia pure di competenza limitata ma effettiva e responsabile di fronte ai rappresentanti delle assemblee e dei popoli europei associati. Nessun Governo più di quello italiano ha coscienza del fatto che l’Associazione dei sei Paesi nella CED dovrà portarsi entro breve termine a completare l’integrazione sul piano politico realizzando un’organizzazione a carattere federale. È questo un punto – diceva l’on. De Gasperi – al quale il Governo italiano attribuisce una importanza fondamentale. Una semplice associazione di forze armate non sarebbe uno strumento efficace, una unione che potrebbe durare nel tempo, se non fosse seguita dai necessari sviluppi politici . L’on. De Gasperi, sottolineava poi la necessità di tenere presente nella formulazione definitiva degli impegni giuridici contenuti nel trattato costitutivo della comunità, la necessità di rispettare le esigenze delle singole costituzioni nazionali e concludeva il suo discorso affermando che la collaborazione fra la comunità atlantica e la comunità europea è necessaria ed essenziale; pur in tale stretta collaborazione le due organizzazioni conserveranno la loro differente fisionomia, la NATO costituendo la solida organizzazione della comunità atlantica e il baluardo della difesa del popolo libero e la CED il nucleo della Federazione europea. […] Il presidente del Consiglio, on. De Gasperi, al termine della seduta ne commentava i risultati dichiarando: Con il patto odierno delle 14 nazioni, la prima fase dei nostri sforzi può dirsi conclusa. Ora la parola decisiva spetta ai parlamenti; ma la creatura nata oggi a Lisbona dalla volontà di pace dei popoli liberi è viva e vitale. Rispondendo poi ad alcune domande rivoltegli dai giornalisti , l’on. De Gasperi, affermava: È naturale che i ministri delle potenze occupanti vedano nel progredire della Comunità di Difesa europea anzitutto il fatto che essa chiude il periodo del dopoguerra tedesco e nessuno può negare l’importanza anche di questo esaurirsi in una costruzione pacifica di un urto così vasto e così tragico. Ma, al di là di questo ciclo noi tutti, occupanti o no, che abbiamo fin da principio spinto più in alto le ali della speranza, possiamo celebrare anche l’inizio di una nuova storia europea. La navigazione sarà ancora difficile – ha concluso il presidente del Consiglio – ma, al punto in cui siamo, ritengo ormai escluso che la nave possa fare naufragio.
9072f44d-2218-471f-bc06-19e727409548
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
[…] La costituzione della Comunità europea di Difesa segna l’inizio di una nuova era nella storia dell’Europa e nel mondo. Il ciclo delle guerre fratricide che sono state sempre per l’Europa vere guerre civili si chiude per dar luogo ad una collaborazione durevole tra i popoli. L’Italia è fiera di essersi battuta per questi principi e di essersi adoperata con grande tenacia e decisione per far superare gli infiniti ostacoli che si frapponevano alla realizzazione di questo ideale. L’Italia è ferma nel suo proposito di continuare su questa via e di tendere verso la costituzione dell’autorità politica supernazionale. Senza di questo ripeto, una semplice associazione di sforzi militari è opera sterile ove essa non conduca, ed a breve scadenza, alla Federazione dell’Europa libera.
1d5b5c42-4260-4ff5-8de6-480833c420f9
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Nel corso del colloquio il presidente ha sollevato la questione di Trieste tornando a sottolineare l’importanza estrema per qualsiasi governo democratico italiano di ottenervi una soluzione favorevole. Ha richiamato l’attenzione del segretario di Stato sull’atteggiamento negativo degli Slavi nelle recenti conversazioni, facendo osservare come l’ultima proposta da essi fatta (due governatori) sia praticamente inattuabile e inaccettabile. L’atteggiamento ufficioso slavo, quale risulta perfino da dichiarazioni attribuite a Tito (soluzione del problema di Trieste sulla base del Trattato e costituzione del TLT), se è sinceramente inteso, rappresenta un pericoloso avvicinamento alle tesi del Kremlino e denoterebbe un parallelismo che deve destare in noi molte perplessità. Se invece non risponde al convincimento dei governanti slavi, allora siamo sempre su posizioni tattiche. [Acheson conviene con il punto di vista italiano] Sulla questione della Sede del NATO, il presidente ha detto che non vede come possa attribuirsi alcun valore di prestigio alla questione, che va considerata soltanto nei suoi riflessi pratici: riferendosi anche ai pareri della maggioranza delle potenze, a lui comunicati la sera prima, che cioè, con la costituzione del CED e con la evidente esigenza di unificare la sede dei diversi organismi così strettamente collegati (Shape, Ced, Oece, Nato), sede che non può, per ovvie ragioni, essere Londra, non rimaneva che scegliere Parigi o altra località vicina. L’on. De Gasperi ha osservato che, se con ciò si potesse dare soddisfazione agli inglesi, si potrebbe stabilire che le riunioni in Europa del Consiglio dei Ministri si tenessero a Londra. […]
0bdefb9c-2dfd-4b3d-9a59-a49b156e96d0
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Nelle discussioni intervenute in OECE per riorganizzare i servizi internazionali dell’Organismo, sono apparse divergenze profonde fra Paesi continentali e Regno Unito circa funzioni fondamentali che nel prossimo futuro i Paesi partecipanti intendono riconoscere [a]quell’Organismo di cooperazione economica. Mentre i Governi partecipanti sono unanimi nel ritenere più che mai necessaria l’intensificazione degli sforzi per consolidare e far progredire azione diretta creazione mercato unico europeo, tendenza britannica – sotto pretesto necessità economie – sembra voler ridurre al minimo tale sforzo e fare abbandonare alcuni dei compiti principali dell’OECE che sono strettamente connessi con l’obiettivo della creazione del mercato unico. È a nostra conoscenza che, tempo addietro, il Governo francese ha compiuto presso Governo britannico passo inteso a chiarire necessità intensa cooperazione in seno OECE e analogo passo è stato compiuto dal Governo danese. Di fronte al persistere di un atteggiamento inglese di resistenza al punto di vista degli altri Governi quale esso è apparso nelle recenti discussioni in OECE, ci sembra opportuno – anche da parte nostra – di far giungere a codesto Governo, per bocca dell’E.V., una riconferma del nostro atteggiamento nei seguenti punti: 1°)conveniamo con il Governo britannico nella opportunità di operare rigorose economie nei servizi internazionali e consideriamo soddisfacenti le indagini condotte e le proposte formulate in seno al gruppo degli Otto in OECE che giungano a economie del 25% nella spesa del Segretariato e a una riduzione di personale di circa un terzo; 2°)consideriamo che i servizi, così riorganizzati, saranno in grado di assicurare attività efficace dell’organizzazione nei seguenti compiti: a) liberazione degli scambi, b)una Unione dei pagamenti europei rafforzata, c) uno sforzo coordinato per assicurare la stabilità finanziaria dei Paesi membri e una armonizzazione delle politiche economiche nazionali, d)la confrontazione degli sforzi comuni per il raggiungimento degli obiettivi di produzione contenuti nella dichiarazione dei Ministri dell’OECE del 29 agosto 1951, e) il proseguimento dell’attività svolta in OECE nel campo dell’assistenza tecnica. I compiti di cui alle lettere c), d), e), sono ritenuti, dal Governo italiano, come fondamentali per il mantenimento e lo sviluppo degli obiettivi di cui alle lettere a) e b) e cioè per il raggiungimento di un mercato comune in Europa al più alto livello. Prego V.E., in relazione a quanto precede, esporre a codesto Governo il nostro pensiero che ci auguriamo possa essere costà condiviso. Sarà gradito conoscere l’atteggiamento di codesto Governo.
299d4679-8020-4e69-90ac-44bff4725f0e
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Prego comunicare marchese Cavalletti quanto segue: «Per quanto concerne la durata del trattato siamo d’accordo per 50 anni senza riserve. Siamo contrari alle riserve degli Olandesi che mirano a legare la scadenza del Patto CED con quella del Patto atlantico in quanto il CED non si prefigge solamente scopi militari ma anche e soprattutto scopi politici che abbiamo enunciato chiaramente e fermamente. Comunque consideriamo irrevocabile ed immutabile per 50 anni il comune impegno alla fusione delle forze contenuto nel trattato; mentre riconfermiamo il carattere della provvisorietà delle istituzioni (particolarmente nell’Assemblea, la quale dovrà essere trasformata su una base veramente democratica) ed il comune impegno nella revisione del trattato per dare effetto agli scopi federalisti contenuti in esso. Si prega la S.V. di fare quanto sopra oggetto di comunicazione formale mediante un documento per gli atti della Conferenza quando notificherà la nostra accettazione per la durata di 50 anni».
bf32a0d7-eafb-4575-8884-77e7bcd15f28
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il 16 aprile p.v., come è noto, avranno luogo le elezioni alle cariche OECE. È da ritenere che Stikker intenda lasciare Presidenza organizzazione, mentre non appare che orientamento dei Paesi partecipanti possa essere favorevole a sua sostituzione con un olandese o altra personalità Benelux. In tale situazione, è opinione del Governo italiano che carica presidente – che si abbina a quella di conciliatore – dovrebbe essere assunta da un Paese fra i più importanti, che potesse tenerla con la necessaria autorità e responsabilità nelle attuali contingenze. Durante il prossimo anno, in effetti, dovranno essere affrontati importanti problemi, per la soddisfacente soluzione dei quali – nel comune interesse – occorrerà il maggior spirito di cooperazione e la concentrazione della buona volontà di tutti. Da parte italiana si ritiene che sarebbe desiderabile che la presidenza fosse assunta da Gran Bretagna. Pertanto, prego V.E. voler portare tale punto di vista italiano a conoscenza di codesto Governo, richiamandosi anche all’esposizione del nostro pensiero che ebbi occasione di fare nel corso della mia visita a Londra lo scorso anno, e di esprimere la nostra fiducia che la Gran Bretagna voglia accettare candidatura, che saremo lieti di appoggiare e sostenere, assumendoci eventualmente iniziativa presentazione. Sarà gradito se codesto Governo, appena possibile, ci farà conoscere la sua posizione al riguardo.
c50c637c-b6dd-4f66-bdf6-ad243769437c
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presente telegramma risponde a n. 67 di V.E. Non abbiamo, per parte nostra, molta fiducia in una conferenza tra Governi se questa non sia preceduta e preparata da programmatici impegni previsti da art. 9 CED per assemblea dei rappresentanti Parlamenti. In tale Conferenza infatti riaffiorerebbero note remore e incertezze per cui idea federativa rischierebbe fare regressi invece che progressi, laddove Assemblea risulterà, per la sua stessa natura e composizione, mossa da più vigorosa spinta propulsiva della quale in definitiva dovranno tener conto anche i più reticenti Governi. Per tali motivi Governo italiano ha insistito su formula art. 9 CED e est, sempre per medesima ragione, preoccupato eventuale trasferimento del problema federativo su basi diverse che sono meno sicure anche se più appariscenti. V.E. est pregata esporre Adenauer detti concetti e ringraziarlo per cortese sua comunicazione nonché consigliarlo, nel caso egli intenda tener fermo suo proposito, a formularlo in maniera da riferirsi citato articolo CED ponendo in rilievo sua portata e forse avanzando proposta di costituire Assemblea che potrebbe accingersi esame questione anche prima ratifica trattato CED.
e6cd6843-f440-4462-8b5a-bb81bb3db993
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
1. Does Your Excellency think that after the municipal elections on May 25 the question of Trieste might be settled by direct talks on the highest level between you and Marshall Tito? Parlare si può sempre, ma parlare senza concludere è peggio che tacere. Un incontro proficuo deve essere coronamento di accordi sostanzialmente raggiunti a mezzo di negoziati. Per ora sfortunatamente siamo ancora lontani. Perché i termini del problema siano chiari basterà dare uno sguardo alla carta geografica. Ecco la situazione all’epoca del Trattato di Pace del 1946: questo è il vecchio confine; questa è la linea Wilson proposta come frontiera tra i due paesi dal presidente Wilson nel 1918. Questa stessa linea venne riproposta da Byrnes con alcune modifiche a vantaggio della Jugoslavia a Parigi nel 1946, come conclusione della Commissione internazionale d’inchiesta. La Commissione non raggiunse l’accordo e ciascuna delegazione propose la propria linea di demarcazione: vi furono quindi 4 linee; questa è dunque la linea proposta allora dagli inglesi: come vede, comprende Pola; questa è infine la linea francese che coincide praticamente con i confini dell’attuale territorio libero. Anche i Russi proposero la loro linea: è inutile dire che fu tra tutte la più sfavorevole e la più ingiusta. Essa dava alla Jugoslavia una grossa fetta dell’Italia. È bene ricordare che la linea proposta dai francesi, essendo essa il nuovo confine, lasciava l’intero territorio che si trovava ad occidente della linea stessa all’Italia, e che, solo per raggiungere un compromesso all’ultimo momento, pur di concludere la pace, gli alleati decisero di farne un territorio libero. Il territorio libero fu diviso in zona A e in zona B. La zona A, compresa Trieste, fu affidata all’amministrazione delle FF.AA. anglo-americane, mentre la zona B fu amministrata dalle FF.AA. jugoslave. Il territorio libero fu delineato tutto ad occidente della linea francese, e quindi a spese dell’Italia, su una regione che gli alleati non si erano mai sognati, nemmeno nell’immediato dopoguerra, di cedere alla Jugoslavia. Tanto è vero che quando il compromesso fatto con la Russia apparve un inutile sacrificio degli interessi italiani, gli alleati fecero la nota dichiarazione del 20 marzo 1948 che raccomandava «il ritorno del territorio libero di Trieste alla sovranità italiana» (the return of the Free Territory of Trieste to Italian sovereignty). Prendendo come base questa dichiarazione, noi abbiamo dichiarato di essere disposti a qualche concessione di carattere etnico, ma finora la Jugoslavia non ha fatto un solo passo di ragionevole avvicinamento per accordarsi su una linea etnica che nella zona B divida la maggioranza italiana dalle minoranze slave. Intanto, se ci si vuol preparare a delle conversazioni dirette, ci deve essere la buona volontà: e per avere la buona volontà, occorre che la situazione in zona B venga normalizzata e che i diritti dell’uomo, finora calpestati (come sfortunatamente si è verificato per gli italiani nelle terre cedute alla Jugoslavia) vengano rispettati. Arresti, persecuzioni, processi ed espulsioni devono cessare: vanno ristabilite la libertà di stampa, la libertà di riunione e di culto e tutte le libertà democratiche.
a04fe1c5-708b-4750-b739-1a9829b6f3a9
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Prego trasmettere on. Lombardo seguente telegramma: «Suo telespresso del 23 aprile n. 10/61. riferimento paragrafo 6 del rapporto allegato. Come V.S. sa, siamo favorevoli allo svilupparsi di una concreta collaborazione e stretti rapporti tra CED ed Inghilterra: in questo ordine di idee si ritiene che potrà dimostrarsi opportuno contatto a livello Consiglio Ministri. Ci si domanda però se necessario statuire in merito nel Trattato. L’urgenza della parafatura non consiglia di sollevare altri problemi. Non conviene, d’altra parte, fissare fin da ora modalità né escludere, ad esempio, apposite riunioni cui partecipi ministro inglese e non semplice osservatore. Al momento sembra da ricercare solo che la lettera del Trattato non impedisca forma di collaborazione prospettata da Schuman. In seguito potrà essere studiata attuazione, anche per contribuire a dare una pratica ed utile applicazione allo spirito collaborativo che informa la proposta inglese in materia di agganciamento Comunità Europea a Consiglio d’Europa».
0204fe25-e7dc-4d57-abdd-b822f0853892
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Caro Tarchiani, ti rispondo in fretta e personalmente alla tua del 6/5. 1)Escludo che un governo italiano possa accettare la spartizione della Zona A dalla Zona B; e ciò molto meno alla vigilia delle elezioni politiche. 2)Ho notato che nelle trattative per l’amministrazione di Trieste è intervenuto forte il Pentagono per difendere l’occupazione militare e il suo prestigio. 3)Sono preoccupato per le minacce di Tito di introdurre provvedimenti di rappresaglia nella Zona B. Preoccupato, perché ciò provocherebbe qui una reazione fortissima che potrebbe spingere il governo a dimostrazioni di forza. Sono alienissimo da avventure, ma devo pur dirti in confidenza che se gli anglo-americani gli lasciassero le redini sul collo, qui succederebbe qualcosa sul serio. Spero che non ce ne sia bisogno, ma in confidenza e per tua informazione personale, devo pur dirti che il pericolo esisterebbe qualora «i provvedimenti» fossero di una certa entità. Questo per te e come mia impressione personale. Ti scriverò più oltre, intanto…
d2109f52-b0b9-4205-a926-2ea14537fbb2
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Rinvio di due mesi non diminuirebbe agitazione elettorale, già iniziata ma prolungherebbe campagna elettorale. Conviene guadagnare periodo più lungo fino a primavera per considerare e discutere in tutta serietà problema che Italia si propone di affrontare e risolvere nella maniera più rapida possibile e lontano da ogni pressione elettorale. Governo italiano spera che recente dichiarazione Tito […] e la diplomazia anglo americana offrano possibilità di avviare conversazioni e intavolare negoziati conclusivi il fine che gli alleati molto lodevolmente si propongono di ristabilire atmosfera lontana da pressioni elettorali converrebbe che rinvio sia per un termine posteriore (primavera) o almeno che non si prefigga finora un termine così vicino. Riconosce ovvio che rinvio venga motivato con ragioni amministrative le quali esistono in realtà e Governo italiano ne prenderà atto con soddisfazione.
ea9e6d30-6c4a-4029-9e16-8f86fe209cae
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
In via di massima riterrei opportuno che la firma del Protocollo per garanzia NATO-CED avvenga separatamente da quello pel trattato per la CED. Comunicando quanto precede faccio presente tuttavia che, ove la cerimonia NATO dovesse avvenire in forma solenne con la partecipazione dei ministri degli Esteri, il cancelliere Adenauer resterebbe, solo tra i ministri presenti, escluso dalla cerimonia per la firma di tale documento che concerne il suo paese da vicino. Si ritiene quindi più opportuno che la firma del Protocollo NATO avvenga ad opera dei rappresentanti permanenti. Tuttavia sarei favorevole seduta del Consiglio atlantico con intervento dei Ministri, nel caso in cui qualche altro argomento di una certa importanza dovesse essere trattato .
40bb48d6-cc17-4cad-9990-85faa9a4bd5f
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Questo impegno semisecolare che in nome dei governi abbiamo ora sottoscritto è nato da uno sforzo supremo di assicurare la pace e creare la base dell’unità e della prosperità di una nuova Europa. Il Governo italiano ha contribuito con lealtà e costanza a questo sforzo e confida di aver rappresentato, partecipando in lunghe discussioni alla elaborazione del documento e apponendovi oggi la sua firma, le costruttive aspirazioni del popolo italiano che nello sviluppo della collaborazione internazionale e nella comunità d’armi cerca le vie della pace e del suo avvenire. Il Parlamento di Roma, interprete di tali aspirazioni, esaminerà l’accordo alla luce degli interessi nazionali, coordinati alle esigenze e alle speranze del mondo libero, onde imprimere il suggello costituzionale all’opera della quale oggi poniamo le fondamenta. La democrazia italiana ravvisa nella Comunità di Difesa, oltre lo strumento di sicurezza, due altri aspetti eminenti: l’uno che il trattato dovrà significare la pace definitiva e consolidata fra la Francia, la nazione sorella alla quale ci stringono comune cultura e comuni sentimenti, e una Germania democraticamente e liberamente rinnovata; l’altro che la comunità d’armi, come abbiamo sempre affermato e nelle stesse formule giuridiche previsto, dovrà dare vita per necessaria evoluzione a una comunità politica ed economica più vasta e più profonda. Certo la storia delle trasformazioni pacifiche procede per gradi e ogni nazione continuerà a svilupparsi secondo il proprio genio e la propria missione, ma la nostra responsabilità internazionale ci spinge ad invocare su questo atto che stiamo compiendo la luce di una grande speranza, che illumini e guidi il nostro cammino verso un’Europa libera e unita.
ad6b6eda-95c8-479c-878e-0264d65c6057
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sono stato molto lieto di essermi incontrato col Primo Ministro Pinay e di aver trovato in lui un uomo che conosce l’Italia e ama il nostro Paese. L’ho invitato a Roma ed egli ha accettato il mio invito. La data sarà fissata al più presto possibile. Abbiamo parlato a lungo dei fraterni sentimenti che uniscono i nostri due Paesi ed insieme desideriamo che i contatti fra italiani e francesi si moltiplichino nello spirito della profonda amicizia comune.
9bc88c10-64b2-44c4-b1e5-d0ebbcd9b52f
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Come precedentemente abbiamo fatto conoscere, da parte nostra non mancheremo appoggiare senz’altro candidatura Ministro Eden per la Presidenza del Consiglio OECE, le cui elezioni sono state fissate per il 7 giugno. Dato che, come l’E.V. ricorda, siamo stati tra i primissimi, se non addirittura i primi, a fare presente opportunità di tale candidatura, ci domandiamo, in argomento, se non sarebbe utile e significativo che candidatura italiana presidenza Comitato esecutivo venisse proposta nella seduta di Parigi dagli stessi inglesi. Si prega compiere opportuno sondaggio e telegraficamente riferire.
a61a8859-92aa-4c60-b4bc-ffab3c4a57ce
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’on. De Gasperi ha ricordato le ragioni per le quali l’Italia ha sempre sostenuto, ed ha ottenuto, che il trattato contenga, sotto forma di impegni e di procedure precise e prestabilite, il germe di una evoluzione verso una più stretta associazione politica fra i Paesi d’Europa. Un esercito comune postula, infatti, uno sviluppo della comunità in senso politico ed economico, e cioè verso forme federali o confederali, altrimenti non si reggerebbe. Le difficoltà che si oppongono ad un tale sviluppo, e che risiedono specialmente nelle relazioni fra Francia e Germania, dovranno essere superate; non c’è ragione di non essere fiduciosi a questo proposito. Questi contatti – ha aggiunto il presidente riferendosi alla visita dei giornalisti – rendono più facile la soluzione dei problemi posti dall’unificazione dell’Europa, problemi di non facile soluzione per i quali dovranno lavorare anche le generazioni future, che li vedranno certamente risolti, ma che la generazione presente ha già impostato.
b7b6dfbd-8040-40b5-b6fd-2bf9f3fb4e5f
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Siamo due sostenitori della stessa idea – ha detto ai giornalisti, al termine del colloquio, l’on. De Gasperi – ed abbiamo discusso sul modo migliore per accelerare la procedura per la Costituente europea. Siamo d’accordo su tutto.
0d8fc41f-48fc-4fed-9526-2dd540d6f0b0
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
[Manoscritto autografo] Ella è venuta in Italia per prendere diretto contatto con uno dei […] governi che Le hanno affidato a mezzo del Consiglio del NATO il posto di supremo coordinatore e organizzatore delle forze atlantiche: cintura di sicurezza con cui i popoli vogliono rafforzare, consolidare la pace ed evitare la guerra. Noi sappiamo che Ella a tale nobile missione dedicherà tutte le energie e tutte le sue grandi doti organizzative con quello sforzo di conciliazione fra esigenze militari e necessità sociali che il suo predecessore ha ritenuto indispensabile e raggiungibile. Su questa via Ella troverà la più leale e franca collaborazione del Governo italiano. Welcome, my dear General, to Italy and to your new office. The objects of your mission coincide with the ideals for which fourteen nations collaborate to ensure peace and security. That is why we heartily with you every success. [Dattiloscritto in inglese con correzioni] Address to General Ridgway Your visit to Italy mark the commencement of our collaboration, which we hope will be long and fruitful. We want to assure you that the spirit of frankness and cordiality which was always present in the course of our previous collaboration with your distinguished predecessor, will not fail in our relations with you in your capacity of Supreme Commander of Allied Force in Europe. You have flown a long way to come to Rome. But the distance is merely physical, for the task you have carried out with such wisdom and gallantry in the East and the task on which you are now setting out have one common ideal: the defence of social values, of moral positions and of common traditions that underlie every democratic liberty and every civilized community of nations. The People and Government of Italy will continue to cooperate actively and earnestly, as in the past, in tending to achieve the objectives at which we aim. These objectives are arduous but certainly not beyond the firm will of our free, peace-loving peoples. With these sentiments we tender you our warm welcome to the Eternal City and drink to your health and to the success of your noble mission and to the good fortune of the Atlantic Community.
f7cd52d1-7eb7-43ff-85bc-32f39e065293
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Riferimento Suoi telegrammi 556 et 557. 1°)Per tesi concentrazione sedi, che confermiamo, intendiamo che tutti gli organi di entrambe le comunità debbano essere stabiliti in un luogo unico. Quanto alla scelta della città, saremmo disposti ad accettare Strasburgo non solo per le considerazioni svolte da Schuman, ma anche perché in tal modo noto piano Eden per riforma Consiglio Europa verrebbe tenuto in giusta considerazione. Beninteso a titolo provvisorio, nel senso che decisione definitiva circa la sede dell’Autorità politica federale dovrà essere riservata all’Assemblea che uscirà dall’applicazione virtù articolo 38. 2°)Circa la iniziativa franco-italiana per l’anticipata applicazione dell’articolo 38, suggeriamo di proporre congiuntamente alla prossima riunione di Ministri che mediante un protocollo speciale i sei Ministri concordino di affidare gli studi di cui all’articolo 38 all’Assemblea CECA fino all’entrata in vigore del Trattato CED; Assemblea CED non appena formalmente autorizzata darà approvazione agli studi così compiuti, continuando procedura prevista in detto articolo 38. 3°)Riterremmo opportuno inoltre che di detta iniziativa nostro delegato e quello francese diano notizie nella prossima riunione del Comitato direzione CED, affinché gli altri 4 Paesi possano prendere posizione in occasione della riunione dei Ministri. 4°)Avanziamo, per scelta presidente della Corte (unico per CECA e CED) candidatura Pilotti . Chiediamo che ci venga assegnato posto 7° giudice e uno dei due posti avvocato generale. Chiediamo al ministro Schuman di confermarci prima della riunione dei Ministri se possiamo contare sull’appoggio francese. 5°)Ci riserviamo far seguire tra breve nominativo per rappresentante italiano Alta Autorità. 6°)Per Comitato consultivo CECA dobbiamo insistere per assegnazione Italia 4 posti, cioè un italiano anche per categoria produttori carbone. Non possiamo in ogni caso accettare un numero di seggi inferiore a quello olandese, di cui cifre globali ponderazione conferma di produzione et accordo clearing sono inferiori alle nostre. Del presente telegramma prego voler dare visione anche Cavalletti. Telegrafato anche a Bruxelles, l’Aia, Lussemburgo e Bonn.
55a1b151-4efd-4078-8b9e-8b056063a221
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
In pari data è stato telegrafato a Bruxelles quanto segue: «In recente colloquio Milano ministro Van Zeeland ha proposto col ministro Pella che lo studio del problema della realizzazione dell’Autorità politica Europea venga compiuto a Strasburgo da sei ministri con parlamentari dei sei Paesi; ha soggiunto che il risultato di tale studio potrebbe poi essere esaminato da Conferenza diplomatica ad hoc dei sei Governi. Pregola voler comunicare a Van Zeeland che, mentre concordiamo sul principio che si inizino subito gli studi concernenti il dibattuto problema riteniamo peraltro più funzionale et suscettibile di rapido et concreto risultato seguire la procedura delineatasi nel telegramma di questo Ministero n. 5881/C paragrafo 2 di affidare cioè interinalmente all’Assemblea CECA il mandato di cui all’articolo 38 del Trattato CED. Criterio per noi fondamentale infatti, dal quale non (dico non) intendiamo scostarci, è quello di non (dico non) diminuire la operante forza dell’articolo 38. Esso costituisce: 1°) impegni contrattuali fra i membri CED, vincolati a risultati concordati per applicazione et sviluppo del patto; 2°) una condizione che può modificare tale […], perché, nel caso che entro il termine previsto, sia nella fase lavori Assemblea sia in quella approvazione […], non dico non si arrivasse ad una conclusione positiva, ogni altro membro della CED avrà diritto di risollevare problema strutturale Assemblea CED ai sensi dell’articolo 33 paragrafo 2 del Trattato. È in questo spirito che faremo, di accordo con il Governo francese, alla prossima riunione dei Ministri a Parigi, proposta suddetta, come ha annunciato nostro delegato a conferenza CED in riunione Comitato Direzione il 24 giugno scorso». Pregasi dare visione a Cavalletti presente telegramma. Telegrafato anche a Lussemburgo, l’Aja e Bonn.
19ad70cd-f3aa-4051-a944-c9a22898aecf
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Nella ricorrenza del 4 luglio – giorno sacro all’indipendenza del popolo americano – mi è gradito esprimere al Popolo e al Governo americano i voti augurali del Governo e del Popolo italiano. La dichiarazione dell’indipendenza è non solo il pilastro fondamentale della democrazia americana, ma è anche un grande messaggio di libertà per tutti i popoli del mondo. Il popolo americano ha dimostrato il suo attaccamento e la sua fedeltà agli ideali ed ai principi contenuti nella dichiarazione d’indipendenza con il generoso olocausto dei suoi figli migliori ovunque si combatte per la libertà e la democrazia. Il popolo italiano è oggi a fianco di quello americano e degli altri popoli liberi dell’alleanza atlantica, per la difesa di quegli ideali della comune civiltà: ideali di libertà, di uguaglianza, di giustizia, che, consacrati dal vostro e dal nostro saluto, costituiscono il fondamento delle nostre democrazie .
7c6363e9-403b-4fa4-8a07-5452c8f38841
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Riferimento Suo telegramma 617. Approvo le dichiarazioni di V.E. a Schuman che coincidono sostanzialmente con quanto dirà a Van Zeeland nostro ambasciatore a Bruxelles (Telegramma ministeriale 6394/C ). In considerazione anche reazione Eden a comunicazioni fattegli da Schuman circa proposta franco-italiana per attribuzione Assemblea CECA mandato articolo 38 CED (Telegramma di V.E. 616 e Telegramma ministeriale 877) – e di tale reazione passo Van Zeeland potrebbe essere prima conseguenza – appare ancora più opportuno insistere sull’anticipata applicazione attraverso Assemblea CECA articolo stesso, sul quale esiste già accordo dei sei Governi e che da tempo è noto agli inglesi. Anche perché diverse nuove proposte, che darebbero origine a controproposte, potrebbero avere effetti dilatori e di fatto costituire indebolimento iniziativa. Decisione di anticipare applicazione articolo 38 ci sembra invece perfettamente intonata con spirito articolo stesso e non contrastante con finalità della proposta britannica, quale da noi interpretata sulla base delle ripetute dichiarazioni di Eden che essa non doveva intralciare il normale sviluppo della Comunità Europea. È stato telegrafato anche a Londra.
595569e1-7a14-473f-b003-f2b2fb922a2f
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sarebbe estremamente utile conoscere, in relazione alle considerazioni contenute nel suddetto telegramma, con quali idee in materia di procedura per la creazione della autorità politica europea intende partecipare codesto Governo alla prossima riunione dei Ministri e se vi prenderà parte personalmente il cancelliere Adenauer.
0a70fcf3-3482-445b-8dbc-35bf3ffdd0b7
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Riferimento Suo 646. In data odierna è stato telegrafato a Londra quanto segue: «I sei ministri degli Affari Esteri della comunità Europea con tutta probabilità si riuniranno un’altra volta entro il 20 corrente per discutere congiuntamente le note questioni relative alla CED e alla CECA. V.E. conosce già le idee del Governo italiano circa l’opportunità di usufruire di ogni occasione per accelerare al massimo processo federativo europeo, la cui procedura per la prima volta è stata concordata nell’articolo 38 del Trattato CED. In questo ordine di idee, e con un accordo di massima con Governo francese, penseremo di favorire l’anticipata applicazione del contenuto di detto articolo 38 a mezzo dell’Assemblea Europea. Ma da qualche parte – e anche dal telegramma 338 di V.E. e telegramma 616 di Parigi a Lei ritrasmesso con nostro 282 – sembra risultare una notevole perplessità, per non dire opposizione, inglese davanti ad una iniziativa di tal natura ed una tendenza del Governo di Londra di veder convogliata verso gli organi del consiglio d’Europa di Strasburgo tutta la materia. In tali condizioni prego l’E.V. di voler sondare urgentemente codesto Governo per conoscere quali effettivamente siano i motivi dell’apparente opposizione britannica e se costà non si ritenga possibile che fossero i sei Paesi a procedere con la maggiore celerità e sulla via segnata dall’art. 38 del Trattato CED verso quella integrazione europea, a cui ripetutamente il Governo conservatore inglese ha detto di non volersi opporre. Come V.E. sa, da parte nostra siamo stati sempre favorevoli al Piano Eden ed in tal senso siamo stati e siamo tuttora favorevoli ad una unicità delle sedi CED e CECA, magari a Strasburgo. Ma noi pensiamo che rinviare agli attuali organi di Strasburgo tutto lo studio federativo significa trasformare la forza operante contenuta nell’art. 38 in uno studio destinato praticamente a restare lettera morta dato che l’attuale ambiente di Strasburgo appare troppo diviso e troppo vasto per permettere un’effettiva realizzazione. È inutile aggiungere che il sopraindicato orientamento britannico sembra destinato evidentemente ad influire in notevole misura sul contenuto e sull’esito della prossima riunione dei sei Ministri. Pertanto sarebbe estremamente utile sapere preventivamente e con esattezza per poter definire in anticipo la nostra linea di azione». Si prega voler dare visione a Cavalletti del presente telegramma. Telegrafato a Bruxelles Lussemburgo Bonn e l’Aja.
1867c23a-e767-4486-aa7d-460b37893d5c
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Seguito telegrammi circolari 6612 e 6613 di questo Ministero e 663-664 di codesta Ambasciata. Ritengo opportuno chiarire, in seguito notizie raccolte, nostro punto di vista circa prossima riunione Sei Ministri. Se due presidenti del Consiglio e quattro ministri degli Esteri, dopo infiniti rinvii e coll’aspettativa che è venuta crescendo nella pubblica opinione, si radunano, non [è] certo per di scutere solo di questioni tecniche, scelta dei nomi per Alta Autorità e per Corte di Giustizia. Per quanto mi concerne almeno non intendo venire a Parigi per questo scopo limitato. Trattasi invece di riunirci per un esame politico della situazione, quale creata dall’entrata in funzione effettiva della prima Comunità dei Sei. Come sempre abbiamo sostenuto, le comunità (che finora rappresentano per noi soltanto scambi di idee) non sono concepibili come enti a se stanti, ma soltanto come elementi della costituenda Comunità Politica Europea. Ritengo pertanto essenziale che imminente conferenza si occupi in prima linea delle due questioni più importanti attualmente sul tappeto: 1) inizio concreto dei lavori per auspicata costituzione della Comunità Politica Europea; 2) sede non solo della CECA, ma anche della Comunità Europea Difesa. Ritengo di essere confortato in queste mie idee da analoga opinione espressa da Schuman nei recenti contatti con l’E.V.; comunque questo è quanto propongo che si discuta in via pregiudiziale. Quanto alla prima, come Le è noto, articolo 38 oltre che una condizione all’esistenza stessa della comunità, rappresenta un impegno politico destinato ad avere grande importanza in sede ratifica parlamentare Trattato CED. Di qui la necessità – visto le eventuali more nelle ratifiche del Trattato stesso – che la realizzazione degli impegni già effettivamente presi dai Governi, abbia inizio fin da ora e continui suo corso. Così soltanto Parlamento potrà convincersi, al momento delle ratifiche, che la Comunità Politica Europea non è soltanto mera speranza o addirittura uno specchio per le allodole. Alla seconda è altrettanto evidente che dobbiamo dare alle due Comunità, e non ad una sola, la sede; tale questione infatti è, in realtà, unica anche perché alcuni degli organismi sono addirittura unici per le due Comunità. Pertanto intendiamo proporre Strasburgo come sede unica, perché sede del Consiglio d’Europa, per tener conto del Piano Eden. In quest’ordine di idee ritengo quindi urgente che sia fissato, di comune accordo, ordine giorno connesso riunione, che proponiamo come segue: 1)Comunità Politica Europea – proposta di affidare mandato di cui articolo 38 all’Assemblea Comunità Carbone Acciaio; 2)sedi CECA e CED; 3)costituzione organi CECA. Al punto 1°, dopo la parola «proposta» si può inserire, se i Francesi sono d’accordo, «italo-francese» Infine aggiungo che odierna comunicazione ufficiale inglese, con cui Governo britannico dichiara di non opporsi a che sia affidato ad Assemblea CECA il compito già previsto per quella CED, sempre che questo avvenga nella cornice Piano Eden, è destinata a far compiere notevoli passi avanti nel senso da noi desiderato. La prego volere intrattenere d’urgenza ministro Schuman su quanto sopra e riferire. Il presente telegramma è diretto all’Ambasciata Parigi e per conoscenza Ambasciate Bonn, Bruxelles e Legazioni l’Aja e Lussemburgo. L’Ambasciata Parigi è pregata di dar in visione all’onorevole Lombardo il presente telegramma.
19899906-511b-4b0a-888c-a819ef6d75ac
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Riferimento telegrammi di codesta Ambasciata 695, 696, 697, 698. A mio parere, il progetto francese presenta seguenti inconvenienti: 1)trattasi di una proposta che i sei Ministri fanno ad un organo interno del Consiglio d’Europa, il quale vi dovrà, se e quando possibile, secondo la sua procedura e gli umori dei rappresentanti di quindici Parlamenti et Governi, applicazione. La conseguenza di tale impostazione sarebbe quindi, nella migliore ipotesi, di ritardare inizio lavori per la Comunità Politica Europea, anziché accelerarlo come era lo scopo dichiarato quando si è cominciato a parlare dell’iniziativa; 2)risulta vago mandato affidato all’Assemblea CECA, contrariamente a quanto si è cercato di definire nell’articolo 38 del Trattato CED. Il citare questo articolo nelle premesse e poi formulare i termini del mandato, accentua se mai il distacco dalla sostanza del mandato dell’articolo 38; 3)l’incarico viene, nel progetto francese, affidato ad una assemblea, che non è l’Assemblea della CECA nella sua figura giuridica, ma quasi un comitato di studi del Consiglio d’Europa, tant’è vero che si incaricano del lavoro «membri» e non l’Assemblea in quanto tale; 4)il paragrafo e) del progetto francese darebbe l’impressione infine che i ministri intendono esonerarsi della responsabilità diretta che essi ed i loro governi si sono assunta con l’approvare l’articolo 38. Ritengo di dovere, in queste condizioni, insistere sulla proposta che, come documento di lavoro, sia usato il progetto nostro, sia pure integrato opportunamente. Infatti: 1) tale nostro progetto è definito negli scopi e nella via da seguire, rappresenta un tutto organico, che mantiene e conferma l’impegno già assunto dai Governi con l’articolo 38 del Trattato CED. Né d’altra parte potrebbe apparire eccessiva la sua accettazione, appunto perché non fa che riconfermare un impegno già esistente. 2)Tiene conto degli sviluppi successivi alla firma del Trattato CED, senza escludere la collaborazione con altri Stati membri del Consiglio d’Europa ed in particolare prevedendo quella con l’Inghilterra. 3)Inoltre costituirebbe, ciò che è essenziale, un accordo fra i sei Ministri per accelerare i lavori verso la Comunità Politica Europea e non una proposta di rinviare ogni decisione circa inizio di tali lavori ad un altro organo. Siamo beninteso disposti ad aggiunte e modifiche al nostro progetto particolarmente per quanto riguarda la sede a Strasburgo, l’accettazione dei principi del Piano Eden, la eventuale partecipazione e collaborazione degli inglesi e di delegati di altri Paesi in qualità di osservatori, l’utilizzazione delle «facilities» del Segretariato del Consiglio d’Europa e infine tutti i collegamenti possibili col Consiglio stesso. Alla luce di quanto sopra e di quanto ho già comunicato nel mio telegramma 6832 – 33 –34/C e telespresso 21/1749 del 16 corrente, La prego di voler urgentemente insistere con Schuman, affinché sia posto il nostro progetto a base della prevista, e da me auspicata, iniziativa italo-francese. Inoltre prego telegrafare circa l’accettazione da parte francese della mia proposta di ordine del giorno nella successione degli argomenti da me telegrafatiLe.
6f2b5079-1996-43b8-b4f3-a2726a30b9bc
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Mi riferisco ai suoi telegrammi 705 e 706. Confermo le considerazioni già esposte nel telegramma 528. Il progetto francese non comporta mandato ma semplicemente proposta, ed in conseguenza ogni impegno iscritto nel Trattato sembra abbandonato dai sei Governi della CED ed affidato al Consiglio d’Europa. Non costituisce quindi un passo avanti verso la Comunità Politica Europea, ma temo che abbia effetti ritardatari. Se sua impostazione di fondo dovesse rimanere immutata, soprattutto per quanto riguarda tali due punti fondamentali, riterrei preferibile presentare il nostro progetto indipendentemente dai Francesi. Porterò con me il progetto italiano definitivo, integrato cioè con tutte le concessioni al Consiglio d’Europa che possiamo accettare. Faccia presente queste mie considerazioni a Schuman.
c87dcee0-c5ad-4525-87bd-c4f5f8e91826
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sono ancora assonnato per la lunga veglia di stanotte – ha detto l’on. De Gasperi – come tutte le notti trascorse insonni, come nella notte natalizia, è stata una veglia piena di speranze. Finalmente all’alba il bambino è nato. Esso è vitale e di costituzione robusta. È l’unità europea – la vedremo crescere, svilupparsi. Noi anziani, purtroppo, non vedremo forse la piena maturità. Ma i giovani sì. I nostri figli ci benediranno per gli sforzi compiuti.
ecdfd52a-1e9d-4947-9642-59a50a407657
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Si supponeva – si aveva diritto di supporre – che questa sarebbe stata l’ultima riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri prima della costituzione del Piano Schuman e perciò l’ordine del giorno che era stato previamente preparato dalla cosiddetta Commissione interinale, prevedeva le decisioni riguardanti la sede, le nomine, le date dell’entrata in vigore, dell’entrata in funzione, e a quest’ordine del giorno noi avevamo aggiunta la nostra preoccupazione per l’acceleramento della preparazione del progetto federale cioè avevamo elaborato una proposta per invitare l’Assemblea dell’Acciaio e del Carbone ad assumere la responsabilità di preparare un progetto federale, responsabilità che in base all’art. 38 dello statuto della CED, cioè della Comunità di Difesa, era riservato alla stessa Comunità di Difesa. Ma poiché la Comunità di Difesa è in arretrato e ancora non si hanno le ratifiche, e si doveva e si poteva temere che le ratifiche andassero al di là del novembre o dicembre, si diceva è opportuno accelerare questo lavoro incaricando dei lavori preliminari e preparatori l’Assemblea del Piano Schuman che è la prima che arriva ad entrare in funzione; di qui le nostre trattative sul governo francese per una risoluzione comune. La risoluzione infatti alla vigilia, l’ultima vigilia, è diventata comune nel senso che due risoluzioni preparate, l’una da noi, l’altra dai francesi, è stata, attraverso modificazioni reciproche e promesse reciproche, unita in una sola. Questo testo della risoluzione non è stato pubblicato, perché la discussione di questo progetto, di questa risoluzione, non è avvenuta, è avvenuta la presentazione, e adesso dirò quando, all’ultimo momento è avvenuta la presentazione, ma la discussione si è dovuta rinviare alla prossima seduta; si sarebbe dovuta rinviare in ogni caso alla prossima seduta per una obiezione del rappresentante del governo olandese, che cioè il nuovo governo non era ancora costituito, e lui non si sentiva di assumere la responsabilità per discussioni di carattere, direi, non ordinario, non inerente direttamente ai compiti dell’Assemblea del Piano Schuman. Ve ne do però notizia per comprendere quale è il nostro programma, quale è la nostra direttiva, direttiva comune nostra e francese, che ha trovato però l’assenso subito, per quanto la discussione non sia stata conclusiva, della Germania e del Belgio, così che potremmo dire che in realtà è supposto che venga accettata alla prima occasione che la discussione verrà affrontata e per dirvi anche per preparare il terreno a questa proposta, alla discussione di questa proposta, e per dare soddisfazione ai nostri federalisti, i quali avevano presentato, a me e ad altri ministri, una richiesta di acceleramento, chiamiamolo così, e speravano che anche nonostante i calori durante l’agosto, l’acceleramento avvenisse attraverso l’Assemblea. In realtà avendo noi differito questa discussione di un mese, mese e mezzo, probabilmente al 10-15 settembre come vedete dalle date, non abbiamo perso tempo, perché credo che difficilmente, fra acque di Vichy e acque di altre fonti, durante l’agosto difficilmente si arriva ad approfondire un simile problema. Ve ne do però notizia, del contenuto, perché vi può servire di orientamento dinanzi a diverse questioni. Leggo quindi il testo, che poi vi sarà eventualmente trasmesso, che l’ufficio stampa potrà poi trasmettere a quei giornali che vorranno occuparsene più direttamente: La conferenza dei Ministri degli Affari Esteri rappresentante i sei Paesi che partecipano alla Comunità del carbone e dell’acciaio, riunita a Parigi il 23 luglio 1952, ha preso le seguenti decisioni: 1)L’obiettivo finale e costante dei predetti Governi è stato e rimane quello di riuscire a costituire una Comunità politica europea che sia la più larga possibile. 2)A richiesta del Governo italiano è stato inserito nel Trattato che istituisce una Comunità europea di Difesa e che è stato firmato il 27 maggio 1952, un articolo 38 che ha per oggetto di affidare all’Assemblea della detta comunità lo studio di una struttura federale o confederale ulteriore, fondata sul principio della separazione dei poteri e comportante, in particolare, un sistema rappresentativo bicamerale. Questo è il contenuto dell’articolo 38 che viene qui riassunto. 3)Nella risoluzione n. 14 adottata dall’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa nel corso della sua seduta del 30 maggio 1952, detta Assemblea ha domandato che i Governi degli Stati che partecipano alla Comunità europea di Difesa scelgano la procedura più rapida che consiste nel dare a una Assemblea il mandato di elaborare lo Statuto di una comunità politica di carattere sopranazionale che rimarrebbe aperta a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed offrirebbe delle possibilità di associazione a quegli Stati che non vi avessero aderito. Qui c’è il riferimento alla decisione del Consiglio d’Europa, decisione che è stata presa sotto l’influsso specialmente, per venire incontro a un memorandum inglese, cioè di rendere possibile l’accessione a questa forma di unificazione europea anche a stati che non siano completamente nello stesso rapporto di unità ossia per esempio oltre i sei stati che fondono assieme l’esercito e che si chiamano gli stati della difesa comune, che potrebbe creare un rapporto che non si sa ancora quale sia di preciso ma un rapporto particolare bilaterale con l’Inghilterra la quale ha assunto dei rapporti di garanzia con la decisione della CED, decisione comune di difesa o con altri stati comunque. […] Ispirandosi alle considerazioni di cui ai punti 2 e 3 e desiderosi di sollecitare lo studio del progetto prospettato, assicurando a tale studio il massimo di autorità, i Governi che partecipano alla comunità carbone-acciaio, sono d’accordo su quanto segue: 1)l’Assemblea della predetta Comunità è incaricata, in conformità dei principi dell’art. 38 del trattato CED le cui disposizioni restano invariate – e nell’attesa dell’entrata in vigore dell’Assemblea CED – di studiare e di elaborare un progetto di trattato istituente una Comunità politica europea. A tal fine i membri dell’Assemblea, raggruppati per delegazioni nazionali, coopteranno, fra i delegati dell’Assemblea consultiva che non sono membri dell’assemblea carbone-acciaio, tanti membri supplementari quanti ne occorreranno per raggiungere il numero previsto per la rappresentanza di ciascun paese nell’Assemblea CED. Voi sapete che l’Assemblea della Comunità di Difesa è l’Assemblea del Piano Schuman più un certo numero, 3 precisamente per i grandi stati, più 9 rappresentanti ulteriori di questi grandi stati, dei 3 grandi stati. Per questo, per ristabilire una certa proporzione nel numero poiché qui si tratta non di questioni del carbone e dell’acciaio, cioè di questioni economiche, o amministrative, ma si tratta soprattutto anche di questioni che riguardano la popolazione, il numero della popolazione. Ora affidare, era il compito, lo studio, le elaborazioni di questo progetto a una Assemblea, la quale fosse Assemblea della Comunità del carbone, completata da questa elezione suppletiva. Voi mi direte: perché si fa tanta fatica o tanta precisione nell’affidare a un’assemblea o l’altra, in fin dei conti perché non nominiamo una commissione qualsiasi di professori o di non professori che preparino i progetti? Si tratta di progetti di architettura? No, non si tratta di progetti di architettura. Evidentemente bisogna avere anche una base rappresentativa, poiché non possiamo da oggi a domani fare le elezioni e chiamare una Costituente europea coi dati rappresentanti secondo il numero della popolazione. Invece diciamo, abbiamo un’assemblea, la quale è stata fondata, costituita, tanto l’una e che l’altra, tanto quella del Piano Schuman che quella della Difesa comune, sopra una certa chiave di ripartizioni di rappresentanza, perché la grossa fatica è stata questa, di dire quanti voti avrà la Germania, quanti voti avrà l’Italia, quanti ne avrà la Francia e quanti ne avrà l’Olanda e poiché, soprattutto con riguardo ai problemi economici, il numero non si può fondare soltanto sopra il criterio algebrico, si è arrivati ad una certa chiave. Ora che cosa vuol dire? Che se un’Assemblea studia, e studiare non vuol dire che studi semplicemente, ma vuol dire che determini, designi, indichi una soluzione; evidentemente se la indica secondo una certa ripartizione rappresentativa riconosciuta, questa sua conclusione ha un’importanza notevole, per quanto poi i Parlamenti sono sempre liberi di approvare o non approvare, ma ha un’importanza notevole. Se invece, il progetto viene fuori da una rappresentanza qualsiasi, di uomini illustri, ma che non hanno una rappresentatività riconosciuta, è un progetto che ha valore di per sé, che potrà essere accettato, ma non è un’indicazione. Ecco perché noi, specialmente noi italiani, ci siamo aggrappati a questo articolo 38. Non è perché noi non vogliamo che si possa estendere anche a tutte le discussioni, estendere a tutti gli studi di preparazione più largamente possibile, è perché vogliamo che coloro, che gli stati, i quali saranno chiamati a formare questa unità europea e che hanno la responsabilità ad esempio dell’amministrazione comune e dell’esercito comune, eccetera, siano quelli che determinano anche questa autorità politica, sia pure con accessioni da parte di coloro, come ad esempio l’Inghilterra, che desiderino collaborare, pure senza assumere la responsabilità. Qui bisogna stare attenti che ci sono due zone di responsabilità. Quella degli stati che di pieno diritto, di piena responsabilità appartengono all’amministrazione o del carbone e dell’acciaio o all’amministrazione dell’esercito comune e quindi evidentemente hanno tutto un interesse di creare un’autorità politica secondo un dato tipo e secondo un dato criterio, e quegli altri stati che in una certa maniera cercano adesso di associarsi, si parla di associazione nel comunicato, nel memorandum inglese, senza dire determinatamente come, ma di creare un ponte verso, insomma, queste istituzioni nuove, i quali aderiranno in base a delle convenzioni bilaterali creando un certo rapporto. Qui si trattava anche in base al memorandum inglese e al desiderio del resto espresso dalle riunioni di Strasburgo, di creare un ponte anche con l’attività dell’assemblea di Strasburgo e allora nella risoluzione è detto …similmente tutto questo lavoro viene fatto d’accordo, di conserva, con gli organi permanenti del Consiglio d’Europa. Ed ecco che voi sapete che esiste una commissione particolare nominata recentemente nel Consiglio d’Europa, nel Consiglio d’Europa per lo studio di questo, che c’è, che quest’altra commissione ha creato 4 esperti, di cui uno è il professor Ago per elaborare un progetto e quindi le cose camminano parallelamente. Ma vorrei che fosse chiaro; la nostra azione di iniziativa che abbiamo preso come italiani, perché noi desideriamo vivissimamente, siamo forse quelli i quali più chiaramente, più manifestamente desiderano lo sviluppo ulteriore dell’autorità politica in senso federale, però vogliamo che sia associata, che sia legata, che sia vincolata, che sia fondata sopra una base concreta, non sopra un progetto che nasca comunque, come sono nati tanti altri progetti, e che poi venga lanciato, direi, nel nulla delle discussioni e non ci sia un rapporto di responsabilità. Ossia in poche parole, noi crediamo che il nucleo fondamentale di questa autorità deve essere l’interesse comune e là nella Commissione, nella Comunità di difesa dove abbiamo un bilancio comune che riguarda tutte le spese militari, voi capite che quota notevole di spese in genere, che riguarda tutta l’amministrazione, riguarda soprattutto la disponibilità delle forze militari che vuol dire, al di là di quello che vuol dire, che è l’interesse finanziario, si tratta dell’interesse del sangue, l’interesse della popolazione. Allora bisogna bene che questa autorità politica che deve disporre sia fondata sopra questa solidarietà, e corresponsabilità, e ci possono essere altri che sono alleati, che sono in relazione di grande amicizia, eccetera, ma che dispongono di non essere evidentemente i rappresentanti più diretti. Ecco la nostra linea di condotta. Credo di essermi spiegato abbastanza, del resto non è necessario che voi vi tormentiate su questo problema, perché lo ho toccato solo per dirvi che questo problema è stato posto all’ordine del giorno, poiché ho letto questa stessa risoluzione spiegandola, eccetera, nella seduta e nonostante l’obiezione che si è fatta da parte del rappresentante dell’Olanda, non si è fatta la discussione, ma si sono prese delle notizie, delle dichiarazioni; ma le dichiarazioni per la maggior parte erano favorevoli cosicché noi possiamo, avendola messa all’ordine del giorno della prossima seduta, possiamo essere certi anche sopra al risultato finale. Messo da parte questo, vi dirò come la situazione è stata dominata da un’altra proposta. La mattina del giorno in cui ci siamo radunati, senza che nessuno prima fosse informato, e probabilmente anche per una di quelle, chiamiamole illuminazioni politiche che avvengono nei momenti di ansia o quando scatta la necessità di una decisione, il Consiglio dei Ministri francesi ha deciso di presentare una proposta, che è stata presentata dal ministro Schuman improvvisamente, all’imprevisto. Nessuno di noi, e molto meno il cancelliere germanico, aveva notizia della proposta. La proposta era parsa dal principio una proposta tattica. Si è visto poi che la proposta era sostanziale. Vi ricordate il testo della proposta: la sede della Comunità europea del carbone e dell’acciaio sarà stabilita a Saarbrücken, da quando il territorio sarrese sarà stato dotato, con l’approvazione della popolazione sarrese, di uno statuto europeo autonomo garantito dagli stati interessati. Nell’attesa della messa in vigore, che questo statuto possa essere messo in vigore, gli organismi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio saranno stabiliti a Strasburgo. Questa è la proposta. Appena è stata presentata la proposta, c’è stata una curiosa tendenza generale a dissimularne l’importanza. Taluno ebbe l’impressione che fosse una mossa tattica, parlare nello sfondo della soluzione definitiva di Saarbrücken e dell’europeizzazione di quel territorio, per arrivare a quello che era concreto, cioè a dire Strasburgo. Siccome la proposta di Strasburgo non è benvista dai tedeschi, è sembrato a taluno che questa proposta venisse fatta in questa forma, legata a questa prospettiva futura, per ragioni tattiche, per far saper ai tedeschi che si poteva attraverso questo provvisorio a loro non molto piacevole, si poteva però arrivare ad una soluzione che poteva dare anche della soddisfazione alla cultura germanica perché la Saar è territorio germanico, dico territorio culturalmente e fisicamente parlando. Le esperienze passate pesavano sopra le decisioni e le impressioni del cancelliere, semplicemente lo si vedeva in faccia. Gli altri pensavano alle proposte proprie, ciascuno aveva in tasca una proposta per la sede. L’Olanda voleva L’Aja e i tedeschi avevano dato già la loro adesione per l’Aja pur di non arrivare a Strasburgo, il Belgio voleva Liegi, il Lussemburgo Lussemburgo e i tedeschi niente Strasburgo. Dicevano noi non desideriamo che la sede sia in uno Stato dei 3 grandi, in uno dei 3 grandi. Voi vi potete immaginare qui la discussione come si è svolta: da una parte i vantaggi della concentrazione, vantaggi evidenti per l’ unificazione futura, di mettere tutti gli organi, tanto per il carbone come quelli della difesa, tanto gli organi esecutivi come le assemblee a Strasburgo dove ormai c’erano le istallazioni, dove ormai c’è una certa tradizione dell’unificazione europea. Ragioni al contrario di altri che dicevano: a Strasburgo non si fanno che discorsi, bisogna avere un ambiente molto sereno, tanto che scherzando, fra parentesi, ho detto che la serenità maggiore si avrebbe sulla laguna di Venezia, perché stavano cercando l’Aja eccetera, molto sereno, bisogna occuparsi degli affari e altri che tiravano fuori un altro argomento, che naturalmente è un argomento che non è senza valore, un certo criterio di giustizia distributiva, per cui mettendo una delle istituzioni, per esempio l’Assemblea da una parte, e l’Alta Autorità che è l’organo esecutivo principale dall’altra e il Comitato consultivo da un’altra ancora, l’Alta Corte, che è il tribunale supremo, da un’altra ancora si accontentavano le diverse tendenze, le diverse aspirazioni, creando così un interesse comune complessivo, che voleva dire in fondo unificazione morale per lo meno. Ciascuno poi ha presentato i vantaggi economici della propria soluzione, le comunicazioni, la rapidità delle comunicazioni, il fatto anche che una commissione interinale abbia visitato tutti questi luoghi era provato, aveva esaminato le possibilità delle installazioni, la parte tecnica, insomma. Allora nacque il sospetto che la proposta francese, nella prima parte dove si parla della prospettiva dell’europeizzazione della Saar, fosse piuttosto da considerarsi come un considerandum, ma che la conclusione fosse la proposta riguardante Strasburgo, il cosiddetto provvisorio, e voi sapete che quando si parla di provvisorio non è mai sicuro quando il provvisorio termina e il permanente incominci. Fu in questa situazione, direi di dissimulazione della gravità del problema, che io ho afferrato, come si dice, il toro per le corna e ho fatto questa dichiarazione, non questo termine dichiarazione ma il contenuto, le mie parole potevano essere le seguenti: anche l’Italia può offrire possibilità, come gli altri paesi, di sedi convenienti, di collaborazioni, di possibilità di comunicazioni e anch’essa può cercare congrue soddisfazioni che corrispondono alla dignità della sua Nazione, alla sua popolazione, al fatto che è grande e che ha un grande consumo, per lo meno altrettanto che l’Olanda, e poi se si parlasse addirittura, e qui è caduta la frase di Torino, se poi si dovesse applicare il criterio della cosiddetta giustizia distributiva, che aveva messo avanti soprattutto Van Zeeland, allora noi abbiamo delle sedi preparate da decenni, ne avanziamo dal Risorgimento, abbiamo Torino, vi potremmo fare una sede dell’Assemblea meravigliosa. Però tutto questo, deve essere chiaro, si trattava, si tratta, di una posizione dialettica e tattica. Venendo però a conclusione e volendo esprimere il nostro pensiero, noi miriamo all’unità europea. Noi quindi crediamo di accogliere il criterio della concentrazione, e soprattutto poi non abbiamo obiezioni da fare a Strasburgo. Per quanto comprendiamo che le lunghe discussioni, le tendenze di logomachia che sono tendenze particolari di tutti i parlamenti, possono anche disturbare ma sono malanni che portano con sé la democrazia e che si potranno superare. Io aggiungevo però: ma tutto questo è secondario, la novità straordinaria, dinanzi alla quale bisogna arrestarsi, è la proposta del definitivo fatta dalla Francia, fondata questa proposta su un accordo franco-tedesco, cioè la proposta della Saar. Di fronte a questo problema tutto il resto passa in seconda linea e insistevo perciò, perché esso venisse considerato come centrale e di comune interesse, pregando Adenauer, che se ne stava zitto, e diffidente, di prendere posizione, di dire la sua opinione, di affrontare il problema. Bisogna dire che il fatto della sorpresa, il fatto cioè che la proposta non era preveduta, rese naturale una certa reticenza nelle dichiarazioni, perché nessuno aveva avuto tempo di prepararsi su argomenti. Adenauer si limitò a chiedere spiegazioni, dettagli, le condizioni di questa proposta. Quali sarebbero state le linee della soluzione a cui pensava il ministro francese? Anche la risposta non poteva essere che evasiva in quel momento. Allora io feci la proposta di interrompere la discussione su questo argomento, cioè della sede, di lasciarla completamente aperta fino a che i tedeschi e i francesi avrebbero avuto occasione di riparlare e di trasmettersi, di scambiarsi delle idee circa la proposta fondamentale. Così fu e la conferenza procedette trattando altri argomenti che avrete visto citati nel comunicato, come il regime linguistico, quattro lingue ufficiali, soprattutto importante la discussione sopra il testo, sopra la lingua delle decisioni dell’Alta Corte, che s’è detto, deve essere nella lingua dell’interessato, si tratta semplicemente di affari molto complicati, che esigono una chiarezza di determinazione, s’è detto e si è concluso così, ma la discussione è stata abbastanza ampia, di pro e contro, di ragioni pratiche che è inutile, con le quali non voglio ingombrare la vostra penna, poi discussioni sul Comitato consultivo, poi la nomina all’Alta Autorità. Circa le nomine all’Alta Autorità voi sapete che era da lungo tempo previsto che il presidente sarebbe stato Monnet , l’uomo che ha fatto l’esperienza, ormai ai suoi tempi, della Società delle Nazioni, e che è uno dei creatori del Piano del carbone e dell’acciaio e noi abbiamo proposto l’onorevole Giacchero ingegnere, professore universitario, il quale non rinuncerà al mandato e si dedicherà intieramente a questo compito. Voi sapete che l’Alta Autorità è composta di 9 membri, 8 designati così dagli stati, il nono è cooptato dagli otto. La cooptazione manca ancora oggi, ma non dipende più da noi, non è più necessario che si riconvochi il Consiglio, quindi in realtà, nominati questi 8 membri, l’Alta Autorità ossia il Comitato Centrale esecutivo, questo nome non mi piace molto, insomma, ma questo centrale esecutivo entra, senz’altro può entrare in vigore. La mattina in un comitato ristretto, ristrettissimo, si ebbero delle dichiarazioni di Schuman molto importanti. Potrò dire qui, anche in pubblico, quale fu la mia impressione. Queste dichiarazioni furono una chiara professione di fede europea, espressione di un onesto atteggiamento di buon volere, un proposito di conversare coi tedeschi senza pregiudiziali esclusive. Quando si pensa che tutti i rapporti fra la Francia e la Saar vennero precisati nelle convenzioni franco-sarresi del 3 marzo 1950, convenzioni che riguardano l’unione economica, lo sfruttamento delle miniere e un accordo generale di riconoscimento dell’autonomia di governo e altre, si pensa ad altre sistemazioni che si fondano sopra una costituzione e in particolare alla Saar e sopra una serie di decreti legge del governo autonomo, di dire come ho detto prima che si era disposti ad affrontare il problema conversando, senza mettere delle esclusioni ormai dal principio, vuole dimostrare la buona volontà di lasciare aperte tutte le porte e tutte le possibilità per la discussione. Si ricorderà che le convenzioni del ’50 vennero aspramente criticate dai tedeschi, anche dal Cancelliere, e quindi si dovrà riconoscere l’importanza di queste dichiarazioni di Schuman. Si noti poi che qui si tratta di dotare un territorio di uno statuto internazionale non per neutralizzarlo, abbandonandolo a lotte intrinseche etniche, che per fortuna là non esistono perché si riconosce l’appartenenza alla cultura germanica, ma trasformandolo in un centro capitale dell’Unione Europea come è il distretto di Columbia negli Stati Uniti come Camberra nell’Australia. È poi riservata sempre l’approvazione della popolazione e la garanzia di tutti gli Stati interessati. Il problema si presenta quindi in una maniera che non ha paralleli. Considerando questa impostazione voi troverete naturale che io abbia insistito perché la questione venisse affrontata. E dopo le dichiarazioni di Schuman la considerazione che veniva da parte del Cancelliere si dimostrò subito più attenta e direi che si comprese subito che c’era un filo. Nel pomeriggio dopo una conferenza che egli ebbe con il ministro Pleven e con Schuman venne a dirmi che, molto diplomaticamente e con molta cautela, gli pareva che una finestra si fosse aperta. E così si creò una prudente ma fondata attesa per la soluzione definitiva. E poiché le cose, una volta messe in moto corrono di più forse di quello che gli uomini pensano, lui ci disse subito che se la questione era solubile si poteva vederlo in un mese due mesi, bisognava vedere non dico che tecnicamente il problema poteva essere perfetto ma si potevano vedere le linee ricostruttive accettabili per l’una e l’altra parte. E allora la questione del provvisorio, quale doveva essere provvisoriamente la sede, diventava veramente secondario. Direi che l’accanimento sembrava che dovesse cessare da una parte e dall’altra. Poi si sarebbe dovuto parlare in settembre quando si sarebbe convocato l’altra seduta, tanto più che nell’agosto come avevo detto prima, poco si potrebbe fare, senonché nella discussione la lotta si riaccese perché si sospettò che i tedeschi, che si erano dichiarati per L’Aja, e contro Strasburgo, qualora avessero trovato la prospettiva di una soluzione definitiva comune con la Francia, cioè Saarbrücken, allora sarebbero stati più facili ad accedere ad un accordo sui desideri della Francia di andare provvisoriamente a Strasburgo. E allora i piccoli candidati delle altre nazioni si sono rimessi in moto e benché si dichiarasse che il punto di vista sul provvisorio rimarrebbe libero per l’autunno, tuttavia, questo si doveva ammettere che la proposta francese era unitaria, il problema si tornò a ripresentare nella discussione. Per il momento si aggirò la difficoltà occupandosi dell’Alta Autorità e così abbiamo trovato anche delle difficoltà perché il candidato dell’ex ministro Eyskens nell’ultimo momento aveva ritirato la sua candidatura e bisognava aspettare, ma intanto si poteva pensare che per la convocazione del Consiglio d’Europa che era il 15 settembre questo poteva essere considerato l’ultimo termine per il quale noi dovevamo preparare tutto. Avevamo concluso così, avevamo preparato i nomi dell’Esecutivo, avevamo preparato i nomi dell’Alta Corte, c’erano ancora alcune discussioni in generale, avevamo una serie di proposte per il provvisorio, ma poco importava perché la decisione doveva essere ai primi di settembre e si sarebbe evidentemente avuta a seconda della soluzione per la Saar favorevole o non favorevole. Avevamo preparato per la sera per concludere con un comunicato, quando si era tornati verso le 10 e mezza ci si è detto: ma non è possibile non fare un ultimo tentativo e anche nelle trattative succede come nella catarsi della tragedia greca, nella stanchezza dallo sforzo si ebbe un tale desiderio di uscire dall’imbarazzo che il tentativo viene ripetuto con maggiore energia. Questo tentativo è durato fino alle 5 e mezzo di mattina. Non si trattava più dell’alternativa Saarbrücken come permanente o Strasburgo o altro come provvisorio ma l’alternativa era se i negoziati per la Saar sarebbero falliti, il provvisorio sarebbe stato definitivo, per forza definitivo, ma lasciando tale decisione a quando i negoziati si fossero conclusi o avessero dimostrato un qualche progresso tranquillante, di designare invece per ora una sede, che non chiamo più provvisoria, interinale, la sede …. come dicono i francesi per la costituzione dell’immediata entrata in funzione dell’Alta Autorità. Detto questo bisogna che diamo l’impressione che si costituisce subito e ci costituiamo e vuol dire che poi se dovremo cambiare sede non casca il mondo perché in un mese, mese e mezzo non faremmo né delle grandi spese né delle grandi … D’altro canto c’era un rapporto delle commissioni le quali accertavano la possibilità di installazioni e per ragioni tecniche e di comunicazioni di cinque luoghi di cui uno era Lussemburgo e dopo molto dire e ridire le ragioni tecniche ed economiche ci portarono a concludere che questo interinale, questa sede interinale doveva essere Lussemburgo. Qui si osserva che gli stati minori sfuggono meno che i grandi alle questioni di dignità e di prestigio. Fu in questa soluzione dialettica di connessione fra l’una cosa e l’altra quando cioè per i belgi sorse la questione anche della presidenza dell’Alta Corte, che nella discussione saltò fuori di nuovo Torino. Ma se voi avete Bruxelles che v’era proposto e volete anche il presidente dell’Alta Corte? Siete incongruenti, una delle due! O voi avete Bruxelles e l’Alta Corte viene a noi, o l’Alta Corte la volete voi e allora abbiamo fatto i nomi anche noi di un’ assemblea principale. Ma per la verità solo con valore strategico, ossia dialettico, noi sapevamo benissimo che praticamente la questione non poteva essere fatta, soprattutto non era di nessun valore processorio per il risultato da ottenere. Alla fine l’accordo venne raggiunto circa le nomine e la presidenza dell’Alta Corte rimase attribuita all’Italia. Venne fissata la data del 10 agosto come entrata in vigore e come installazione dell’Esecutivo e dell’Alta Corte. Questi pochi giorni sono necessari per la accettazione dei membri, perché i membri erano stati nominati, designati, ma non tutti avevano già accettato e il 10 settembre come prossima riunione dell’Assemblea. Dove? A Strasburgo. Ecco la concessione che è stata fatta alla Francia perché almeno in ogni caso la prima assemblea si facesse a Strasburgo. E le ragioni di Strasburgo, direi esteriori oltre che intrinseche, sono quelle cui ho accennato prima, quando ho spiegato la nostra proposta, cioè il contatto con gli inglesi, il cosiddetto piano Eden. Ora una prossima riunione dei ministri dovrà prendere le decisioni definitive circa la sede permanente in relazione ai risultati della Saar. Questa è l’impostazione cui siamo arrivati per le nostre insistenze. Cioè, nel comunicato ufficiale stesso e nelle decisioni è detto che prima di venire alla decisione del definitivo conveniva assolvere questo compito: di affrontare il problema. Se nel problema della Saar le prospettive saranno favorevoli allora è evidente che tutti sono d’accordo che il definitivo è la Saar. Resta aperta la questione del provvisorio ma perde evidentemente importanza e nel quale il precedente di Lussemburgo di avere le installazioni eccetera può avere anche un certo peso. Come ho detto prima non si può sottovalutare anche il fatto che la prima assemblea è a Strasburgo, perché rappresenta oltre che per motivi razionali di concentrazione, anche una concessione al piano Eden. Voi sapete che nel piano Eden gli inglesi chiedono di essere, di avere degli osservatori che partecipino all’assemblea. Non è molto chiaro se la loro richiesta riguardasse oltre che l’assemblea anche le commissioni. Noi l’abbiamo interpretata nel senso che nelle commissioni lavorano coloro i quali sono più direttamente interessati, ma nel momento delle decisioni possono partecipare come osservatori anche coloro i quali hanno un rapporto particolare di garanzia, come gli inglesi ed eventualmente anche altri. Questo «eventualmente altri» è rimasto un po’ in sordina perché il problema si dovrà in settembre definire. Dunque noi abbiamo sostenuto un duplice punto di vista: gettare o mantenere ponti, ma non confondere le responsabilità circa il carbone e l’acciaio e circa la difesa. Vi faccio osservare che, non so se voi avete questa impressione di lontano, ma i giornalisti che erano presenti me lo possono testimoniare, anche i giornalisti francesi, furono sorpresi che durante queste discussioni dell’acciaio e come conclusione nel comunicato si parla senz’altro del problema della Saar. Va posto il problema della Saar, e posto in questa forma non era più possibile evitarlo e qui è, secondo me, il progresso fatto. Non è più una questione che si possa dissimulare, è una questione che bisogna affrontare. Può anche essere, c’è un rischio nella storia sempre in certi momenti che le cose vadano male, non è detto che riusciranno veramente, perché le difficoltà sono notevoli, innegabilmente sono notevoli, ed i fattori che debbono prendere la parola parecchi, ma non può più essere che si dissimulino. In ogni modo le questioni esistono e quando le questioni esistono bisogna affrontarle specialmente se si tratta di una questione come quella della Saar. Il ragionamento è chiaro: se fra Francia e Germania ci sarà un accordo per la questione della Saar, allora in Francia e in Germania e negli altri stati la ratifica dello statuto della difesa è assolutamente accettabile e più facilmente accettabile, se invece l’accordo non ci fosse il pericolo sarebbe grave. Vorrei fare ancora un’osservazione sopra i risultati dei metodi di lavoro. Necessaria è, questo bisogna dirlo a quanti illustrano, volontà e speranza, necessaria è una pazienza tenace. Non si può procedere solo con progetti architettonici sulla carta o con proclamazioni statutarie generiche. Ho detto ai giovani che erano venuti a salutarci alla stazione che l’edificio europeo non può essere fatto come una casa prefabbricata, perché deve essere una costruzione razionale, questo razionale vuol dire tener conto delle correnti della storia, della contraddittorietà degli interessi, adattarla alle esigenze e alle ispirazioni politico-economiche. E se nella costruzione, come avviene talvolta ai nostri costruttori, specialmente a Roma, si incappa quando si fanno le fondamenta in un sottosuolo archeologico, ovvero, questo vuol dire le difficoltà storiche, no?, oppure geologicamente debole, le infiltrazioni, allora bisogna mettere l’escavatrice, o la perforatrice là dove si rivela l’intoppo: ecco la Saar. Secondo osservazioni che vorrei fare che il metodo dell’avvicinamento umano deve essere identificato, deve essere intensificato, avallato e intensificato. Nel contatto personale diretto la voce della coscienza e il senso della responsabilità si risvegliano. Senza dubbio noi abbiamo bisogno della formula, della preparazione della formula diplomatica, abbiamo bisogno della preparazione tecnica, si può fare attraverso gli atti attraverso le pratiche, ma mai si arriva a quella immediatezza di espressione, a quella naturalezza di conclusione a cui si arriva nel dibattito a tu a tu quando l’uomo sente di essere responsabile verso la propria nazione e verso la propria storia, ma responsabile anche verso l’avvenire dei colleghi, degli interlocutori con i quali si è intrattenuto. Dico questo perché mi pare puerile l’ironia di certi giornali che cercano di gettare discredito su quest’opera e si meravigliano se le difficoltà nascono e rinascono. Quando si pensa la storia degli ultimi decenni, congressi di partiti, parlo di congressi soprattutto internazionali, che discutono animatamente sopra le formule e che non arrivano a nessuna conclusione o arrivano a conclusioni negative o continuano, il periodo dopo le conclusioni, a dibattere nelle discussioni, alle difficoltà di tenere insieme un partito un’idea anche quando l’idea fondamentale è la medesima, quando penso alle difficoltà dei congressi internazionali, dei compromessi sopra tesi differenti, congressi di giuristi, congressi tecnici o congressi di periti e quando penso alle difficoltà parlamentari entro una stessa nazione, perché volete essere così rigorosi dinanzi ad assemblee ristrette sì ma che rappresentano diverse assemblee, che rappresentano diverse correnti storiche e fanno lo sforzo di conciliazione passando sopra ponti che vengono certe volte gettati come i ponti provvisori dell’avanzata di un esercito perché non c’è il tempo di creare le fondamenta, perché spesso una cosa spinge l’altra. Mi pare per la verità che è far torto alla nostra generazione di non riconoscere che con questo metodo che abbiamo seguito e che seguiremo si fanno notevoli progressi. Vi dirò anche, vi confesserò che in questi giorni io ho ammirato specialmente due uomini: il ministro degli Esteri francese, che in quella mattina, dopo la mia interruzione, ha avuto delle parole meditate sulla Saar e sui rapporti con la Germania, che hanno aperto la possibilità di nuove sistemazioni internazionali, e Adenauer, così attento difensore delle istanze germaniche, ma che nonostante le dure prove del dopoguerra e molte delusioni, nei momenti delle decisioni sente e manifesta pur sempre la responsabilità europea. Lasciate che finisca esprimendo la fiducia che tale speranza che tale visione ottimistica che io ho non mi venga meno e che io abbia in ogni modo dei successori con la stessa fede con la stessa volontà di continuare quest’opera. [Versione pubblicata] Pensavamo che avremmo partecipato all’ultima riunione del Consiglio dei sei ministri degli Esteri prima dell’entrata in vigore dell’effettiva costituzione del pool del carbone e dell’acciaio; e avevamo all’ordine del giorno la designazione della sede, la nomina dei membri dell’Alta autorità e dell’Alta corte, la fissazione della data di entrata in funzione di tali organi. Il governo italiano peraltro aveva chiesto di aggiungere agli argomenti da trattarsi anche quello di un possibile acceleramento delle procedure previste per realizzare la federazione europea: e ne indicava un mezzo concreto nell’attribuire all’Assemblea del piano Schuman l’incarico di elaborare un progetto di Statuto federale europeo. Come è noto, tale compito è attribuito dall’art. 38 del trattato per la Comunità europea di Difesa all’Assemblea internazionale di questa, ma è anche noto che questo secondo Parlamento non potrà essere costituito se non fra qualche tempo, mancando ancora la ratifica parlamentare di alcuni Paesi al trattato sulla CED. La proposta italiana – presentata a Parigi sotto forma di una risoluzione comune italo-francese – non ha potuto essere discussa per una pregiudiziale del ministro degli Esteri olandese, il quale ha fatto presente che il governo dei Paesi Bassi è attualmente in carica per i soli affari di ordinaria amministrazione e che in tali condizioni egli non si sentiva autorizzato ad esprimere un parere responsabile. Se ne discuterà comunque alla prossima riunione dei ministri degli Esteri. Ma possiamo contare che la risoluzione verrà approvata, dal momento che già vi hanno dato il loro assenso il Belgio e la Germania. Il testo della proposta è il seguente: «La conferenza dei ministri degli Affari Esteri rappresentanti i sei paesi che partecipano alla Comunità del carbone e dell’acciaio, riunita a Parigi il 23 luglio 1952, ha preso le decisioni seguenti: 1)Obiettivo finale e costante dei predetti governi è stato e rimane quello di riuscire a costituire una Comunità politica europea che sia la più larga possibile. 2)A richiesta del governo italiano è stato inserito nel trattato che istituisce la Comunità europea di Difesa e che è stato firmato il 27 maggio 1952, un art. 38 che ha per oggetto di affidare all’assemblea di detta Comunità lo studio di una struttura federale o confederale ulteriore, fondata sul principio della separazione dei poteri e comportante, in particolare, un sistema rappresentativo bicamerale. 3)Nella sua risoluzione n. 14, adottata dall’assemblea consultiva del Consiglio d’Europa nel corso della sua seduta del 30 maggio 1952, detta assemblea ha domandato che i governi degli Stati che partecipano alla Comunità europea di Difesa scelgano la procedura più rapida, che consiste nel dare a una assemblea il mandato di elaborare lo statuto di una comunità politica di carattere sopranazionale, che rimarrebbe aperta a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed offrirebbe delle possibilità di associazione a quegli Stati che non vi avessero aderito. 4)Ispirandosi alle considerazioni di cui ai punti 2) e 3) e desiderosi di sollecitare lo studio del progetto prospettato, assicurando a tale studio il massimo di autorità, i governi che partecipano alla Comunità carbone-acciaio, sono d’accordo su quanto segue: a. L’assemblea della predetta Comunità è incaricata, in conformità dei principi dell’art. 38 del trattato CED – le cui disposizioni restano invariate – e nell’attesa dell’entrata in vigore dell’assemblea CED, di studiare e di elaborare un progetto di trattato istituente una Comunità europea politica. A tal fine i membri dell’assemblea, raggruppati per delegazioni nazionali, coopteranno, fra i delegati dell’assemblea consultiva che non sono membri dell’assemblea carbone-acciaio, tanti membri supplementari quanti ne occorreranno per raggiungere il numero previsto per la rappresentanza di ciascun paese all’assemblea CED. b. L’assemblea così composta e completata si riunirà in sedute plenarie e sedute di commissioni nella sede del Consiglio d’Europa. Essa fisserà le condizioni alle quali i rappresentanti degli altri paesi membri del Consiglio d’Europa potranno associarsi al lavoro in seduta pubblica in qualità di osservatori. Inoltre l’assemblea farà periodicamente rapporto all’assemblea consultiva sullo stato e sull’avanzamento dei lavori. b.1) Se entro il termine di sei mesi a datare dalla convocazione dell’assemblea del carbone-acciaio, il trattato per la Comunità non fosse ancora entrato in vigore, le conclusioni dei lavori compiuti dall’assemblea del carbone e dell’acciaio saranno trasmesse ai Ministri degli Affari Esteri dei sei Paesi. c. Il Comitato dei ministri della Comunità carbone-acciaio sarà associato ai lavori dell’assemblea alle condizioni che saranno stabilite di comune accordo tra i due organismi. Il comitato predetto farà periodico rapporto al comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. d. I governi dichiarano espressamente di ispirarsi alle proposte fatte dal governo britannico e che tendono a prevedere i più stretti vincoli possibili tra la futura Comunità politica e il Consiglio d’Europa. A tal uopo l’elaborazione dello statuto della predetta comunità dovrà essere iniziato e proseguito in permanente contatto con tutti gli organismi del Consiglio d’Europa. e. L’assemblea consultiva del Consiglio d’Europa sarà informata delle decisioni di cui sopra» A Parigi la situazione è stata dominata dalla inattesa proposta di Schuman che la sede degli organi esecutivi della Comunità carbo-siderurgica venisse stabilita a Strasburgo in attesa di poterla trasferire definitivamente a Saarbrücken, una volta raggiunta la «europeizzazione» della Saar. Sembrò una proposta tattica per ottenere l’assenso degli altri paesi – che notoriamente avevano tutti una loro candidatura da presentare – alla scelta di una città francese a capitale del pool; ma dopo un primo moto di sorpresa e di conseguente incertezza nel pronunciarsi sulla proposta di Schuman, venne compreso che questi aveva sinceramente posto sul tappeto un problema di straordinaria importanza. Per questo sono intervenuto suggerendo di sospendere la discussione sulla scelta della sede provvisoria e di concedere ai due governi di Parigi e di Bonn il tempo necessario per approfondire l’esame del problema sarrese. Alla prossima riunione dei sei ministri degli Esteri si sarebbero potute prendere decisioni definitive se nel frattempo Francia e Germania occidentale avessero potuto raggiungere un accordo così significativo e di buon auspicio per la pace europea: nel che i sei membri facilmente convennero. Ma ci sono motivi per sperare che si arrivi a tale accordo? Ne sono convinto: alcune importanti dichiarazioni fatte da Schuman sull’argomento in sede di comitato ristretto rappresentano, infatti, un autentico atto di fede nell’Europa e non va trascurato che il governo francese si è dichiarato pronto a trattare con la Germania occidentale per una sistemazione della Saar senza pregiudiziali di sorta, senza cioè richiamarsi rigidamente all’attuale statuto del territorio sarrese: nel quale del resto non esistono le difficoltà che potrebbero derivare da una contrastante valutazione della situazione etnica. Non si tratta di neutralizzare quel territorio ma di farne un centro vitale dell’unione europea, e a una prospettiva del genere l’Italia non può che essere favorevole. Saarbrücken significa «ponte sulla Saar»: ma può esser un ponte anche per altre cose; qualche volta, come in guerra, i ponti bisogna gettarli in fretta, perché il tempo e le circostanze incalzano; ma l’edificio dell’unione europea, invece, va costruito con tenace fermezza e con i dovuti accorgimenti. Essa vuole abbracciare infatti nazioni di diversa tradizione e di differente forza, e ci si trova nelle condizioni di chi, gettando le fondamenta di un edificio, può trovarsi su un terreno archeologico o geologicamente debole. Puerile è l’ironia di certi giornali sulla lentezza con cui si procede verso l’unione europea o sulle difficoltà che si incontrano in conferenze internazionali: è quello che sempre avviene in assise del genere e perfino nei Parlamenti di una singola nazione. È necessario uno sforzo continuo di conciliazione tra gli opposti pareri e le diverse esigenze, ma solo con questo metodo si possono fare notevoli progressi. A Parigi ho parlato da europeo, ma non ho mai dimenticato l’Italia. Ho guardato e guardo soprattutto alla nostra gioventù, alle generazioni che vengono, all’avvenire del nostro paese. [Altra versione] […] Si supponeva – egli ha detto – che questa sarebbe stata l’ultima riunione dei Ministri, che avrebbero messo in azione la Comunità del carbone e dell’acciaio; e perciò all’ordine del giorno, che prevedeva la definizione della sede degli organismi, le nomine dei rappresentanti, la data dell’entrata in funzione della Comunità, avevano aggiunto nella nostra preoccupazione di accelerare lo sviluppo federale, una proposta per invitare l’Assemblea alla [della] Comunità dell’acciaio e del carbone ad assumersi il compito di preparare un progetto federativo, responsabilità che, in base all’art. 38 dello Statuto della Comunità europea di Difesa, era riservata alla stessa Assemblea della CED. Era nostra intenzione che il lavoro preliminare fosse attribuito all’Assemblea del Piano Schuman, poiché il trattato della CED è ancor lungi dall’entrare in vigore, dovendo ancora essere ratificato dai Parlamenti a differenza di quello della Comunità del carbone e dell’acciaio. L’on. De Gasperi ha rievocato le trattative svolte con il Governo francese per l’elaborazione di una proposta comune: tali trattative si conclusero positivamente, e fu possibile ai due governi presentare un progetto comune concordato sulla base dei testi preparati separatamente dalla Francia e dall’Italia. La proposta in questione è stata soltanto presentata alla conferenza, il suo esame è stato rinviato alla prossima riunione. Il rappresentante del Governo olandese obiettò infatti di non poter assumere responsabilità di discutere questioni di carattere non ordinario, poiché il suo Governo, in attesa che sia risolta la crisi ministeriale seguita alle recenti elezioni svolge soltanto il disbrigo degli affari di ordinaria amministrazione. A questo punto il presidente del Consiglio ha dato lettura del testo della proposta perché si possa comprendere meglio quale sia il programma comune della Francia e dell’Italia. Ecco il testo della proposta italo-francese: La conferenza dei Ministri degli Affari Esteri rappresentante i sei Paesi che partecipano alla Comunità del carbone e dell’acciaio, riunita a Parigi il 23 luglio 1952, ha preso le seguenti decisioni: 1)L’obiettivo finale e costante dei predetti Governi è stato e rimane quello di riuscire a costituire una Comunità politica europea che sia la più larga possibile. 2)A richiesta del Governo italiano è stato inserito nel Trattato che istituisce una Comunità europea di Difesa e che è stato firmato il 27 maggio 1952, un articolo 38 che ha per oggetto di affidare all’Assemblea della detta comunità lo studio di una struttura federale o confederale ulteriore, fondata sul principio della separazione dei poteri e comportante, in particolare, un sistema rappresentativo bicamerale. 3)Nella sua risoluzione n. 14 adottata dall’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa nel corso della sua seduta del 30 maggio 1952, detta Assemblea ha domandato che i Governi degli Stati che partecipano alla comunità europea di difesa scelgano la procedura più rapida che consiste nel dare a una Assemblea il mandato di elaborare lo Statuto di una comunità politica di carattere soprannazionale che rimarrebbe aperta a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed offrirebbe delle possibilità di associazione a quegli Stati che non vi avessero aderito. 4)Ispirandosi alle considerazioni di cui ai punti 2 e 3 e desiderosi di sollecitare lo studio del progetto prospettato, assicurando a tale studio il massimo di autorità, i Governi che partecipano alla comunità carbone-acciaio, sono d’accordo su quanto segue: a. l’Assemblea della predetta Comunità incaricata, in conformità dei principi dell’art. 38 del trattato CED le cui disposizioni restano invariate – e nell’attesa dell’entrata in vigore dell’Assemblea CED – di studiare e di elaborare un progetto di trattato istituente una Comunità europea politica. A tal fine i membri dell’Assemblea, raggruppati per delegazioni nazionali, coopereranno, fra i delegati dell’Assemblea consultiva che non sono membri dell’assemblea carbone-acciaio, tanti membri supplementari quanti ne occorreranno per raggiungere il numero previsto per la rappresentanza di ciascun paese all’Assemblea CED. b. L’Assemblea così composta e completata si riunirà in sedute plenarie e sedute di commissioni nella sede del Consiglio d’Europa. Essa fisserà le condizioni alle quali i rappresentanti degli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa potranno associarsi ai lavori in seduta pubblica in qualità di osservatori. Inoltre l’assemblea farà periodicamente rapporto all’Assemblea consultiva sullo stato e sull’avanzamento dei lavori. b.1) Se entro termine di sei mesi a datare dalla convocazione dell’Assemblea del carbone-acciaio, il trattato per la CED non fosse ancora entrato in vigore, le conclusioni dei lavori compiuti dall’Assemblea del carbone e dell’acciaio, saranno trasmessi ai Ministri degli Affari Esteri dei sei Paesi. c) Il Comitato dei Ministri della Comunità carbone-acciaio sarà associato ai lavori della Assemblea alle condizioni che saranno stabilite di comune accordo fra i due organismi. Il comitato predetto farà periodico rapporto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. d)I Governi dichiarano espressamente di ispirarsi alle proposte fatte dal Governo britannico e che tendono a prevedere i più stretti vincoli possibili tra la futura comunità politica e il Consiglio d’Europa. A tale uopo l’elaborazione dello statuto della comunità dovrà essere iniziato e proseguito in permanente contatto con tutti gli organismi del Consiglio d’Europa. e) L’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa sarà informata delle decisioni di cui sopra. A commento della proposta il presidente del Consiglio ha avvertito che essa, per quanto non sia stata ancora discussa ha avuto l’assenso della Germania e del Belgio, il che induce a ritenere che la proposta stessa sarà accettata, quando sarà posta sul tappeto. Spero – ha aggiunto l’on. De Gasperi – che la nostra proposta soddisfi i federalisti, i quali avevano presentato richieste di acceleramento dei lavori per la realizzazione dell’unità europea. Il presidente del Consiglio ha illustrato i precedenti del terzo punto della proposta italo-francese, ed ha soggiunto che nel complesso della proposta si riteneva opportuno di creare un ponte, secondo lo spirito della proposta britannica, anche con il Consiglio d’Europa di Strasburgo; ciò nel presupposto che tutto sia fondato su basi concrete. Esaurito questo argomento, le riunioni – ha continuato l’on. De Gasperi – sono state occupate da una inattesa e importante proposta francese. Il presidente del Consiglio ha ricordato che tale proposta fu elaborata nella mattina della riunione del Consiglio dei Ministri francese, e fu presentata da Schuman improvvisamente. La proposta parve all’inizio avere valore tattico: ma ci si rese conto che aveva un significato sostanziale. Schumann suggerì che Saarbrücken fosse scelta a sede definitiva degli organi della comunità quando la Saar sarà stata dotata di uno statuto europeo autonomo, secondo la volontà delle popolazioni locali, e con la garanzia degli Stati interessati in attesa dell’entrata in vigore di questo statuto, la sede provvisoria sarebbe Strasburgo. Dopo aver rievocato le discussioni svoltesi intorno alla scelta della sede o delle sedi degli organi della Comunità (il presidente del Consiglio ha ricordato la tesi dell’accentramento degli istituti in una sola città e quella del decentramento in varie città), l’on. De Gasperi ha affermato che lì per lì la discussione sulla proposta francese fu interpretata come un desiderio di Schuman di far accettare dai tedeschi la sede di Strasburgo, in cambio di un eventuale accordo futuro sulla Saar. In tutta questa discussione, nella quale entravano gli elementi più vari, quali la rapidità delle comunicazioni, le installazioni, ed altri fattori l’on. De Gasperi afferma di aver detto in sostanza: Anche l’Italia può offrire possibilità come gli altri paesi di sedi convenienti, preparate da decenni, alcune fin dal Risorgimento, come Torino: ma questa è una posizione dialettica. Il fondo del problema è un altro: è il raggiungimento dell’unità europea. Per questo motivo crediamo di accogliere il criterio della concentrazione degli istituti in un’unica sede. Ma tutto questo è secondario – aggiungeva l’on. De Gasperi –. Lo straordinario è rappresentato dalla proposta francese di fissare a Saarbrücken la sede definitiva, dopo che la questione della Saar sia regolata mediante un accordo franco-tedesco. Di fronte a questo problema tutto il resto passa in seconda linea. È naturale quindi che questo debba essere considerato il problema centrale e di comune interesse. Occorre dire – ha soggiunto il presidente del Consiglio – che la sorpresa della proposta rese naturale una certa reticenza sulle successive dichiarazioni, in quanto nessuno aveva avuto tempo di prepararsi a prender posizione. Adenauer si limitò a chiedere spiegazioni e dettagli, e le risposte non potevano che essere, in quel momento, evasive. Fu allora che «prendendo il toro per le corna» – ha detto l’on. De Gasperi – proposi di interrompere la discussione sulla questione della sede, per dar modo a tedeschi e francesi di prendere subito contatto diretto. E così avvenne. Frattanto la conferenza procedette trattando altri argomenti, dei quali il comunicato finale ha dato notizia, regime linguistico, nomina dei componenti dell’Alta Autorità ecc. L’on. De Gasperi ha dato particolari circa tali questioni ed ha soggiunto: In comitato ristretto della conferenza si ebbero dichiarazioni di Schuman molto importanti. Si trattò di una chiara professione di fede europea, di un onesto atteggiamento di buon volere, di un proposito di trattare con i tedeschi senza pregiudiziali esclusive. Ciò era soprattutto importante in considerazione dei precedenti nei rapporti franco-tedeschi a proposito della Saar. È da notarsi che si tratta di dotare un territorio di uno Statuto internazionale non per neutralizzare abbandonandolo a lotte intrinseche ed etniche peraltro inesistenti, ma trasformandolo in centro dell’Unione Europea. Considerando tale impostazione – ha detto l’on. De Gasperi – era naturale che io insistessi perché la questione fosse affrontata. Nel pomeriggio, dopo una riunione di Adenauer con Pinay, Pleven e Schuman, il Cancelliere tedesco mi disse con cautela ma con speranza che gli pareva che una finestra si fosse aperta. Si creava così una prudente ma fondata attesa per una soluzione definitiva. E si disse subito che, se la questione era solubile, si doveva cercare di affrettarne lo svolgimento. Tuttavia, nella seduta notturna, da qualche parte si espresse forse il timore che lo accordo franco-tedesco fosse di impossibile realizzazione, e pertanto, l’accettazione di Strasburgo come sede provvisoria avrebbe potuto significare una scelta di fatto definitiva. Ecco le ragioni della lunga seduta notturna, durante la quale specialmente i rappresentanti dei cosiddetti piccoli Stati tornarono a proporre le loro sedi, ed ecco la soluzione di compromesso per la quale la Assemblea si riunirà a Strasburgo il 10 settembre, mentre l’Alta Autorità e la Corte di Giustizia – quest’ultima presieduta da Massimo Pilotti – si riunirà il 10 agosto a Lussemburgo. Ora, una prossima riunione dei Ministri, che si terrà in settembre, dovrà adottare le decisioni definitive circa la sede permanente, in relazione ai risultati delle trattative per la Saar. Questa è l’impostazione alla quale siamo arrivati, ha detto l’on. De Gasperi. Il problema della Saar non doveva essere evitato. Era una questione che bisognava affrontare. Questo è il progresso che abbiamo realizzato. È vero, le difficoltà sono notevoli, ma non possono essere dissimulate. Se tra la Francia e la Germania si realizzerà un accordo per la Saar nei due Paesi e negli altri Stati anche la ratifica del trattato della CED dovrebbe risultare più facile. Vorrei fare un’osservazione – ha poi detto l’on. De Gasperi – circa i metodi di lavoro e i risultati. Sono necessarie pazienza e tenacia. Non si può procedere soltanto con progetti sulla carta o con proclamazioni statutarie generiche. Dissi ai giovani che erano venuti a salutarmi che l’edificio europeo non può essere fatto come una cosa prefabbricata, perché deve essere una costruzione razionale, deve tener conto cioè delle correnti della Storia, degli interessi, delle esigenze e delle aspirazioni politiche ed economiche. E se nella costruzione, come avviene spesso e specialmente a Roma, si incappa in un sottosuolo archeologico – queste sono difficoltà storiche – o in un sottosuolo geologicamente debole, allora occorre adoperare escavatrici e perforatrici. Ecco la Saar. Quando si pensa – ha detto l’on. De Gasperi sottolineando l’importanza dell’apertura costituita dall’europeizzazione della Saar – che tutti i rapporti tra Francia e Saar vennero precisati nelle convenzioni franco-sarresi del 3 marzo ’50, convenzioni che concernono la unione economica, lo sfruttamento delle miniere e un accordo generale di riconoscimento dell’autonomia. Convenzioni aspramente attaccate dai partiti tedeschi e che ora si afferma di voler risolvere questo contrasto dotando il territorio di uno statuto internazionale non per neutralizzarlo, abbandonandolo a lotte intrinseche, ma trasformandolo in centro capitale dell’Unione Europea, come per esempio il distretto di Columbia negli Stati Uniti o Canberra in Australia, salvo l’approvazione della popolazione e con la garanzia di tutti gli Stati interessati, quando si pensa a tutto ciò, allora si trova naturale che io abbia insistito tanto perché la questione venisse affrontata subito. Il presidente del Consiglio ha posto in rilievo l’importanza dei contatti diretti tra gli uomini responsabili degli Stati, importanza manifestatasi specialmente in questa occasione. Dico questo – ha detto l’on. De Gasperi – perché mi pare puerile l’ironia di certi giornali, i quali intendono gettare il discredito su questa nostra opera, e si meravigliano delle difficoltà. Quando si pensa alla storia degli ultimi decenni, quando si pensa alle difficoltà che esistono perfino nei congressi dei partiti – e allora si tratta di lavorare sulla stessa base ideale e programmatica – quando nascono discussioni anche quando si è giunti a conclusioni positive, come ci si può meravigliare delle difficoltà che possono sorgere in seno ad assemblee che rappresentano diverse assemblee nazionali, diverse correnti storiche? Queste assemblee compiono uno sforzo di conciliazione. Mi pare, per la verità, che con il metodo adottato si è realizzato un notevole progresso. Vi dirò anche – ha detto il presidente del Consiglio – che in questi giorni ho ammirato specialmente due uomini, il ministro degli Esteri francese Schuman, che dopo il mio intervento ha avuto parole meditate sulla Saar e sui rapporti con la Germania, aprendo la possibilità di nuove sistemazioni internazionali, e Adenauer così attento difensore delle istanze germaniche, ma che nonostante le dure prove del dopoguerra e le molte delusioni, sente e manifesta pur sempre la responsabilità europea. Lasciate – ha concluso l’on. De Gasperi – che finisca esprimendo la speranza che la fiducia nell’unità europea non mi venga meno, e che io abbia in ogni modo dei successori con la stessa fede e con la stessa volontà di continuare quest’opera. Qualcuno mi dirà: hai parlato da europeo, qualche giornale lo ha notato: Ho parlato da europeo, sì. Ma parlando da europeo, chi può credere che io non avessi in animo l’Italia? Ho parlato da europeo ma per servire anche il popolo italiano, il suo sviluppo, la missione della nazione, e soprattutto guardando alle generazioni che vengono, alla nostra gioventù e all’avvenire del nostro Paese. Concluse le sue dichiarazioni, il presidente del Consiglio ha risposto ad alcune domande rivoltegli dai giornalisti italiani e stranieri presenti. Egli ha avuto così occasione di precisare tra l’altro che un piano organico di azione futura sarà determinato dal corso degli eventi, in rapporto al funzionamento degli organismi già creati. Non poniamo ipoteche circa i metodi da seguire, ma una cosa conviene sottolineare, ed è che pur non essendo contrari all’eventuale convocazione di un’assemblea costituente, secondo le richieste dei federalisti con conseguente decisione in tal senso, è opportuno che contemporaneamente non si abbandoni il lavoro intrapreso. Il presidente del Consiglio ha quindi precisato – in risposta a domanda analoga – che se la struttura della Comunità europea non risponderà ai fini condizionati nel tempo, essa potrà essere modificata opportunamente. Egli ha poi ricordato che il funzionamento del Piano Schuman, anche per quanto riguarda i movimenti di carbone e acciaio, si inizierà nei prossimi giorni, in coincidenza con l’entrata in funzione dell’Alta Autorità. Il presidente del Consiglio ha infine risposto negativamente alla domanda se la europeizzazione della Saar potrebbe eventualmente costituire un precedente per il Territorio Libero di Trieste.
cd81176a-1225-4ae3-b3b2-a197a915309f
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Caro Sig. Acheson. Lei ha appreso i risultati del recente incontro a Parigi dei sei ministri degli esteri. Seguendo il suggerimento del Sig. Schuman di scegliere Saarbrücken come sede della Comunità del carbone e dell’acciaio, ho spronato i miei colleghi a non perdere questa opportunità di arrivare a un accordo fra Francia e Germania sul problema della Saar. Ho sottolineato che si tratta di una necessità imperativa nel diretto interesse non solo della Comunità ma della pace e del generale futuro d’Europa. Come lei sa, a Parigi sono già iniziati colloqui fra francesi e tedeschi. Non mi aspetto che i negoziati saranno semplici, e il sostegno dell’autorità e dell’amicizia americana sarebbe impagabile. Mi aspetto che in particolare il Cancelliere tedesco avrà bisogno di incoraggiamento per superare l’opposizione nel suo paese. Senza dubbio sta seguendo i negoziati a Parigi e la sua acuta sensibilità le suggerirà come e quando prestare la sua assistenza. Noi membri della Comunità europea di Difesa dedicheremo la massima attenzione a questo problema. La ratifica del trattato di difesa europeo incontrerà difficoltà di vario genere anche in altri paesi. Le ho già citato le difficoltà che incontreremmo in Italia se la questione di Trieste non fosse in via di soluzione. Ma senza dubbio lo stato delle relazioni franco-tedesche influenzerà decisivamente le procedure di ratifica. Una soluzione soddisfacente del problema della Saar contribuirebbe ad assicurare una pronta ratifica del trattato e il consolidamento della comunità e significherebbe sicuro progresso sulla via dell’unione europea.
64212d95-85d9-42c5-ab50-53e809a685aa
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’Italia ha aderito al proclama del ministro Schuman del maggio del 1950 poiché ha visto nell’iniziativa un notevole passo verso l’Unità Europea. Il nostro Paese partecipò fin dall’inizio alle trattative, consapevole della responsabilità che si assumeva: e vi portò il contributo più attivo ed appassionato sul piano politico e sul piano tecnico. Sul piano politico, perché l’adesione italiana era quella di un grande popolo che aveva trovato in se stesso la forza di risollevarsi dal disastro nel quale era stato precipitato dalla guerra. Sul piano tecnico, perché l’Italia – nonostante il dislivello di produzione e di costi rispetto ad altri Paesi aderenti – si trovava nel momento più dinamico del proprio rinnovamento industriale nei settori siderurgico e carboniero. I vantaggi economici del Piano Schuman, entro il quadro della collaborazione europea, sono evidenti a tutti, non solo agli economisti: si tratta di creare un mercato unico europeo per il carbone e l’acciaio, per due prodotti, cioè, che sono alla base di ogni processo produttivo. Ciò significa eliminare gli ostacoli allo scambio dei beni, i dazi doganali ed ogni forma aperta o larvata di cartellismo. La nostra esperienza storica di italiani ci permette di valutare in pieno tutta l’importanza del passo che l’Europa compie; noi ricordiamo infatti quale prodigioso sviluppo economico accompagnò in Italia la soppressione, con la raggiunta unità, delle barriere che spezzettavano la penisola, impedendo ogni slancio verso una migliore convivenza sul piano economico e sociale. Il Piano Schuman superando fortissimi ostacoli di carattere pratico – e ideologico – realizzò per la prima volta un organismo sopranazionale. Per la prima volta i Paesi partecipanti hanno parzialmente rinunciato a favore della Comunità, in determinati settori e pur con le necessarie cautele, ai propri diritti sovrani. Mercato unico e organismo sopranazionale: sono le due caratteristiche principali della nuova comunità europea. Notevoli e concrete realizzazioni alle quali siamo pervenuti dopo una fase relativamente breve di elaborazione e di negoziati; e che forse sono al di là di quanto i più entusiastici fautori del federalismo europeo sperassero pochi mesi or sono. Tanto più potremo dir questo se, come abbiamo proposto, l’Assemblea del Piano Schuman sarà chiamata anche a studiare il problema dell’istituzione di un’Autorità politica europea. Ed ora procediamo sul cammino iniziato. Abbiamo posto le pietre di fondazione dell’unità europea: incoraggiati da tali inizi e sospinti dalla intima convinzione di agire nell’interesse di individui e di popoli e della nostra stessa civiltà, accingiamoci senza sosta ad innalzarne ora l’edificio.
b95d7c94-5b40-49ed-8ac6-5a667736ff24
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sono preoccupato del tono e contenuto ultimo telegramma Canino quando dichiara procedere compressione attività sovversiva partito Giovani Somali. Bisogna evitare che ci vengano consigli di moderazione da parte mandatari, procedere con severità inchiesta, ma escludere ogni rappresaglia in massa. Paese non comprenderebbe una situazione di conflitto in una zona di mandato. Qualora Fornari non potesse partire bisognerà forse inviare Brusasca anticipando.
270c4812-dd0e-45ce-8527-3f866c92297a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Per considerazioni dell’Ufficio competente ho letto il programma per la Somalia. Approvo di massima e mi riservo di entrare in dettaglio. Ho bisogno però fin d’ora di rilevare alcuni punti: 1. I problemi fondamentali per i prossimi anni saranno economico-sociali. Il futuro governatore dovrà essere uomo preparato per la soluzione di tali problemi. 2. È grave errore ipotizzare un partito giovane somalo «sovversivo»: più saggio prevedere che questo sarà il futuro partito dell’autogoverno. O lo guadagniamo almeno in parte o perderemo la partita. Guadagnarlo vuol dire associare fin d’ora i capi più intelligenti alla nostra vita di affari e di amministrazione. Perciò è errata ogni politica di ostilità generica: punire i colpevoli, ma considerare diversamente gli elementi ancora guadagnabili. Inutile rilevare che la lotta contro il partito dei giovani somali, li potrebbe portare al fanatismo e creare situazioni simili a quella di altri paesimussulmani. 3. Sventuratamente sonvi colà ancora dei funzionari di spirito coloniale. Com’è che quel Wagner di Chisimajo aveva provocato una violenta reazione anche alcuni mesi fa in altra sede? E non fu un errore di Canino quello di non ricevere il pubblico, allegando che vi si era recato solo come privato? Un segretario generale, di fronte a folle primitive non può mai spogliarsi delle insegne della Autorità tutoria. 4. Mi spiace di dover dare ragione a certa stampa avversaria, ma è verissimo che ci stanno ancora molti fascisti e che in raduni confidenziali cui partecipano anche impiegati, si ricanta giovinezza. È una cosa, di cui il governatore devesi preoccupare, perché essa provoca duplice reazione: presso i Somali e presso le U.N. Mi dicono che Quaglia aspiri al notariato. Confido che non lo si vorrà esporre a nuove amarezze. Bisognerà anche ispezionare tutta la burocrazia ed esaminare il caso magistratura. Questa nota è solo per Zoppi e Taviani; e per Fornari si potrà cavarne la parte direttiva generica.
0c5451ae-1369-464b-bb40-0ae1cad0d208
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Caro Tarchiani, rispondo in fretta e personalmente alla tua del 6 corrente. 1)escludo che un governo italiano possa accettare la spartizione della zona A e della zona B; e ciò molto meno alla vigilia delle elezioni politiche; 2)ho notato che nelle trattative per l’amministrazione di Trieste è intervenuto forte il Pentagono per difendere l’occupazione militare e il suo prestigio; 3)sono preoccupato per le minacce di Tito di introdurre misure di rappresaglia nella zona B. Preoccupato perché ciò provocherebbe una reazione fortissima che potrebbe spingere il Governo a dimostrazioni di forza. Sono alienissimo da avventure ma devo pur dirti in confidenza che se gli Anglo-americani gli lasciassero le redini sul collo, qui succederebbe qualcosa di serio. Spero che non ce ne sia bisogno, ma in confidenza e per tua informazione personale devo pur dirti che il pericolo esisterebbe ancora qualora le misure fossero di una certa entità. Questo per te e come mia impressione personale. Ti scriverò più oltre e intanto ti saluto
5255886c-2976-49ad-b73e-9f0093a0994d
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor Ambasciatore, ho l’onore di accusare ricevuta della lettera F.O. n. 672 del 6 corrente, con la quale V.E. mi ha trasmesso un messaggio del Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, e di pregarla di voler far pervenire al Signor Acheson la seguente risposta: «Quanto V.E. mi ha cortesemente comunicato circa la ratifica da parte americana del Protocollo Addizionale al Trattato Nord Atlantico del 27 maggio 1952 sulla garanzia ai membri alla Comunità europea di Difesa, nonché circa il voto del Senato americano e il significato di tale voto mi è giunto particolarmente gradito. Il Governo italiano infatti, negli sforzi che tenacemente dedica alla creazione della Comunità europea, apprezza appieno l’amichevole atteggiamento con il quale gli Stati Uniti seguono ed appoggiano l’opera dei sei Governi che hanno concluso il Trattato per la Comunità europea di Difesa. La pronta ratifica americana del Protocollo suddetto e la grandissima maggioranza raggiunta nella votazione al Senato sono conferma di tale amichevole atteggiamento e non possono non risultare di incoraggiamento ai sei Governi nell’opera che loro rimane ancora da compiere per la ratifica del Trattato e per la sua esecuzione. Come ho accennato nella mia lettera diretta a V.E. il 27 luglio scorso, il cammino che rimane da percorrere non è scevro di ostacoli. Il Governo italiano si augura vivamente che tali ostacoli possano essere superati e che esso sia messo in condizione da ottenere rapidamente il suffragio del Parlamento». Voglia gradire, Signor Ambasciatore, l’espressione della mia più alta considerazione.
2b5f1e7e-2345-4f9b-b254-8081fda3bc38
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Politica Il primo ministro ha espresso l’opinione che i tre partiti minori si stanno allineando sulla riforma della legge elettorale. Pensa che ci sarà una dura lotta in parlamento quando il nuovo progetto sarà presentato e sta cercando una formula che comporti il meno possibile in termini di emendamento della legge vigente. Se ciò potesse essere fatto in pochi brevi paragrafi sarebbe molto più facile da gestire rispetto alla presentazione di una legge interamente nuova. Alla mia domanda riguardo alle prospettive di un governo di coalizione, il primo ministro ha risposto che crede non sia possibile formare un governo di coalizione (quattro partiti) prima delle elezioni. Se si potesse raggiungere in quattro o cinque giorni di negoziato sarebbe praticabile, ma una discussione tirata in lungo sarebbe pericolosa. Dato che non crede che un governo di coalizione possa essere formato velocemente, la soluzione pratica e saggia è formare un raggruppamento o un’alleanza di quattro partiti collegati, come nelle elezioni amministrative, dando un premio di maggioranza dei seggi. È apparso fiducioso del fatto di poter raggiungere tale alleanza e ritiene che la riforma della legge elettorale lungo le linee indicate sia essenziale. In un sistema proporzionale la paralisi resta possibile perché se le estreme a destra e a sinistra ottengono la maggioranza, ciò nonostante, non sarebbero capaci di funzionare come governo. […] Ha detto che Romita è ansioso di partecipare al governo, ma che gli ha comunicato che dovrà fare penitenza per essere rimasto con Nenni per più di due anni. Fra parentesi, ha riferito che Nenni ha detto all’ambasciatore italiano a Mosca di aver detto a Stalin che l’Italia dovrebbe occupare una posizione neutrale fra est e ovest. Quando Stalin gli ha chiesto come proponeva di ottenere questo, Nenni ha replicato «con patti di non-aggressione con la Russia e gli Stati Uniti». Stalin ha risposto «questa non è una posizione degna di una grande nazione». Il primo ministro mi ha riferito che dopo due settimane di riposo assoluto dopo l’arrivo a Sella, ha avuto molti incontri con i membri dei quattro partiti di centro. Ho avuto la netta impressione che egli abbia ora deciso definitivamente sul corso da tenere, cioè ottenere l’accordo dei quattro partiti sulla riforma elettorale che preveda la possibilità di liste collegate e un premio di maggioranza, e sulla formazione di un governo di coalizione dopo le elezioni (escludendo la probabilità di formarne uno prima). Sembra fiducioso di poter realizzare questo programma. Il primo ministro ha affermato di aver ricevuto aperture da parte dei monarchici che vogliono allearsi con la DC, ma che le ha rifiutate. Ha detto loro che una monarchia, pur potendo essere democratica, ora in Italia è incostituzionale e che un plebiscito sarebbe impensabile allo stato attuale delle cose in Italia e nel mondo. Tuttavia non ha escluso la possibilità di sostegno di singoli esponenti monarchici. Ha detto che il principe Alliata e altri del ramo siciliano del partito stanno per incontrarlo per parlare di un’alleanza. Gli ha proposto di dire loro che sarebbe impossibile come partito monarchico, ma che individualmente potevano sostenere lui e la coalizione. Nel sottolineare ancora la necessità di una coalizione di centro il primo ministro ha detto che alcuni nella DC ritengono che il partito debba essere più strettamente alleato con la Chiesa. «Ma» ha detto «questo è impossible. Nella vita morale del paese la Chiesa può occupare un ruolo guida, ma non nella politica. Può dire che approva un partito, ma non più di questo. Troppo forte è l’opposizione di una troppo ampia parte della popolazione a un ruolo della Chiesa in politica per permetterle di avere un ruolo maggiore di questo». Trieste Il primo ministro ha poi chiesto se avevamo ricevuto alcuna risposta da Tito. Gli ho detto di no. Ha espresso amarezza e di nuovo enfatizzato la desiderabilità di una soluzione soddisfacente prima delle elezioni e prima di tentare la ratifica del trattato CED. Ho detto che ritenevo che il non aver finora ricevuto risposta da Tito potrebbe non essere considerato sfavorevolmente, poiché la nostra proposta non è stata rifiutata e potevamo ritenere che le fosse data attenta considerazione. Il primo ministro ha detto di aver pensato a come aggirare le divergenze che potrebbero sorgere su una linea etnica. Pensa anche non ci possano essere differenze sulla maggior parte della linea, ma che divergenze potrebbero insorgere in casi specifici e si chiede se questi non possano essere risolti con un plebiscito. Dice che intende solo un plebiscito locale, relativo alla specifica città o comunità in discussione; un plebiscito per l’intera area non sarebbe possibile per l’insormontabile difficoltà di mettersi d’accordo sulle condizioni. D’altro canto l’accordo sul plebiscito a livello di comunità, qualora fosse necessario, potrebbe non essere troppo difficoltoso e potrebbe eliminare controversie protratte o lo stallo nei negoziati. Dice che ha pensato di suggerire questa procedura a Eden se lo vedrà a Strasburgo, prima che parta per la Jugoslavia. Disoccupazione e investimenti […] Il primo ministro ha affermato di concordare pienamente con questo punto di vista . Ha detto che anche Pella è d’accordo; (il primo ministro) temeva però che il fatto che denaro non sia speso rapidamente quanto sarebbe necessario sia da ascrivere al macchinoso funzionamento della burocrazia. Ha detto che non appena Pella tornerà dalla conferenza del Fondo monetario internazionale riaffronterà la questione con lui e tornerà a sottolineare la necessità di tagliare la burocrazia e accelerare l’intero programma. Il primo ministro ha fatto riferimento al colloquio che Draper , Kenney ed io abbiamo avuto con il sottosegretario Dominedò sul problema dell’emigrazione. Come già prima, ha detto che questa è questione della massima importanza. Ho replicato che l’ambasciatore Draper aveva inviato un messaggio al mio governo sottolineando i nostri suggerimenti su come affrontare il problema e che avevamo ottenuto una reazione preliminare favorevole da Washington. Comunismo […] Il primo ministro ha risposto che andrà il più avanti possibile per le vie legali, ma che non vuole intraprendere azioni che è certo in partenza non potrebbero essere sostenute in tribunale. Entro tali limiti farà tutto ciò che gli sarà possibile e ci ha chiesto se avessimo dei suggerimenti specifici. Ha detto di aver scritto al ministro delle Finanze Vanoni dandogli istruzioni per rimuovere le organizzazioni comuniste dal demanio. Ha detto che tornerà sulla cosa al ritorno dalle vacanze. […] Il primo ministro ha risposto che qui e in molti altri casi la difficoltà è che le organizzazioni comuniste possiedono la proprietà legalmente e che dubitava che un tribunale avrebbe autorizzato l’evizione. Ha detto che [Togliatti], quando era ministro delle Finanze, fece i contratti e la maggior parte di questi fu fatta per periodi di otto-dieci anni. Di conseguenza, valevano ancora un anno. Ha detto che avrebbe approfondito ancora la questione ma che riteneva che questa particolare situazione avrebbe posto delle difficoltà; non vuole prendere iniziative che potrebbero rivoltarsi contro. Ha detto che sono stati fatti errori nel primo periodo dopo la fine della guerra, forse da entrambi, in questa questione di cedere proprietà alle organizzazioni comuniste. […] Il primo ministro mi ha chiesto se ho suggerimenti per evitarlo . Ha dichiarato che ci sarebbero gravi lamentele da parte dell’industria, ad esempio quella tessile, se nell’attuale condizione di depressione impedissimo loro di commerciare con l’oriente, fintantoché gli affari non riguardassero materiali strategici, cosa che il governo proibisce. Ho risposto che l’unica strada praticabile per evitare tali abusi mi sembrava essere trasformare il commercio con paesi oltrecortina in un monopolio di stato. Il primo ministro ha detto che non sa se questo possa essere fatto legalmente e che propendeva a pensare che no… Il primo ministro ha detto che avrebbe affrontato la cosa al suo rientro, ma che sarebbe stato necessario che il Parlamento approvasse una legge che autorizzi quanto proposto. Ha detto di essere ansioso come ogni altro di tagliare questa fonte di reddito per il Pc se trovasse un modo per farlo. È sicuro di avere l’appoggio attivo del ministro La Malfa (commercio estero) che, ha detto, è fortemente anticomunista. Ha poi ripetuto di essere lieto di ricevere suggerimenti su azioni che consideriamo desiderabili. […]
10cb1edb-ea8d-40dc-b9a4-4a3723d2ba11
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Io sono qui per farvi i migliori voti per il vostro viaggio. Voi fate un grande regalo a Tito; e forse io sono più qualificato di voi per valutarne l’entità da quando una vostra simile visita a Mussolini procurò a me ed ai miei compagni dell’opposizione clandestina l’amarezza di vedere il ministro degli Esteri inglese venirlo a visitare a Roma. […] Alla domanda del presidente circa l’integrazione della Jugoslavia nella difesa balcanica, Eden risponde che non si tratta per ora che di colloqui fra militari; che era ovvio che non si può fare nulla senza l’Italia e che del resto Grecia e Turchia, come membri del NATO, sarebbero stati obbligati a riferirne in Consiglio del quale l’Italia è parte. Eden in sostanza dà l’impressione di non voler inquadrare il suo viaggio nella questione dei patti balcanici. Il presidente fa rilevare che in ogni caso questa era forse l’ultima occasione per farsi valere di fronte a Tito: se questi credesse di riuscire a risolvere il problema della difesa senza il pattuito concorso dell’Italia, egli sfuggirebbe certo all’ultimo mezzo di pressione per ottenere l’accordo sul T.L. […] Il presidente dimostra che la pretesa jugoslava di arrivare a Zaule sia assolutamente inaccettabile; che un corridoio a occidente di Trieste separerebbe la città dall’Italia; infine che un simile sbocco fra Punta Salvore e Cittanova esigerebbe tutta una costruzione di reti ferroviarie, sistema che farebbe una concorrenza, reciprocamente disastrosa, con Trieste. Insistendo tuttavia gli inglesi sulle possibilità commerciali, il presidente, dopo aver solo accennato agli altri porti della Jugoslavia, aggiunge che si possono sempre studiare delle misure doganali e fiscali in genere per venire incontro alla Jugoslavia nel porto di Trieste. Eden chiede che cosa avverrebbe se Tito rimanesse assolutamente negativo. Il presidente risponde che in tal caso la situazione si avvelenerebbe; nel foro internazionale verrebbe agitata la questione del plebiscito; ci sarebbe il ricorso all’Aja contro l’introduzione della legislazione slava in Zona B; ma, ciò che è più grave, l’opinione pubblica italiana potrebbe arrivare a reclamare la denuncia del Trattato di pace, e questo equivale alla riapertura di tutto il problema della frontiera. A questo proposito, l’on. De Gasperi fa rilevare a Eden che il richiamarsi di Tito al principio della bilancia etnica ha le stesse conseguenze, cioè, pone in causa non solo la questione del Territorio Libero, ma investe da una parte tutta l’Istria e dall’altra tutte le minoranze, slavevere o presunte, al di qua dell’Isonzo. Sarebbe invero una politica adriatica incendiaria. Da parte inglese si osserva che Tito attribuisce l’insistenza del governo italiano per risolvere la questione del T.L. a ragioni di politica interna, e crede che gli occidentali intervengano solo per mostra. Conviene osservare, si risponde loro, che la questione di Trieste è, è vero, importante per la politica interna, ma che è gravida di conseguenze anche per la politica estera, giacché investe i rapporti con gli alleati. Non è esatto, come qualcuno di voi suppone, che si tratti di un parallelismo con la questione della Sarre. Questo non è problema etnico: non si tratta di spartizioni ma di amministrazione comune di Stati che sono tutti della stessa parte; e soprattutto manca la radicale diversità di regime. Poiché Eden desidera sondare tutte le conseguenze per la politica interna italiana, il presidente gli fa osservare: 1) accresciuta difficoltà per la ratifica del Trattato CED, 2) disagio psicologico nei rapporti con il NATO, 3) possibilità che la democrazia venga sommersa dall’ondata in senso contrario delle due estreme. Il fascismo è venuto dalla sinistra socialista nel ’22; potrebbe giungere nel ’53 dalla sinistra comunista. Il presidente, nel corso di un riferimento alla dichiarazione tripartita che ancora impegna gli alleati, ne legge alcuni accenni che s’inquadrano bene nelle affermazioni liberali politiche del discorso di Eden. Accentua l’assoluta mancanza di «fair play» del dittatore; che era passato sopra alla richiesta di riservatezza, contenuta nel memorandum presentato dai tre ambasciatori. […]
acf98d90-1788-4b14-88b9-07018a62af4c
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor Presidente, quando Ella mi ha invitato a venire a Strasburgo e a parlare per una seconda volta a questa Assemblea, pur apprezzando l’alto valore del suo invito e ringraziandola, ho dubitato un istante di poterlo accettare. Non sapevo ancora, in quel momento, se potevo presentarmi qui con dei risultati concreti davanti a voi che avete lanciato tanti appelli per la causa europea nel corso dei vostri dibattiti nel maggio scorso. Lei, Signor Spaak, aveva detto ai Ministri: «Continuate nel cammino su cui vi siete avviati, ma soprattutto fate più presto». E, la prima volta che ho avuto l’onore di parlare qui il 10 dicembre scorso anch’io, mi ricordo, avevo lanciato un appello urgente a tutti gli uomini responsabili d’Europa. Vi avevo detto che ci trovavamo in presenza di una occasione unica per fare l’Europa, e che, se quella occasione non era colta, sarebbe sfuggita per sempre. Mi domando oggi: i nostri sforzi comuni hanno dato dei risultati? L’occasione è stata colta? Oggi ho la coscienza che questo appello non è stato vano, che quello scopo lontano, ma così importante che si intravedeva appena qualche mese fa, si è ora avvicinato. Il 27 maggio i Governi dei sei Paesi si sono solennemente impegnati a creare una Comunità europea della Difesa. Attendiamo ora con piena fiducia la approvazione dei nostri Parlamenti. Senza voler precorrere le loro decisioni, sono sicuro che essi si renderanno pienamente conto dell’importanza del loro verdetto. Se questo sarà favorevole, come spero, la Comunità di Difesa creerà in Europa e nel mondo una situazione nuova. La Comunità, rinforzata dalla solida garanzia dei nostri amici britannici e dei nostri amici americani, si inserirà come un elemento essenziale nell’organizzazione della difesa occidentale. Il 10 agosto, il Trattato del carbone e dell’acciaio, dopo essere stato ratificato da larghe maggioranze dei Parlamenti dei sei Paesi, è entrato in vigore e qualche giorno fa in questa stessa sala ha avuto luogo la prima riunione della prima Assemblea Europea, munita di poteri sovrani; infine, un altro avvenimento importante si è verificato negli ultimi mesi. Il Governo britannico si è mostrato desideroso di stabilire e sviluppare una collaborazione organica fra l’Associazione più vasta a cui partecipa la Gran Bretagna, il Consiglio d’Europa, e le organizzazioni più strette della Comunità che si stanno creando. Dopo aver sottoposto queste idee ai governi europei e all’Assemblea consultiva che le hanno approvate, il signor Eden, a cui spetta l’onere di queste proposte, è venuto qui di persona per spiegare le intenzioni e le speranze del Governo del Regno Unito. Dopo averlo ascoltato credo che noi gli dobbiamo tutta la riconoscenza per la chiarezza e l’eloquenza con la quale egli ha esposto le intenzioni del suo Governo. Quanto a me, è con soddisfazione particolare che ho ascoltato il suo discorso, poiché esso conferma il desiderio britannico di collaborare all’opera alla quale noi ci siamo dedicati. Il suo discorso dimostra, da parte della Gran Bretagna, un interesse diretto e favorevole allo sviluppo unitario dell’Europa e il desiderio di associarvisi in una forma compatibile con i legami extra europei della Gran Bretagna. L’esposto ampio ed elevato del Signor Eden ha indicato idee generali altamente apprezzabili nelle quali, come in un quadro, trovano il loro posto le nostre aspirazioni concrete senza che vi siano divergenze apprezzabili di punti di vista per quanto riguarda l’esecuzione. Il Governo italiano, che per quattro anni ha fatto tutti gli sforzi per allargare la collaborazione europea in seno al Consiglio d’Europa e che temeva che questo fosse minacciato da una crisi, si compiace che le proposte britanniche possano dare una nuova vitalità al Consiglio d’Europa e aprirvi dei nuovi orizzonti. Sarà grazie all’associazione con le comunità ristrette che il Consiglio d’Europa troverà un rinnovato vigore. Penso infatti che la Comunità dei sei dovrà essere il nucleo centrale di un’associazione più vasta che si svilupperà attorno ad essa. Voglio dire che sarà dapprima, al centro, l’organizzazione dei sei Paesi già costituita, a cui la creazione dell’unità politica comune darà una coesione più intima e un’accresciuta responsabilità. Questo cerchio, cui i sei Paesi sono già raggruppati, dovrà rimanere aperto affinché, come in un’attrazione nucleare, altri Paesi secondo i loro desideri possono entrarvi oppure avvicinarsi con forme di associazioni periferiche, molteplici, caratterizzate da diritti e da obblighi meno estesi. Naturalmente, come il Signor Eden stesso ha voluto indicare, questa associazione sarà graduale e progressiva. È difficile allo stato attuale delle cose, al momento in cui la vita della Comunità dei Sei comincia appena, cristallizzare in schemi rigidi delle forme di collaborazione da stabilirsi tra il Consiglio d’Europa e la Comunità. Secondo la vecchia formula britannica, sarà l’esperienza che ci indicherà il metodo migliore per giungere a un sistema che potrebbe nel suo insieme avere delle analogie con il Commonwealth britannico. Infine, bisogna sottolineare che saranno lo spirito democratico delle istituzioni libere, l’aspirazione a realizzare una migliore giustizia sociale che dovranno essere i fattori prevalenti di coesione di questa zona più vasta di associazione in cui gli obblighi e i legami saranno meno specifici. Voglio dire che se gli Stati Maggiori, concludendo un patto militare, possano essere talvolta, forse troppo spesso, tentati di basare i loro calcoli unicamente sul numero delle Divisioni, sarebbe un errore, da parte degli uomini politici responsabili, di non prendere in sufficiente considerazione i fattori morale e sociale: cioè, lo spirito stesso dei regimi degli Stati che saranno chiamati a partecipare all’Unione Europea. A questo proposito una convinzione profonda – che è il risultato della mia lunga e contrastata esperienza politica – sottoscrive pienamente alle dichiarazioni che il Signor Eden ha ieri esposto così chiaramente. Egli ha pienamente ragione nel dire che lo scopo fondamentale dell’unione dell’Europa deve essere quello di preservare il nostro stile democratico di vita, le nostre tradizioni di civiltà e di libertà e di rafforzare le nostre libere istituzioni. Non c’è niente di nuovo nella dittatura, niente di originale nel voler risolvere i problemi con la forza. Certamente, come egli dice, la virtù della democrazia è la pazienza e la comprensione. Dobbiamo non inasprire, ma attenuare le differenze; ma dobbiamo anche essere pronti a difendere con l’aiuto di tutti, le libertà dei diritti umani e degli istituti democratici. Gli avvenimenti a cui ho alluso – la firma del trattato della Comunità della Difesa, l’entrata in vigore del Trattato del carbone e dell’acciaio, le proposte britanniche – ci hanno incoraggiato ad andare oltre. Ero e sono tuttora del parere che senza un’autorità politica centrale il genere di solidarietà previsto dal trattato della Comunità di Difesa, solidarietà che va dalla vita alla morte, non potrebbe resistere alle tendenze separatiste e individualistiche che in certi momenti potrebbero sorgere in qualche Parlamento nazionale. Allora si tratta per i Ministri non solo di non perdere tempo, ma anche di scegliere fra i sistemi di lavoro proposti, quello che può con maggior certezza portare a dei risultati rapidi e concreti, il sistema che, essendo direttamente in rapporto con un articolo di un trattato firmato dai Governi, ha alla sua base un impegno solenne. Subito dopo la firma del trattato di difesa e le conclusioni dei vostri dibattiti nel mese di maggio, il signor Schuman e io ci siamo messi immediatamente in contatto per concretare una proposta comune da sottoporre ai nostri colleghi. Il Governo inglese, che è stato tenuto costantemente al corrente, sia dal Signor Schuman sia da me stesso, ci ha dato il suo consenso e il suo incoraggiamento. Incoraggiamenti preziosi ci sono giunti anche dai nostri amici americani che non hanno mai cessato di indicarci il loro esempio di unione e di sostenerci nelle nostre speranze. È così che un progetto di risoluzione per la creazione di un’autorità politica europea, aperta a tutti i Paesi, era pronto per la riunione dei ministri del 25 luglio scorso. Il Signor Schuman e io l’abbiamo fatto conoscere ai nostri colleghi, senza tuttavia poter discutere a fondo il progetto a causa della situazione particolare del rappresentante dei Paesi Bassi, il cui governo, dopo le elezioni, non era ancora formato. La decisione è stata presa durante la recente sessione della Conferenza dei Ministri a Lussemburgo. Tengo a sottolineare che questa decisione è stata facile, poiché il signor Schuman e io abbiamo trovato che i nostri colleghi di Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo avevano le nostre stesse speranze. Voi tutti, sia direttamente nella vostra qualità di membri dell’Assemblea del carbone e dell’acciaio, si indirettamente esaminando il rapporto di quella stessa Assemblea, sarete chiamati a partecipare alla esecuzione del compito che si deve iniziare. Per questo spero che mi permetterete di manifestare alcune mie idee su questo lavoro e sui problemi che, a mio parere, meritano un esame più urgente e più approfondito. Il primo e più importante problema che bisogna affrontare è, secondo me, il seguente: individuare quali siano i settori della vita dei nostri paesi che devono essere sottoposti per primi al potere dell’autorità politica centrale per garantire e rendere operante la difesa comune tale quale è stata prospettata alle autorità della Comunità e per dare a questa tutta la capacità e tutta l’autorità necessarie. Bisognerebbe agire in modo che la Comunità europea di Difesa, che dovrebbe entrare in funzione la prossima primavera, fosse fin dall’inizio fondata su delle basi costituzionali comuni per i settori che sono di sua competenza. Sono anche del parere che non si può assicurare solidarietà degli sforzi militari, in tempo di pace e di guerra, senza realizzare un minimo di solidarietà nei settori dell’economia e del lavoro. Per questa solidarietà economica si presenta tutta una gamma di possibilità: dalla unione doganale alla riduzione delle tariffe e alle tariffe preferenziali, dalla Banca confederale unica fondata su una convenzione monetaria che riunisca le differenti banche internazionali, alla moneta unica, dal mercato unico all’abolizione dei contingenti. In questo studio della Costituzione federale, bisognerebbe, a mio parere, tener presenti soprattutto le seguenti considerazioni: bisognerebbe prima di tutto limitare per quanto possibile le enunciazioni generiche, enunciazioni che esistono già in tutte le nostre Costituzioni nazionali, e fare una distinzione fra le trasformazioni strutturali che sono consentite dalle nostre Costituzioni attuali e quelle per cui delle revisioni costituzionali sarebbero necessarie. Bisogna mettere in comune dapprima solo quello che è strettamente indispensabile per raggiungere lo scopo immediato che ci proponiamo e servirci per questo di forme elastiche suscettibili di una applicazione graduale e progressiva di formule che sappiano conciliare lo spirito giuridico latino con il pragmatismo britannico. A questo proposito vorrei osservare, en passant, che l’europeizzazione della Sarre, che nella nuova atmosfera non sembra più un’utopia e per la quale formulo di nuovo i miei più ardenti voti, sarebbe un test che potrebbe forse fornire delle soluzioni valevoli anche per i nostri problemi. Infatti l’europeizzazione della Sarre pone, da un punto di vista economico, dei problemi essenziali simili a quelli che noi dobbiamo risolvere, come per esempio i problemi relativi al sistema doganale e alla moneta. Ma soprattutto nel nostro lavoro, è la volontà politica di realizzare l’Unione Europea che deve essere il fattore determinante, la forza di propulsione. La cooperazione economica è necessariamente un compromesso fra le esigenze autonome naturali di ogni partecipante e una volontà politica superiore. Se la realizzazione della solidarietà economica europea dovesse dipendere dalle formule di compromesso elaborate dalle differenti amministrazioni interessate, questo ci condurrebbe molto probabilmente a debolezze e contraddizioni. È la volontà politica unitaria che deve dunque prevalere. È l’imperativo categorico che bisogna fare l’Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve innanzitutto servirci di guida. Ed ecco la ragione per cui, come ho già detto, la Comunità di Difesa deve essere il nucleo centrale intorno a cui devono sorgere e svilupparsi gli altri legami federali o confederali che si stabiliranno tra gli stati nazionali, questi restando sempre dei corpi animati da una vitalità propria e originale, di una vitalità che sarà trasmessa soltanto in parte a un’Amministrazione centrale comune ed elastica. Sono queste alcune idee che potrebbero essere utili all’Assemblea del carbone e dell’acciaio per i suoi lavori; e ho piena fiducia che le sue proposte rappresenteranno una solida base per le decisioni finali degli Stati partecipanti. Vedete che possiamo già parlare, senza essere accusati di utopia, di decisioni finali con la creazione di una comunità politica. Se siamo già a questo punto, signor Presidente, è in gran parte grazie agli sforzi costanti di questa Assemblea che ha creato in Europa, in quattro anni, un’atmosfera nuova che ha suscitato intorno al problema dell’unificazione dell’Europa correnti irresistibili dell’opinione pubblica, che ha attirato nel modo più energico l’attenzione dei governi sui bisogni di unità dell’ora attuale. Ma il risultato finale, signor Presidente, signori, è ancora nelle vostre mani. Per riuscire bisogna che il vostro sforzo continui. Bisogna che l’opera dei governi sia sostenuta dai vostri saggi consigli, dalla vostra tenace volontà, dall’appoggio prezioso che apporterebbe direttamente e indirettamente, qui e altrove, a Strasburgo e nei vostri paesi, dovunque la vostra voce si leverà per mantenere e per rafforzare le correnti di opinione pubblica che ci sono indispensabili per agire e per concludere. È con fede sincera che vi rivolgo queste parole. Ho piena fiducia che con la volontà dei nostri popoli liberi e col vostro appoggio, con l’aiuto di Dio, una nuova era per l’Europa non tarderà ad aprirsi.
9b078e2d-4337-4e3f-aabb-bffea9e12dbf
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
In dichiarazioni secche ed austere – pubblicate da l’«Unità» – in neretto – l’on. Togliatti fra l’indignato e il sufficiente, ci accusa di clericale armeggio ed afferma che, pur di calunniare un comunista, ci siamo valsi perfino delle dichiarazioni fatte dal maresciallo Tito a proposito del noto baratto di Gorizia con Trieste. Le parole del segretario del p.c. tentano di celare il suo evidentissimo imbarazzo con la formula rituale del «non occorre smentire», ma questa volta riteniamo che l’espressione adoperata si attagli perfettamente al suo caso. Siamo d’accordo: «non occorre smentire», perché in caso diverso egli dovrebbe contraddire se stesso e annullare una pagina di trista cronaca politica. Infatti, se dobbiamo riconoscere che, forse, per la prima volta Tito, dopo le «trattative dirette con Togliatti», torna sul clamoroso episodio, è giusto precisare che le dichiarazioni di Tito coincidono con quanto, il 7 novembre 1946 Togliatti di ritorno da Belgrado annunciava al pubblico dalle colonne de l’«Unità» con questo vistosissimo titolo sull’intera pagina: «Il Maresciallo Tito è disposto lasciare Trieste all’Italia» (fin da questo primo annuncio, balzava la generosità del maresciallo, il quale si dichiarava disposto a lasciarci quanto non gli appartiene ed era comunque affidato al controllo degli alleati). Ma non fermiamoci alla presentazione. Ad una domanda del giornale Togliatti rispondeva esattamente così: «Il Maresciallo Tito ha dichiarato di essere disposto a consentire che Trieste appartenga all’Italia, cioè sotto la sovranità della Repubblica italiana, qualora l’Italia consenta a lasciare alla Jugoslavia Gorizia, città anche secondo i dati del nostro Ministero degli Esteri è in prevalenza slava. La sola condizione – altra prova di magnanimità – che il Maresciallo pone è che Trieste riceva, in seno alla Repubblica italiana, uno stato autonomo effettivamente democratico che permetta ai triestini di governare la loro città e il loro territorio secondo principi di democrazia». Prescindiamo che il Ministero degli Esteri fu fin da allora in grado di produrre dei dati diametralmente opposti a quelli che tentavano di gabellare Gorizia per città slava, prescindiamo dalla pronta reazione opposta del presidente del Consiglio e della stampa italiana, che dichiarò fin d’allora che il baratto doveva riguardare non solo Gorizia ma l’intero territorio goriziano; prescindiamo da questi ben noti avvenimenti per ricordare soltanto che questa proposta della cessione di Gorizia non faceva che ripetere un preciso indirizzo della delegazione jugoslava nelle prime trattative di Parigi ed aveva avuto l’effetto di irrigidire a New York il ministro degli Esteri jugoslavo. Per finire, una solenne dichiarazione del partito comunista italiano aveva il pregio di additare al popolo le gesta di Togliatti e del maresciallo Tito. Sentite in quale possa si esprimeva il commosso pensiero del p.c. «La Segreteria del Partito mentre ringrazia il compagno Togliatti per l’azione da lui svolta in favore degli interessi nazionali e della pace, esprime la propria riconoscenza a nome di tutti i veri democratici italiani al Maresciallo Tito per la generosa comprensione da lui dimostrata per le questioni che più stanno a cuore del popolo italiano». Gli indirizzi di omaggio al «compagno» Tito si sono mutati in violentissime apostrofi all’«eresiarca», Tito, mentre «tutti i veri democratici» che ieri plaudivano oggi sono tenuti ad inveire. È chiaro, però, che in tutto questo tramestio gli interessi del Paese non hanno nulla a che vedere ed il «patriottismo» dell’onorevole Togliatti si riconosce non alla stregua dei valori essenziali della Patria, ma soltanto ed unicamente sulla base degli obiettivi bolscevici da raggiungere. Per questo una volta tanto si può essere d’accordo con l’onorevole Togliatti: non occorre smentire. Almeno sui fatti essenziali gl’italiani hanno buona memoria.
62f86d66-b426-46b6-b7c2-67de64c98a4c
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sono lieto di intrattenermi coi corrispondenti della stampa tedesca a Roma e di manifestar loro la mia soddisfazione per l’imminente mio viaggio in Germania, da lungo tempo progettato e desiderato e che mi darà modo di ricambiare la visita che il cancelliere Adenauer compì a Roma nello scorso anno, visita che ha lasciato in Italia, in noi tutti, il più gradito ricordo. Dopo di allora, ho avuto non poche altre occasioni di incontrarmi col Vostro Cancelliere e di apprezzarne vieppiù le alte doti di mente e di cuore e le larghe visioni di Uomo di Stato europeo. È con particolare piacere che mi appresto perciò a rendergli visita ed a trattenermi con Lui di argomenti che stanno ad entrambi particolarmente a cuore e che si riassumono nel comune desiderio, e più che desiderio, ferma e sincera volontà, di contribuire al pacifico ordinamento e sviluppo di una Europa libera ed unita, un edificio politico e spirituale di cui la cooperazione fra la Germania, l’Italia e la Francia, deve necessariamente costituire il presupposto fondamentale. Mi è tanto più grata l’occasione di questa visita, in quanto essa mi offrirà l’opportunità di porgere i miei omaggi, a Bonn, all’illustre Presidente della Repubblica Federale di Germania, il professor Heuss , il quale con estrema gentilezza ha voluto interrompere le sue ben meritate vacanze per ricevermi, gesto di cui gli sono grato anche a nome del popolo italiano, che vede in ciò specialmente onorato il suo rappresentante. Voglio aggiungervi che non è senza emozione che mi appresto a trascorrere qualche giorno a Colonia – dove risiederò durante la visita – città che così antichi ricordi legano all’Italia e che so tanto cara al cancelliere Adenauer, che vi spese lunga, infaticata ed eccezionalmente meritoria attività come Borgomastro. So anche che le vicende della guerra molte e gravi ferite hanno inferto alla città, ma che essa sta ritrovando la sua vita di metropoli all’ombra del suo Duomo, simbolo della civiltà, della fede e delle alte aspirazioni del popolo tedesco. Mi sarà certo dato di constatare con vivo compiacimento, sia a Colonia che a Bonn, come durante il mio viaggio lungo la bella vallata del Reno, gli enormi progressi che mi risulta sono stati raggiunti, specialmente in questi ultimi tre anni, nel campo della ricostruzione e della restaurazione delle opere pubbliche e della industrie danneggiate durante la guerra, grazie alla laboriosità, tenacia e disciplina del popolo tedesco. Voglia Iddio che quest’opera di ricostruzione possa pacificamente continuare, così in Germania come in tutti gli altri Paesi dell’Europa e che al più presto sia cancellata, non solo materialmente nelle opere degli uomini, ma anche moralmente nel cuore degli europei, ogni traccia dei fratricidi conflitti del passato e siano solidamente costruite le assise della pacifica convivenza avvenire. Sia questo l’auspicio che mi è caro trarre alla vigilia di questo viaggio che viene così felicemente a chiudere una fase di intensa attività europeistica culminatasi nelle importanti riunioni del Lussemburgo – presiedute con tanta maestria dal cancelliere Adenauer – e di Strasburgo .
3448fdc1-aa9b-4c18-8c0c-bfcaad9dda1a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Non costruiamo «assi» ma dei ponti (cioè impalcature) che servono all’edificio comune. Richiesto, quindi, quando egli prevede che siano riprese le conversazioni sulla legge elettorale e sulla coalizione dei partiti, il Presidente ha dichiarato: Si tratta ora di rielaborare un progetto elettorale come governo e lo proporremo quando avremo tutti gli elementi.
c206c3c4-f9eb-4680-a17e-6abc6df81128
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor Cancelliere Federale, Eccellenze, Signore e Signori La ringrazio delle parole che Ella, interpretando i sentimenti della Nazione Tedesca, ha avuto per il mio Paese e di quelle che, con troppa benevolenza, Ella ha usato per la mia persona. Sono stato particolarmente lieto di contraccambiare la gradita visita che Ella fece l’anno scorso a Roma; e con ciò non ho inteso compiere un gesto formale e di cortesia, bensì sottolineare i rapporti di cordiale collaborazione che uniscono i nostri due Paesi, ora accomunati agli altri Paesi dell’Europa Occidentale nello sforzo di creare una comunità europea la quale, nel quadro di una fiduciosa convivenza, garantisca loro all’interno prosperità economica e all’esterno, in stretta cooperazione con i liberi popoli del mondo, sicurezza da ogni minaccia. I rapporti tra i nostri due popoli sono saldamente ancorati nella comunanza della loro civiltà e della loro cultura e, non ultimo, nelle loro economie che felicemente si completano. Il miglior augurio che io possa formulare per il mantenimento e il rafforzamento di questa amicizia è che essa continui, come io ho fiducia e come è finora avvenuto in questo dopoguerra, ad essere messa al servizio della causa della unificazione europea e vada così a beneficio di entrambi i nostri due popoli e dell’Europa. Agli uomini di Stato occidentali è ora concesso un raro privilegio: poter servire gli interessi dei loro Paesi colla sicurezza che in tale modo essi servono anche agli interessi della più vasta comunità di cui essi fanno parte. Ella, Signor Cancelliere Federale, colla Sua fede nei valori superiori della civiltà europea, colla Sua ragionata convinzione che tutti i problemi politici ed economici che ci stanno dinanzi, nessuno escluso, potranno essere risolti in una più vasta cornice, e coi suoi nobili sforzi in questo senso ha concorso al superamento di molte delle difficoltà finora incontrate, e la Sua persona ci dà fiducia che le rimanenti lo saranno con lo stesso spirito. Consenta anche a me, in questo momento, di rievocare con animo commosso il ricordo del Conte Sforza che nei suoi ultimi momenti ebbe il conforto di veder prender forma quella organizzazione politica del nostro continente di cui egli era stato uno dei più instancabili propugnatori. Considero poi di felice auspicio per il proseguimento ed il successo della nostra comune opera che, reduce da Strasburgo, dove si è passati alla fase concreta della unificazione europea e dove attraverso l’entrata in funzione della Unione Mineraria – ove trovansi strettamente associate la Germania, la Francia, l’Italia e i Paesi del Benelux – anche l’unificazione economica dell’Europa ha ricevuto un decisivo impulso, mi sia stato dato di rivederLa qui sul Reno. Questo fiume di storia millenaria, che è sempre stato nei tempi naturale veicolo di scambi e di feconda collaborazione fra i popoli finitimi sembra a me destinato a concedere benefici perfino sempre più larghi di mano in mano che si irrobustiscono i legami tra i popoli dell’Occidente, nella comunità che noi stiamo costruendo. Lei, Signor Cancelliere, ha parlato della volontà dei tedeschi di ricostruire il proprio Paese dopo le immani distruzioni della guerra. Questi sforzi mi erano fino ad ora noti solo attraverso rapporti e letture dei dati statistici che segnavano la ripresa costante dell’economia tedesca. Mi è stato dato oggi di averne cognizione diretta, ed i risultati ottenuti devono essere motivo di orgoglio per Lei, Signor Cancelliere, e per il Suo Governo e per il popolo tedesco. Questo fervore ricostruttivo prova come il popolo tedesco nelle sue nuove e democratiche istituzioni ha trovato un sicuro e efficace strumento per far valere in pieno le sue doti di laboriosità ed operosa disciplina e per rivolgerle ai benefici scopi del comune interesse europeo. Il popolo italiano lo segue con viva simpatia ed interesse e si augura che esso possa ben presto essere coronato dalla riunificazione nazionale tedesca nella pace e nella libertà. Levo pertanto il bicchiere alla prosperità ed al felice avvenire del popolo tedesco, alla salute del Presidente della Repubblica Federale, alla sua personale, Signor Cancelliere Federale, e all’amicizia italo-tedesca in una Europa rinnovata.
e64f03d8-00b3-4a5c-8833-438c0ca40983
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor Cancelliere, Eccellenze, Signore e Signori. Vorrei stasera, nel ringraziarLa, Signor Cancelliere, per aver voluto essere qui presente nell’Ambasciata d’Italia, dare espressione alla mia profonda riconoscenza per l’ospitalità che il Governo Federale tedesco ha voluto offrirmi proprio nel momento in cui i popoli dell’Europa Occidentale hanno segnato nelle assise di Strasburgo una tappa così importante del loro cammino unitario. L’atmosfera che mi ha circondato nel viaggio in Germania, mi ha fatto sentire il profondo significato dell’incontro fra i nostri due popoli, entro il più largo orizzonte che abbraccia i destini della comunità di tutti i popoli europei. La Repubblica Federale mi si è presentata come un grande cantiere al lavoro, nell’opera di costruzione materiale e spirituale cui si è accinta. Quest’opera impegna tutta la mirabile capacità e industriosità del popolo tedesco. Dal giorno, che pare più lontano dei brevi anni trascorsi, in cui è stata posta mano alla riedificazione, i progressi compiuti in ogni campo colpiscono, ma non stupiscono, il visitatore che conosce le grandi doti di questo popolo. Quando tutte le conseguenze della guerra saranno state cancellate, rimarrà tra di noi, in Europa, il ricordo di questo faustiano atto di volontà, che ha fatto risorgere una Nazione. Un anno fa il popolo ed il Governo italiano ricevettero in Roma il cancelliere Adenauer nella sua prima visita ufficiale all’estero; la visita, graditissima, fu per noi motivo di particolare soddisfazione, poiché essa ci offerse l’occasione di sottolineare la cordialità dei tradizionali rapporti di amicizia fra i nostri due popoli. Il mio odierno viaggio in Germania ha voluto essere, non soltanto la restituzione di quella visita, ma un nuovo gesto spontaneo, che nello spirito dell’amicizia italo-germanica, tende a riaffermare la volontà di collaborazione e di intesa che ci unisce. Mi permetta ora, Signor Cancelliere, di rivolgermi a Lei per esprimere di nuovo, per suo tramite, al presidente Heuss, al Governo Federale e a tutto il vostro popolo il mio commosso ringraziamento per la squisita cortesia con cui sono stato ricevuto, per tutte le attenzioni che mi sono state rivolte durante il mio soggiorno in Germania, e per lo spirito di viva spontanea simpatia che in ogni occasione mi è stata dimostrata. Tale simpatia io interamente ricambio, auspicando che in questo segno di comprensione e considerazione reciproca, l’incontro fra i nostri due popoli sia la promessa di una loro sempre più intima convivenza nell’unione dell’Europa Occidentale. Con questo sentimento vi prego, Eccellenze, Signore e Signori, di levare con me il bicchiere alla salute del Presidente della repubblica Federale, del Governo e del popolo tedesco. [Versione alternativa] Signor Cancelliere. Mi è particolarmente gradito dare a Lei e ai nostri ospiti tedeschi in questa sede della Rappresentanza italiana il mio benvenuto. La mia visita in Germania non è ancora ultimata ma sono già preso dal calore di cui essa è stata circondata. E già troppo vive sono in me le impressioni dello spettacolo della ricostruzione tedesca che ha proceduto, sotto il Suo governo, Signor Cancelliere Federale, con ritmo sempre più accelerato, in questi ultimissimi anni. Per essa la Germania è risorta dalle immani distruzioni della guerra, fino ad inserirsi ormai nel ciclo più attivo della vita europea ed a divenire elemento essenziale della nuova Comunità dell’Europa alla cui costruzione ci siamo accinti in unione ed in stretta cooperazione con gli altri popoli dell’Occidente. Sotto la Sua guida, Signor Cancelliere, anche i rapporti italo-tedeschi hanno segnato un crescente sviluppo e mi è gradito in questo luogo di darLe atto del mio profondo apprezzamento. E mi permetta di rievocare in questo momento la visita da Lei compiuta lo scorso anno a Roma il cui ricordo è ancora così vivo, per i frutti che essa ha portato ai nostri due popoli e ad una più stretta collaborazione di essi verso la realizzazione dei nostri comuni ideali europei. Sono anche particolarmente lieto di poter salutare in questa casa il Vice Cancelliere ed alcuni tra i più illustri membri del Suo Governo; so quanto essi nei settori ad essi affidati si siano costantemente adoperati per l’incremento dei felici rapporti esistenti fra i nostri due paesi e mi sia consentito qui esprimere anche ad essi il mio particolare ringraziamento. Porterò con me, lasciando la Germania, la sicurezza che il lavoro da noi compiuto non è stato vano e che ci sarà dato lasciare in eredità ai nostri figli una Europa Migliore; i colloqui che io ho avuto con Lei, mi hanno ancor più rafforzato in questo convincimento se mai ve ne fosse stato bisogno. Sono oggi certo che Germania e Italia continueranno, in unità di intenti ed in stretta cooperazione cogli altri Paesi dell’Occidente, a dedicare tutte le loro energie a questa nobile causa. Levo pertanto il bicchiere alla prosperità del popolo tedesco e all’amicizia italo-tedesca, alla salute del Presidente Heuss e alla Sua felicità personale.
d19da06c-dbcd-4139-a7bb-93e584fa4c64
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor borgomastro, ringrazio la città di Aquisgrana e lei che la rappresenta del premio che mi si è voluto conferire. Sono lieto di accettarlo, interpretandolo come un riconoscimento il quale, ben più che alla mia persona, andava alla sincerità e alla continuità degli sforzi che il mio paese in questo dopoguerra, unitamente agli altri paesi europei, ha compiuto per la riunificazione europea e a cui il mio predecessore al Ministero degli Esteri, il conte Sforza, come ella ha voluto ricordare, ha dedicato l’ultimo periodo di una nobile esistenza, tutta informata all’ideale di una superiore forma di convivenza fra i popoli. In questa opera, che ha trovato qui nel cancelliere Adenauer uno dei suoi più alti ed efficaci assertori, l’Italia e la Germania, in unione con altri governi europei hanno proceduto e procedono a fianco a fianco convinte di servire nel miglior modo possibile anche i loro interessi nazionali. Ella ha giustamente ricordato, signor borgomastro, il particolare significato che questo grande ideale di comunità europea assume in questa città di Aquisgrana. Noi siamo qui nella suggestione di una grande tradizione e da essa ci sentiamo confortati per tendere tutte le nostre volontà verso una grande speranza. I tempi si evolvono, le forze e i metodi mutano secondo le esperienze della storia. Come dice bene, signor borgomastro, l’ammaestramento del turbinoso passato, per tutti i popoli europei, è questo: l’avvenire non si costruisce col diritto della forza, né con lo spirito della conquista, ma con la pazienza del metodo democratico, con lo spirito costruttivo delle intese, nel rispetto della libertà. A più riprese questa verità si rivela alle nazioni ma troppo spesso essa viene poi sommersa dalle ondate dell’impazienza e da forze irrazionali ed istintive. Questa ostinata vicenda ha ispirato conclusioni pessimistiche sul destino della società europea anche a potenti ingegni della nostra fede. Qui nella capitale di Carlo Magno posso ben ricordare una grande tragedia della nostra letteratura che si intesse con gesta dei franchi in Italia e finisce con le disperate parole messe in bocca al re longobardo morente, parole che dovrebbero significare il fatale andare della storia europea nella irrefrenabile vicenda delle guerre: «La man degli avi insanguinati – egli dice – seminò ingiustizia, i padri l’hanno coltivata col sangue ed ormai la terra altra messe non ha» . Siate lodati voi, o cittadini di Aquisgrana che vi ribellate a questo pessimismo con la esperienza della vostra storia, gridate forte la vostra fede nella speranza di un mondo nuovo, fondato sulla buona volontà, sulla pace, sulla difesa della libertà. Noi sappiamo che per non tradire questa speranza dobbiamo gettare il seme non della ingiustizia, ma della fraternità e della tolleranza, tendere a sciogliere le dissonanze, tentare e ritentare con tenace ottimismo la sintesi creatrice delle antitesi passate. È vero che altre volte uomini di Stato illuminati hanno gettato invano questo seme, ma è anche vero che questa nostra stagione appare per il seminare quella più favorevole. Il seme viene gettato in un momento in cui una minaccia comune risveglia un comune senso di difesa, in un periodo di prostrazione nel quale le forze istintive del male antico non hanno ancora ripreso vigore e le nazioni ripiegate su se stesse esitano inorridite dinanzi al pensiero di riprendere il corso fatale. Si aggiunga che oggi il sorgere di un’Europa unita non può significare differenza ed addirittura concorrenza con l’alleanza mondiale patrocinata dall’America, perché anzi essa appare, come è, inquadrata nella comune speranza del mondo libero. Ma quello che più ci distingue da altri tentativi del passato è il fatto che questa volta stiamo, non solo affermando dei principi e firmando dei trattati, ma creiamo degli organi funzionanti, destinati ad inculcare l’idea e ad assicurare il suo sviluppo. Il segreto del Piano Schuman sta appunto in questo: che la buona volontà degli Stati partecipanti viene subito agganciata a organi impegnativi ed esecutivi di solidarietà e di responsabilità comuni. Quando domani sarà ratificato anche il Trattato della comune difesa, noi avremo creato, dissodato e fecondato dei campi entro i quali il buon seme della pace e dell’unità crescerà rigoglioso fra le nuove generazioni. È per questo che mi piace in questo momento e da questa sala inviare un memore saluto anche all’illuminato promotore del primo Piano, ed un plauso a tutti coloro che vi hanno collaborato. Ci si potrà obiettare che queste sono limitate realizzazioni se paragonate alla concezione di una Confederazione di Stati in cui il momento supernazionale prevalga su quello regionale o locale. Ma la storia dimostra che gli inizi di qualsiasi aggregato supernazionale sono sempre modesti: dettati da una esigenza difensiva che riunisce insieme popoli già legati da stretti rapporti economici, storici e culturali; che agli inizi il decentramento dei poteri all’interno della Confederazione è talmente accentuato da rendere debole e timida l’attività degli organi confederali e che solo il tempo mette in movimento forze centripete che finiscono per vincere le resistenze periferiche. Agli scettici basterà ricordare che la stessa Confederazione svizzera, ora giustamente presa a modello di una illuminata e armonica convivenza in un unico quadro stabile di popoli di diverse lingue, origini e costumi, rimase per lungo periodo poco più di una perpetua alleanza difensiva, la cui Dieta federale non era che la riunione degli ambasciatori degli Stati membri: cioè press’a poco lo stadio federativo in cui si trova già l’Europa occidentale. Siamo quindi ottimisti, giacché riteniamo di essere alla vigilia del superamento di un tale stadio e della costituzione di una autorità federale che non sarà organo comune degli Stati membri, bensì portatrice di interessi supernazionali e dotata dei relativi poteri. Siamo cioè sulla strada, per effetto della concorde volontà dei governi, di quella forma superiore di confederazione che altrove fu raggiunta solo attraverso una lentissima evoluzione. La fede ci sostiene e l’ottimismo, quando si tratta di realizzare un grande ideale politico e umano quale la riunificazione europea, è virtù costruttiva. Di pari passo però con il rafforzamento e l’accrescimento di potere delle istituzioni federali, devono procedere i progressi di una mentalità europea. Le istituzioni supernazionali sarebbero insufficienti e rischierebbero di diventare una palestra di competizioni di interessi particolari, se gli uomini ad esse preposti non si sentissero mandatari di interessi superiori ed europei. Senza la formazione di questa mentalità europea ogni nostra formula rischia di rimanere una vuota astrazione giuridica. Ed è appunto qui che l’attività delle istituzioni e delle fondazioni, che come quella della città di Aquisgrana si propongono di incrementare il pensiero europeo, si rivela di una estrema utilità. Esse infatti non soltanto compiono un lavoro propedeutico che fornisce utili spunti costruttivi agli uomini di Stato che lavorano a tale costruzione, ma informano le nuove generazioni all’ideale europeo e contribuiscono quindi potentemente a far sì che esse siano i migliori custodi del patrimonio comune che noi lasceremo loro in eredità. Porgo pertanto, alla fondazione «Premio Carlo Magno» i più sinceri auguri per un sempre maggiore successo dei fini che essa persegue, ed a lei, signor borgomastro ed alla città di Aquisgrana rinnovo il mio ringraziamento per l’onore oggi concessomi.
41d7efed-4dd0-49a0-8498-133bec52a22a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Le accoglienze che mi sono state fatte a Bonn – ha detto il presidente del Consiglio – sono state estremamente calorose e cordiali. Ad Aquisgrana poi, dove le vestigia del mondo romano e cristiano sono conservate con cura che dimostra quale suggestione Roma abbia esercitato in questa parte di Germania, ho avvertito veramente che l’eredità comune del mondo occidentale è tuttora viva ed operante. Pregato di esprimere le sue impressioni sul cancelliere Adenauer, De Gasperi si è così espresso: Quest’uomo così freddo e riservato nelle manifestazioni ufficiali, è nei contatti diretti e nei rapporti personali di un’estrema cordialità e familiarità. Questo ha facilitato molto le conversazioni, dalle quali credo che verrà all’Italia un concreto giovamento. Infatti abbiamo gettato le basi psicologiche per un proficuo accordo economico. La Germania, con maggiori importazioni, ci aiuterà a superare le difficoltà che ci ostacolano nella esportazione dei nostri prodotti ortofrutticoli. Sembra incredibile – ha aggiunto De Gasperi – ma sapete chi ci fa concorrenza nella esportazione dell’uva? L’Olanda, che si è messa a «fabbricare» l’uva da tavola nel tepore delle serre. Pregato poi di illustrare la portata dell’accordo scientifico e culturale, il presidente del Consiglio ha sottolineato l’importanza d’introdurre l’insegnamento dell’italiano nelle scuole tedesche, così come verrà esteso l’insegnamento del tedesco in Italia. Se vogliamo fare l’Europa, è indispensabile che fin dalle elementari venga insegnata una seconda lingua oltre quella materna. A questo punto è stato posto all’on. De Gasperi l’interrogativo più attuale per la maggioranza degli italiani: è esatta la sensazione che i colloqui Eden-Tito non abbiano portato nessun elemento nuovo nel problema di Trieste? Ma io ero a Bonn – ha detto scherzando De Gasperi – ne sapete più voi di me […]. Bisogna dire che i recenti atteggiamenti jugoslavi non hanno certo facilitato il compito di Eden e, se dovessimo giudicare l’azione della Jugoslavia in base ai criteri normali della diplomazia occidentale dovremmo concludere con delle considerazioni scoraggianti. Ma la diplomazia dei paesi dittatoriali va giudicata con altro parametro. Del resto, noi italiani sappiamo per esperienza come non sempre a certe prese di posizione verbali dei dittatori, che paiono definitive e tali da non lasciare dubbi sulle decisioni adottate, segua una corrispondente azione. […] Ho già detto tutto – ha dichiarato De Gasperi – ma voglio aggiungere ancora una cosa e, alludendo alla Germania ha sottolineato come lo spirito di pace e la volontà unitaria che animano un Paese sono tanto più forti e più vivi quanto più grave è stata la tragedia della guerra.
58181119-9531-4264-b0d2-05cad57d53ba
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Terminati i colloqui di Bonn con il cancelliere Adenauer, l’on. De Gasperi inviava immediatamente all’ambasciatore Quaroni una comunicazione, che qui si riassume, con istruzioni di farne uso esclusivamente con Schuman nella misura ritenuta opportuna: 1. Ho avuto e mantenuto il proposito di non darmi l’aria di indebite ingerenze o di aspirazioni mediatrici. Nessun mio accenno autorizzava la stampa a trascurare questa mia precauzione. Ella avrà visto che ho fatto in proposito alcune precisazioni contro non autorizzate supposizioni di qualche giornale tedesco. 2. In via di fatto corrisponde a verità che la questione della Saar non fu argomento né programmato né sistematicamente trattato nei colloqui con Adenauer. Nel corso dei vari colloqui il Cancelliere ebbe però occasione di informarmi spontaneamente dello stato della questione: informazioni che accolsi come espressioni confidenziali e amichevoli, senza reagire per parte mia con propositi o suggerimenti; e limitandomi a parole di incoraggiamento. 3. Da tali informazioni ebbi l’impressione che Adenauer ha il serio proposito di giungere in porto; la sua ampia visione delle difficoltà e delle remore nei vari settori lo induce a procedere con cautela e assicurare il consenso delle opposizioni; ho altresì tratto l’impressione in vari colloqui avuti che l’atteggiamento dei socialisti non sia del tutto negativo; mentre sembra che i Sarresi siano stati invitati a soppesare bene gli effetti della campagna elettorale. Mentre ero a Bonn, una deputazione della CDU Sarrese mi ha fatto pervenire una lettera in cui si chiede che gli uomini di stato europei intervengano in favore del loro diritto democratico. 4. Oltre il problema delle importazioni fu oggetto di considerazione anche l’accordo culturale, già preparato per via ordinaria. Tale accordo non poté venir definitivamente licenziato perché manca ancora la decisione favorevole del governo di qualcuno degli Stati Federati (si tratta di programmi scolastici). In quanto agli Istituti tedeschi di Roma, salvo l’atteggiamento degli Alleati, il Governo italiano confermò il proprio parere che essi debbano essere restituiti ai tedeschi, a condizione però che le biblioteche debbano rimanere a Roma ed essere aperte al pubblico internazionale. Altri argomenti toccati solo come propositi di principio sono accennati anche nel comunicato ufficiale. 5. Le dichiarazioni e manifestazioni europeistiche furono notevoli. Mi è parso che il Cancelliere abbia guadagnato l’adesione di tutti i colleghi del suo governo e di buona parte della popolazione. Certamente, moltissimo dipende dalla sua persona, onde è vivamente da augurarsi che le difficoltà vengano superate mentre egli sta al timone. Nel mio discorso di Aquisgrana, il riconoscimento dell’iniziativa del ministro Schuman è stato accolto da grandi applausi. 6. Ho avuto occasione di scambiare qualche osservazione con François Poncet , i cui rapporti col Cancelliere appaiono tali da favorire la politica di distensione. 7. Governo e popolazione hanno dato molta importanza alla visita; e io spero che ciò sia, tanto per i rapporti Italo-Tedeschi come per la collaborazione europea.
1b3cbf4a-4e05-4e3f-a3f4-9af51126fef6
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’on. De Gasperi ha rivolto ai giornalisti un breve saluto compiacendosi del fatto che essi abbiano avuta occasione di prendere conoscenza diretta della vita e dei problemi del nostro Paese, problemi – ha soggiunto – la cui soluzione richiede una più larga collaborazione internazionale, oltre agli sforzi considerevoli che da parte italiana – come i visitatori hanno potuto constatare – sono stati già fatti e vengono tuttora proseguiti. La necessità di lavoro implica necessariamente un incremento dell’emigrazione, e i canadesi sanno – ha aggiunto l’on. De Gasperi – come l’emigrazione italiana non abbia mai creato contrasti etnici o di nazionalità. E come l’italiano all’estero sia leale verso il Paese ospite: i paesi di immigrazione non hanno alcun motivo di temere, ma piuttosto di favorire l’afflusso di italiani. L’on. De Gasperi ha quindi accennato all’attuale situazione dell’emigrazione italiana in Canadà, esprimendo la fiducia che gli ostacoli che sono recentemente sorti per il suo sviluppo vengano presto superati. Voi avete visto – ha continuato l’on. De Gasperi – un popolo che lavora, che ha la coscienza politica dei suoi diritti e doveri, che può concorrere, come di fatto concorre, alla ricostruzione dell’Europa e della sua difesa. Noi vogliamo l’unificazione dell’Europa, perché vogliamo la pace. Noi vogliamo l’eliminazione per l’avvenire, di ogni ragione di conflitto tra la Francia e la Germania. Anche questa è un’opera di ricostruzione, attraverso la comprensione e la collaborazione. Il presidente del Consiglio ha concluso invitando i giornalisti canadesi a rendersi testimoni di questi sentimenti che animano l’Italia d’oggi, della suavolontà di lavorare e del suo sforzo per la pace e la collaborazione internazionale.
3b2ccd13-d491-48e1-9b19-85296d5a1a79
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presente telegramma è per Cavalletti. Si fa riferimento al Suo telegramma n° 982 et al rapporto n° 347. Siamo lieti vedere aprirsi possibilità avvicinamento delle tesi in contrasto in merito al «questionario». Di fronte all’impostazione fin troppo vasta dei lavori della Commissione ad hoc, atteggiamenti governativi che costituissero netto passo indietro rispetto alla risoluzione Lussemburgo darebbero luogo ad interpretazioni, in sede Assemblea e nella opinione pubblica, che sono assolutamente da evitare. Anche se quindi teniamo molto ad un accordo, dato che il suo mancato raggiungimento avrebbe anche esso riflessi negativi, non possiamo tuttavia, pur di raggiungere tale accordo, accettare ritorno puro e semplice alle posizioni di cinque mesi addietro.
3db0ff53-ab8d-4db1-854d-d9508e2c7c7a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Noi vediamo nella Comunità Atlantica una formula nuovissima di cooperazione internazionale e di contributo alla causa della pace: essa è basata, infatti, non soltanto sulla necessità di una salda difesa in caso di attacco ma ha l’obiettivo di creare un’intima e feconda collaborazione politica, economica e sociale fra i suoi membri, collaborazione che non può essere piena e sincera se non sulla base di un comune regime di libera democrazia e di realizzazione [di] un preciso programma di concreto progresso sulla via dell’unità politica internazionale. Al riparo del baluardo difensivo che la NATO va facendo ogni giorno più sicuro questa cooperazione internazionale costruirà, nell’operosa concordia dei nostri popoli, un mondo migliore per tutti. Man mano che, col trascorrere del tempo, l’organizzazione del trattato del Nord Atlantico precisa e consolida le funzioni e l’articolazione dei suoi organi, man mano che essa sviluppa, completa e rafforza le sue strutture, il contributo dei singoli paesi membri si fa più concreto e più efficiente, e l’Italia, che ha la sicura coscienza di avere dato finora tutto il suo possibile apporto, è decisa a continuare senza sosta la sua sincera collaborazione. Noi crediamo fermamente che anche i più ardui problemi del momento attuale, affrontati in comune e nello spirito di collaborazione che ha generato l’alleanza, possano trovare la loro soluzione secondo giustizia, nel quadro della vigorosa solidarietà esistente fra paesi stretti da un patto per ciascuno di essi vitale ed impegnati in uno sforzo che è insieme di conservazione e di rinnovazione.
e7847717-1428-485e-8e6d-08b1f1c471d7
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Presidente nostra Delegazione Parti Contraenti GATT ha riferito che Delegazione francese, in vista difficoltà incontrate in Sottogruppo tecnico da noto Piano francese per abbassamento tariffe doganali, ha proposto riesame questione in Comitato ristretto. Poiché ai lavori proposto Comitato non (dico non) parteciperanno Stati Uniti né Regno Unito, in vista, i primi delle imminenti elezioni, ed il secondo della prossima Conferenza del Commonwealth, non ci sembra che il Comitato stesso possa arrivare ad alcun risultato positivo. Prego pertanto V.E. voler urgentemente fare presente Quai d’Orsay che riterremmo desiderabile rinvio ulteriore studio questione a dopo elezioni americane e Conferenza Commonwealth. Qualora poi da parte francese si insistesse in proposta aderire subito Comitato ristretto, V.E. dovrebbe dire che in assenza Gran Bretagna e Stati Uniti non vediamo utilità nostra partecipazione lavori; ma che, d’altra parte, allo scopo evitare che nostra assenza possa essere interpretata come atteggiamento negativo non solo verso piano francese ma anche nei riguardi politica tendente a più largo ribasso tariffe e graduale unità europea, saremmo disposti inviare nostro Osservatore. Ciò beninteso, al solo scopo di fornire ulteriore prova buona volontà e correttezza nei confronti francesi. Nei riguardi poi intero problema Governo Italiano non può non rilevare contraddizione tra azione che si va svolgendo per abbassamento dazi doganali ed allarmante e diffusa tendenza ad adottare misure discriminatorie nonché ad inficiare processo liberazione scambi in atto, che, in alcuni casi, minaccia spirito collaborazione economica europea, della quale, riduzione dazi è solo un aspetto. In definitiva nostro punto di vista è che qualsiasi riduzione dazi dovrebbe essere condizionata da preventiva assicurazione circa regime piena liberazione scambi. Prega V.E. telegrafare anche Presidente Delegazione Gatt, presso Consolato Generale Ginevra, risultato suoi passi.
4e84fc45-81e7-4c8e-ac5c-bba90b37bd9d
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Non conosco personalmente, la Grecia, – ha detto fra l’altro l’on. De Gasperi – perciò sono lieto dell’occasione che mi sarà offerta di visitarla prossimamente. Grecia e Italia, Nazioni mediterranee, debbono restare unite per contribuire al mantenimento della pace in questo mare. Fra i nostri due Paesi c’è stata una infelice parentesi che deve essere cancellata non solo a parole ma anche dai nostri cuori. Il presidente ha proseguito avendo parole di grande comprensione per la dura prova attraverso la quale è passata la Grecia anche nel tormentato dopoguerra e ne ha tratto sentimento per riaffermare la necessità di una sempre più stretta solidarietà tra Atene e Roma, per il presente e per il futuro.
ec9dce01-a83b-4a98-81eb-5abefb65ff4a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Sono stupito che dopo il fallimento dei colloqui del Sig. Eden con Tito sul problema di Trieste, si continui senza sufficiente riguardo per i sentimenti e le richieste dell’opinione italiana. Mi permetta di qualificare tale modo di procedere come non molto amichevole. Sono obbligato per lealtà a dichiarare che la cooperazione militare di qualsiasi governo italiano con la Jugoslavia è fuori questione fino a che non sia raggiunta una ragionevole soluzione del problema di Trieste. Intanto temo che il viaggio progettato e i colloqui aumenteranno solo la tensione, renderanno la nostra situazione più difficile e ritarderanno e forse anche impediranno la ratifica della CED. […] Noi siamo per il coordinamento della difesa, ma la difesa è costituita non solo da mezzi militari. Bisogna raggiungere la cooperazione politica; per assicurare la cooperazione politica, occorre risolvere la questione di Trieste.
b19bbf63-287d-4874-971c-7c13e0281d3a
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Mi reco a Parigi per la riunione del Consiglio atlantico, nel corso della quale saranno esaminati problemi militari e politici: problemi militari riferentesi alla messa a punto di quanto è stato fatto nel campo della cooperazione atlantica e per l’esame di ciò che occorre fare in futuro; problemi politici interessanti specialmente la necessità di una più intensa collaborazione fra i Paesi della Nato.
6ecd394c-4c8b-4bd8-8feb-da6a2f2f4fad
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Qual è la ragione che mi vale l’onore di prendere la parola in questa riunione solenne di apertura? Mi sembra che questa ragione sia da ricercare nel fatto che il paese che rappresento è fra quelli per i quali le idee di solidarietà e di unione di fronte al pericolo che ci minaccia rivestono maggiore importanza. Ciò che mi permetto di esporvi non deriva evidentemente da un punto di vista strategico e militare – quella è una materia che non rientra nell’ambito delle mie competenze, ma di una considerazione generale della situazione. E le mie parole non diminuiscono affatto il nostro vivo apprezzamento per l’opera efficace svolta dalla nostra organizzazione – sia dal Segretariato generale sia dagli organi militari; di tale opera noi possiamo già constatare con soddisfazione i ragguardevoli risultati positivi. Le mie considerazioni riguardano il fronte interno, cioè quella politica di penetrazione e di erosione che l’Unione Sovietica pratica sistematicamente e che è stata apertamente formulata e esaltata dal maresciallo Stalin nel suo discorso al Congresso comunista. La prima linea di attacco è costituita dai partiti comunisti nei nostri paesi, che Stalin ha chiamato le «brigate d’assalto» nella lotta internazionale per la conquista del potere e di cui ha rivelato i legami di cooperazione stretta e organica con il Cremlino. Di fronte a questa linea di attacco, qual è, signori, la nostra linea di difesa comune? Ogni paese si difende come può, con i metodi che gli sono propri e con un’intensità differente; è certamente giusto che sia così fintanto che si tratta di misure politiche o di amministrazione interna. Tuttavia, poiché si tratta anche di un fronte interno che fa parte di un fronte unico di difesa, fondato sulla nostra alleanza, non è forse evidente che la NATO dovrebbe rappresentare un centro vitale per lo scambio di esperienze e per coordinare le idee e le iniziative? Se la voce di Stalin esprime la volontà di una potenza mondiale che, nell’affinità di ideologia e di organizzazione, non conosce frontiere né continenti, i paesi liberi, al di là dell’autonomia più assoluta nella loro vita nazionale, non hanno una grande ricchezza comune d’idee e di esperienze politiche e sociali che dovrebbero proclamare e manifestare in comune? Abbiamo fino ad ora fatto sentire la nostra voce comune? Sì, nelle formule dei trattati e nelle risoluzioni di certe occasioni solenni; ma bisogna che questa voce si faccia sentire al momento giusto e rapidamente affinché si riconosca nei diversi paesi come la formulazione vivente della nostra vigilanza e della nostra solidarietà. L’aggressione è continua, il fronte interno è in movimento senza sosta, il nostro appello alla resistenza deve dunque essere proporzionato alla situazione, deve essere l’espressione di una preoccupazione comune che potrà trovare delle formulazioni appropriate anche negli organi permanenti del nostro Consiglio. Proclamare così le nostre idee non avrà l’effetto che desideriamo solo all’interno, ma potrà anche contrastare all’esterno tutte le speranze di seminare fra noi discordia e disaggregazione. È chiaro che alle nostre dichiarazioni dovranno corrispondere i principi della nostra condotta comune. La nostra azione dovrà fondarsi sull’accettazione, nella teoria e nella pratica, di certi punti fermi che indipendentemente dal sistema di governo garantiscano i diritti dell’uomo e il rispetto della sua persona. Bisogna dire francamente che un’alleanza fondata unicamente su considerazioni strategiche e militari ma che fosse contraddittoria per tutto il resto non resisterebbe alle prove di una pace costruttiva. Ma perché la nostra solidarietà possa contrastare le speranze di Stalin, essa dovrà fondarsi anche su uno sforzo continuo e sincero di cooperazione economica e sociale. So bene che il cammino è duro e disseminato di ostacoli. In questo settore abbiamo proceduto a balzi, a volte in avanti, a volte in indietro. Nel meccanismo economico internazionale ci sono delle contraddizioni che dal di fuori potrebbero dare l’impressione di un’incertezza sul cammino da seguire. Ci sono delle situazioni sociali che non fanno progressi a causa di una insufficiente solidarietà concreta. Riconosciamolo con franchezza ma affermiamo allo stesso tempo che ci sono défaillances momentanee e transitorie, che la direzione delle nostre volontà è sempre quella della collaborazione anche nel campo dell’economia, che anche su questo terreno dobbiamo e vogliamo insistere per trovare la risultante dinamica delle nostre energie al fine di andare al di là delle posizioni che ci sono state tramandate dalla storia; e soprattutto, signori, di fronte agli avversari all’interno e all’esterno, proclamiamo che i nostri sforzi si ripeteranno con la fermezza di coloro che sanno che fuori da questi principi non c’è punto di salvezza .
896317ea-9c0b-4b56-999d-5731e91f1b47
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Per quanto concerne il progetto di risoluzione preparato dal Segretariato concordo pienamente con l’approvazione. Vorrei solo proporre che alla fine del paragrafo 2 si aggiungesse una precisazione che si potrebbe redigere nel modo seguente: «e in particolare per ciò che riguarda i problemi della sovrappopolazione». Ho appreso con la massima soddisfazione della lettera che il segretario generale, dopo la decisione del Consiglio dello scorso 18 dicembre, ha inviato ai governi degli stati membri per ricordare loro la necessità urgente di eseguire le raccomandazioni del Consiglio approvate a Lisbona in materia di movimento della manodopera. Questo problema interessa il mio paese al massimo livello; per risolverlo il governo italiano persegue un’azione incessante nei limiti dei suoi mezzi e delle sue possibilità. Ma è il caso di sottolineare che la sovrappopolazione e il movimento di manodopera interessano anche in maniera del tutto peculiare l’insieme della nostra comunità poiché, come è stato riconosciuto dal Consiglio, la stabilità stessa della Comunità dell’Atlantico del Nord è gravemente minacciata qualora la popolazione di uno o più dei suoi membri soffra di un eccesso di manodopera inutilizzata. Il gruppo di lavoro costituito dal Consiglio atlantico ha studiato tutti gli aspetti principali di questa difficile questione e, nel riconoscere l’estrema importanza e la complessità delle conseguenze economiche e sociali dell’immigrazione, ha ritenuto che il problema è anzitutto di ordine politico. Sono dunque delle decisioni politiche che desideriamo veder adottare dal Consiglio, lasciando le questioni di ordine puramente economico e tecnico alle numerose organizzazioni internazionali che già se ne interessano. Le decisioni degli stati membri dovrebbero a nostro avviso considerare non solo in quale misura sarà loro possibile adottare delle disposizioni che prevedono di accogliere un’immigrazione supplementare – e qui devo prendere atto delle dichiarazioni molto favorevoli date ieri dal rappresentante degli Stati Uniti – ma anche in quale misura potranno esercitare i loro buoni uffici presso altri paesi in grado di ricevere un’immigrazione supplementare proveniente dai paesi della Comunità atlantica. Spero Sig. Presidente che l’appello del Consiglio segnerà l’inizio di una collaborazione dei paesi membri anche in quest’ambito e permetterà di incamminare questi gravi problemi sulla via di una soluzione concreta. Grazie.
7ee61a2e-25be-4d6b-b345-5439c72bc436
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presidente del Consiglio inizia con un’esposizione dei motivi in base ai quali il Governo italiano ritiene inaccettabile lo studio presentato dal Dipartimento di Stato per la questione del T.L.T. In particolare l’on. De Gasperi chiarisce che una soluzione, che lascia alla Jugoslavia circa 40 mila italiani restituendone neppure 10 mila e che non risponde né al principio della linea etnica né allo spirito della Dichiarazione tripartita, non può esser presa in considerazione: sarebbe impossibile farla accettare all’opinione italiana in quanto gli anglo americani stessi già avevano in più occasioni dato la loro adesione all’accoglimento di questi due principî. Il segretario di Stato dichiara di essere già al corrente della nostra risposta. Comprende i motivi addotti dal presidente, che è il miglior giudice della situazione italiana. Aggiunge che il Dipartimento aveva concepito tale soluzione, in quanto la considerava l’unica che potesse essere presentata a Tito e per la quale il Dipartimento riteneva di poter svolgere pressioni con qualche probabilità di successo. Avendo constatato l’inaccettabilità per noi della proposta, egli la considera superata (dropped) e ritiene che il problema possa essere ripreso dopo le elezioni italiane. Il presidente chiede ad Acheson se egli consideri esaurito questo suo tentativo. Il segretario di Stato risponde in modo affermativo, dichiarando che se ne dovrà occupare il suo successore. Riprendendo, l’on. De Gasperi osserva che francamente noi ci aspettavamo qualche cosa di diverso; se, ad esempio, voi aveste salomonicamente proposto una spartizione della Zona B nei suoi distretti, ciò avrebbe potuto costituire un punto di partenza per ulteriori aggiustamenti e integrazioni con reciproci compensi fra le rispettive minoranze. Il segretario di Stato ribadisce il concetto di rinviare ulteriori tentativi di soluzione a dopo l’insediamento della nuova Amministrazione e forse a dopo le elezioni. A questo punto l’on. De Gasperi obbietta che anche quest’ultima prospettiva presenta purtroppo gravi inconvenienti. Accenna anzitutto alla questione del riarmo della Jugoslavia ed alla cooperazione generale, ed in proposito annuncia un suo intervento nella seduta della NATO di domani. Come governo noi continueremo ogni sforzo per assicurare il pieno contributo italiano ai piani di difesa, ma nessun governo italiano potrà ottenere una collaborazione sincera e popolare con la Jugoslavia, se non muta lo stato d’animo. A meno di pensare ad un attacco russo, che ci troverebbe tutti uniti; ma purtroppo sarebbe un rimedio ben peggiore del male. Il presidente accenna infine alle possibili ripercussioni che potrà avere il problema insoluto di Trieste sulla ratifica degli accordi CED. Abbiamo presentato il disegno di legge pochi giorni or sono ma – aggiunge rispondendo a precisa domanda rivoltagli – il dibattito sarà lungo e pieno di incognite. Molti nel Paese ed in Parlamento affacceranno le loro perplessità in questi termini: mentre la Jugoslavia conserva la piena e illimitata disponibilità del proprio esercito, l’Italia vedrà le sue forze assorbite in un organismo sopranazionale. In una situazione così pericolosa, avete assicurato con garanzie le frontiere? Acheson domanda se i suoi collaboratori abbiano qualche osservazione da fare. Perkins interviene spiegando che il Dipartimento di Stato, nell’avanzare la sua proposta, aveva ritenuto che essa potesse essere presentata come equa in quanto gli italiani rimasti nella zona B sarebbero stati bilanciati dagli slavi a Trieste. Il presidente reagisce vivacemente, affermando che ben conosce questa speciosa argomentazione di Tito. Ma, egli obbietta, gli slavi di Trieste furono già più che ampiamente compensati dai 300 mila italiani rimasti nei territori ceduti alla Jugoslavia in forza del Trattato di Pace. Vorreste forse farci pagare due volte questo sacrificio? Di più: il criterio della «bilancia etnica», soggiunge il presidente, può rimettere in discussione tutta la frontiera con le più gravi conseguenze. Il discorso è caduto infine sulla Germania e l’Indocina.
c9257465-601c-4cc2-af97-8c0a02616bc9
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Voi sapete, signori delegati, che il governo italiano ha sempre ritenuto che la creazione della Comunità europea di difesa costituisce una realizzazione di importanza del tutto speciale sul cammino verso l’unità europea. È per questo che, seguendo la sua politica saldamente stabilita in questo senso, il governo italiano ha dato la sua più sincera adesione ai principi che hanno ispirato il governo francese nel proporre la creazione della suddetta comunità e a prestare tutta la sua collaborazione ai lavori che hanno portato alla firma degli accordi di costituzione della comunità. È nello stesso spirito che ho la soddisfazione di annunciare che il governo italiano ha sottoposto all’approvazione del Parlamento il detto accordo, confermando così il suo desiderio che tutto sia compiuto il prima possibile da parte dell’Italia perché gli accordi in questione entrino in vigore. D’altro canto, nessuno può ignorare che persistono delle difficoltà e che esistono dei forti dubbi in seno all’opinione pubblica dei sei paesi – non esclusa naturalmente la nostra – [che] hanno il loro riflesso nei parlamenti nazionali. A tale proposito vorrei esprimere francamente il mio pensiero. Il testo del trattato è un documento molto elaborato, che è il frutto di numerose concessioni reciproche ottenute attraverso molteplici difficoltà. Nulla di sorprendente che ogni Parlamento vi trovi materia di critica e degli aspetti degni di miglioramento. Il problema era troppo complesso e troppo difficile per poter trovare dal primo momento una soluzione ideale e perfetta. Ma affinché questo strumento possa essere perfezionato e adattato alle esigenze variabili delle opinioni pubbliche, esso deve esistere. Deve essere sperimentato attraverso l’applicazione pratica. Innegabilmente, ci troviamo all’inizio e non alla conclusione dell’evoluzione verso l’unità europea. Nel corso di questa evoluzione potranno essere apportati adattamenti e revisioni. Ma per il momento appare indispensabile che noi ratifichiamo i testi e i protocolli come essi sono stati parafati dai sei governi e approvati per quanto li riguarda dalla NATO e dagli stati garanti. È l’unico strumento di cui si dispone oggi che sia stato pensato nelle necessità della difesa comune e nello spirito della solidarietà continentale con l’appoggio delle potenze che hanno il controllo dei mari. Diamo dunque credito a questa democrazia dell’avvenire europeo la quale, se resterà fedele al suo slancio iniziale, troverà ugualmente nel suo sviluppo ulteriore la forza di integrarsi e adattarsi alle nuove esigenze e di modificare le sue formule e le sue strutture, laddove sarà necessario e con l’unanimità fondata sulla buona volontà di tutti.
b2a7d8bd-248d-4ea8-ae32-6bf190096aff
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
«Il comunicato finale particolarmente esauriente vi ha informato di tutto il lavoro compiuto e dei risultati raggiunti in questi giorni dal Consiglio atlantico. Aggiungerò che era nei nostri intenti non solo di fare il punto sugli sforzi compiuti sin qui per la difesa, ma anche di gettare le basi per una sempre più concreta collaborazione in campi non militari in seno alla Comunità atlantica. Abbiamo potuto constatare la ferma determinazione del mondo libero di mantenere e rafforzare la propria unità sia per fare fronte ai pericoli esterni sia per compiere in comune ogni sforzo diretto ad assicurare il progresso economico e sociale delle singole nazioni. Le democrazie vogliono difendersi da possibili aggressioni e perciò comprendono che i problemi esistenti non debbono essere causa di dissensi, ma vanno risolti in comune. Per noi che non facciamo parte delle Nazioni Unite, le riunioni del Consiglio atlantico sono importanti anche sotto un altro aspetto: ci consentono di far valere il nostro punto di vista su molte questioni italiane e europee. E ciò abbiamo fatto sia in seno al Consiglio stesso sia prendendo contatti con i ministri delle Nazioni più importanti». Il comunicato ufficiale rende noto che il Consiglio ha preso conoscenza di un rapporto del Segretario generale sull’attività svolta in otto mesi e ha deciso che procederà periodicamente all’esame dei lavori dell’Organizzazione derivanti dall’art. 2 del trattato quali la sovrappopolazione, le questioni sociali e culturali e quelle relative all’informazione. Il Consiglio ha esaminato inoltre un rapporto stabilito dal comitato militare che indica importanti progressi realizzati nell’istruzione e nella efficacia delle forze nazionali messe a disposizione del comando supremo e nella standardizzazione dei regolamenti e dei metodi militari. Il Consiglio ha approvato la creazione di un comando del Mediterraneo che è stato affidato a Lord Mountbatten . Il consiglio ha pure approvato le direttive strategiche sottoposte dal Comitato militare, che tengono conto della ammissione della Grecia e della Turchia alla Nato. Il comandante supremo gen. Ridgway ha reso omaggio alle alte qualità delle forze poste sotto il suo comando, ma ha insistito sul fatto che solo un rafforzamento continuo dei mezzi messi a sua disposizione gli darà la possibilità di compiere la sua missione. Il Consiglio ha studiato alla luce di queste vitali considerazioni, il primo rapporto sull’esame annuale per il ’52. Nel corso della presente sessione, il Consiglio ha esaminato la situazione attuale della Comunità atlantica e le sue prospettive per l’avvenire. 14 Stati sovrani membri dell’organizzazione del trattato del nord atlantico hanno realizzato una cooperazione volontaria senza precedenti nella storia. Unendo le loro risorse e le loro competenze, condividendo gli oneri materiali della difesa, applicando costantemente i principi della consultazione e della assistenza reciproca, i Paesi membri hanno già accresciuto la loro forza comune, le loro intese, la loro unità. I Governi membri sono oggi, più che mai, persuasi che la strada da essi scelta è la migliore per proteggere la comunità dei popoli liberi, contro i tentativi diretti o indiretti fatti dal comunismo per dominarla. I membri del Consiglio hanno riaffermato gli scopi della loro alleanza che sono la difesa, la pace e la sicurezza nonché la loro risoluzione di estendere in nuovi campi la loro solidarietà di azione e di preservare la loro comune tradizione di libertà. Il Consiglio ha constatato con soddisfazione che il sentimento di unità non cessa di rafforzarsi fra i popoli della Comunità atlantica.
2af5a6bf-9e15-405a-be6d-c5575799ce5e
1,952
1Building the Italian Republic
101951-1955
Signor Ministro sono lieto di darle il benvenuto e di salutare in lei il rappresentante di un Paese legato al nostro da vincoli di alleanza e di amicizia, che è nostro desiderio rendere, sempre più forti e operanti. Questa solidarietà che ha la base nella situazione dei due paesi bagnati dallo stesso mare, è rafforzata dalla comune volontà di collaborare al consolidamento della pace nella sicurezza collettiva. È con vivo compiacimento che vediamo intensificarsi sempre più i rapporti tra i due Paesi, non soltanto nel campo politico, ma anche in quello economico, in quello culturale, in quello turistico. Tengo ad assicurarle, signor Ministro, che saremo lieti di ogni occasione che ci consentirà di accrescere una collaborazione nella quale vediamo non solo un fattore di progresso per ambedue i popoli, ma una garanzia di stabilità e floridezza per il mondo mediterraneo. L’Italia segue con viva simpatia l’ascesa della vostra nazione e col più favorevole interesse le grandi trasformazioni economiche e sociali, destinate ad accrescere la ricchezza e il benessere nelle belle contrade del vostro Paese. Consapevole dell’importanza della Turchia quale fattore di stabilità e di pace e della sua funzione storica tra Occidente e Oriente, l’Italia ne ha desiderato ed appoggiato la piena integrazione nel sistema della sicurezza atlantica. Con immutati intendimenti l’Italia e Turchia proseguiranno, ne sono certo, fianco a fianco, la loro opera di progresso civile e di pace. Con questi auspici, signor Ministro, levo il calice alla fortuna dell’alleata Nazione turca, alla prosperità del suo illustre Presidente e a quella sua personale.
d25d8b5d-1838-4067-ae99-466e3c53c7eb
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
(Segni di viva attenzione). Ho il dovere di comunicare alla Camera che l’odierno Consiglio dei ministri , preso in esame l’andamento della discussione parlamentare sul disegno di legge di riforma elettorale; considerati l’importanza politica attribuita al disegno di legge stesso ed il dovere del governo di assumere tutte le sue responsabilità; considerato che l’opposizione ha non solo accentuato la portata politica del provvedimento, ma ne ha posto in dubbio la legittimità costituzionale; considerato che la Camera dei deputati ha discusso con la massima ampiezza sul disegno di legge, ne ha riconosciuto la costituzionalità e l’opportunità politica ed è passata all’esame dell’articolo unico; considerata l’assoluta necessità di rendere l’azione del governo rispondente in ogni momento all’orientamento politico del Parlamento, manifestato ed attuato in un’azione sempre più efficiente per lo svolgimento della funzione cui è destinato; tenuto conto altresì che dall’ampia discussione e dall’esame di tutti gli emendamenti proposti è risultata l’opportunità di alcune modifiche al disegno di legge presentato; mi ha autorizzato a porre, come pongo, la questione di fiducia sull’accettazione da parte della Camera della residua parte dell’articolo unico del disegno di legge n. 2971, modificato dagli emendamenti Bertinelli ed altri al punto II (pagina 21 del fascicolo n. 2 degli emendamenti). Marotta ed altri al settimo comma del punto II (pagine 23, 24 dello stesso fascicolo), Marotta ed altri al penultimo comma del punto II (pagina 25 dello stesso fascicolo), Sailis ed altri al punto IV (pagina 15 del fascicolo 5-d), e completato da un comma finale, relativo alla immediata entrata in vigore della legge; emendamento Rossi ed altri (pagina 22 dello stesso fascicolo), con esclusione di qualsiasi divisione, emendamento, articolo modificativo o aggiuntivo di qualsiasi natura. [Il presidente del Consiglio replica quindi alla richiesta dell’on. Di Vittorio di rinviare al giorno successivo il seguito della discussione della mozione da lui presentata «sulla tredicesima mensilità e sull’assistenza medica e farmaceutica ai pensionati statali»] . De Gasperi. Chiedo di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. De Gasperi. Vorrei fare osservare all’onorevole Di Vittorio che ci troviamo in una situazione sostanzialmente nuova rispetto alla settimana scorsa. È stata posta la questione di fiducia: cioè il governo fa dipendere la sua stessa esistenza dal voto che si darà in questa legge. Quindi la priorità su qualsiasi altro argomento è evidente. Se si vuole arrivare presto a discutere della tredicesima mensilità ai pensionati, si risolva prima la questione della legge elettorale. (Applausi al centro e a destra – Commenti all’estrema sinistra). Di Vittorio. Chiedo di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. Di Vittorio. Io non contesto l’importanza della questione sollevata dal presidente del Consiglio; però, dal momento che si sta discutendo di rinviare la discussione a domani, chiederei, se possibile, di utilizzare una parte della giornata di domani stesso per concludere la discussione sulla mia mozione, che è pure molto importante. Si manterrebbe fede, così, ad un impegno preso da tutti i gruppi e dalla stessa Presidenza della Camera. (Applausi all’estrema sinistra). De Gasperi. Chiedo di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. De Gasperi. Vorrei osservare che concludere sulla mozione Di Vittorio sarebbe inutile, dal momento che il governo potrebbe anche cadere, e quindi essere nell’impossibilità di assumere alcun impegno.
7d4b9db4-41d9-4241-b269-7b7821141536
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Non ho chiesto subito la parola perché immaginavo che i colleghi non sarebbero rimasti soddisfatti di una dichiarazione di deplorazione, mentre ancora non sono stato informato dei fatti. Debbo però avvertire che il governo aveva preannunciato agli organizzatori delle dimostrazioni che non sarebbero stati permessi concentramenti di forze dinanzi al Parlamento. (Proteste all’estrema sinistra). Questo dico non per drammatizzare o attenuare la portata dell’incidente, che naturalmente deve essere giudicata a parte. Ma, poiché l’onorevole Ingrao ha aggiunto considerazioni di carattere generale sui diritti dei cittadini, devo dire che era dovere imprescindibile del governo assicurare la libertà del Parlamento da ogni sorta di pressione esterna. (Vivi applausi al centro e a destra – Prolungati rumori all’estrema sinistra). [Dopo alcuni interventi e una breve sospensione della seduta, il presidente del Consiglio prosegue il suo discorso]. Penso che non sia il momento di aprire una discussione sopra le manifestazioni odierne, sulle quali mi riservo di riferire in altro momento, quando avrò tutti gli elementi di fatto relativi agli incidenti deplorevoli che sono stati qui segnalati, i quali riguardano in modo particolare l’immunità e l’integrità dei deputati. È passato un certo tempo prima della ripresa della seduta, perché ho voluto direttamente informarmi presso tutte le autorità responsabili. Mi pare inutile far notare che l’intervento delle forze dell’ordine era stato provocato non soltanto dalla proclamazione dello sciopero generale, ma da un ordine generale di organizzazione dei vari gruppi che dovevano concentrarsi nelle adiacenze del Parlamento. L’ordine dato alla forza pubblica era di non permettere che si formassero assembramenti attorno al Parlamento, e ciò anche per la sicurezza del Parlamento stesso. Comunque, da questa inchiesta – su cui potremo anche tornare, se gli elementi non saranno sufficienti – è risultato che quanti deputati hanno voluto accedere o uscire da Montecitorio sono stati liberamente fatti passare ad esibizione di tessera: casi in contrario sono dunque rarissimi, perché come norma generale non vi sono state difficoltà. (Commenti all’estrema sinistra). Secondo le informazioni della questura, i vari tentativi dei singoli gruppi che da diverse direzioni di marcia si volgevano verso il centro e le adiacenze della Camera sono stati resi vani dall’intervento della forza pubblica. Verso le sei e un quarto si poteva dire che la manifestazione era completamente abortita, (rumori all’estrema sinistra), quando da Montecitorio sono uscite alcune persone che, all’altezza del largo Tritone, si sono mosse verso un gruppo di dimostranti che era stato sciolto. In quel momento un gruppo – non si è potuto precisare se comprendente deputati o no – si mise alla testa del gruppo sciolto per tentare di riformarlo. Avendo questo gruppo rifiutato l’esecuzione dell’ordine di sciogliersi, lo scioglimento venne imposto con la forza. Fu in questo parapiglia, nella mischia che seguì, che l’onorevole Ingrao, che faceva parte di questa massa e non si era qualificato, (vive proteste all’estrema sinistra), fu colpito. Nel momento nel quale fu colpito non si era ancora qualificato, tanto è vero che l’onorevole Natoli, che era in sua compagnia e che si era qualificato, non ebbe alcun disturbo. Ad ogni modo deploro vivamente l’incidente, sia per la cosa in sé, sia per l’interpretazione che gli si possa dare. Ma esso è al di fuori delle nostre responsabilità, perché le ovvie istruzioni erano di usare i massimi riguardi ai deputati, che non soffersero né molestie né violenze di sorta, e in genere verso tutti i cittadini. (Commenti all’estrema sinistra). Comunque, allo stato delle informazioni che ho, escludo che ci sia stato proposito consapevole di trovarsi di fronte ad un deputato. Se nuovi elementi dovessero risultare in contraddizione coi risultati di questa inchiesta, naturalmente il governo farà il suo dovere. (Commenti all’estrema sinistra).
c2cb5c43-415b-4971-9ff6-fd90a80b110d
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Informa i colleghi sulle importanti riunioni internazionali svoltesi negli scorsi giorni a Roma. Riferisce che è stata superata una difficoltà molto grave ma che ancora non tutto è definito. Non si può essere molto ottimisti per il futuro, poiché gli stessi relatori parlamentari francesi sono titubanti o contrari alla CED. E trattasi di uomini autorevoli come Moch . Informa poi sui lavori parlamentari del trattato CED. Il 10 marzo si riunirà l’Assemblea per votare lo schema formulato dall’apposita Commissione da presentare ai ministri. Alla Camera si profila una discussione in Assemblea. Si può fare la ratifica del trattato relativo alla CED? Non crede che sussistono gli elementi. [Il repubblicano Ugo La Malfa propone «che si arrivi almeno alla votazione degli articoli»]. Ritiene più opportuna una mozione.
00013408-b7da-400b-a04c-3bc8518e11f2
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Nel momento in cui il Senato si accinge a discutere e a deliberare in Assemblea plenaria sul disegno di legge elettorale per la Camera dei deputati, presentato dal governo e dalla Camera stessa approvato, ho l’obbligo di fare una dichiarazione, che vuol essere ispirata a senso di responsabilità e al rispetto dovuto alla autorità del Senato. La Camera ha approvato questo disegno di legge sul sistema di elezione per i membri suoi, dopo 57 sedute, con un totale di 340 ore di discussione, e il Senato si è preparato al dibattito conclusivo, che ora intende svolgere, con 42 sedute della competente Commissione. Nessun dubbio che il voto del Senato, che coronerà il dibattito che ora si inizia, possa venir dato con la piena consapevolezza del carattere e degli effetti del sistema elettorale che la Camera dei deputati ha già per suo conto e nei suoi riguardi accettato. Tuttavia a questo punto (e parlo a nome del Consiglio dei ministri che mi ha incaricato di farlo) ho l’obbligo, onorevoli senatori, di sottoporvi un altro elemento di giudizio, cioè che il governo considera così importante e decisivo che il disegno di legge diventi tempestivamente operante, da sentire il dovere di porre, come in questo momento pone, la questione di fiducia sull’accettazione da parte del Senato del disegno di legge n. 2782, nel testo già approvato dalla Camera dei deputati, esclusi quindi, come ovvia conseguenza, ogni ordine del giorno, divisione, emendamento o aggiunta. Il porre una questione di fiducia sul testo di un disegno di legge non appartiene certo alla procedura usuale, ma circostanze straordinarie e particolari tendono oggi tale procedimento inevitabile. Sta infatti per chiudersi la legislatura della Camera dei deputati; e l’articolo 61 della Costituzione fissa improrogabilmente il termine per la indizione delle elezioni della nuova Camera. Qualora la legge, votata dalla Camera stessa, non ottenesse l’approvazione del Senato prima della scadenza di tale termine, la volontà dell’altro ramo del Parlamento, che le elezioni della nuova Camera vengano effettuate col sistema da essa adottato, diventerebbe inoperante. Risulta inoltre indispensabile che le elezioni non abbiano luogo a stagione troppo inoltrata, onde evitare il periodo dei più intensi lavori agricoli e delle migrazioni stagionali, che a molti elettori renderebbero difficile l’esercizio del diritto di voto. Ma a queste impellenti ragioni di calendario, che basterebbero da sole a giustificare la richiesta del voto di fiducia, si aggiunge l’intrinseco carattere del disegno di legge. Questo tende, nelle intenzioni del governo proponente e nel pensiero dalla maggioranza che lo sostiene, a facilitare in Italia il funzionamento del sistema parlamentare e quindi a consolidate il regime democratico; l’opposizione, invece, ha svolto e svolge in Parlamento e fuori una intensa agitazione per dimostrate che il sistema elettorale è proposto dal governo al fine e con l’effetto di frustrare la Costituzione e tradire la democrazia. Questa accusa tenacemente ripetuta, nonostante ogni argomentazione in contrario e ogni confutazione, investe in pieno la base politica e programmatica del governo, il carattere generale della sua azione, la sua stessa legittimità morale e pone inesorabilmente, al di sopra di ogni altra, la priorità della questione di fiducia. Ora il governo non può e non intende sottrarsi a questo giudizio globale che è connesso con la sua stessa proposta di legge e perciò ha posto alla Camera la questione di fiducia sulla legge stessa; e questa posizione deve ribadire anche in Senato, affinché il Senato nella pienezza della sua libertà, e nella sua saggezza, assuma tempestivamente le sue responsabilità come il governo, ponendo in causa la sua stessa esistenza, assume in tempo le sue innanzi al Parlamento e al paese. È superfluo del resto rilevare che la proposizione della questione di fiducia non sottrae a codesta onorevole assemblea il diritto e la possibilità di discutere sul merito della legge, poiché essendo proprio su questo stesso argomento che la fiducia al governo si concede o si rifiuta, il dibattito che qui si svolge, si sviluppa appunto sugli argomenti favorevoli o contrari alla riforma elettorale di cui si tratta. Per chi si preoccupa che in tal modo il governo può sembrare che venga ad interferire sui sistemi di discussione parlamentare dei disegni di legge, ripeto che le caratteristiche obiettive che ho prima ricordate contengono già in sé circoscritte le limitazioni opportune. presiDente. Quindi questo non rappresenta un precedente. De Gasperi. Onorevoli senatori, spero che la risposta che il governo chiede vi risulti anche più facile se considerate che la legge, nella sua applicazione, dipende infine dal voto popolare, giacché sarà la maggioranza degli elettori che deciderà se il premio funzionale verrà raggiunto o meno e in qual misura esso risulti, onde della fiducia che abbiamo ottenuto alla Camera e chiediamo ora al Senato attendiamo e serenamente sollecitiamo la solenne conferma nel voto del popolo italiano, chiamato a dire l’ultima parola. (Vivi applausi dal centro e dalla destra). scoccimarro. Domando di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. scoccimarro. Non ho l’intenzione di fare un discorso. Desidero solo rivolgere una domanda al presidente del Consiglio con la preghiera che egli mi risponda subito. La domanda è questa: in base a quale norma di Costituzione o regolamento il Consiglio dei ministri ha ritenuto di poter prendere un’iniziativa che modifica la procedura di discussione e votazione della legge, come è stabilita dalla Costituzione e dal regolamento? De Gasperi. La risposta a questa domanda verrà data durante la discussione nella quale mi riservo di riportare tutti gli argomenti che possono essere conclusivi. scoccimarro. Desidero chiedere al presidente del Consiglio se può darmi l’assicurazione che domani sarà presente alla discussione. De Gasperi. Sarà sempre presente il governo e chi risponderà a nome mio.
2cf7ff8a-fc2a-4fc6-ab54-e16ae13ad198
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
De Gasperi. Chi ha detto che ho parlato di liberare l’Albania? scoccimarro. Lei. De Gasperi. Mai. scoccimarro. Lei ha detto questo, che si è parlato dell’Albania e ci si è trovati d’accordo che l’Albania domani dovrà essere indipendente, democratica. De Gasperi. Dire che l’Albania dovrà essere indipendente non significa dire che dobbiamo liberarla. scoccimarro. Io penso che quando un Capo di governo va a far visita ad un altro paese che è ai confini del paese di cui si parla, questo abbia un significato molto chiaro. Non voglio far torto a lei dicendole che non ha capito cosa significano questi discorsi che si vuole un’Albania diversa da quella di oggi. Se gli albanesi non lo vogliono, si deve fare la guerra! De Gasperi. Di fronte alle assicurazioni greche, si trattava di stabilire che non è interesse né loro né nostro di interferire negli affari dell’Albania. scoccimarro. Prendo atto di questa dichiarazione. Non voglio intrattenermi ora su questo problema. Ne riparleremo in sede di bilancio degli Affari esteri.
d7099bd0-ba8b-47ee-a74b-a514c0b9ed7d
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Onorevoli senatori, comprendo che sono stato provocato appositamente: ho fatto male ad accettare la polemica, perché ho dimenticato che qui non si tratta sempre di discutere ma di ostacolare sistematicamente l’approvazione della legge. Nel diverbio è stata lanciata la frase: «Lo dica la vedova di Battisti» e un altro senatore ha richiamato i verbali della Camera austriaca come se fossero delle prove contro di me. Ora, siccome sono accenni ad una polemica che si fa soprattutto da parte destra, ho potuto dimostrare che si trattava di una manata di fango levata dai sedimenti neo-fascisti, di una campagna contro di me, fatta ingiustamente per vent’anni. Dovete pur ammettere che un uomo che crede di aver fatto il suo dovere tutta la vita, anche dal punto di vista nazionale, debba difendersi da certe ingiurie, pur se vengono da parti in contrasto, dato che tutti, quando si tratta di abbattere un avversario, si trovano d’accordo anche se prima erano acerrimi nemici. Non avete che da aprire i settimanali neo-fascisti per vedere da che parte viene la campagna contro di me, adducendo verbali della Camera austriaca che non esistono, che nessuno è in grado di presentare perché non ci sono. Vi ricordo che la prima volta questa accusa è stata sollevata nel Popolo d’Italia. Io allora scrissi una lettera a Mussolini e Mussolini ebbe l’onestà di stampare il giorno dopo che si era sbagliato. Ciò non toglie che dopo l’affare Matteotti – io ero uno dei pochi rimasti in piedi nella lotta – fossi di nuovo fatto bersaglio di questa accusa. Mi meraviglio che voi antifascisti ve ne serviate ora contro di me, che sono stato il centro di una accanita battaglia da parte dei fascisti che mi calunniavano allo scopo di rendermi impossibile la vita politica. (Vivi applausi dal centro e dalla destra). In quanto all’accenno che è stato fatto al professor Paolazzi , è un fatto che non mi riguarda personalmente. Del resto proprio questa estate – epoca della polemica sulla signora Battisti – tra la signora Battisti e me vi è stato uno scambio di espressioni di stima, rinnovando quel che altre volte è stato detto. Mi meraviglio che proprio dai vostri banchi riprendendo una dichiarazione dell’onorevole Giua dell’anno scorso, fatta nella sua onestà, (applausi dal centro e dalla destra), come fatto storico si torni ancora su tale accusa. Non è possibile per un uomo mantenere sempre la calma di fronte alle ingiurie, alle calunnie. Certe volte si resiste per tutta la vita lasciando che la verità si faccia strada, altre volte – e questa è una nuova prova di stima verso le persone che lanciano l’accusa – non si resiste, si scatta. Io ho fatto male a scattare, perché so che in questo posto bisognerebbe aver pazienza infinita specie quando c’è in corso una campagna di ostruzionismo così efficace. Lo so, ho fatto male, ma chi può lanciare la prima pietra mi accusi. Ho agito da uomo d’onore, che ha lavorato tutta la vita per la difesa di Trento e Trieste. (I senatori del centro e della destra e i membri del governo, in piedi, applaudono a lungo. Si grida: «viva De Gasperi!» – Clamori dalla sinistra).
f3e7953d-fa11-4fc0-81be-c62db387eb66
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Non è naturalmente di mia competenza partecipare alle deliberazioni del Senato. Mi sarà tuttavia lecito associarmi vivamente al desiderio espresso da tutti i senatori dell’assemblea affinché l’onorevole Paratore rimanga a dirigere imparzialmente i lavori del Senato ed associarmi all’augurio più affettuoso che egli possa presto recuperare la salute. (Vivi applausi dal centro e dalla destra).
54cdd6bc-17ee-47ac-b5fd-de283fe03124
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Comunica che questa è l’ultima seduta del Consiglio dei ministri. Ringrazia tutti i colleghi per il lavoro svolto di cui il governo è orgoglioso. Non si può davvero parlare di immobilismo. Augura che il lavoro di ricostruzione sociale venga continuato. Accenna all’incontro di Parigi ed alla visita a Londra. Non verrà ovviamente preso alcun impegno. L’incontro ha solo scopo informativo. È necessario prima del convegno delle Bermuda riunirsi per riaffermare la volontà di pace nell’unità delle forze democratiche. L’Inghilterra e l’America devono essere d’accordo, se non si vuole la vittoria del totalitarismo. Le piccole nazioni vanno sentite. Il concetto delle zone d’influenza dei 4 grandi è del tutto superato. Churchill sbaglia soffermandovisi. Ringrazia per l’attività svolta da tutti i ministri durante la campagna elettorale ed in particolare il ministro dell’Interno. Si decide che il primo giorno verranno presentati i disegni sull’esercizio provvisorio e sulla corresponsione di metà della 13ª mensilità.
3faf9046-f552-4384-bcbf-4d67079bdca0
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Onorevoli colleghi, esiste un problema di governo, sul quale voi siete chiamati a decidere, ma esiste per tutti noi anche un problema della funzionalità del Parlamento, e quindi della vitalità della democrazia italiana. Non si presenta solo alle vostre decisioni l’alternativa di appoggiare o rifiutare un dato governo, questo governo che chiede la vostra fiducia; ma al nostro comune senso di responsabilità è affidato un compito più vasto ancora e impegnativo: quello di superate le difficoltà funzionali derivanti dalla nuova composizione delle Camere, difficoltà in parte previste, e che si volevano evitare con l’introduzione nel sistema proporzionale di un premio alla maggioranza assoluta. Questa riforma non è stata resa operante dal numero degli elettori che la legge prescriveva come necessario, e, quindi, allo stato degli atti, dobbiamo considerarla come inattuale e caduta. Ma di ciò e di altri eventuali emendamenti al sistema elettorale, che siano suggeriti dall’esperienza, le Camere potranno occuparsi in più propria occasione, specie quando si dovrà affrontare il problema della necessaria integrazione del Senato. Gli elettori, tuttavia, hanno affidato la maggioranza dei seggi ai gruppi collegati, così che logico sarebbe stato che il governo si fosse composto di tali gruppi, o comunque si fosse appoggiato su tale maggioranza precostituita. I sondaggi fatti in proposito hanno portato tuttavia alla conclusione che, nel presente stadio della situazione interna e della evoluzione della politica estera, siffatta formazione governativa non era possibile; anzi, che, nelle presenti circostanze, una maggioranza assoluta, precostituita sulla base di un accordo generale politico, non si dimostrava realizzabile. Abbiamo allora accettato l’incarico di limitare la diretta responsabilità ministeriale a uomini appartenenti al gruppo della maggioranza relativa, con la ferma speranza che nel Parlamento si crei, a mano a mano che ci si distanzia dalla polemica elettorale e si fa più viva la consapevolezza degli interessi del paese, quella atmosfera di collaborazione che l’opinione pubblica più responsabile attende e reclama. Poiché, se sono mutate la topografia e la struttura parlamentare, non è mutata la situazione oggettiva nella quale si trova il paese, che dobbiamo rappresentare, né sono modificate le premesse dalle quali deve partire, per operare, lo Stato italiano, e in particolare il suo governo. Su tali premesse vorrei, onorevoli colleghi, richiamare la vostra cortese attenzione, perché esse condizionano il programma e l’attività del governo e, nello stesso tempo, costituiscono la parte dei nostri problemi, delle nostre esigenze e delle nostre speranze, che più ci unisce e più ci fa sentire la responsabilità comune. Alcune considerazioni, anzitutto, sui problemi sociali. Il programma sociale massimo rimane in Italia quello di assicurare la piena occupazione della manodopera . Bisogna confessare che la meta è ancora lontana: essa non appare del tutto raggiungibile che con un potenziamento radicale della nostra posizione agricola e industriale, potenziamento che, date le scarse risorse naturali e l’esuberanza della popolazione, è realizzabile solo se si riesce ad abbassare i costi della nostra produzione in modo che l’Italia si affermi come paese trasformatore delle materie prime altrui. Tutto ciò non può essere opera del solo governo, e può derivare soltanto dal concorso di tutte le forze economiche; ma il governo, con gli occhi sempre fissi alla meta, dovrà creare le «condizioni d’ambiente» le più adatte a favorire al massimo la produzione e l’esportazione, distribuendo adeguatamente i pesi fiscali, intervenendo a sollecitare e, quando occorresse, a integrare la privata iniziativa. I nostri tecnici, presa visione dei piani di sviluppo delle imprese private e pubbliche, fanno dei calcoli induttivi che, salvo contraccolpi esterni, non controllabili o imprevedibili, prevedono per il prossimo quinquennio un aumento complessivo della produzione industriale del 40 per cento e del 15 per cento della produzione agricola. Essenziale per tale sviluppo sarà il progresso raggiunto nel settore delle fonti energetiche, specialmente con riguardo al metano che dovrà consentire una riduzione dei costi. Non può essere questo il momento di addentrarmi nei problemi tecnici che devono accompagnare tale sforzo; ci basti affermare che il governo è consapevole che su tali linee di sviluppo tutto quanto è fattibile deve essere tentato per aumentare le occasioni di lavoro. Ben si comprende che, detto ciò, non intendiamo sostare nell’opera più immediata e più diretta degli investimenti statali, il che vuol dire: lavori pubblici, piano dodecennale del Mezzogiorno, piano di bonifica e riforma agraria. Sono questi investimenti che hanno dato un’impronta di eminente socialità all’azione del passato governo da me presieduto, e impegnano e caratterizzano l’attività rinnovatrice del governo che ne viene ad assumere l’eredità. Basterà rilevare che le leggi pluriennali già deliberate dal Parlamento, come quella sulla Cassa per il Mezzogiorno, quella per le zone depresse del centro-nord, quelle sulla riforma fondiaria, sulla montagna, sui fiumi e torrenti, sugli acquedotti, sulle bonifiche, sull’INA-Casa, sul credito industriale, eccetera, gravano già per gli anni 1953-58 sui bilanci dello Stato per 1.078 miliardi, spesa già notevole che sarà trasformata in una massa imponente di lavoro e di fonti di lavoro. Si tratterà dunque, in prima linea, di integrare ed eventualmente correggere e intensificare tale sforzo; il governo farà tesoro, per lo sviluppo ulteriore, della critica costruttiva che gli potrà venire dai banchi parlamentari. Per quanto riguarda gli obiettivi più prossimi, possiamo oggi indicare solo alcune linee direttive. Dedicheremo il prossimo periodo all’attuazione della riforma agraria nell’ambito delle leggi in vigore, che prevedono appunto l’esecuzione biennale, e nel frattempo si elaborerà un’altra legge in ottemperanza ai princìpi della Costituzione sulla base dell’esperienza e tenendo conto adeguato del problema sociale e di quello della produttività, mettendo a prova in congruo periodo di tempo la capacità tecnica e l’apertura sociale dei proprietari. Ove questa manchi, dovrà intervenire incisivamente lo Stato. Frattanto verrà intensificata l’applicazione della legge sulla piccola proprietà contadina e resa più efficiente l’opera della Cassa. Legge e Cassa dovranno sviluppare la loro azione, favorendo, specialmente nelle zone a mezzadria, l’aumento delle proprietà di contadini. La legge sull’imponibile in agricoltura merita di essere riveduta alla luce delle esperienze e in rapporto all’occupazione e al reddito. Crediamo opportuno, inoltre, rivedere al lume della mutata situazione la legislazione sui contratti agrari allo scopo di risolvere alcune questioni di fondo, quale ad esempio l’avvicendamento delle famiglie quando esse diventino insufficienti di numero alle necessità dei fondi. Contemporaneamente si dovranno introdurre vincoli per il miglioramento e il rifacimento delle case e l’obbligo della chiusura dei conti a fine anno. Si dovrà facilitare quanto più possibile il credito alle piccole aziende agrarie. Quanto all’attività edilizia, confesso che avrei desiderato presentare già, fin d’ora, un piano di coordinamento che disciplinasse e sollecitasse le varie iniziative. Questioni di carattere tecnico e di competenza hanno fatto per il momento ostacolo a questo mio desiderio, che però dovrà trovare presto soddisfacimento. Ma, comunque, il ritmo complessivo delle costruzioni dovrà essere mantenuto sui presenti 700 mila vani annuali, dandosi però maggiore impulso alla costruzione di case popolari e popolarissime e favorendosi nel contempo l’assegnazione delle case in proprietà. Proporremo il prolungamento del piano INA-Casa che scade nel 1955, in modo che già ora si possano formulare piani aggiuntivi; intensificheremo la costruzione di case popolari con contributo statale (per l’esercizio prossimo è già previsto un ulteriore contributo di tre miliardi), e spero che ci riuscirà finalmente di eliminare i baraccamenti dei terremotati e dei sinistrati. Il piano degli acquedotti ne prevede la costruzione in 2.200 comuni, cioè in quasi tutti i comuni che attualmente ne sono privi. Si è già iniziata l’attuazione del programma per i fiumi, che prevede opere, come ricordate, per 157 miliardi, di cui 17 già stanziati, per la regolamentazione dei principali corsi di acqua. Il piano della Cassa per il Mezzogiorno, com’è noto, è stato prolungato di due anni e ha assunto ormai un ritmo di lavoro veramente confortante: supera oggi i 2 milioni di giornate lavorative al mese. È giusto che anche la legge per le aree depresse del centro-nord venga prolungata di un biennio, rendendo così possibile un completamento dei programmi. Ho già accennato alle fonti di energia, i cui programmi sono già in corso: penso che per dare impulso al loro sviluppo si debba costituire un comitato di coordinamento presso il Ministero dell’Industria. Per la piccola e media industria sarà proseguita l’azione tendente a potenziarne lo sviluppo, a mezzo di facilitazioni di credito e di altre iniziative di sostegno, sotto forme diverse, delle particolari categorie. Per l’artigianato è importante che si approvi la legge sull’apprendistato, già pendente in Senato. Nel settore dei trasporti diventa incalzante il problema dello sviluppo della rete stradale, con riguardo, in primo luogo, agli allargamenti e alle rettifiche delle strade nazionali di grande comunicazione: problema grosso, che esigerà appena possibile un opportuno finanziamento. A proposito delle comunicazioni, va ricordato che il governo italiano ha firmato il 14 marzo 1953 una convenzione col governo francese per il traforo del Monte Bianco, ai termini della quale i due Stati si impegnano rispettivamente alla costruzione di metà dell’opera nel giro di pochi anni. Tale convenzione sarà quanto prima sottoposta alle due Camere, ed io spero che voi, onorevoli colleghi, non avrete difficoltà a concedere la vostra ratifica a questa opera grandiosa, che già si era affacciata alla mente di Cavour, benché i tempi non fossero allora maturi per una impresa del genere. Non accenno qui a progetti ancora in elaborazione riguardanti la marina mercantile e l’aviazione civile né il complesso di quei provvedimenti delle forze militari per uso interno ed estero che incidono nella nostra vita produttiva. Si può comunque concludere che esiste un complesso di provvedimenti, in atto o in elaborazione, che hanno l’effetto di sollecitare l’occupazione e di agire su una più equa distribuzione del reddito e per una più giusta struttura sociale. Il governo si propone anzitutto di accelerare gli investimenti già stanziati, per cui ogni ministro viene impegnato ad esaminare col massimo scrupolo ragioni o pretesti di ritardo e a trovare gli opportuni rimedi. Ma comprendiamo che il problema dell’occupazione rimane sempre difficile ed estremamente impegnativo; e, nello sforzo ulteriore, esamineremo col massimo interesse le conclusioni delle Commissioni parlamentari sulla disoccupazione e sulla miseria e i provvedimenti da esse suggeriti. Ai fini sociali dovrà ispirarsi anche la politica tributaria del governo. È appunto in nome della giustizia sociale che deve essere intensificata l’opera di repressione della evasione fiscale. Lo sforzo verrà fatto in via amministrativa, ma si proporrà anche una nuova legge per rendere più efficiente l’accertamento ed eliminare forme legali di evasione, quali ad esempio quelle realizzate attraverso società di comodo. Anche le sanzioni per le evasioni dovranno essere rivedute ed inasprite per i casi di maggiore pericolosità. L’imposizione sulle società merita anche nel nostro sistema tributario di essere adeguata a quella dei paesi di parallelo sviluppo economico ed industriale, anche al fine di una maggiore perequazione tributaria fra le imprese individuali e le imprese sociali: per questo il governo pensa di proporre al Parlamento l’istituzione di una imposta sulle società, ragguagliata al loro capitale e all’eccedenza del reddito rispetto ad un determinato rapporto col capitale investito, eliminando l’attuale imposta di negoziazione sui titoli azionari. La lotta contro l’evasione rende opportuna una nuova sistemazione delle imposte sui trasferimenti ed in particolare dell’imposta di registro, alcune aliquote della quale debbono essere notevolmente ridotte. Il governo presenterà al Parlamento il progetto per il riordinamento del contenzioso tributario; e nel settore della finanza locale si propone di sottoporre allo stesso le proposte tendenti a migliorare e integrare la legge sulla finanza locale del 2 luglio 1952 , sulla scorta delle esperienze fatte nella sua prima applicazione. Oso credere che questo complesso di provvedimenti di sollecitazione della produzione, d’investimenti diretti e di riforme tributarie, possa definirsi programma di rinnovamento e progresso sociale. È però vero che ogni sforzo serio di politica economica è costretto a muoversi entro due limiti, particolarmente pressanti nelle condizioni di un paese come l’Italia: l’uno, la necessità di un bilancio statale che non accentui, col suo squilibrio, lo squilibrio dell’economia che si vuole risanare; l’altro si riferisce alla posizione della bilancia dei pagamenti con l’estero. Sul bilancio statale e sui molti aspetti della complessa materia con esso connessa vi intratterrà prossimamente il ministro del Tesoro nella sua esposizione finanziaria. Desidero tuttavia, fin da questo momento ed in questa sede, preannunciarvi che il governo ritiene di dover impegnare se stesso a raggiungere, con la collaborazione del Parlamento, il definitivo equilibrio del bilancio statale – e cioè il pareggio – nel corso normale dell’attuale legislatura, vale a dire entro quattro o cinque esercizi finanziari. Si tratta di perseverare nell’orientamento già adottato dal passato governo, allorché esso volle che il preventivo del 1953-54, approvato e presentato nello scorso mese di gennaio ed oggi confermato, comportasse un miglioramento di 80 miliardi nel deficit complessivo. Confido che, dopo tante discussioni svoltesi anche in quest’aula, sia chiaro che lo sforzo di ridurre gradualmente il disavanzo del bilancio si fa e si intende fare con l’intento di favorire, non di diminuire, la produttività; giacché questa è in rapporto alla maggiore disponibilità di mezzi, riservati all’economia produttiva, e le minori esigenze dello Stato per coprire il suo deficit significano denaro a buon mercato, minori costi di produzione e maggiore occupazione. Per raggiungere tale scopo abbiamo ritenuto indispensabile adottare alcuni criteri che debbono impegnare la nostra attività futura: 1)tutti gli incrementi automatici di entrate che in avvenire si verificheranno rispetto alle previsioni del bilancio 1953-54 dovranno andare esclusivamente a riduzione del disavanzo; 2)tutte le maggiori o le nuove spese rispetto al preventivo 1953-54, derivanti da nuove leggi o da leggi in atto, saranno coperte da corrispondenti riduzioni di altre spese o da nuove entrate tributarie. Naturalmente queste sono direttive di governo: ma noi confidiamo che il Parlamento vorrà convalidarle e anche per suo conto mantenerle, soprattutto nello spirito dell’articolo 81 della Costituzione. Al quale fine taluni gruppi hanno già adottato nel loro statuto o nella prassi la formula che provvedimenti che comportano nuove spese non si richiedano se non previa la consultazione dei comitati direttivi. Noi speriamo che tale autodisciplina, tradizionale nei migliori Parlamenti, entri anche nel nostro costume. È ovvio che questa cura di risanare il bilancio dovrà manifestarsi anche nel proporzionare ogni adeguamento di spesa civile e dello sforzo militare con questa esigenza, tenendo anche conto dell’entità maggiore o minore del contributo americano. La menzione dell’aiuto americano ci porta a considerare l’altro limite della politica economica, che è quello della bilancia dei pagamenti. Ridottosi gradualmente l’aiuto americano, noi dobbiamo contare soprattutto sul progresso della produzione che ci consenta di contenere le necessità di importazione dall’estero e di aumentare l’esportazione. E qui va premesso che la politica commerciale dell’Italia resta improntata all’impegno di realizzare mercati mondiali sempre più liberi e forme di integrazioni regionali che possano preparare e avvicinare la realizzazione di tali mercati liberi. Su questa via, l’Italia è pronta a continuare a marciare, ma lo potrà fare solo nei limiti in cui l’adesione e la reciprocità degli altri paesi lo rendano possibile. Non possiamo nasconderci che molte delusioni si sono avute negli ultimi tempi, e che non sempre l’azione concreta ha corrisposto ai propositi più volte largamente espressi. Nell’interesse della pace nel mondo e del migliore sviluppo delle condizioni di vita di tutti i paesi, l’Italia si augura che i pericoli insiti nella situazione che si sta evolvendo diventino sempre più evidenti, sì da portare ad un rinnovamento ed irrobustimento delle energie che tendono ad una più ampia cooperazione economica internazionale. Certo è che il nostro paese, anche per la sua intrinseca debolezza economica, non potrebbe a lungo restate indifferente alle pratiche limitative del commercio internazionale. Il nostro paese farà ogni sforzo per sostenere la propria esportazione; e penso che il Parlamento debba rapidamente approvare la legge studiata dal precedente governo e che il nuovo vi riproporrà eventualmente integrata, per le assicurazioni alle esportazioni; mentre sarà continuata e sistemata la politica dei rimborsi, fissando una aliquota uniforme per i prodotti finiti, e un’altra per i semilavorati, politica che verrà applicata là ove ci si trovi di fronte a provvedimenti analoghi. Quali sono le premesse di politica estera che caratterizzano, e in parte condizionano, la nostra vita nel mondo? Primo: l’esistenza del Patto atlantico, il quale impegna anche l’Italia – per 20 anni – insieme con altri 14 Stati ad una solidarietà difensiva. Si è tentato di mettere in contrasto la nostra concezione del patto, classificata «oltranzista», con quella della Francia e dell’Inghilterra, che sarebbe più duttile, più evasiva. Converrà allora dire che noi facciamo nostra in ogni sua parte, e anche nella sua formulazione, la definizione che del trattato hanno dato recentemente i rappresentanti della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nel convegno di Washington, il 14 di questo mese . Il comunicato, firmato dai ministri degli Esteri dei tre governi, si esprimeva in questi termini: «i tre governi sono decisi, conformemente al trattato dell’Atlantico del nord, a salvaguardare la libertà, l’eredità comune e la civiltà dei loro popoli che sono basate sui princìpi della democrazia, della libertà individuale e del diritto. Essi hanno sottolineato la propria volontà di continuare lo sforzo di difesa comune indispensabile per rimediate allo squilibrio attuale delle forze e per portare così il loro contributo alla sicurezza collettiva e al mantenimento della pace internazionale. I ministri hanno riaffermato che l’alleanza dell’Atlantico del nord rappresenta un elemento essenziale della politica di difesa e della politica estera dei tre governi. Essi si sono trovati d’accordo nel ritenere che il miglioramento delle prospettive è dovuto, in larga misura, all’esistenza di questa alleanza e che la sua potenza difensiva doveva essere mantenuta». Nessuno vorrà negare che tali affermazioni coincidono con le idee, con le tesi, con le valutazioni che noi abbiamo ripetutamente espresso anche in quest’aula. Ma, a questo punto, ci si è fatto obiettare che noi esageriamo nel valutare il movimento per la comunità europea. Sarà utile, allora, rileggere il comunicato di Washington anche per ciò che riguarda la CED e la Comunità europea. Ecco come si esprimono i tre ministri: «i tre ministri si sono trovati d’accordo sulle seguenti condizioni: 1) la comunità europea rafforzerà la comunità atlantica e sarà a sua volta rafforzata dall’associazione con questa; 2) gli sforzi costruttivi in vista dell’edificazione di una comunità europea apportano un importante contributo alla pace mondiale. Poiché essa risponde ai bisogni durevoli dei suoi membri, per quanto concerne la loro sicurezza e la loro prosperità, la comunità non può essere considerata in rapporto con la tensione internazionale; 3) siffatta comunità, pacifica per sua natura, non è diretta contro nessuno. Non vi è modo migliore per tutelare gli interessi della sicurezza di tutti i paesi che la soppressione delle cause di discordia in Europa. In effetti, le disposizioni previste dal trattato istitutivo della comunità europea di difesa garantiscono che le forze di essa non potranno essere impiegate per una aggressione; 4) destinata a por termine ai conflitti del passato, la CED non esclude nessuno Stato. Al contrario, i sei paesi hanno spesso sottolineato che gli altri paesi liberi dell’Europa possono divenire membri della comunità o associarsi ad essa». Devo chiedere scusa per la lunghezza della citazione; ma è utile che essa sia inserita nel verbale del Parlamento italiano, perché le idee che essa contiene, le affermazioni che essa solennemente proclama convalidano quasi alla lettera dichiarazioni, discorsi, tesi sostenute in sede internazionale dai rappresentanti del governo italiano. Vero è che la comunità di difesa, cioè l’esercito comune europeo, è un’iniziativa francese , ma il governo italiano, pur dovendo superare obiezioni di carattere generale e tecnico in confronto a tale proposta, ne condizionò l’accettazione all’impegno dei membri di passare dalla comunità di difesa e da quella dell’acciaio e del carbone alla logicamente necessaria conseguenza di un’autorità politica europea, cioè all’impegno di creare una comunità politica europea. Lo sforzo di tale evoluzione continua e va continuato : questa è la nostra concezione europeistica, il nostro contributo pacifico e costruttivo al rinnovamento del continente e al consolidamento della pace. Certamente, l’Italia non può assumere responsabilità più vaste di quelle di cui ha possibilità e diritto; se altre potenze più determinanti mutassero atteggiamento, la libertà di decisione, già per se stessa riservata alle Camere, la riprenderemmo anche noi in sede di governo. In questi problemi di solidarietà e comunanza non intendiamo in alcun modo sottrarci al dovere e al diritto di dire in comune la nostra parola, prima che vengano prese decisioni che impegnino anche il destino europeo, cioè anche il nostro destino. E ciò perché l’impostazione di tali problemi non riguarda solo questa o quella nazione, questo o quel ristretto gruppo di nazioni, ma ha incidenze di grande, decisiva portata sui vitali interessi internazionali ed interni di tutti e di ciascuno. È, questo, un punto di vista che non abbiamo mancato di rappresentare proprio in questi giorni, e che continueremo a sostenere. Siamo anche convinti che il metodo proposto di arrivare alla pace risolvendo i problemi insoluti, settore per settore, sia il metodo più pratico e più efficace, ed esprimiamo il voto e il vivo augurio che lo sforzo riesca. Siamo inoltre convinti che il problema della pace e della sicurezza, se in parte è affidato alle misure difensive, in altra notevole parte si fonda sulla solidarietà normale e consapevole dei popoli liberi. Non si supera la guerra fredda e non si arriva alla distensione e alla pace con l’oriente se non in un clima di unità e di concordia dell’occidente. Fino a tanto che al di qua e al di là della barricata si potesse contare su divergenze anglo-americane o discordie franco-germaniche, sarebbe impossibile convincere l’opinione pubblica mondiale che il trattato atlantico è una vitale cintura di sicurezza e un solido baluardo della pace. Perciò l’Italia vede con soddisfazione, nel comunicato di Washington, riconfermata un’armonia di vedute che a torto, dunque, era stata contestata. Non esiste, infatti, una comunità di sicurezza fondata solo sulle convenzioni militari e sul numero delle divisioni, e, soprattutto, non è raggiungibile una soluzione costruttiva e permanente di pace senza la consapevole adesione della pubblica opinione e il libero consenso dei popoli. Fondamentale errore commetterebbero gli associati, se non tenessero conto di questa imprescindibile legge della vita democratica. Al quale proposito, e più particolarmente per una questione che sta tanto a cuore all’Italia, abbiamo per tempo e ripetutamente parlato alto e chiaro. La nostra politica di unità e ricostruzione europea non è nata solo dalla cosciente valutazione di un cerchio ristretto di uomini di governo, ma si è finora appoggiata su larghi consensi del popolo italiano. I suoi sviluppi sono, naturalmente, collegati all’intensità e al persistere di questo consenso. Sia ben chiaro a tutti che nulla ci fa dimentichi del supremo dovere di tutelare senza debolezze i diritti delle nostre genti. Il nostro pensiero al riguardo è già stato affermato e riaffermato più volte e pubblicamente e in tutti gli incontri diplomatici e politici. Nulla potrà mai farci deflettere dal perseguire e dal raggiungere l’obiettivo; e ogni tergiversazione, ogni ritardo, ogni dubbio sulla fedeltà verso i riconoscimenti solennemente dichiarati si ripercuotono fatalmente sul popolo italiano come una pesante remora a quella collaborazione internazionale alla quale esso pur dà il suo valido, consapevole, e talvolta determinante contributo. Noi abbiamo nel passato tentato e ritentato pazientemente una soluzione del problema, che si fondasse sopra un accordo fra i due Stati finitimi; ma la nostra pacata tenacia, anche se sostenuta da premure e sollecitazioni degli alleati, non ebbe fortuna. Ora sono indette conversazioni di carattere militare a Washington. È ben noto che noi non facciamo né abbiamo ragione di fare obiezioni ad una collaborazione militare difensiva fra gli Stati balcanici. È cosa che li riguarda. L’abbiamo fatto sapere ad Atene e ad Ankara. Ma abbiamo anche dichiarato formalmente di fronte a tutti i governi alleati ed in sede di NATO, che, mentre perdura l’attuale situazione nei rapporti italo-jugoslavi, non è possibile all’Italia partecipare sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, ad intese militari che sono in flagrante contrasto con l’angoscioso stato d’animo della popolazione italiana e della pubblica opinione. (Applausi al centro). Sia chiaro ai nostri alleati che certi errori di valutazione potrebbero ripercuotersi sulla stessa solidità della comune alleanza, determinando crisi che si risolverebbero a tutto ed esclusivo vantaggio di coloro che hanno interesse ad incrinare l’edificio della solidarietà occidentale. Ci è parso talvolta che, assorbiti dai gravi problemi mondiali, essi non abbiano compreso l’importanza decisiva della questione del Territorio libero; ma, al punto in cui sono le cose, ritengo indispensabile aggiungere all’azione svolta per via diplomatica queste mie ferme parole, pronunciate innanzi alla maestà del Parlamento italiano. Lo faccio, pur avendo la profonda convinzione di avere interpretato il pensiero e gli interessi della nazione italiana, quando l’abbiamo associata nel Patto atlantico, sotto la cui protezione abbiamo potuto compiere, con una rapidità imprevista, la ricostruzione economica, la restaurazione e l’attrezzatura delle forze armate, abbiamo potuto uscire dall’isolamento, ricostruire nuove ed antiche amicizie, e nei consessi internazionali dare avviamento ed impulso al movimento di una novella Europa, che superi gli antichi conflitti e sia aperta alla fraterna cooperazione dei suoi popoli. Lo faccio riconoscendo, specie in confronto degli Stati Uniti, l’opera grandiosa di solidarietà economica e morale che ci fu in questi ultimi anni prestata e prendendo atto con soddisfazione della calda e rinnovata dichiarazione di amicizia e di solidarietà espressa ieri dal governo di Washington. Tutto questo sento, riconosco, confermo, né vacilla la mia fede negli ulteriori sviluppi della cooperazione internazionale, nella necessità di raddoppiare gli sforzi per la pace organicamente costruita e garantita. Ma la mia provata fede, che trova certo nell’animo vostro tanto consenso, dovrà costituire per tutti una prova convincente che è giunta l’ora di rendere giustizia al popolo italiano. (Applausi al centro). Onorevoli colleghi, se le condizioni del nostro ambiente sociale, il collocamento della nostra economia entro l’economia mondiale e lo sviluppo della nostra politica nei rapporti internazionali costituiscono dei punti di partenza e delle pietre confinarie da cui ed entro le quali si svolge l’azione del governo, l’efficienza di tale azione e la sua tempestività dipendono anche dagli strumenti di cui il governo può disporre. Se volessimo trarre le conclusioni di una lunga esperienza, potremmo anzi affermare che il miglioramento degli strumenti è una premessa essenziale della reclamata efficienza governativa. Qui il discorso dovrebbe riguardare tutta la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica. Basterà tuttavia che mi riferisca alla relazione presentata dal governo precedente in Senato, quando esso chiese la delega per la riforma della burocrazia. Ci proponiamo di ripresentare tale richiesta e di chiedere al Parlamento le sue direttive per stabilire i criteri fondamentali di tale riforma che includerà lo stato giuridico e l’organizzazione e il trattamento economico semplificato e unificato dei dipendenti statali. I lavori preparatori sono molto avanzati; se le Camere vorranno, la delega potrà venire concessa rapidamente e rapidamente attuate le principali riforme. Alla parte strumentale del nostro lavoro appartiene anche l’applicazione della delega per il decentramento di attribuzioni statali alle province, ai comuni, agli enti locali, delega già concessa al governo con la legge 11 marzo 1953 , ma che attende ancora disposizioni esecutive. L’attuazione della Corte costituzionale può essere compiuta nelle prossime settimane. Quanto al referendum, previsto in linea di principio dalla Costituzione, sembra che la maggioranza convenga sulla conclusione cui si è arrivati ultimamente, cioè di riservarlo per casi eccezionali, come avviene in altri Stati. Nel campo dei rapporti di lavoro i precedenti governi hanno già svolto una intensa azione per favorire – dopo l’abolizione del sistema corporativo fascista – la ripresa e lo sviluppo della contrattazione collettiva, che ancora una volta si è dimostrata un efficace strumento per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e per la pace sociale. È chiaro, però, che in questa materia l’azione di mediazione del Ministero del Lavoro non basta: è più che mai viva l’esigenza di giungere ad una attuazione dei princìpi fissati dagli articoli 39 e 40 della Costituzione. Il governo intende pervenirvi promovendo disposizioni che sanciscano la validità giuridica dei contratti collettivi e determinino le procedure per la loro stipulazione, gli interventi del Ministero del Lavoro, l’efficacia delle norme nei confronti dei singoli – lavoratori e aziende – e nei confronti delle organizzazioni sindacali. A norma dell’articolo 40 della Costituzione, si dovrà poi giungere alla determinazione dell’ambito entro il quale si possa esercitare il diritto di sciopero. Nel campo delle leggi dirette all’attuazione della Costituzione, riveste particolare rilevanza e complessità quella riguardante il Consiglio superiore della magistratura. Gli studi approfonditi che al riguardo sono stati finora compiuti saranno rapidamente ripresi in esame dal nuovo ministro, e il governo sottoporrà al più presto al Parlamento il relativo progetto di legge. Altro problema che dovrà essere affrontato e risolto dalle nuove Camere è quello riflettente la disciplina delle locazioni degli immobili urbani. Questo problema è particolarmente delicato, poiché presenta gravi aspetti sociali, che vanno attentamente considerati. Esso sarà tuttavia esaminato col più largo senso di comprensione. E qui mi arresto nel lungo elenco, perché non può essere mio compito di enumerare in questa sede tutta la serie di disegni di legge presentati nella passata legislatura, ora decaduti e che potranno essere ripresentati o modificati: le Camere saranno chiamate a deliberare su di essi separatamente e specificatamente. Accenno soltanto ad alcuni criteri generali di direttiva, che in qualche settore il presente governo intende seguire: 1)riassorbire nelle disposizioni legislative generali, facenti parte dell’aggiornamento del codice penale, tutte le misure necessarie per la difesa degli ordinamenti istituzionali e costituzionali, allo scopo di garantire e consolidare il libero regime democratico, quale è previsto e configurato dalla Costituzione; 2)mantenere nell’attività amministrativa una linea di condotta ferma e decisa che esiga da tutti il pieno rispetto dell’autorità dello Stato, il quale deve essere il tutore dell’ordine, della legalità, della libertà; 3)impegnare tutti gli organi esecutivi alla massima correttezza e all’uso più scrupoloso del pubblico denaro; 4)accelerare la liquidazione di enti economici superflui ed elaborare proposte per il coordinamento e il controllo dei rimanenti. Giunto alla fine di questa esposizione programmatica, che potrà trovare altre integrazioni ed illustrazioni in nesso col dibattito che si svolgerà nelle Camere, mi pare di aver diritto di affermare che alcuni punti sostanziali potranno certo incontrare l’adesione di un largo fronte fra i rappresentanti neo-eletti che, pur con la riserva delle loro premesse ideologiche o dei loro postulati particolari, sentono la responsabilità di affrontare e risolvere problemi di progresso sociale e di pubblico benessere. Vero è anche che ogni collaborazione, pur limitata a problemi concreti, suppone una ispirazione politica generale. Ma quando il governo proclama di volere essere «interprete delle più alte e vitali aspirazioni della nostra storia: l’ideale democratico, la libertà politica e l’indipendenza della patria, i valori universali del cristianesimo, i princìpi di giustizia sociale nel primato delle forze del lavoro», lo fa non con angusto spirito di parte, ma con la visione dei compiti che si impongono in uno Stato democratico ad ogni partito e ad ogni statista che creda nella democrazia e nel libero regime parlamentare, che pensi alla elevazione delle classi popolari e si preoccupi dei ceti medi; soprattutto che senta, al di sopra di ogni divisione, la necessità che l’Italia progredisca vigorosamente nel cammino che ha, con l’aiuto della Provvidenza e con singolare fortuna, ripreso. (Vivi, prolungati applausi al centro).
f80dd24f-4e3e-4b0d-9b41-344be9d4e62d
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Onorevoli colleghi, il discorso introduttivo, programmatico è sembrato e forse è scialbo perché rappresenta lo sforzo di eliminare tutti gli argomenti polemici, almeno quelli della polemica elettorale, e di concentrare l’attenzione sopra i problemi che ci uniscono, sui problemi che si impongono alla nostra responsabilità per un programma di lavoro il quale abbia questo duplice carattere: essere programma di lavoro e di progresso sociale, e contemporaneamente di riaffermazione dell’autorità dello Stato. Dissi onestamente, francamente (non avrei potuto fare diversamente) che la difficoltà di creare una maggioranza fondata su di un accordo politico precostituito mi aveva indotto a costituire il governo come esso si è presentato, con due caratteristiche però, che potevano essere: continuità per quanto concerne l’elemento «socialità», e fermezza ed imparzialità per quanto riguarda soprattutto l’autorità dello Stato e la difesa dell’ordine e della libertà. La socialità è un’apertura, non verso sinistra o verso destra, ma verso le classi più povere. È questo il problema centrale, il problema su cui dovevano confluire tutte le disposizioni e tutti i provvedimenti che si proponevano ancora per la lotta contro la disoccupazione. La fermezza vuol dire soprattutto garanzia contro lo scivolamento verso l’antidemocrazia. Si è detto che questo era un programma dell’immobilismo. Sì, per la verità, se le ragioni fondamentali del libero sviluppo, l’indipendenza della nazione, eccetera, sono ragioni permanenti, abbiamo da fare con un programma immobile, cioè con un programma il quale si fonda sopra condizioni continue: è il permanere, però, non statico di un binario su cui vi è del movimento progressivo e del dinamismo, e che quindi nulla ha da fare con l’immobilismo programmatico. Da tanti anni che sono al governo il mio programma è sempre stato quello di istituire e consolidare in Italia un regime democratico senza riserve e senza ipoteche di dittatura. Questo programma rimane anche oggi il mio ideale. E, riferendomi ad un articolo di commento scritto da un nostro collega, probabilmente dirò che non sono vicino né a von Papen né a Kerenski . Se si rifà la storia, non si può semplicemente prendere le figure centrali o quelle che hanno rappresentato le conseguenze di una situazione; bisogna anche pensare a chi ha contribuito a creare queste situazioni; e, se volessimo esaminare lo sviluppo della Repubblica di Weimar e come si è arrivati a von Papen, troveremmo delle indicazioni molto salutari ed utili anche per i partiti che qui sono rappresentati. Nel senso dunque delle direttive sono, sì, immobile, e preferisco non lasciare a nessuno la speranza di mie deviazioni. Che vi è di anticostituzionale e di improprio nel mio proposito che in mancanza di una maggioranza assoluta politica si affidi alla maggioranza relativa l’esecuzione di un programma che sia accettabile dalla maggioranza delle due Camere in quanto rappresenti gli interessi più immediati del paese? In merito alle critiche pubbliche, che furono aspre e molteplici, dimostrerò a parte – occupandomi, settore per settore, delle questioni economiche, internazionali e di altre di carattere politico ed interno – quanto queste critiche fossero infondate o almeno esagerate, molto spesso non pertinenti. Ma il fatto caratteristico di questa discussione è che tutta la polemica elettorale si è riversata entro il dibattito, per quanto io avessi cercato di non fornire alcun motivo. Tutti hanno cominciato dalla interpretazione del voto del 7 giugno, che è stata fatta da ciascuna parte dal suo proprio punto di vista, dal proprio angolo visuale: per gli uni, fu condanna della politica del governo; per gli uni fu vittoria del comunismo; per gli altri fu affidamento di future vittorie per le forze di destra; per taluno fu affermazione tendenziale ed istituzionale; per altri aspirazione all’unificazione socialista. Sommando le cifre della sinistra con quelle della destra si ottiene, naturalmente, la sconfitta del centro. (Commenti a sinistra). Ma voi scherzate! Questo centro ha avuto parecchi milioni di voti. È vero, all’atto pratico il suo accordo politico è venuto meno; ma voi, opposizioni, siete forse d’accordo fra di voi? Voi vi unite in un atto negativo; ma siete capaci di unirvi in un atto positivo? Come li considerate gli 11 milioni di elettori che hanno votato per la Democrazia cristiana? Forse creta per un vasaio che ne tragga qualunque figura di destra o di sinistra, come torna un grumo che disseccandosi diventi polvere? Non ne ho parlato nel mio primo discorso; ma voi mi sfidate a parlarne, e allora vi affermerò che vi ingannate, che è un centro solido, cementato da ideali profondi, collegato con la coscienza della nazione. Certo, il senso di responsabilità ci impone limiti: nega l’integralismo intransigente, esige un collocamento centrale che attende e che impone a se stessi tolleranza verso gli altri e ricerca di ciò che unisce. Ma due preoccupazioni ci rendono compatti (sia detto indipendentemente dal destino del governo che in questo momento rappresento) e capaci di ogni sforzo: quella della libertà e quella dell’avvenire delle classi più povere. (Commenti a sinistra). Libertà: fino a che abbiamo forza e capacità non possiamo affidare il paese ad un governo comunista o ad un governo che fatalmente ricada sotto le direttive del comunismo e del Cominform; francamente, onestamente e in coscienza dobbiamo dire questo. (Approvazioni al centro). Le classi più povere non possiamo abbandonarle ad una politica di demagogia, di inflazione e di socialismo di Stato che porta al lavoro forzato, ai campi di concentramento ed allo schiavismo, (vivi applausi al centro – rumori a sinistra), che, secondo testimonianze molto serie (mi riferisco anche alla recente inchiesta dell’ONU), domina in certi paesi. No! Finché abbiamo una forza, un’energia, una responsabilità, l’Italia non può diventare il paese dei marescialli che si combattono a vicenda e si condannano reciprocamente, (vivi applausi al centro – proteste a sinistra), come assassini e traditori del popolo! Lo so, voi comunisti pubblicate subito un manifesto di adesione quando Berija va a finire in prigione; voi pubblicate sempre l’adesione, il plauso; e questo fa onore alla vostra disciplina. Ma noi desideriamo che l’Italia non arrivi a queste condizioni. (Applausi al centro –Interruzioni a sinistra).Lo so, si dice che non siamo un paese balcanico; non abitiamo nelle isbe. (Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo). Devo ammettere che anche nel passato fra nazismo e fascismo vi era la differenza portata dal carattere nazionale. Per fortuna, il fascismo non si è mai coperto delle stesse crudeltà, nella stessa misura e nella stessa forma, del nazismo. (Proteste a sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo). Tuttavia dovete ammettere che il carattere nazionale e la bontà naturale dell’italiano attenuano le situazioni, anche nel momento più critico. Ed io ritengo – e lo voglio dire – che domani, se la disgrazia avvenisse, attenuerebbe anche le conseguenze del regime bolscevico, se venisse introdotto. Tuttavia, il disordine del fascismo fu grave e l’esperimento costò centinaia di migliaia di vittime, e l’identità sostanziale del pensiero portò allo stesso disastro finale. Da questo punto di vista, la cosiddetta apertura di Nenni verso sinistra desta le più gravi preoccupazioni. Certo, se fossimo in una situazione simile a quella della Gran Bretagna, della Germania, della Francia, dell’Austria… (Vivi rumori a sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo). presiDente. Questo spettacolo non fa onore alla Camera! Tutti debbono poter esprimere il loro pensiero. (Vivaci interruzioni del deputato Pajetta Gian Carlo). Onorevole Pajetta, la richiamo all’ordine per la prima volta! Continui, onorevole presidente del Consiglio. De Gasperi. Mi riferivo ai paesi in cui esiste, o è probabile, un’alleanza fra socialisti e cristiano-sociali o cattolici, e perciò ho citato anche l’Austria, dove esiste un tal governo. Se fossimo in una situazione – dicevo – simile a quelle di Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria, (proteste a sinistra – commenti), si potrebbe parlare di alternativa socialista, cioè di collaborazione con uomini che, essendo indipendenti dai comunisti, anzi in contrasto con essi, darebbero la garanzia che la loro convinzione democratica bloccherebbe qualsiasi tentativo o deviazione verso il regime bolscevico. Allora una collaborazione potrebbe imporsi in certe situazioni come dettata dalla salute pubblica; ma è inutile: né la corresponsabilità della condotta passata che giustificò il titolo di socialcomunismo e da parte socialdemocratica quello di socialfusionismo, né i legami organici e sociali esistenti di fatto, né le dichiarazioni attuali di Nenni (pur fatte con molta attenuazione e con molta abilità diplomatica) e meno che meno quelle di Togliatti possono darci la tranquilla convinzione che i 3 milioni e mezzo di socialisti potrebbero, al governo, costituire un potere che, all’occasione, quando si trattasse di difendere la libertà, sapesse resistere anche ai 6 milioni di comunisti: 6 milioni di comunisti preparati, addestrati, lanciati alla conquista bolscevica. Dice Saragat: nessuna debolezza per la dittatura. Ciò è evidente. La difesa d’ufficio fatta dal Partito socialista della democraticità del Partito comunista può essere considerata con indulgenza. Non si può però avere indulgenza verso la difesa del patto di unità d’azione che ha spezzato l’unità del socialismo italiano. (Proteste a sinistra). Queste sono parole di Saragat. Io non sono in tutto d’accordo; vado più in là. Non posso accettare la difesa d’ufficio perché la trovo sintomatica sottomissione a quello che avviene al di là della frontiera. Le forche di Praga, l’arresto di Berija, l’accusa e la messa in giudizio, i fatti di Berlino bastano perché non si possa concedere indulgenza nemmeno alla definita democraticità del Partito comunista da parte di Nenni. Ma ad ogni modo esiste il patto di unità d’azione. Se fra socialdemocratici e comunisti, come dice Saragat, non vi è comun denominatore, è certo che il comun denominatore esiste fra socialisti di Nenni e comunisti. Togliatti ieri sera ce lo ha dimostrato in piene parole. E allora come trovare il comun denominatore fra noi e Nenni? Ma Nenni e Saragat fondano la loro pur così differente visione sulle speranze della evoluzione della situazione internazionale. Sulla politica estera parlerò dettagliatamente a parte. Ma intanto dirò che almeno si dovrebbe ammettere da tutte le parti che essa è fluida. La tensione è diminuita per l’armistizio in Corea , ma la distensione non ha raggiunto ancora nessuna soluzione dei problemi più scottanti: Germania, Austria, Cina. Vi è un avviamento; possiamo augurarci che esso continui, possiamo favorirlo. Ma innegabilmente ci troviamo in una fase introduttiva, in una fase, chiamiamola così, transizionale. Ma allora ho proprio errato io a dire: prendiamo atto di questa fluidità della situazione e concentriamo i nostri sforzi sui problemi di interesse comune all’interno? Il programma che ho tracciato è un programma di lavoro impersonale, un quadro politico così largo che non v’è nulla di specificamente appartenente alla Democrazia cristiana. Tanto è vero che nel finale io citai il testo del patto del novembre del 1952, firmato anche dai liberali, dai repubblicani e dai socialdemocratici. Non lo ricordo per richiamarmi ad esso od esigerne un rispetto assoluto di fronte all’attuale governo, perché tutti sono liberi di valutare i cambiamenti di situazione e di appellarsi alla solita formula rebus sic stantibus, ma solamente per dire che io non ho enunciato dei princìpi angusti di partito. Io ritengo addirittura che anche all’infuori di coloro che firmarono quel programma massimo ci sia qualche partito che possa far propri i punti fondamentali di quel programma. Essi, ripeto, possono corrispondere ai postulati di tutti i partiti ad eccezione delle estreme. Se dunque c’è un programma che promuove l’interesse del paese e non chiede a nessuno rinunce ideologiche, perché esso non dovrebbe meritare una considerazione almeno di attesa? Non ho bisogno di ricordare che la Democrazia cristiana ha dato il contributo massimo e più valido alla pacificazione nel 1945-46 e successivamente. Noi abbiamo tutta l’intenzione di continuare su questa strada approvando le leggi già presentate sui combattenti della Repubblica sociale e della milizia, prendendo in considerazione la possibilità di concedere un’amnistia. Siamo disposti – e non so perché si sia interpretato diversamente il mio pensiero – ad assorbire in formule generali le leggi speciali, il che significherebbe fare cessare le leggi eccezionali medesime assorbendole in formule obbligatorie per tutti i cittadini; abbiamo espresso rigorosamente la nostra esigenza per l’annessione del Territorio libero. Qualcuno ha creduto che l’accentuazione più forte del solito che io ho posto nel trattare il problema di Trieste avesse soltanto lo scopo tattico di dare soddisfazione alla destra per ottenere un plauso in quel momento. Non è vero. Io ero sotto l’impressione penosa dell’invito a Washington dei rappresentanti jugoslavi, e, poiché le nostre proteste di due giorni prima, quando avevamo saputo la cosa in via confidenziale, non avevano dato frutto, io sentii il bisogno di dire una parola forte pubblicamente, dinanzi al Parlamento italiano; una parola che, provenendo da un uomo che ha sempre sostenuto la tesi atlantica, doveva avere un particolare significato. La mia presa di posizione, dunque, non ha voluto avere uno scopo tattico immediato; onorevoli colleghi, anche nei momenti più difficili, io mi ricordo soprattutto dell’interesse del paese e lo metto al di sopra degli interessi immediati ottenibili con un’affermazione od un diniego. Si è parlato della possibilità di dare una forza maggiore alla nostra azione nel Patto atlantico. Ma che cosa credete che sia stato il nostro sforzo fino ad ora? L’Italia è sempre stata alla testa delle cosiddette nazioni minori nel chiedere una parificazione completa anche di fronte alla pratica risoluzione dei problemi. È alla testa per insistere a che tutto si faccia attraverso una affermazione collettiva, che esista veramente una comunità, se non determinante – perché questo sarebbe al di fuori delle costituzioni nazionali – ma valida almeno a suscitare uno scambio di idee, di direttive. Questa idea di trasformare il Patto atlantico in comunità atlantica, ad Ottawa, è stata un’idea nostra. E in parte siamo riusciti ad inserire affermazioni generiche: il cammino è lungo. Si è ripresentata anche questo anno l’occasione di far sentire la nostra voce, specialmente a proposito del convegno cosiddetto delle piccole Bermude . Anche qui io mi sono riferito ad una attività diplomatica che avevamo esplicato e che era bene avesse qui conferma. Mi si dice: non avete un programma autonomo. Sì, ma un programma autonomo si fonda precipuamente su quello che molti non vogliono accettare, cioè sulla costruzione di una Europa che divenga un terzo elemento fra i due grandi e che sia una forza la quale al momento decisivo sappia far cadere la bilancia dalla parte della pace. Questo è il nostro programma, questa è la nostra tendenza. Per questo noi ci siamo attaccati alla CED. È vero che la CED è una iniziativa francese; noi che abbiamo dedicato grandi sforzi alla ricostruzione del paese, abbiamo fatto valere le nostre obiezioni per quanto riguarda il problema della disponibilità dell’esercito; però siamo stati noi ad approfittare dell’iniziativa francese, di questa volontà di risolvere il problema della Germania attraverso un esercito comune, per andare al di là e per indurre i nostri compagni di viaggio a fare un altro cammino, ad arrivare cioè alla comunità europea. È un lavoro che si sta facendo. Il 7 del prossimo mese dovrebbe esserci un convegno ancora nel Baden per esaminare i punti fondamentali che sono rimasti tuttora insoluti. Ma è lì, secondo noi, la possibilità di creare qualche cosa di diverso dall’America e dalla Russia, qualche cosa, del resto, come è stato notato nella mia relazione, che non è un circolo chiuso, ma è un circolo aperto, perché i sei sono disposti ad accettare altri alleati che possano aggiungersi, sono il nucleo iniziale attorno al quale veramente si può creare una comunità europea. E ripeto dunque: se vi è un programma che promuove gli interessi del paese e non chiede nessuna rinunzia alle proprie ideologie, perché non meriterebbe almeno una considerazione di attesa? I monarchici trovano strano che io mi rivolga – sembra con esito incerto – ai miei amici e collaboratori di un tempo. Ma è naturale! Essi furono per qualche periodo partecipi della responsabilità governativa; altri furono collegati o alleati durante la campagna elettorale. È naturale che io pensi soprattutto a loro, in prima linea a loro (per diventare alleati e collaboratori bisogna conoscersi, avere avuto spesso contatti: non è dunque logico ed umano che io abbia pensato anzitutto a loro, con la speranza che l’esperienza personale che essi hanno fatto con me, che i contatti avuti avrebbero facilitato un’intesa?). Noi invece non ci conosciamo; ci siamo solo scontrati nella battaglia elettorale. Confesso che non sono in grado di valutare la vostra forza, le vostre energie, se non per quello che può fare un uomo che le osserva dalle manifestazioni esteriori. Voi pure non conoscete me, non sapete, direi, qual è la mia costituzione morale, che anche voi conoscete solo attraverso manifestazioni esteriori o informazioni. Io non posso chiedervi la fiducia circa il mio impegno o il sentimento nazionale che ispira la mia politica estera o circa le idee direttive che mi muovono in politica interna; né vi posso domandare fiducia nella mia coscienza morale, soprattutto, che mi preserva da opportunismi ed intrighi, ma mi fa mettere al di sopra di tutto il servizio al mio paese, l’amore al popolo italiano, l’ansia che l’Italia cammini e si rafforzi nel mondo e sia in grado di difendere ovunque i suoi figli sparsi in tutti i continenti. Voi avete creduto forse, dalle espressioni che ho usato nel discorso introduttivo, che avessi fatto affermazioni per ottenere un semplice effetto tattico. Vi ho detto che le ho fatte in relazione all’azione diplomatica che credevo in tal modo di completare: ero sdegnato per quanto era avvenuto a Washington e avevo l’animo compresso da lunghe, penose trattative per Trieste; e la parola era rivolta non per captare il vostro sentimento, ma per aggiungere a tante resistenze diplomatiche lo sfogo umano di un uomo che ha avuto tanta pazienza e tenacia senza trovare sufficiente comprensione! Voi non mi conoscete; io non vi conosco. Ma non sarebbe meglio, per il nostro paese, prender tempo per fare la conoscenza? (Commenti a sinistra). Ecco come io sento umanamente il problema e penso che lo sentiranno moltissimi uomini ragionevoli fuori di qui. Politica assolutamente contraria è quella di Togliatti. Egli vuole un blocco socialcomunista e dell’unità proletaria ha fatto la base. In questo modo interpretando il 7 giugno, nel blocco entrerebbe Saragat e anche una parte della Democrazia cristiana, se lo volesse fare. La divisione del nostro partito e la continua erosione del centro è il mezzo, la meta è la coalizione; meta che sempre, in ogni momento della nostra evoluzione, venne espressa e inculcata da Togliatti: la meta è la coalizione. Coalizione vuol dire la graduale eliminazione dei partiti, col concentramento di tutti i poteri nel soviet, la fine delle libertà parlamentari, la distruzione della democrazia! (Commenti a sinistra). Roma come Mosca, come Praga, come Bucarest, come Budapest! (Applausi al centro). Onorevole Togliatti, lasci che nel momento – direi – del commiato, sia molto franco: a questo destino preferisco la morte civile, ed anche la morte fisica! (Vivi applausi al centro). Ma il destino è evitabile se tutte le coscienze saranno vigili, se il fumo delle piccole questioni di parte non oscurerà la nostra visione, se lavoreremo per il popolo e le classi povere, respingendo ogni estremismo di classe, ogni avidità di lucro, ogni sfruttamento, (commenti a sinistra), e creando quella nuova classe dirigente… Una voce a sinistra. Campa, cavallo mio… De Gasperi. …che, proveniente dal lavoro e dalla vita produttiva, può crearsi, onorevole Togliatti, senza rinnegare le tradizioni di patria, la libertà, i valori spirituali e la grandezza e l’indipendenza della nazione! (Applausi al centro). Risponderò ora alle singole questioni che sono state poste, cercando di essere il più possibile concreto. Questioni economiche: posizione radicalmente contraria del comunista Alicata in un discorso fazioso, che nega qualsiasi riconoscimento della nostra politica meridionalista, qualsiasi riconoscimento! Discorso più moderato nella forma, ma gravido di conclusioni negative quello del socialista Foa : crisi industriale, regresso dell’agricoltura, situazione cui hanno portato gli aiuti americani passivamente accettati, passività rassegnata nel settore carbo-siderurgico, appoggio sulla classe capitalistica, organica ostilità verso la classe lavoratrice. Onorevole Longo: opposizione recisa, inconciliabile, perché il governo sarebbe tutore delle classi sfruttatrici e reazionarie in violazione della Costituzione, governo di minoranza basato sull’intrigo e sulla corruzione, tentativo ipocrita, politica di ipocrisia, tradimento. Dialogo impossibile; discussione inutile. (Commenti a sinistra). In quanto all’onorevole Foa trovo opportuno rispondere, non perché abbia mostrato molta equanimità, ma perché ha fatto delle affermazioni ed accuse su settori concreti. Piano Schuman: l’onorevole Foa, nel suo discorso del 24 luglio alla Camera , ha espresso, circa la posizione dell’Italia nei confronti della Comunità del carbone e dell’acciaio, alcune affermazioni nelle quali si osserva che la partecipazione dell’Italia alla comunità costituisce, sotto alcuni punti di vista, una rinunzia o un abbandono dell’industria siderurgica italiana; essa è invece un passo avanti nella via dell’inserimento dei suoi problemi nel complesso unitario dei problemi economici del mondo libero, è un portare la nostra siderurgia sul piano europeo, con l’adeguata tutela dei nostri interessi nazionali che si esercita attraverso lo stesso funzionamento del trattato. La questione dei licenziamenti dell’industria siderurgica non è in relazione con il piano Schuman. A parte il fatto che l’industria italiana beneficia oggi di una protezione doganale superiore a quella che non avesse prima dell’entrata in vigore del mercato comune, la siderurgia italiana soffre della situazione creatasi durante la guerra e immediatamente dopo, che l’ha posta di fronte alla necessità di provvedere ad un suo ridimensionamento e ammodernamento. Il piano Schuman, lungi dall’essere la causa, potrà anzi, attraverso varie provvidenze del trattato, cooperare alla soluzione dell’attuale crisi ponendosi sul piano della comunità un problema che comunque avremmo dovuto affrontare con le nostre sole forze. Se questi sono i benefici futuri, fin qui il piano Schuman non ci è costato sacrifici, ma ha dato i seguenti vantaggi: approvvigionamento del carbone ad uguale condizione dei paesi produttori, con abolizione dei doppi prezzi; aumento della importazione di fini da coke dalla Germania con riduzione dell’esborso di dollari e situazione più favorevole della nostra esportazione e nella bilancia commerciale con quei paesi; decisione dell’Alta Autorità del carbone e dell’acciaio di versare circa 4 miliardi di lire in due anni per il miglioramento della produzione del bacino minerario del Sulcis; attuazione in corso di una cassa di perequazione per il fossile di provenienza americana; diminuzione del prezzo dei rottami di ferro da un prezzo medio di lire 40 al chilo a lire 24. Importando l’Italia un milione di tonnellate circa di rottami, il risparmio per l’economia italiana si può calcolare in 16 miliardi di lire. Infine, aumento dell’importazione dei rottami della comunità e cassa di perequazione per l’importazione di terzi paesi. Da ultimo: diminuzione dei prezzi dei prodotti siderurgici dal 15 al 30 per cento, con una economia per i consumatori da 36 fino a 40 miliardi, data la nostra produzione di 3 miliardi di tonnellate di tali prodotti. Il piano Schuman non costituisce, dunque, alcuna rinuncia ad una politica di investimenti; al contrario, essendo previsto che l’Alta Autorità faciliti la realizzazione di programmi di investimento, accordando prestiti alle imprese o dando garanzie a prestiti che esse contraggono, ne costituisce un incentivo. Che la nostra adesione al piano Schuman sia basata anche su questioni politiche, è evidente. Ed è chiaro che l’aspetto politico non può andare disgiunto da un trattato della portata di questo. Affermare che esso non risponde alle esigenze economiche, è negare la realtà. A parte i vantaggi già menzionati, è evidente che l’Italia, a meno che non voglia instaurare una politica di autarchia, doveva in ogni modo cercare di inserire la sua industria carbo-siderurgica nel quadro di quella europea. Si è lamentato che la Cgil è stata esclusa dagli organismi nei quali sono rappresentate le classi lavoratrici. È per lo meno logico che la comunità, nel designare le organizzazioni rappresentative, abbia escluso quelle che per il loro carattere essenzialmente politico anziché sindacale, hanno assunto un atteggiamento pregiudiziale e negativo e non apportano alcun fattivo contributo ai problemi pratici da affrontare. L’onorevole Foa ha infine criticato il nostro programma, affermando che nessun accenno è stato fatto alla crisi che travaglia l’industria, in particolare quella di base, produttrice di beni strumentali. Egli ha continuato affermando che la crisi non è stata in nessun modo controbattuta dal governo, il quale anzi ha abdicato ai suoi compiti di direzione economica; che la crisi è confermata dalla stagnazione della produzione agricola; che la nostra industria è in stato di arretratezza. L’onorevole Foa non ha evidentemente meditato a sufficienza il nostro programma e non ricorda i provvedimenti già assunti dal precedente governo per sviluppare la produzione agricola e industriale e per aumentare l’occupazione. Il piano dodecennale di sviluppo agricolo, la Cassa per il Mezzogiorno, il credito alla media e piccola industria, lo sviluppo delle fonti di energia e l’incremento dell’attività edilizia, i provvedimenti per il metano, quelli a favore delle esportazioni sono dettati dal duplice scopo di incrementaredirettamente, da un lato, la produzione e dall’altro di favorire una maggiore occupazione e, attraverso l’aumento dei salari, un aumento dei consumi e quindi di produzione. Con questi provvedimenti, come si può dire che il governo ha abdicato ai suoi compiti di direzione economica? Non è con provvedimenti miracolistici che si sana un’economia, ma è con il lavoro paziente di anni, attraverso il concorso di tutte le forze economiche. Scopo dell’azione del governo deve essere quello di creare le cosiddette condizioni di ambiente per migliorare la produzione e l’occupazione, non quello di intervenire in ogni singolo settore o, peggio ancora, in una singola azienda, con i danari di tutti, per mantenere in piedi una produzione antieconomica che nell’insieme dell’economia diviene addirittura antisociale. In secondo luogo, esiste poi davvero questa crisi descrittaci a foschissimi colori anche dall’onorevole Togliatti? Non si tratta piuttosto di situazioni aziendali fin qui sostenute con grandi sacrifici e arrivate ormai a un punto di rottura? Io ritengo si tratti più di crisi di aziende che di crisi di settori. Se esaminiamo infatti l’indice della produzione industriale, notiamo che, nei primi cinque mesi dell’anno, esso è aumentato del 7 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 1952. L’indice di maggio è aumentato del 5,3 per cento rispetto al mese precedente e del 5,4 per cento rispetto al maggio del 1952. Confrontando con il 1938, noi abbiamo un aumento del 50 per cento. Negli altri settori, nei primi cinque mesi del 1953, abbiamo un aumento degli indici rispetto al corrispondente periodo del 1952 del 27,9 per cento nelle industrie estrattive, del 7,5 per cento nelle industrie manifatturiere, del 3,2 per cento nelle industrie elettriche. Con ciò non ci nascondiamo il pericolo insito nelle situazioni di alcuni particolari rami; ed è per questo che stiamo studiando sistemi di interventi più razionali per il loro sollevamento. La produzione agricola è in ristagno? Le notizie sui prossimi raccolti sembrano smentire questa asserzione. La produzione del grano è prevista, dopo il raccolto, in 81 milioni di quintali. Per l’olio siamo in anno di piena. Le prospettive per le altre colture sono altrettanto favorevoli. Ancora: la nostra industria è in stato di arretratezza? «Era» in stato di arretratezza, vi dico io; e oggi abbiamo fatto molto per migliorarla. Abbiamo ricostruito su criteri nuovi, abbiamo rimodernato le aziende, abbiamo riattrezzato gli stabilimenti. Oltre 700 miliardi sono stati erogati a condizioni di favore quali finanziamenti per riattrezzature industriali. La maggior parte degli aiuti americani è stata destinata a questo scopo, mentre nuove provvidenze, specialmente per la media e la piccola industria che ora cominciano ad attuarsi, ne aumenteranno la portata. Può darsi che siamo in condizioni peggiori di altri paesi, ma è certo che siamo in condizioni migliori, molto migliori, di qualsiasi altro precedente periodo del nostro paese. In altre osservazioni di minore rilievo, l’onorevole Foa ci accusa di avere rinunziato a svolgere qualsiasi politica commerciale autonoma. Non penso che l’onorevole Foa volesse alludere all’autarchia, che è una strada che abbiamo abbandonato. In altri rilievi l’onorevole Foa osserva la diminuzione degli investimenti produttivi pubblici. Anche qui le cifre lo smentiscono. Ecco le cifre sulle spese di carattere economico, produttivo e sociale negli esercizi dal 1944-45 al 1951-52 (per il 1952-53 non ho ancora gli elementi). Per la parte effettiva: 1944-45, 49 miliardi; 1945-46, 231 miliardi; 1946-47, 397 miliardi; 1947-48, 572 miliardi; 1948-49, 670 miliardi; 1949-50, 585 miliardi, 1950-51, 653 miliardi; 1951-52, 749 miliardi. Il 1952-1953, secondo dati provvisori, conferma questa tendenza. Un dato indiretto è quello della occupazione nelle opere pubbliche e di pubblica utilità. In aprile eravamo al di sopra del 34 per cento sull’aprile 1952; nei primi quattro mesi abbiamo superato del 27 per cento l’occupazione del corrispondente periodo del 1952; abbiamo occupato nell’aprile oltre 470 mila operai nelle opere pubbliche e di pubblica utilità, con un aumento di 119 mila operai sul periodo del 1952. Vi sono i dolorosi licenziamenti in corso, è vero. Però va notato che riguardano solo il settore industriale. Nell’agricoltura, ad esempio, vi è ovunque un eccezionale fermento di opere. Anche per l’industria i licenziamenti non sono legati alla crisi dell’intero settore, ma a fatti di assestamento di alcuni rami specifici. Il settore industriale, nel suo complesso, segna un andamento favorevole con un aumento notevole di attività. L’intervento del governo continua intenso, e si deve sottolineare, oltre alle numerose provvidenze specifiche, lo sviluppo crescente delle opere pubbliche. I licenziamenti riguardano i seguenti rami. Siderurgico: sono dovuti all’ammodernamento e al potenziamento di tutto il settore. Lo stato di arretratezza era tale che, quando nel 1947, cinque anni prima del piano Schuman, il governo ha esaminato il problema, si poneva il seguente dilemma: o la rinunzia totale o il totale rinnovamento. Per il rinnovamento lo Stato ha destinato 140 miliardi per la siderurgia di Stato e 25 miliardi in prestiti per la siderurgia privata. Si sono costituiti così i moderni stabilimenti (come quelli di Bagnoli, Piombino, Cornigliano), assicurando il lavoro stabile ad un numero di operai non inferiore al numero di quelli precedentemente occupati nel ramo. L’ammodernamento nel mentre ha portato a nuove assunzioni in alcune zone, ha costretto a riduzioni inevitabili in altre zone, perché gli stabilimenti erano assolutamente antiquati e superati, i costi erano, a volte, quasi il doppio di quelli internazionali. È troppo comodo fingere di ignorare la parte positiva e strillare sugli inevitabili provvedimenti di risanamento. Non sono mancate, per altro, provvidenze per le zone meno favorite, provvidenze accessorie, provvidenze che riguardano l’occupazione provvisoria. Nel ramo tessile, nel dopoguerra, si è avuta una fase eccezionale di sviluppo nel settore, alla quale sono seguite difficoltà soprattutto per l’esportazione. Il governo ha facilitato l’esportazione e continuerà a farlo, ha favorito in ogni modo l’aumento del consumo interno (si segnala, in ispecie, il maggior assorbimento di prodotti tessili nel Mezzogiorno, grazie al maggiore potere di acquisto provocato dalla Cassa per il Mezzogiorno). Miniere. Nel complesso, nel settore minerario si è in forte aumento. Vi è unicamente la situazione di alcune miniere di piombo e di zinco, la cui attività, aumentata negli ultimi anni a causa della tensione internazionale, è oggi ridimensionata, e soprattutto il grave problema delle miniere di carbone del Sulcis. Nelle miniere del Sulcis sono già stati profusi 20 miliardi. Eviteremo la chiusura ed assicureremo una certa attività, anche se in continua perdita; ma non potremo per altro tollerare che si continui nel ritmo attuale delle perdite: quasi cinque miliardi l’anno. Si sono citate molte statistiche circa la diminuzione dei consumi. Vorrei che fra le statistiche se ne cercasse anche qualcuna che ha significato contrario. Il consumo di zucchero, che nel 1936 era pari a 6,9 chilogrammi pro ciapite e che nel 1945 era sceso a 2,8, ha raggiunto, in questi ultimi anni, livelli assai più elevati: 10,4 chilogrammi nel 1949, 12,4 nel 1950, 12,7 nel 1951; e questo incremento di consumo è dovuto, come è noto, alla sua maggiore diffusione fra le popolazioni contadine e montanare. Sappiamo bene che questo consumo fondamentale è inferiore a quello di molti altri paesi, ma sappiamo anche che dall’anteguerra ad oggi la distanza fra noi e questi altri paesi è andata progressivamente diminuendo. L’onorevole Saragat ha voluto richiamare, nel suo intervento, alcune considerazioni fatte dal professore Vöchting, ordinario di economia all’università di Basilea. Noi sappiamo bene che il problema meridionale non si risolve con le sole opere pubbliche, ma con un’azione che abbracci tutti i settori dell’economia: dall’agricoltura all’industria e ai trasporti, dalla politica commerciale a quella doganale e creditizia. Ecco perché abbiamo affidato al Comitato dei ministri per il Mezzogiorno il coordinamento di questa azione a favore delle regioni meridionali; ma è evidente che ogni trasformazione industriale del Mezzogiorno, ogni passo verso la creazione di una economia meridionale più complessa, deve poter contare su una preventiva opera di trasformazione ambientale, che renda possibili ed economiche iniziative integratrici da parte dello Stato e interventi di privati imprenditori. Un’effettiva modificazione della struttura economica e sociale del Mezzogiorno non può essere che lenta e graduale, come lo stesso onorevole Foa ha riconosciuto. L’azione del governo può accelerare i tempi, non bruciarli, e non si deve dimenticare che l’attuale situazione di depressione dell’economia meridionale affonda le sue radici nei secoli. L’onorevole Sullo , che ha avuto parole di riconoscimento per l’opera svolta nel Mezzogiorno, ha dato rilievo soprattutto al piano di costruzione di acquedotti ed ha raccomandato di intensificare gli sforzi per l’industrializzazione . Con la mia dichiarazione precedente ho già risposto, ma rilevo inoltre che al 30 giugno 1953 la Cassa per il Mezzogiorno aveva già deliberato finanziamenti a 70 iniziative di carattere industriale, per un totale di 11 miliardi e 149 milioni. I detti finanziamenti si riferiscono ad un investimento complessivo di 20 miliardi e 357 milioni. La proposta dell’onorevole Sullo per un ministero delle partecipazioni, mi ha preoccupato. Evidentemente, questo problema va studiato; non potevamo improvvisare in materia. Già l’onorevole La Malfa, a suo tempo, aveva raccolto tutti i dati necessari; bisognerà affrontare questo problema in un momento molto sereno, perché esige il superamento di straordinarie difficoltà di competenza. Quanto alla politica agraria del governo le critiche più notevoli sono state rivolte dall’onorevole Alicata da una parte e dall’onorevole Saragat dall’altra, con particolare riferimento alle due leggi: quella di riforma fondiaria generale e quella della riforma dei contratti agrari. Sullo spirito informatore della politica del governo, devesi prendere atto della realizzazione della riforma in applicazione delle leggi 12 maggio e 21 ottobre 1950 (cioè legge Sila e legge stralcio), sicché a tutt’oggi si sono già assegnati a 46 mila famiglie contadine, con loro piena soddisfazione, circa 230 mila ettari sui 610 mila espropriati. Si è eseguita una rilevante, difficile opera che ha impegnato larghissimi complessi di mano d’opera; ed è nostro proposito, chiaramente espresso, di portare decisamente a compimento l’attuazione di tali leggi nei brevi termini da esse stabiliti. Va rilevato che l’esecuzione delle leggi è stata la migliore possibile, superandosi ostacoli che è facile intuire, e raggiungendosi le finalità prefisse e ispirandosi ad un solo sentimento: quello di una maggiore giustizia sociale al di sopra di ogni preoccupazione elettoralistica. Mia io ammetto benissimo che siano necessarie rettifiche e modificazioni. Ho già detto nel mio discorso introduttivo che le critiche conclusive della Camera saranno tenute nella massima considerazione. È un campo nuovo ed un esperimento nuovo, ed evidentemente le collaborazioni della critica possono essere estremamente utili. Quanto alla riforma fondiaria generale, è evidente che in materia così grave ed irta di difficoltà (si tratta di una legge che riguarda tutto il territorio nazionale) si debba procedere con prudenza e cautela, esaminando il problema in rapporto ai rilevanti oneri finanziari, senza che ciò significhi intendimento di non parlarne più, come accennava l’onorevole Saragat. Saranno rispettati i princìpi della Costituzione, ricordati nelle mie dichiarazioni, ma essi non eliminano il presupposto della distinzione fra proprietà attiva e proprietà assenteista. Quanto alla riforma dei contratti agrari, essa impone serie meditazioni per la grave difficoltà di regolare la materia, che interessa un grandissimo numero di persone, e per le condizioni diverse che incidono in un settore essenziale per la vita della nazione e toccano problemi di carattere giuridico, tecnico, economico e sociale. Oggetto di vivaci contrasti, essa ha già suscitato notevoli perplessità in Parlamento nella passata legislatura. Non può quindi criticarsi la volontà del governo di un riesame della legge, tenendo conto dei rilievi fatti anche al Senato ed in rispondenza alla situazione attuale. Non è vero poi che la nostra politica economica sia diretta verso una riduzione degli investimenti e che il proposito di risanare il bilancio dello Stato possa farci dimenticare il bilancio umano e possa tradursi in strumento di deflazione. Anche qui studiosi della politica del pieno impiego ci ammoniscono che essa è soddisfacente quando gli investimenti sono al livello del risparmio reale. Le statistiche degli ultimi anni ci dicono che il totale degli investimenti, pubblici e privati, non fu mai inferiore al risparmio reale, per cui la discussione può unicamente riguardare il rapporto fra investimenti pubblici e investimenti privati e la loro qualificazione per i diversi settori economici. Agli effetti di questa discussione generale, salvo più dettagliate analisi in occasione della discussione dei bilanci economici e finanziari, osservo che circa un terzo dei risparmi disponibili è andato agli investimenti pubblici e due terzi agli investimenti privati. Non si potrebbe, a mio avviso, e ad avviso anche di tecnici competenti, spostare il rapporto a favore degli uni o degli altri senza certi guai. D’altra parte, onorevoli deputati che vi lagnate dell’eccessiva fretta di risanare il bilancio, sarebbe inconcepibile che entro il 1958 – termine previsto per il risanamento totale – la meta a cui si tende non fosse raggiunta a distanza di tredici anni dalla fine della guerra. Dopo l’altra guerra 1915-1918 l’equilibrio del bilancio si ottenne entro sei anni. Non ci furono, è vero, allora, rovine di guerra così vaste, ma è altrettanto vero che non ci fu l’aiuto americano. Programmare un tempo doppio di quello di allora non ci sembra un orientamento troppo drastico. Ad ogni modo ne discuterete quando vi verrà presentato il bilancio. Non è esatto dire che il bilancio equilibrato sia indice di politica scarsamente sociale. Vorrei ricordare all’amico Saragat l’esempio eloquente della Gran Bretagna che, sotto il governo laburista, si propone come immediato obiettivo quello del pareggio del bilancio. Come già accennai nelle mie dichiarazioni di martedì scorso, le minori esigenze dello Stato per coprire il suo deficit sono a vantaggio dell’economia, e nel discorso introduttivo ho anche esposto il perché. Ad ogni modo non c’è da allarmarsi per un primo periodo. Ecco le somme che si trovano a disposizione delle singole amministrazioni e della Cassa per il Mezzogiorno al mattino del 1° luglio 1953, cioè all’inizio dell’esercizio in corso per spese di investimenti pubblici, somme in teoria utilizzabili, subito, compatibilmente ed esclusivamente con i tempi tecnici. Presumibile ammontare dei residui passivi per opere pubbliche di bonifica: miliardi 380; stanziamento per investimenti di competenza dell’esercizio 19531954: miliardi 363; programma di investimenti per le ferrovie dello Stato sul ricavo del prestito Elfer: 36 miliardi, a cui si debbono aggiungere le somme versate dal Tesoro alle singole amministrazioni e da queste riversate al Tesoro o presso banche in attesa di procedere a spese effettive; presso il Tesoro: 126 miliardi; presso banche: 92 miliardi; Cassa per il Mezzogiorno: 126 miliardi; medio credito e cassa artigianato: 11 miliardi; fondo edilizio: 24 miliardi; fondo addestramento lavoratori: 24 miliardi; fondo AGIP-metanodotti: 12 miliardi; fondo di dotazione agraria: 9 miliardi; totale disponibile: miliardi 1209. Voi comprendete, onorevoli colleghi, che il programma attuale non è tanto quello di lasciarsi prendere dal facile fascino di nuove programmazioni e di nuovi piani quanto quello di utilizzare con la maggiore sollecitudine possibile i crediti esistenti. Per questo nelle mie dichiarazioni ho rilevato l’impegno di tutti i ministri di esaminare con la massima attenzione tutti i ritardi e di cercare ogni rimedio per eliminarli. Ritornando sul piano generale, osservo che una politica di investimenti pubblici e privati che vada oltre il traguardo dei 2.000 miliardi raggiunto nel 1952 presuppone un maggior volume di risparmio a disposizione. Tale incremento si può fare solo su due strade, come è noto: aumento della produzione e diminuzione dei consumi. In Italia non si possono diminuire i consumi; l’hanno potuto fare gli inglesi, ma noi purtroppo abbiamo ancora una gran parte della popolazione ad un basso livello di vita, a meno che, attraverso le tasse più rigide che vogliamo introdurre ed applicare, si riducano i consumi di lusso delle classi abbienti. Ma non si può arrivare a concepire una riduzione generale; bisogna sforzarsi di aumentare la produzione. Durante la discussione si è parlato dell’IRI. Il primo che ne ha parlato è stato l’onorevole Foa, il quale ha detto che l’IRI è ridotto al ruolo di riserva dell’industria privata al fine di assicurare a questa il flusso dei profitti monopolistici. Viceversa l’onorevole Covelli si è lamentato dell’IRI come di un centro confusionario e di concorrenza per l’industria privata nell’economia generale . Qui bisognerà una volta per tutte che facciamo l’IRI oggetto di un’ampia e profonda discussione, nella Camera, al fine di vedere come effettivamente stiano le cose. Per la verità, spesso ci troviamo dinanzi ad affermazioni veramente casuali, sia da parte dei banchi del governo sia da parte degli onorevoli colleghi; ora, in sede di discussione dei bilanci, bisognerà affrontare il problema. Io non ho nulla in contrario a ricevere la più ampia collaborazione per vedervi dentro. Credetelo, il governo vuole che l’IRI diventi possibilmente uno strumento che snellisca, aiuti e solleciti in genere l’economia e non che eserciti la concorrenza. Dovrei anche osservare che probabilmente certi interessi, in alcuni settori e servizi pubblici, non è possibile abbandonarli all’organizzazione privata, a meno che questa organizzazione privata non diventi dal canto suo monopolista. Sta di fatto che ove si guardi al reale andamento produttivo dei singoli settori dell’IRI si deve riconoscere come questi abbiano un ruolo primario di avanguardia, di propulsione. Così, ad esempio, abbiamo potuto impostare il programma di attrezzature e di ammodernamento della siderurgia, perché si tratta della Finsider; abbiamo potuto influire sopra l’attività dei settori elettrico e telefonico perché vi era la Finelettrica; abbiamo potuto provvedere alla marina mercantile perché c’era la Finmare, e non avremmo potuto chiedere tali sacrifici agli imprenditori privati. I sacrifici che abbiamo chiesto allo Stato, che voi stessi avete deliberato e sui quali si può discutere, è innegabile che sono sacrifici fatti non allo scopo di sostenere un governo od un indirizzo, ma affrontati per lo sviluppo economico del paese e per migliorare i servizi pubblici. Ad ogni modo, poiché questo è un argomento che si presta a grandi discussioni, io non intendo affatto chiuderlo con queste mie dichiarazioni. Lo dovremo affrontare in un’ora più serena, occupandoci della materia ex professo: in quella sede i rappresentanti di tutte le tendenze potranno intervenire. Politica estera. L’onorevole Nenni ha parlato di scelta , ma questa scelta è andata modificandosi nell’onorevole Nenni. Dapprima egli parlava di atlantismo o di neutralismo. Poi, contestatogli che il neutralismo porterebbe all’evidente isolamento dell’Italia, egli pose l’alternativa tra la Comunità europea di difesa ed una presuntiva «Locarno» accennata nel discorso di Churchill. Questa alternativa fece i servizi di comodo durante la campagna elettorale. Poi, dimostratogli che questa alternativa non sussiste, almeno per quanto riguarda la volontà degli alleati, come è risultato dalle dichiarazioni di Washington che io ho letto (e lo feci per dimostrare che quelle dottrine, quei princìpi e quelle direttive erano proprio quanto avevano sostenuto i diplomatici italiani, ed io in particolare, nel corso delle conferenze internazionali e quindi a torto l’onorevole Togliatti ha affermato che la mia citazione delle dichiarazioni di Washington rappresentava una prova di servilismo e di mancanza di direttive autonome italiane), dimostrato all’onorevole Nenni che questa alternativa non esiste, ora egli dichiara che l’alternativa sarebbe fra l’oltranzismo atlantico e la tendenza di Londra per una pace senza vinti né vincitori. Ma anche questo bivio è soltanto nel desiderio, nella fantasia molto ferace dell’onorevole Nenni; in realtà non esiste. La linea britannica che egli designa non è la linea britannica. Questa linea, proprio mentre l’onorevole Nenni parlava in questa assemblea, veniva indicata da Butler , in rappresentanza di Churchill, alla Camera dei comuni martedì scorso. Il cancelliere dello scacchiere Butler, in rappresentanza di Churchill, fissava in questo modo le direttive della politica estera britannica: «Primo: il mondo occidentale deve mantenere la sua unità e la sua forza, e sviluppare le istituzioni dalle quali dipendono la sua sicurezza e la sua prosperità. «Secondo: nessuna occasione deve essere perduta per diminuire la tensione internazionale, ma le istituzioni dell’occidente devono essere mantenute anche nella fortunata ipotesi di un componimento delle vertenze con l’Unione Sovietica. Noi – ha detto testualmente Butler – continuiamo fermamente sulla strada che abbiamo scelta: il Patto atlantico e la più stretta unione europea attraverso la comunità del carbone e dell’acciaio e la comunità europea di difesa. Relativamente a quest’ultima ed alla Germania il cancelliere dello scacchiere ha dichiarato che nel pensiero del governo britannico, la migliore sicurezza di tutti i paesi interessati consiste nella più stretta associazione possibile della Germania, sia come Repubblica federale, sia come Germania unificata, con un’organizzazione puramente difensiva come la CED che è essa stessa parte di un’altra organizzazione difensiva, il Patto atlantico. Terzo: comunque – ha proseguito Butler – i sacrifici compiuti dal mondo occidentale per creare e sviluppare tali istituzioni hanno contribuito a ristabilire l’equilibrio di potenza fra l’Unione Sovietica e l’occidente. Ed ha concluso: se l’orizzonte internazionale è ancora oggi meno fosco, ciò è dovuto in larga misura ai successi ottenuti dai paesi del Patto atlantico nel creare e sviluppare la nostra forza difensiva». «Siamo in presenza – diceva l’onorevole Nenni – di una assente volontà distensiva in campo internazionale. Se la ragione trionferà sulla forza e il buon senso sull’odio e la paura, nessuno ne sarà più lieto di noi che sappiamo l’ansia del popolo italiano di vedere finalmente prevalere in campo internazionale la ragione e il buon senso». Ecco parole alle quali completamente aderisco; ma non nutriamo in alcun modo l’illusione, che Nenni gratuitamente ci attribuisce, sul disfacimento del sistema interno sovietico. Il mondo occidentale è alla ricerca di segni tangibili che la distensione di cui tanto si parla sia veramente in atto. Esso è ora in attesa della risposta che l’Unione Sovietica darà alla nota alleata del 15 luglio su quello che è il problema chiave dell’Europa, il problema tedesco. I governanti sovietici hanno una eccellente occasione di confermare i loro propositi distensivi, non deludendo l’ansiosa attesa del mondo. L’occidente aspetta pure la risposta sovietica alla nota alleata del 15 giugno, con la quale è stato chiesto a Mosca di far conoscere a quali condizioni essa sia disposta a stipulare un trattato di pace che restituisca all’Austria la sua sovranità e la sua indipendenza. Quindi, la linea britannica è la nostra linea. Non c’è questa alternativa. Ma l’onorevole Nenni si è rivolto soprattutto al passato e ci ha fatto rimprovero di avere concluso e mantenuto il Patto atlantico, perché non avrebbe consentito di risolvere nessuna delle nostre questioni. Egli ha detto: «un’alleanza la quale non ci ha consentito di risolvere nessuno dei nostri problemi nazionali ed ha compromesso il maggiore di essi, quello del Territorio libero di Trieste». E più avanti ha dichiarato: «tanto la politica estera di Sforza quanto quella di De Gasperi non hanno ottenuto giustizia per il nostro popolo» . Quale poteva essere l’alternativa fino ad oggi al nostro inserimento nel consesso delle democrazie occidentali? O entrare nell’orbita dei satelliti moscoviti, oppure rimanere neutrali e isolati. Se entravamo nell’orbita dei satelliti, quale dei nostri problemi, secondo l’onorevole Nenni, si sarebbe potuto risolvere? Quello dell’emigrazione, della sovrappopolazione? Non certamente, poiché negli Stati satelliti vi è eccesso di popolazione, né i comunisti italiani, quando erano al governo, o i sindacalisti comunisti, sono mai riusciti a far emigrare lavoratori nella Russia sovietica. Neppure il problema di Trieste si sarebbe risolto con la Russia, la quale si oppose ad una equa soluzione italiana del problema nel momento in cui si presentò occasione propizia. E dell’ingresso all’ONU è troppo nota la storia per rievocarla un’altra volta. E se fossimo rimasti neutrali, isolati, quali dei nostri problemi avremmo risolto? Ma della neutralità neppure Nenni parla ormai più con entusiasmo. «Oggi – dice Nenni – non vogliamo una Italia isolata e rassegnata». Oggi Nenni parla di distensione. Insomma, dice che vi è una fase diplomatica che si chiude. Ecco le parole dell’onorevole Nenni: «l’Italia, a nostro giudizio, troverà nella détente internazionale la propria sicurezza e la via di soluzione dei suoi problemi nazionali, da quello di Trieste all’ingresso all’ONU. Una tale prospettiva – egli continua – renderebbe oggi possibile un incontro a mezza strada sulla base dell’impegno reciproco di controllare strettamente gli accordi internazionali e militari, per mantenerli e difenderli entro i limiti difensivi con cui si disse che fossero assunti, e di associare l’Italia ad ogni iniziativa di pace e di distensione volta al superamento del contrasto che tiene diviso il mondo, al componimento dei conflitti in corso, alla fine della guerra fredda e della guerra economica, all’accantonamento dei problemi che, come la ratifica del trattato della CED, costituirebbero oggi un ostacolo alla distensione mondiale e alla stessa integrazione e unità politica» . Voi vedete che vi è il veleno nella coda: l’accantonamento della comunità di difesa. Questa è una distinzione sostanziale della nostra concezione, della nostra politica da quella di Nenni. Se io nella mia dichiarazione ad un certo punto ho detto che se qualche Stato più determinante cambiasse parere, anche noi naturalmente potremmo cambiar parere (noi governo, perché la Camera si è sempre riservata la libertà di decidere), mi riferivo veramente alla CED, e non perché io non sia convinto che quella è la strada dalla quale bisogna passare per arrivare all’unità europea. Proprio quello che dice Nenni ad un certo punto, perché gli è scappata detta una esaltazione della partecipazione attiva all’organizzazione della sicurezza collettiva e dell’eventuale mediazione per risolvere gli attriti. Ma noi non possiamo fare questi disegni teorici, dobbiamo cogliere le realtà che passano un momento solo davanti a noi e cavarne il nostro programma a soddisfacimento dei nostri interessi. Ecco perché io sono per la CED, ecco perché io ritengo che dal punto di vista dell’interesse italiano la dobbiamo volere, con precauzioni che riguardino la nostra dignità, il carattere nazionale del nostro esercito, eccetera, ma queste precauzioni, che riguardano l’esecuzione, noi, come principio generale, non le possiamo sopravvalutare. Questo riferimento l’ho fatto con riguardo alla Francia. Se poi la Francia, che prima ci ha fatto la proposta, che per un anno ha trascinato questa questione e poi ha chiesto dei protocolli aggiuntivi ed interpretativi, che noi a fatica abbiamo concesso, non trovasse la possibilità di accettare un simile progetto, evidentemente il progetto non solo per se stesso cadrebbe, ma noi non lasceremmo nulla di intentato perché i nostri interessi in quel caso venissero salvaguardati. Ma io sono per questo programma. Nessuno dubiti della profondità della mia convinzione, la quale non è nata ieri. La mia speranza di un’Europa unita è ancorata non soltanto ad una visione della fantasia, ma ad una tendenza cui partecipa tutto il mio spirito. Io credo che questo sia l’unico sbocco costruttivo in Europa, l’unica speranza, senza ripiombare nei passati conflitti e nelle passate negazioni. Nenni ha citato il rapporto annuale del generale Ridgway per dimostrare che il miglioramento della situazione generale non può dipendere dallo sforzo militare dell’occidente. In altri termini – dice Nenni parafrasando il rapporto – il dispositivo atlantico rimarrebbe talmente inoperante rispetto al potenziale militare sovietico da essere attualmente impossibile far fronte con successo ad un attacco. Si leggeva nel rapporto che l’eventualità di un attacco sovietico troverebbe le forze alleate in uno stato di debolezza critica. Se l’onorevole Nenni sostiene questa tesi, egli non può sfuggire all’alternativa (ed egli di alternative se ne intende), (commenti): o è vero ciò che egli dice, e allora aggressioni ed armamenti sono tutti dalla parte orientale, e allora l’occidente è più che giustificato nell’organizzare la propria difesa; o è inesatto, nel qual caso è veramente la difesa atlantica che ha il merito del miglioramento della situazione generale. (Applausi al centro). È probabile che la verità sia in entrambi gli assunti. È vero che l’efficienza del dispositivo di difesa occidentale non è paragonabile alle forze militari russe, ma è anche vero che la comunità atlantica (che non è solo organizzazione militare) costituisce un sempre crescente baluardo ed una remora contro ogni mira aggressiva ed imperialistica se esistesse, ed ha portato secondo la nostra convinzione a mutamenti di politica da parte sovietica, mutamenti di cui attendiamo però di vedere le prove. Ed ora qualche parola all’onorevole De Marsanich. L’onorevole De Gasperi – ha detto l’onorevole De Marsanich – ha protestato con accenti appassionati contro gli errori degli alleati che chiamano a Washington rappresentanti jugoslavi . Mentre l’ambasciatore a Washington non ha protestato ed ha soltanto dichiarato che il suo governo non ha gradito i colloqui. Le cose stanno così: il 14 luglio gli ambasciatori degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia informarono confidenzialmente il governo italiano della intenzione dei loro governi di riprendere a Washington con la Jugoslavia le conversazioni militari imbastite a Belgrado il novembre scorso. Ai tre ambasciatori venne subito esposto chiaramente il punto di vista italiano, che è stato riaffermato nella mia dichiarazione programmatica alla Camera; in pari tempo venivano date istruzioni ai nostri ambasciatori a Londra, Parigi e Washington di manifestare e illustrare tutte le riserve italiane nei confronti di simile iniziativa, riserve confermate poi con una nota scritta. Non è dunque esatto che noi non abbiamo fatto quanto necessario e possibile nella circostanza. Un altro argomento trattato dall’onorevole De Marsanich è quello del trattato di pace: egli ha detto che solo la Francia, la Gran Bretagna ed altri quattro firmatari del trattato, cioè la Grecia, la Nuova Zelanda, il Belgio e i Paesi Bassi, hanno aderito alla richiesta di revisione. Non è esatto, perché anche altri paesi vi hanno aderito, ma, ad ogni modo, il governo italiano non ha tenuto alcun conto della mancata adesione di altri Stati ed ha considerato la revisione derivata dall’accordo di Washington del settembre 1951 come un fatto compiuto e ne ha tratto le dovute conseguenze nel campo politico, economico, industriale e militare. In tal senso si era, del resto, espresso ufficialmente il sottosegretario Taviani in un discorso tenuto il 27 febbraio 1952. È anche noto come, prendendo lo spunto dal quinto veto sovietico all’ammissione dell’Italia all’ONU, il nostro governo abbia notificato a Mosca la propria determinazione di non applicare ulteriormente, nei confronti di quel paese, il trattato di pace. Lo stesso onorevole De Marsanich ha chiesto al governo un’attivazione della politica mediterranea, dove il patto balcanico tra Jugoslavia, Grecia e Turchia sarebbe venuto ad aggravare il nostro isolamento. È inesatto parlare di isolamento. Si ricordi, per quanto riguarda la Turchia, il patto di amicizia del 1950 e i successivi accordi in materia economica; per quanto riguarda la Grecia, il sollecito ristabilimento di cordiali rapporti di amicizia, gli accordi del 1948-49, nonché tutta l’azione svolta dall’Italia per l’ingresso della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico, superando la riluttanza di altri paesi. Quanto al Patto balcanico , esso ha per ora carattere regionale, ma rimane tuttora aperta la possibilità di adesione di altri Stati, e non si svela alcun segreto se si ricorda che, secondo ripetute dichiarazioni fatte al nostro governo da quelli di Grecia e Turchia, la clausola che prevede la possibilità di adesione da parte di altri paesi fu da essi voluta soprattutto per creare il presupposto ad una auspicata partecipazione italiana. È dunque dalla volontà dell’Italia che dipende l’allargamento del patto di Ankara e, come è noto (e fu ripetuto più volte e da ultimo nella mia dichiarazione programmatica), l’Italia condiziona a sua volta la presa in esame di tale eventualità alla previa soddisfacente regolamentazione dei rapporti con la Jugoslavia. Sempre per quanto riguarda la politica mediterranea, anche l’osservazione che noi abbiamo tenuto un atteggiamento di inerzia o non abbiamo fatto nulla addirittura, non corrisponde alla realtà. I rapporti dell’Italia con i paesi arabi non sono mai stati così strettamente cordiali; essi hanno trovato espressione formale nel trattato di amicizia del 1949 con il Libano, del 1950 con la Giordania, e nella istituzione, perfezionata in questi giorni, di regolari rapporti diplomatici, per la prima volta stabiliti tra Italia e Yemen, nonché nelle continue manifestazioni di amicizia dei paesi arabi all’ONU (e segnalo quanto avvenuto recentemente nel consiglio di tutela), nello scambio di missioni e di visite e nello sviluppo di altre interessanti forme di collaborazione. Con l’Egitto in particolare i rapporti sono improntati alla più schietta cordialità: basti ricordare la visita del ministro della Difesa del febbraio scorso e le recenti calorose dichiarazioni del presidente Neghib alla comunità italiana che, circondata dal rispetto e dalla stima degli egiziani, costituisce un elemento essenziale per la prosperità economica e il progresso sociale di quel paese. Si è fatto cenno anche alle esportazioni ortofrutticole, dicendo: andiamo male, c’è un regresso. Allora dobbiamo consultare le cifre. Le cifre, infatti, ci dicono che queste esportazioni sono aumentate nel totale da quintali 10 milioni e 275 mila del 1937 a quintali 11 milioni e 40 mila de1 1952. L’esportazione di tali prodotti verso la Germania, che era prima della guerra, anche per ragioni politiche, uno dei più importanti sbocchi, è salita da quintali 4 milioni nel 1937 a quintali 4 milioni e 903 mila nel 1952: cifra, questa, molto notevole quando si pensi che questa volta si tratta della sola Germania occidentale. L’onorevole Covelli ha trovato che è necessaria una animazione, una energia maggiore nell’attuazione dell’alleanza atlantica, in rapporto soprattutto ai nostri postulati particolari riguardo a Trieste. Non è che noi subiamo questa politica atlantica; è una politica collettiva che non si può formulare da soli e che si svolge in comune, apportando ciascun paese il proprio peso, il proprio contributo attivo e i propri problemi. Ho detto prima che è esatto che all’origine della CED vi è un iniziativa francese; ma l’onorevole Covelli sa che fu proprio l’Italia che subordinò la propria adesione all’ulteriore sviluppo verso la comunità politica. In questo senso possiamo dire che siamo andati oltre alle originarie proposte francesi; ma nel farlo abbiamo avuto di mira un senso nazionale – così interpretiamo noi! – degli interessi dell’Italia, soprattutto del mercato comune e del mercato del lavoro. Per quanto riguarda Trieste, non ho che da riferirmi alle dichiarazioni che ho già fatto. Quando ho detto: «nulla potrà farci deflettere dal perseguire e raggiungere l’obiettivo» (avevo prima parlato della difesa degli interessi nostri, degli interessi italiani in quella regione), accennavo anche che «ogni dubbio sulla fedeltà verso riconoscimenti solennemente dichiarati costituisce una remora nel Patto atlantico» , il che vuol dire che ci si riferisce a riconoscimenti contenuti nella dichiarazione tripartita; il che significa anche che fra l’opinione mia e quella dell’onorevole Covelli non c’è differenza. Anche l’onorevole Togliatti ha toccato l’argomento della politica autonoma; egli ha detto che l’Italia non ha dato mai contributo autonomo alla formazione di un punto di vista comune. Io dico invece: sì, preminentemente e prevalentemente abbiamo dato questo contributo per la formazione europea, e aggiungo anche che abbiamo preso l’iniziativa in questo caso ed anche prima, di chiedere la consultazione collettiva quando si tratta di problemi di grande portata che possono avere riflesso sui nostri interessi, sul nostro destino. Non è vero che riconosciamo uno Stato-guida nello stesso modo o analogamente a quello che riconoscono i comunisti nello Stato operaio o nello Stato bolscevico. Noi non siamo a rimorchio d’uno Stato-guida come l’America. Vi è una astronomica differenza fra i rapporti di stretta dipendenza che vincolano i paesi satelliti all’Unione Sovietica e i partiti comunisti di tutto il mondo al Partito comunista russo da una parte, e dall’altra le funzioni di preminente responsabilità che tutti i paesi liberi, a incominciare dal Commonwealth britannico, riconoscono agli Stati Uniti d’America, senza che ciò implichi, come numerose prove nostre ed altrui stanno a dimostrare, vincoli di soggezione o di subordinazione. In ogni caso, la politica nostra è europeista, non è una politica che noi abbiamo imparato da Eisenhower. È Eisenhower che ha preso nota della nostra politica, quando essa era avviata e poteva risolvere il problema. (Commenti a sinistra). L’onorevole Villabruna mi ha fatto rimprovero di non aver parlato della scuola. Non ho parlato della scuola come non ho parlato di molti altri settori dell’attività pubblica. Non vi era niente di immediato o di distinto, dell’attività finora svolta, che dovesse essere accentuato. Si fa molto scandalo per il mio collega Bettiol. Può essere che nei circoli politici l’onorevole Bettiol sia più noto per le espressioni colorite e talvolta drastiche della sua polemica dialettica; ma nei circoli universitari e scientifici, nella comunità scientifica egli è giunto all’apice, prima ancora di entrare nell’agone politico, e ha dato numerose volte prova della sua competenza, (applausi al centro), che gli ha dato anche l’onore di poter rappresentare il pensiero giuridico italiano in parecchi Stati esteri, in molte occasioni. Ma anche nelle numerose commissioni giudicatrici di cui egli fece parte, si dimostrò sempre giudice imparziale del valore dei candidati, parecchi dei quali, di ogni tendenza politica (qualcuno siede anche su questi banchi), hanno ottenuto la cattedra indipendentemente da ogni loro tendenza. Convinto che la scuola si difende nella libertà, egli crede sinceramente nella libertà della scuola, sia per quanto riguarda l’orientamento dell’articolazione da dare ad essa, sia per quanto concerne la forma istituzionale. Si parla, nell’ordine del giorno dei liberali, della apoliticità della scuola. Ma vorrei notare che l’apoliticità della scuola statale è già pienamente assicurata col sistema attuale di nomina e trasferimento dei professori di ruolo e non di ruolo, e con la formazione dei programmi che toglie al potere esecutivo ogni discrezionalità, in modo che nessuna azione politica può essere esplicata dal governo; semmai, tocca al governo – talvolta – di combattere l’azione politica dei partiti che tentano di svolgerla. È per questo che fu sempre possibile una piena e leale collaborazione fra i ministri e il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, presieduto sempre da un liberale, l’onorevole Casati prima, e oggi dal professore Arangio Ruiz . Quanto alla scuola privata, noterò che, mentre in passato la scuola privata laica aveva scarsa rilevanza, oggi le scuole private laiche periferiche raggiungono il numero di quelle private tenute da religiosi. Il controllo sulla scuola privata è effettivo, perché esercitato con riconoscimenti e prescrizioni e, soprattutto, con commissari di Stato nelle commissioni di esame per il passaggio di classe e negli esami di Stato al termine dei corsi. È accentuato nelle norme vigenti il carattere statalistico delle scuole di Stato. Nella nostra legislazione abbiamo conosciuto le scuole elementari «a sgravio», cioè tenute da enti, anche privati, che godono di un contributo statale in quanto alleggeriscono lo Stato da un onere derivante dall’istruzione elementare. Queste scuole sussistono tuttora e vi sono circa 2 mila classi elementari tenute da enti pubblici e privati, di fronte alle quali però lo Stato ha 162 mila classi elementari statali. Altri casi esistono nelle scuole popolari e materne, quasi tutte tenute soltanto da privati e sussidiate dallo Stato. Vero è che esiste la pressione, specie di docenti privati delle secondarie, perché sia resa possibile la loro equiparazione economica con quelle statali; questione che, fra molte altre, ha provocato anche l’inchiesta e delle proposte nella riforma Gonella. Ma non vi ho accennato perché non la credo di immediata attualità giacché si tratta di spese grosse. Bisogna prima discuterne tutta la possibilità di esecuzione e, comunque, in quell’occasione si potrà discutere anche sul principio. È certo che oggi, se abbiamo qualche possibilità di mezzi, dobbiamo concentrarla nello sviluppo dell’edilizia scolastica, come voi giustamente chiedete. È questo il programma anche immediato dell’attuale ministro, il quale, mentre dovrebbe studiare i mezzi più opportuni per incrementare nuove costruzioni, vorrebbe dare subito corso al piano pluriennale già predisposto d’accordo con la Cassa per il Mezzogiorno per le regioni più bisognose del sud. In relazione a quanto ha detto l’onorevole Saragat, che ha lamentato lo scarso sviluppo dell’istruzione professionale, si fa presente che la questione non è stata trascurata. Il ministero, consapevole della fondamentale importanza sociale del problema, ha dedicato in questi ultimi anni cure particolari a detto settore. In attesa del riordinamento generale dell’istruzione professionale, il ministero ha già ordinato 61 nuovi istituti, di cui 38 per l’industria e per l’artigianato, 8 per l’agricoltura, 9 per le professioni femminili, 2 per il commercio, 4 per il settore turistico ed alberghiero. Questo tipo di scuola, con il quale si viene incontro alle categorie lavoratrici, si è già dimostrato perfettamente rispondente alle esigenze delle categorie economiche, le quali hanno manifestato il loro compiacimento per quanto in questo settore la scuola italiana va realizzando. È da notare, infine, che l’esame dello stato di previsione della spesa del Ministero della Pubblica Istruzione, per quanto riguarda l’istruzione tecnica professionale, permette di constatare quale incremento si sia avuto in questo settore a partire dall’immediato dopoguerra. Basta segnalare che per le attrezzature e il materiale tecnico e didattico lo stanziamento relativo alla scuola di avviamento professionale dai 3 milioni e 800 mila lire dell’esercizio 1944-45 è stato elevato nel bilancio 1952-53 a 300 milioni, cioè ad una cifra 80 volte maggiore. Nello stesso settore della scuola di avviamento sono state inoltre realizzate 75 nuove scuole, mentre 510 corsi annuali o biennali sono stati e sono trasformati in scuole triennali complete. Ancora un argomento. Si è parlato dell’amnistia. Il governo si rende conto che da varie parti è stato invocato un provvedimento di clemenza a favore dei condannati politici, un provvedimento che tenga in particolare considerazione la posizione dei condannati latitanti. Occorre innanzitutto pensare che il provvedimento è di proporzione assai più ridotta di quello che generalmente si crede. Ho qui sentito, se non ho capito male, una cifra addirittura fantastica di decine di migliaia di persone. Invero il numero ufficiale dei latitanti condannati è di 319, e quello dei latitanti giudicabili di 47. Devesi tuttavia riconoscere che la posizione dei vari condannati in generale presenta disparità di trattamento giudiziario, specialmente per coloro che furono condannati prima dell’abolizione della pena di morte e coloro che furono condannati dopo questa abolizione. Qui non voglio entrare in lunghi dettagli tecnici del come dovrebbe attuarsi questo provvedimento di clemenza. Credo che basterà che la Camera – che dovrà occuparsene, naturalmente ex professo – prenda atto della nostra intenzione e del nostro buon proposito. Dovrei aggiungere che lo scopo, naturalmente, è quello della pacificazione; però bisogna fare in modo che questa pacificazione venga raggiunta, bisogna fare in modo che la riparazione di eventuali ingiustizie non crei altre ingiustizie. Un problema, come mi hanno detto i magistrati, non facile. Ma io vorrei che si tornasse a fissare i limiti di questo problema. Condannati con sentenza irrevocabile (parlo dei collaborazionisti al 30 giugno 1953), detenuti n. 225, latitanti n. 319, totale n. 544; giudicabili: detenuti 36, liberi 20, latitanti 47, totale n. 103, oltre a 12, che però hanno già riportato altra condanna irrevocabile e che sono compresi pertanto nella cifra anzidetta. Totale detenuti 261, liberi 20, latitanti 366, totale generale 647. Non voglio qui entrare in altri particolari sull’argomento, ma mi pare che questo limiti o configuri il campo della nostra azione in modo che i provvedimenti che si possono prendere siano concreti e definitivi. Mi pare che esista fra gli ordini del giorno una affermazione particolare riguardante i danni di guerra. È inutile che io dica che il governo, che aveva presentato un disegno di legge nella passata legislatura, è pronto a ripresentarlo e si augura che esso rapidamente venga accolto. Prima di chiudere, vorrei fare ancora un doveroso accenno. L’onorevole Togliatti ha attaccato con violenza il capo di Stato Maggiore, Marras, attribuendogli delle dichiarazioni e tirando delle conclusioni o facendo delle affermazioni sopra il suo passato. Il generale Marras dichiara di aver semplicemente detto ad Atene che i militari, anche comunisti, quando sono inquadrati nelle forze armate, tutti i militari alle armi, indipendentemente dalla loro fede politica, farebbero il loro dovere. Ciò, riferendosi essenzialmente alla capacità di inquadramento dei comandi. Questa la dichiarazione fatta ad Atene. Riguardo al suo passato, o all’episodio descritto dall’onorevole Togliatti, egli precisa: «la mia evasione dal forte di Gavi, dove ero detenuto nell’agosto del 1944, insieme con quella di altri due ufficiali, fu da noi organizzata con l’aiuto di militari del reparto di custodia, dopo oculata opera di penetrazione. Usciti dal forte, trovammo appoggio presso un piccolo nucleo di partigiani non comunisti…» (interruzioni a sinistra), «e soltanto dopo qualche giorno trovai con i miei due compagni di evasione ospitalità presso un più consistente nucleo di partigiani comunisti. Agli uni e agli altri fu portato un contributo di armi e munizioni sottratto al magazzino del reparto di custodia. Non ho mai promesso compensi né ricompense di sorta, né mi parve il caso di proporne, non essendosi verificati gli estremi per proporli. Fu soltanto mia cura che i militari che mi avevano accompagnato nell’evasione venissero sistemati in conformità ai loro desideri. Non ho mai mancato in seguito di dare appoggio nel modo migliore a me consentito a coloro che ebbero occasione di rivolgersi a me». Deploro vivamente l’attacco contro il benemerito capo di Stato Maggiore. Spero che le autorità dello Stato facciano sempre il loro dovere e non si lascino intimidire dalle diffamazioni che vengono da quella parte. (Vivi applausi al centro). Per quanto riguarda il ministro della Difesa, è vero che ha studiato a Oxford con inglesi, ma egli fu anche in Marmarica e ha combattuto contro gli inglesi. L’onorevole Togliatti, che io sappia, conosce il russo, ma non ha combattuto contro la Russia. (Vivi applausi al centro). Sta bene. [Dopo una breve sospensione della seduta, il presidente del Consiglio accetta di porre in votazione l’ordine del giorno presentato dall’on. Aldo Moro: «la Camera udite le dichiarazioni del governo, ritenendo che esse rispondano alle esigenze dell’attuale momento politico, le approva e passa all’ordine del giorno»]. presiDente. Onorevole presidente del Consiglio, mi riservo di chiedere, dopo l’esito del voto sull’ordine del giorno di fiducia, il suo parere sui quattro ordini del giorno che riguardano questioni particolari. De Gasperi. Sta bene. Desidero dichiarare che, semplicemente per una svista (di cui mi rammarico), non ho dato risposta all’onorevole Tinzl . È mio proposito estendere tutte le misure di pacificazione anche all’Alto Adige, dei cui problemi tratteremo in altro momento. [Segue la votazione della fiducia, per appello nominale e la comunicazione dell’esito della votazione da parte del presidente della Camera dei deputati: 582 presenti, 282 voti contrari, 263 voti favorevoli e 37 astenuti]. (La Camera non approva – Vivi applausi a sinistra – Dai banchi del centro si grida: «viva De Gasperi!» – I deputati di questi settori, in piedi, applaudono all’indirizzo del presidente del Consiglio – Commenti a sinistra). presiDente. In seguito al risultato della votazione non porrò in votazione gli ordini del giorno che riguardano questioni particolari. De Gasperi. Chiedo di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. De Gasperi. Chiedo la sospensione dei lavori affinché io possa comunicare al presidente della Repubblica le dimissioni del governo.
b2372eec-69a8-4945-861b-3bb2d6e77c9e
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Questa fu detta assai impropriamente «battaglia parlamentare», perché tolti alcuni incidenti nei quali l’azione degenerò in brevi intermezzi di calore e di colore, più che del cozzo di opinioni e dell’urto dialettico delle parti si trattò di operazioni di resistenza fondate sulla pazienza e capacità di sopportazione fisica; al più si potrebbe parlare di battaglia fredda e di guerra contro il calendario. Il nemico fu il tempo; vincerlo voleva dire per gli uni perderlo e, per i loro avversari, guadagnarlo. Da principio dominò in entrambe le parti la preoccupazione di non confessare, anzi di dissimulare l’ostruzionismo; poi il giuoco dell’abuso regolamentare divenne troppo serrato e insistente e si finì con l’ammettere e giustificare, poi addirittura col vantare e con l’esaltare il proposito ostruzionista . E si dovette sentir ripetere giorno e notte, con ipocrito accento, che si voleva impedire che la Camera deliberasse appunto perché si voleva garantire il rispetto delle sue deliberazioni. Come fu opaca e noiosa la sequela delle argomentazioni capziose che sotto la vernice di una difesa formalistica del regolamento tentava di soffocarne lo spirito! Qua e là, è vero, specie fra i socialisti della più vecchia generazione, fece capolino ancora qualche sprazzo di romanticismo sentito, ma i giacobini, i montagnardi della vecchia maniera scomparvero ben presto dietro la macchina massiccia e stereotipa del comunismo togliattiano. Ad un certo punto apparve manifesto che Nenni era soverchiato e il campo lo teneva Togliatti. E Togliatti alla fine parlò in tono di rottura e brutalmente, proclamando la sua intiera solidarietà coi forcaiuoli di Praga e con tutti i «compagni» che avevano conquistato il potere fra le due guerre, ed ora vi si mantengono, mandavano a morte i camerati di ieri. È il ragionamento di Danton e la giustificazione di Robespierre . Tutti gli italiani che per ingenuità o per debolezza non vogliono arrendersi alla cruda realtà di quella che è anche un’alternativa italiana, avrebbero dovuto ascoltare questa confessione appassionata e minacciosa e misurare il rischio che abbiamo corso anche in Italia, rischio che ancora reclama la vigilanza di tutti gli uomini liberi. Onore alla maggioranza che non si lasciò né lusingare né intimidire! In specie tutte le illusioni sulla friabilità del blocco democratico cristiano caddero ad una ad una. Esso fu compatto, assiduo, infaticabile, e resistette giorno e notte impassibilmente, animato dal profondo senso del dovere, con la chiara visione della sua responsabilità storica. Qui si rilevò la differenza tra le vecchie formazioni e clientele personali che si trovarono anch’esse una volta di fronte all’ostruzionismo e alla resistenza più efficace, vittoriosa delle organizzazioni di partito. L’opposizione commise il grave errore di credere nel ripetersi di un corso storico, svoltosi un cinquantennio fa, senza avvertire che i termini e le situazioni sono cambiate. Diversa è la struttura politica, diversa l’organizzazione dello Stato, più solida e al di fuori di ogni improvvisazione la base di governo. L’appello ai clubs rivoluzionari, alle commissioni che affluiscono sulle tribune parlamentari o vengono convogliate sulle piazze, rappresenta una tecnica che non ha più segreti per nessuno. Degna di lode fu la accortezza e la saggezza di quanti seppero mantenere l’ordine evitando ogni grosso e irreparabile incidente. Saremmo lieti di poter includere in questo riconoscimento, oltre le autorità responsabili, anche i più avveduti e i più moderati rappresentanti della opposizione. Della legge stessa c’è bisogno ancora di dire qualche cosa? No, non è una truffa, perché il premio è attribuito a qualunque partito e a qualunque schieramento che raggiunga la maggioranza assoluta entro la nazione. Ogni tecnica è discutibile, ma ogni osservatore oggettivo dovrà ammettere che questa legge è un onesto e nuovo tentativo di garantire la libertà italiana contro la minaccia bolscevica, pur tenendo aperte tutte le vie dell’evoluzione democratica e senza ricorrere a misure di forza. È una legge di limiti, non una legge di eliminazioni. Essa rappresenta l’appello, la fede nel suo buonsenso e nel suo destino. Non truffa nessuno, ma alla democrazia facilita l’organizzazione e la costituzione di uno Stato, libero dalle milizie di parte e dal terrorismo delle epurazioni e delle forche. Frattanto questa vittoria è vittoria del regime parlamentare. Il governo non ha altra ambizione che quella di avervi contribuito attirando in un certo momento su di sé, col voto di fiducia, la responsabilità decisiva. Ma in prima linea fu la Camera stessa che salvò la propria dignità e il proprio destino. Fu il presidente Gronchi che, assieme ai suoi collaboratori, pur nel travaglio di un proposito conciliativo, ma con senso preclaro di responsabilità e nell’illuminata consapevolezza del proprio dovere, moderò i dibattiti, intervenendo ora con longanimità, ora con energia a salvaguardare i diritti e la dignità di tutte le parti. Questo doveroso riconoscimento, che non gli può venir negato da nessuno gli sia di compensazione per gli ingiusti attacchi che non gli furono risparmiati. Questo episodio di vita parlamentare avrà ancora nel paese, penso, larghissima eco e forse al Parlamento ulteriori sviluppi. Noi non temiamo, anzi invochiamo, il responso del popolo. Inutile minacciare, come fece pure ieri Togliatti, ripetendo il gesto della scarpa chiodata. Abbiamo l’impegno di salvaguardare la libertà della nazione e manterremo l’impegno con prudenza ma con irremovibile fermezza.
5351edd5-8ab9-4262-9480-d7859a33a039
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
All’on. Gronchi, presidente della Camera dei deputati – Al termine della tua grande, meritoria, fatica, mi è gradito assicurarti che i tuoi sforzi tenaci di salvaguardare la dignità e l’operosità della Camera nella libertà e nei diritti di tutti, sono universalmente apprezzati e che a te e ai tuoi più vicini collaboratori va tutta la nostra riconoscenza. Ti prego di farti interprete della nostra gratitudine anche presso i funzionari e il personale tutto.
c26821df-499f-4c16-8d16-a875bd6cd954
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
All’on. Scelba, ministro degli Interni – Mi felicito dell’opera tua assidua ed energica coronata alla Camera da successo ed assecondata nel paese dalle forze dell’ordine e dallo spirito di autodisciplina della nazione .
898df3bc-851a-4821-a3b1-d8eea6b83069
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Al Direttivo del gruppo parlamentare Dc della Camera dei deputati – Testimone assiduo dell’opera avveduta, energica ed infaticabile del Direttivo, riconfermo l’espressione del mio ammirato apprezzamento e vi prego di trasmettere ai colleghi del gruppo i miei sentimenti di plauso e riconoscenza.
6b05c637-aa44-4132-8432-8043beebf40f
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presidente del Consiglio ha iniziato esprimendo il suo compiacimento e la sua ammirazione per l’avvenuta rinascita della cooperazione in Italia, della quale la rassegna delle cifre fatta durante il Convegno è una prova evidente. Egli si è compiaciuto soprattutto perché le cooperative si specializzano sempre più e, provvedendo a particolari interessi delle categorie rappresentate, restano fedeli alla loro origine. L’on. De Gasperi ha posto in particolare rilievo l’importanza della creazione di una federazione di cooperative della pesca; egli ha ringraziato coloro che hanno presieduto a questa rinascita delle cooperative, perché si trattava di ricostruire con fede e con impegno dopo l’amarezza di tanti anni di sepoltura. La seconda osservazione fatta dall’on. De Gasperi si riferisce alla sua esperienza giovanile nel settore della cooperazione; gli stessi problemi che si dibattevano cinquanta anni fa, le stesse richieste formulate ai governi di allora si ripresentano oggi. Non c’è stato, dunque, progresso? Non bisogna dimenticare che ci sono state due grandi guerre, che hanno distrutto quello che specificatamente si era fatto. In un certo senso, possiamo dire di avere fatto il lavoro delle formiche, che raccolgono e raggranellano; ma ad un certo momento, la bufera distrugge tutto. È stato vano il nostro agitarsi? Qualcosa si è salvata; si sono salvati alcuni semi della cooperazione. Un senso di scoraggiamento si tramuta in fiducia. A che cosa giova il nostro lavoro quotidiano? Non è in questa domanda che bisogna perdersi. Non bisogna chiudersi in noi stessi: ci metteremmo in un formicaio, e domani la bufera ci schiaccerebbe, se non sapessimo salvarci cercando la pace e garantendo la tranquillità. Ecco perché io sento di essere al servizio vostro, al servizio della cooperazione, anche quando dalle varie cooperative di consumo, di lavoro, di produzione, passo ad occuparmi di quella che si potrebbe chiamare la cooperativa di lavoro europea. Tutto il nostro lavoro sarebbe vano se non riuscissimo a risolvere il problema di come ridare la speranza della tranquillità nell’ordine, di come costruire la pace, renderla solida, tener lontano lo spettro della guerra. Se questo riesce, riesce tutto. L’intervento del governo, lo sviluppo delle energie personali, lo sforzo collettivo di progresso: tutto ciò si sta consolidando, ma abbiamo bisogno di una atmosfera di pace. In questi giorni, e non soltanto in questi giorni, tutto l’indirizzo della nostra politica si rivolge a questo interesse supremo: creare l’ambiente in cui gli uomini che sono onesti, che hanno spirito di iniziativa, fantasia, possano sviluppare questo lavoro; creare veramente una società che abbia la spinta del progresso sociale, la base della giustizia e della libertà, il senso della sicurezza. Giudicate, amici miei, la vostra attività da questo punto di vista. Se dobbiamo sostenere la necessità della difesa militare, lo facciamo non certo per spirito di avventura, ma per creare questa difesa e questa sicurezza, per lo sviluppo della nostra società. Il popolo vuole le cose semplici, chiare, tranquille, ordinate. E forse a taluno può sembrare che un dominio comunista, dittatoriale della classe operaia, che si imponga, se occorre, qualche volta, con il terrore, potrebbe dare quella quiete, tranquillità, quell’ordine, necessari perché possa svilupparsi una vita di giustizia distributiva e di giustizia sociale. E chissà se non esistesse avanti a tutto una preoccupazione morale, una questione dello spirito, chissà se anche noi non potremmo soggiacere a questa seduzione. Ma abbiamo l’esperienza della storia. Ma sappiamo bene che accanto alle formiche che costruiscono ci sono anche le termiti che rodono le radici dell’albero, distruggono le sostanze nutritive della pianta. Esistono termiti che rodono nello spirito e nella sostanza spirituale del popolo, che gli tolgono la speranza e gli ideali, che lo costringono ad una legge di materiale passaggio, senza speranza nell’al di là. Ecco che ritorna la questione morale, la questione della nostra anima, della nostra storia, ecco che al problema sociale si aggiunge il problema dello spirito e del sentimento. Ed il pericolo ha due nomi: la bufera che potrebbe investirci, le termiti che rodono l’albero, quasi che l’albero fosse un seme gettato per caso, e non ci fosse l’occhio vigile della Provvidenza. In Europa non esiste altra alternativa che questa, e i popoli – stanchi di queste continue guerre, amareggiati, risentiti, o per sentimento patrio o per sentimento di reazione – si getteranno verso una soluzione qualsiasi, anche comunista; o, invece, si avrà una ricostruzione europea. L’on. De Gasperi ha ricordato che le speranze espresse da Stalin riguardano una discordia fra le nazioni democratiche ed ha soggiunto: egli spera, anzi è certo secondo la dottrina marxista, che l’Inghilterra sarà sempre gelosa dell’unità continentale; egli spera che la Francia sarà sempre contro la Germania, che la Germania sarà sempre prepotente e sul punto di attaccare la Francia; egli spera nelle questioni secolari, che precipitano ogni venti, trent’anni, rendendo la vita europea impossibile, cosicché gran parte della gente finisce col dire: questa non è una vita; questa è una situazione che non può andare, questa non è la pace. Non vi è dunque altra soluzione che la concordia tra le nazioni europee; e per ottenerla non basta mettere accanto le nazioni europee, bisogna fonderle insieme se occorre arrivare al punto al quale perverranno gli Stati Uniti: liberi i singoli Stati in certi settori, ma in quelli della pace e della guerra una volontà politica sola, che è la volontà del popolo che vuole essere libero e vuole consolidata la pace. Nel rilevare che la unificazione degli Stati americani ha portato anche ad uno straordinario sviluppo economico e sociale, l’on. De Gasperi ha sottolineato che noi europei dobbiamo fare qualcosa di analogo, cominciando con il creare il mercato unico. Dopo l’esperimento americano, e contro l’esperimento bolscevico, comincia l’esperimento europeo. So che esistono molte difficoltà, so che si tratta di un problema molto arduo. Ma noi intendiamo risolvere le questioni una ad una; non importa se non ci si arriva oggi; si arriverà domani; se non arriveremo noi, arriveranno i nostri figli. La speranza del progresso sociale, l’ottimismo illuminato che sono state le forze degli Stati Uniti si sono accompagnati alla fede in Dio, invocato in tutti i monumenti della storia americana, in tutte le cerimonie, nella stessa giornata del «Ringraziamento» che si celebra ogni anno; mentre da noi, fino a pochi anni fa, si aveva quasi vergogna di nominare Dio. Dobbiamo forse noi, amici miei, imparare da coloro che sono lontano da una Sede tradizionale come quella di Pietro? Dobbiamo noi imparare da loro a tenere alti gli ideali? No, io credo che in tutti voi palpiti questo senso di speranza nel progresso sociale, speranza soprattutto in un avvenire lieto perché fiducioso nell’assistenza divina. Così Cristo, nostro fratello cooperatore, ci aiuti.
51b5b178-df28-4b34-a4a7-267c96b9aab7
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Se questa mia parola volesse essere una esortazione, la vostra radio, nella cronaca delle offerte e dei doni, mi ha già dimostrato che essa sarebbe superflua. Istintivamente, automaticamente, per impulso spontaneo di natura, tutti gli italiani si sentono colpiti come da una comune sciagura e tutti vorrebbero proteggere, intervenire, aiutare. Qual è dunque questa legge imperiosa che impone il dovere di solidarietà fra i popoli che poco si conoscono e sono così lontani, da dover cercare sulle carte geografiche perfino i nomi dei paesi sommersi? È il rischio irresistibile della fraternità umana, la voce del sangue che echeggia nei simili in simile modo, il senso di pietà per un tragico destino, ieri nostro, oggi loro, domani forse d’ignoti che attendono l’ora ignota: il fato della tragedia greca, inesorabile, come inesorabili appaiono le forze scatenate della natura? Si, è questo e tutto questo, ma è anche altro, ancora di più intimo e di più profondo. È il senso della comune storia, una fraternità morale che si è formata attraverso i secoli di civiltà, insieme acquisita, pur alternando concorsi a contrasti, maturata nell’esperienza dolorosa dei secoli, stabilita e consolidata dagli uomini più illuminati di ogni nascimento e di tutte le epoche. È una voce di una comunanza che si fa consapevole e irrompe nel presente, con tutte le vibrazioni del passato. Di queste vibrazioni alcune si professeranno cristiane, altre solo umanistiche, ma comunque vengano chiamate esse provengono dal patrimonio della civiltà europea, e il loro ripresentarsi alla ribalta della storia, perché evocate da un disastro che, o nelle carni o nella fantasia, tutti ci colpisce, crea quella solidarietà nel dolore e nell’opera di soccorso che tutti ora ci penetra e ci muove. Poiché tale è il felice fatto che si compie anche in Italia, rispetto ad esso non ho da esortare, ma solo da lodare, e confortarmi che la riconoscenza si dimostri in Italia una virtù automaticamente nazionale e che la consapevolezza di questa solidarietà europea si manifesti e nella profondità dei sentimenti e nella generosità delle offerte; mi rivedo ancora dopo più di un anno, sulle rive desolate della fiumana, mentre sotto l’inesorabile cappa di piombo del Polesine vagavano come fantasmi le barche di salvataggio; colla stessa trepidazione, con lo stesso desiderio di salvezza, tutti noi italiani, uomini, donne, bambini, tendiamo le mani a voi sventurati, che disperatamente aggrappati alle vostre case invocate aiuto dagli alberi e dai tetti. Non vi conoscevamo, non sappiamo se siete olandesi, belgi o inglesi o di che altra lingua, ma sentiamo e sappiamo che siete compagni dello stesso destino, fratelli d’una stessa umana famiglia e su voi che attendete la salvezza e su gli altri fratelli che accorrono in soccorso da tutti i paesi, invochiamo l’occhio vigile del Padre comune affinché il vostro spirito di sacrificio sia premiato, e sia esaltato l’eroismo di coloro che per quella dei fratelli mettono a rischio la propria vita.
4853e5e3-2192-4a24-9e7a-b95967db5b3b
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il mio ormai vetusto incarico di presidente del Consiglio dei ministri mi procura per la quarta volta l’onore di presenziare all’insediamento nell’altissimo ufficio di presidente del Consiglio di Stato. La ferrea legge dei limiti di età ha portato a succedersi in questi anni dell’alto ufficio: Leonardo Severi . La loro esperienza, la loro saggezza unite alla vostra feconda collaborazione hanno saputo rinnovare nell’Istituto le sue più luminose tradizioni. Tangibile prova dell’oculata e ponderosa attività del Consiglio di Stato è la relazione che Leonardo Severi ebbe a presentarmi recentemente. Percorrendo quelle pagine, il nostro pensiero non può non ritornare, in un grato saluto, a questi uomini che negli ultimi anni hanno guidato la vostra opera, per ricongiungerla a quelle ideali esigenze di giustizia amministrativa che sono elemento fondamentale di uno Stato democraticamente organizzato. A Leonardo Severi succede Raffaele Pio Petrilli, che unisce alla profonda conoscenza acquisita sullo scanno del giudice e sul banco dell’avvocato la larga esperienza delle esigenze politiche dell’amministrazione, che è chiamata a svolgere la sua quotidiana azione nel rispetto della legge ma anche sotto l’urgenza di istanze sociali. Non inutilmente la Costituzione repubblicana affida ad un unico organo, al Consiglio di Stato, la duplice funzione di organo ausiliario del governo e di supremo tutore degli interessi dei cittadini nei confronti dell’amministrazione affinché l’una funzione tragga guida e consiglio dall’altra, sulla base di una preparazione non soltanto ispirata dai dogmi giuridici, ma anche permeata dalla conoscenza dei problemi e delle necessità dell’amministrazione. A Raffaele Pio Petrilli con sicuro animo è affidata la continuazione delle storiche tradizioni dell’Istituto per farne base di quello Stato che la nostra fatica quotidiana intende rendere sempre più saldo presidio delle libertà democratiche.
61ce33ba-70a0-41e5-abb0-1ff6624ed69b
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Cari amici della provincia di Milano, nei grandi momenti, nelle grandi occasioni, ho sempre avuto la fortuna di questi incontri con uomini sperimentati nella organizzazione, ma sopratutto ormai radicati nelle nostre concezioni programmatiche e fissi e solidi nella volontà dei nostri progressi come partito e come movimento sociale. Permettetemi in questo momento che io colga l’occasione per esprimere alcuni pensieri di politica generale che valgono per voi, che valgono anche per molti altri del nostro paese. Avrete osservato – e permettete che io esprima questa impressione, poiché vengo direttamente dai dibattiti parlamentari – che al Parlamento e fuori del Parlamento, nelle agitazioni nel paese, ci troviamo dinanzi ad un tentativo di audace inversione della situazione. I nemici della democrazia, i partigiani del sistema totalitario, non solo autoritario, e tutti, in Italia, i negatori del sistema parlamentare, i rivendicatori, i restauratori, gli esaltatori della rivoluzione e della guerra civile – sia che pensino alla rivoluzione di carattere sociale, sia che pensino alla rivoluzione di carattere nazionalistico – coloro, insomma, che hanno ancora la nostalgia del nazifascismo di Hitler, che pensano ancora al ritorno delle camicie nere e delle camicie brune, e sopratutto coloro i quali pensano al dominio delle camicie rosse, coloro i quali sono arrivati al potere attraverso le rivoluzioni, la ribellione contro tutte le Costituzioni, sciogliendo i Parlamenti e finendo con Hitler, tutti costoro accusano noi, partigiani dell’ordine, partigiani della Costituzione, di essere contro la Costituzione, di essere contro la libertà, di preparare noi stessi la rivoluzione. Ora, questo tentativo audace di inversione è affidato alla violenza della propaganda. Io spero che si troveranno di fronte la durezza e la solidità del senso comune del popolo italiano. Come mai costoro, rappresentanti di una tendenza, di un principio di governo che porta alle forche di Praga, e fa penzolare da quelle forche, non gli avversari, ma coloro che fino a ieri hanno collaborato con essi stessi nella costituzione del regime, come mai costoro possono trovar credito presso il popolo italiano come difensori della libertà e possono trovar credito le accuse che essi ci fanno di mancare ai principi fondamentali della Costituzione? Se voi vi trovaste ad assistere a certe sedute del Parlamento, avreste l’impressione tattile di quella che era una volta la scuola rabbinica, la scuola talmudista, i cui membri – voi ricordate il Vangelo – controllavano la collezione della casistica rabbinica per dimostrare la necessità della purezza, la necessità di difendere la forma, i regolamenti, la necessità di stabilire norme rigorosissime di vita e sopratutto si preoccupavano della purezza degli abiti, delle cose, degli animali, degli uomini: la casistica rabbinica, dicevo, che tanto ha tormentato nostro Signore, quando ha voluto dar sostanza alle cose e sopratutto superare le questioni di forma . Quando assisto a certe discussioni parlamentari che vanno perdendosi nelle questioni procedurali fino all’infinito, di cui si usa e si abusa, per osteggiare la volontà democratica della maggioranza, mi pare proprio di trovarmi dinanzi agli eredi di questa scuola rabbinica; e mi pare un po’ che meritino anch’essi le invettive che una volta i loro antenati hanno meritato per parte sopratutto di Colui che era venuto a portare la luce nella sostanza delle cose. E in verità noi non abbiamo peccato in nessuna forma, né contro i regolamenti, né contro il contenuto, né contro la sostanza. Ma in fondo gli antichi farisei erano ancora scusabili perché tutta questa casistica, i rabbini, i maestri, gli scribi la facevano per creare regole di vita nella quale credevano, perché essi credevano nel testo della rivelazione. Questi rappresentanti di partiti totalitari, di partiti essenzialmente antidemocratici e anticostituzionali credono veramente alla causa che dicono di difendere? Non possono, non hanno il diritto di credervi poiché le prove e i fatti sono contro di loro. Non vorrei fare un torto ai farisei dicendo a questi nostri proceduralisti che dobbiamo riconoscere nelle procedure delle precauzioni necessarie per difenderci contro i tentativi, la seduzione degli arbitrii e degli abusi. Questo lo riconosciamo. Ma il fondamento è questo: il Parlamento si basa sulla libertà di discussione – è vero – ma esso agisce solo nella possibilità della decisione; se impedite questo, impedite l’essenza della Costituzione, siete contro la Costituzione, negate le regole fondamentali della democrazia. E quale è questa determinazione con la quale si insorge? Non ho bisogno di tornare alla spiegazione della legge elettorale. Ve l’hanno spiegata tanti e del resto voi stessi l’avete compresa. Si potrà discutere sopra la tecnicità di questa legge, ma questo è certo: che è una legge la quale migliora la situazione del principio assoluto di maggioranza, attenua la situazione del principio di proporzionale e quindi non fa torto a nessuno, poiché stabilisce che chi decide sia la maggioranza del popolo. Se domani il popolo italiano ci dà la maggioranza, allora abbiamo l’applicazione della legge; se non ci dà la maggioranza l’applicazione non c’è. Quindi l’ultima parola, la parola decisiva è affidata liberamente ai comizi elettorali e alle decisioni del popolo. Perché abbiamo fatto questa legge? Devo ancora ripetere le ragioni fondamentali sulle quali vi prego di concentrare la vostra attenzione. L’abbiamo fatta per assicurare la maggioranza al Partito democratico cristiano? No. Io ho la profonda convinzione, mai persa, nonostante certi insuccessi nelle elezioni amministrative, che noi ci troviamo in Italia innanzi a questa situazione. La grande maggioranza del popolo italiano non vuole il totalitarismo, ha paura del totalitarismo; brontola, sì, sul Parlamento, sulle leggi, sulla insufficienza del governo, ma quando arriva a una decisione, la grande maggioranza sente che il pericolo esiste, che le forche di Praga non sono un incidente qualsiasi, che gli orrori della repressione nazista sono appena passati e potrebbero tornare (e io ho orrore a pensare ancora al processo di Verona). Tutti questi fatti agiscono sulla volontà, sul sentimento e portano ad una resistenza assoluta contro il pericolo bolscevico. Non esiste il timore che in Italia si trovi liberamente una maggioranza per chi è incline a tali soluzioni. Ora noi ci potremo lasciar portare sull’ondata di questa reazione. Senza dubbio ci vogliamo portare alla conquista del potere, noi come partito, se si trattasse solo di conquista di potere, se si trattasse del momento presente. Ma noi dobbiamo pensare al di là della mareggiata che potrebbe portarci tanto avanti. Bisogna pensare, viceversa, a poter costruire delle dighe con il cemento interpartitico della democrazia. Dobbiamo creare una situazione solida in Italia e non pensare semplicemente al momento attuale. E per questo abbiamo pensato al sistema elettorale il quale concentri le forze di centro e divarichi gli estremi. Taluno penserà che è esagerazione il credere che domani il pericolo possa venire tanto dall’estrema destra quanto dall’estrema sinistra. Ebbene, guardatevi attorno: presentemente, in Europa, il pericolo grave è quello di queste due forze che possono coalizzarsi per rendere impossibile la ricostruzione, per negare e distruggere. Recentemente hanno chiesto al capo del Msi chi scegliesse fra De Gasperi e Togliatti. De Marsanich ha risposto: «non mi pronuncio!». È un bell’imbarazzo, perché nel loro cuore ambedue devono sperare di essere i più abili corridori, i più svelti per vincere in antiparlamentarismo. È già avvenuto nel ’19, nel ’20, che i partiti di destra rovesciassero la Costituzione democratica impadronendosi del potere per impedire che ciò facessero i comunisti. Oggi i tempi sono cambiati. Oggi c’è Stalin dietro le spalle dei comunisti. E anche se i comunisti perdessero forze nelle singole nazioni, c’è sempre la possibilità di essere coinvolti in un conflitto. In ogni caso Stalin dirige – ha detto nel suo congresso – dirige lui stesso le brigate della rivoluzione, sopratutto nei paesi come il nostro e la Francia. Questo fatto è un punto talmente determinante fra le due concorrenze che bisogna dire che ci sono davvero fra gli estremisti di destra delle speranze di riuscire prima, a dar la svolta abbattendo la democrazia e sostituendola poi con un governo autoritario. Si sbagliano. È un grosso inganno. E noi non abbiamo nessun interesse a permettere che essi si ingannino. Perciò è nostro sommo interesse tenerli lontani da questa possibilità, cioè, dal concorso delle due forze negative e dall’osmosi fra gli uni e gli altri, avvenuta già perché si trovano nelle file comuniste molti venuti dall’altra sponda. C’è, oltre a ciò, una unione accidentale in parecchi casi. E abbiamo trovato, nelle ultime circostanze, questa alleanza che ci combatte col pretesto della legge anticostituzionale e col pretesto di salvare il Parlamento. Che ci siano questi ricongiungimenti accidentali, casuali, periodici è un brutto segno, ma non si garantisce con ciò a nessuno quella possibilità di credere che chi potrebbe vincere sarebbe l’anticomunismo in senso nazionale o in senso nazionalistico. Quindi si tratta di una realtà. Il pericolo principale, il pericolo più grave è il pericolo comunista. E chi lo favorisce è sopratutto chi adotta nella tattica del combattimento per opporsi al comunismo, le stesse armi che il comunismo usa in Italia contro la democrazia. La legge. La legge cerca di riorganizzare le forze – attorno ad un centro che non può essere che il centro democratico cristiano – che hanno basi comuni di libertà e di democrazia; e d’altro canto, non creando incentivi all’unione con forze che non possono avere un programma comune, fa sì che non sia possibile la congiunzione delle due forze negative, ossia delle forze che sarebbero in grado di impedire la costituzione di un ministero fondato su una collaborazione programmatica di intese. Questo la maggior parte del popolo italiano ha capito: questo è lo scopo della legge. L’hanno capito anche i nostri avversari. Fra noi, fra la gente buona, d’ordine, c’è però un’altra obiezione: ma in fondo non c’è poi questa alternativa fra democrazia da una parte e totalitarismo dall’altra. C’è per esempio un principio di maggiore autorità, l’aspirazione ad un governo più energico, ad un governo fondato sopra una base più sicura, più solida. Ed è vero. Questo è verissimo. Il governo democratico corre il pericolo di essere debole in certi momenti nel suo intervento. Ma non è che sia debole per il sistema stesso: è debole o per gli uomini che non sanno interpretare il giusto momento o perché in una certa circostanza, in un certo problema, la possibilità di misure rigorose, sia pure secondo lo spirito della Costituzione, non esiste. Ad ogni modo, coloro i quali dicono: più autorità, possono aver ragione; ma è un gravissimo pericolo. Ora, il governo autoritario, in teoria, non è governo totalitario: è governo d’ordine, che impone dall’alto, con la forza, certe regole, certe esigenze, certe provvidenze necessarie in un dato momento. Non vogliamo giudicare e sentenziare sulla situazione di altri paesi e sull’atteggiamento dei cattolici di altri paesi; però, l’esperienza mi dice che il governo autoritario facilmente scivola nel governo totalitario, facilmente finisce con l’urtarsi contro i princìpi della democrazia. Proprio in questi giorni ho avuto in mano le Memorie di von Papen e mi sono ricordato di aver scritto, ai tempi del fascismo e sotto altro nome, uno studio per dimostrare agli amici che bisognava difendere la libertà e il sistema parlamentare. Feci allora la storia del Centro Germanico , dei cattolici tedeschi sotto la direzione di Windthorst contro Bismarck, il «cancelliere di ferro». Oggi vorrei scrivere un altro volume, rileggendo le Memorie di von Papen. Questi è un uomo del centro, che si è staccato dai cattolici, che, lentamente, ha assunto un atteggiamento autoritario e ha formato il famoso governo che poi ha preparato il terreno per il passaggio ad Hitler. Ebbene, leggendo le sue Memorie – che sono, naturalmente, un tentativo, come tutte le memorie, di apologia e di difesa del proprio atteggiamento – voi trovate questi episodi che fanno pensare. Von Papen si presenta assieme a Schleicher , che era il ministro della Difesa, a Hindenburg, che era il presidente della Repubblica, e comincia a parlare di un sistema di governo che dovrebbe sostituire il sistema claudicante dei partiti. Perché, in genere, come si faceva allora in Italia ai tempi del fascismo, come s’è fatto poi ai tempi del nazismo, si comincia in genere a parlare dei malanni che i partiti portano all’interno o all’esterno di un dato paese e quando si è al colmo di questa critica aspra, negativa e demolitrice, allora si pensa sia possibile, attraverso una legge speciale, attraverso un atto di energia, attraverso un uomo che sorga e imponga la sua volontà, mettere ordine e tranquillità in tutte le cose. Difatti, bisogna credere che la volontà degli uomini che partecipano a questi regimi e cercano di attuarli, in genere non è dittatoriale nel senso della crudeltà. Probabilmente, nemmeno Stalin ha cominciato in questo modo. Ma le conseguenze vengono poi, fatalmente. L’altro ragionamento è che bisogna coinvolgerli nella corresponsabilità governativa, chiamarli al governo e, attraverso la loro collaborazione concreta, indurli ad accettare il comune sistema democratico. È questo un argomento che viene ripetuto da von Papen. Ebbene, quest’uomo che, senza dubbio, voleva evitare il totalitarismo nazista, si trovò un bel giorno di fronte a Hitler che gli disse: «voglio tutto il potere, voglio essere cancelliere!». È successo anche a Mussolini dopo la «marcia su Roma». E non c’è stata per due mesi nessun’altra possibilità di trovare altra soluzione, fino a che von Papen si presenta al presidente della Repubblica, Hindenburg, e gli dice: «signor presidente, per salvare la Germania non c’è altro che fare come ha fatto Bismarck ad una certa data della storia, quando ha consigliato al re di Prussia di passare sopra alla Costituzione per il bene dello Stato». Voi sapete che il vecchio maresciallo in un primo momento aveva annuito, poi, sotto altre pressioni, scelse la tesi di Schleicher, la quale fu davvero quella che poi consegnò il governo ad Hitler. Dunque, questo cattolico, questo conservatore, questo uomo d’ordine, il quale non avrebbe mai pensato a un regime tirannico e autoritario nel senso di accentrazione del potere, ad un certo momento non trova altra soluzione che di violare la Costituzione. Io poco fa ho irriso al formalismo farisaico e a certe procedure attuali di chi ritorna a quelle forme per fare dell’ostruzionismo. D’altro canto, però, non bisogna che i cattolici nella vita pubblica lascino sorgere il minimo dubbio circa la loro lealtà politica. Questo era l’insegnamento che volevo ricavare quando scrissi lo studio su Windthorst e il centro germanico, e questo insegnamento vorrei ribadire scrivendo un altro capitolo dimostrante dove avrebbe condotto l’esigenza in senso contrario. Amici miei, anche il governo di coalizione, che lavora insieme ad altri partiti, deve tener conto di una certa linea di divergenza, deve tener conto di esigenze particolari. Ciò comporta le sue difficoltà. E la coalizione, cioè tutto il sistema di limiti, diventa particolarmente dura per un partito che è forte, che sente in se stesso una grande forza di espansione e che riveste princìpi fondamentali di carattere spirituale e, direi, apostolico e propagandistico. Questo è vero. E io non vorrei che voi credeste che io abbia mai pensato che questo sistema naturale di collaborazione non abbia anche i suoi torti, non abbia le sue conseguenze. Io comprendo che alcuni dei socialdemocratici recalcitrino contro la necessità di dover inquadrarsi in una coalizione, la quale impedisca il libero e totale sviluppo del socialismo. Io comprendo così che i liberali sentano dei limiti e siano insofferenti di fronte a questi limiti, sopratutto di fronte al fatto che la maggioranza cattolica governi secondo certi princìpi sia pure garantiti dalla Costituzione e che corrispondono sopratutto originalmente alla tendenza spirituale del popolo italiano. Ma se ammetto questo per i miei colleghi e i miei collaboratori, devo ammetterlo con forza maggiore per il mio partito, per quel partito che si sacrifica di più. E, senza dubbio, bisogna aver appartenuto ad una vecchia scuola di esperienza, di pazienza, di comprensione per comprendere ciò. Voi avete – almeno i più anziani di voi – fatto la vostra esperienza nei Cln; gli altri l’han dovuta fare, la devono fare nei municipi, trovandosi assieme ad altri partiti. Io l’ho fatta ancora prima e sopratutto all’Aventino. Non si ricorda più che cosa era questo Aventino. L’Aventino fu per alcuni mesi in realtà un ripetersi di riunioni fra rappresentanti diversi e lontani di partiti, fra Turati e De Gasperi, fra liberali di estrema tendenza e moderati. E questa gente era unita dal senso della libertà e voleva difendere i princìpi morali che allora, dopo l’attentato a Matteotti, erano stati compromessi; era unita e in ogni modo – nella presentazione di ordini del giorno e nelle discussioni – lottava. C’era lotta, c’era odio da una parte e dall’altra, ma c’era anche sforzo di unità. Specialmente in quei mesi in cui chi scriveva i comunicati era l’onorevole Modigliani – abilissimo socialista, con tutte le abitudini della sua razza – difficile era per un uomo come me vigilare riga per riga perché non si passasse quel dato limite e non si dicesse niente di contraddittorio coi princìpi nostri. Quella nostra difesa, praticamente, è stata la nostra scuola. E ha inciso così forte, sopra di me e sopra i miei collaboratori di quel tempo da contribuire alla collaborazione nei ministeri che seguirono dopo la Liberazione. Ma non è che noi con ciò vogliamo mortificare il partito, attenuare la forza espansiva del partito. Bisogna raggiungere questa doppia meta: guadagnare degli amici e tuttavia come partito non perdere l’anima. Nella vita amministrativa sopratutto, allorché gli affari concreti vi sommergono in una certa comune responsabilità o nella vita politica quando le condizioni reali vi conducono a certe conclusioni, a certe collaborazioni. Allora due regole sono necessarie: la lealtà dei rapporti coi vostri collaboratori, ma anche la sincerità del vostro atteggiamento interiore. Ma sopratutto, voi dovete, nell’interno, tenere accesa la fiamma della vostra idea, perché tutto questo che facciamo per il nostro paese, tutti gli adattamenti che si presentano come necessari lo sono in nome della convivenza civile. Siamo i1 partito più numeroso, più responsabile che abbia in questo momento la nazione italiana e se venisse a crollare la forza organizzativa, la forza interna del Partito democratico cristiano, la democrazia in Italia sarebbe perduta. Perciò, amici miei, io che forse più degli altri, sono il patrono di una organizzazione di coalizione, della collaborazione con gli altri partiti, perché la ritengo necessaria dal punto di vista delle esigenze internazionali, tuttavia vorrei concludere raccomandando a voi – se è necessario che io lo raccomandi – raccomandando a tutti noi che occorre essere leali, ma occorre anche essere forti. Forti nella preparazione organizzativa, e a questo ci pensate voi, amici del partito, voi collaboratori, voi che sedete a questo tavolo siete qui rappresentanti di questa responsabilità di sezioni e di province. E permettete che allora io, come rappresentante dell’altra necessità della collaborazione, vi ringrazi in modo particolare, perché so che da voi e dalla vostra forza dipende la forza mia e la forza di un governo di coalizione e la forza in genere della nazione italiana. Vi ringrazio per questo. Ma accanto all’organizzazione è necessaria anche una preparazione programmatica. Non bisogna perdere l’anima del partito, cioè non bisogna venir meno nella fiamma e nello spirito che ci deve animare. Abbiamo due fonti per questa nostra alimentazione interiore. La prima è la scuola cattolica sociale. La maggior parte, anzi quasi tutti noi, veniamo dalla scuola cattolica sociale, abbiamo imparato a traslare i princìpi cattolici sociali in politica. La scuola cattolica sociale, i grandi princìpi evangelici di fratellanza e di giustizia. Ma non dobbiamo dimenticare la necessità di risalire alle sorgenti evangeliche del nostro pensiero, perché lì sta la forza. E per risalire a queste sorgenti dobbiamo praticare gli stessi princìpi, dobbiamo vederli in pratica, attuarli; e ritengo che questa nostra ispirazione religiosa è fondamentale, perché l’anima del nostro partito non vada perduta. I princìpi non bastano, i princìpi generali troviamo nei grandi insegnamenti delle encicliche; sono princìpi generali che valgono per le diverse occasioni, per le diverse età. Noi dobbiamo vederli nel concreto dell’applicazione. Ed ecco la seconda fonte della nostra direzione: la esperienza storica. Una delle conclusioni più chiare di questa esperienza è quella cui accennavo prima. Non bisogna far dubitare della nostra lealtà costituzionale, cioè della nostra accettazione degli strumenti di convivenza civile che oggi si chiamano democrazia. Non bisogna far sorgere il minimo dubbio, perché altrimenti sminuiremmo la nostra forza e sminuiremmo anche la forza della suggestività del nostro atteggiamento, della nostra azione. Questa è la prima. E la seconda è questa. Se vogliamo conquistare le strutture della democrazia, se vogliamo conquistare la democrazia dobbiamo aver fede in questo organismo, nonostante i difetti che ci sono; considerare, sì, che c’è ancora di meglio nella esperienza umana, aver sempre il proposito di affinarlo, di toglierne tutti i difetti, le eventuali escrescenze, degenerazioni, ma però in via di massima, come base, accettarlo sinceramente. Questa è la nostra etica sociale. Dovrei aggiungere l’unità del partito. Credete voi che l’unità sia qualcosa di formale da applicarsi con regolamenti, qualcosa di materiale che si possa ricoprire? Non è vero. L’unità del partito ha la sua legittimità – parlo della unità formale – nell’unità interiore che deve dominare. Se fosse possibile qualche volta contravvenire a questa unità, rivendicare il proprio pensiero richiamando a giustificazione la nostra coscienza, non venendo meno a quella forza interiore del partito, direi che sarebbe questione di discutere la misura o l’opportunità di caso in caso. Badate: un dissenso fino a che è critica in famiglia, fino a che è disparere che si può protrarre fino all’ultima decisione, è ancora una cosa tollerabile, direi salva l’anima, salva la libertà di coscienza; ma quando il dissenso si trasforma in atto di ribellione, anche formale, voi correte il rischio di perdere anche l’unità interiore. Perché che cosa è il partito sopratutto? Il partito esige sopratutto la sommissione, la subordinazione a un criterio generale, di cui noi soli non possiamo essere interpreti. Questo è il principio fondamentale della disciplina interiore. Allora non vale richiamarsi alla propria coscienza, accettare il senso della propria norma negando le esigenze di norme collettive accettate. Ecco perché io ho parlato di esperienza storica. Ditemi voi l’esempio di uno che venga meno all’unità formale, si ribelli a disposizioni autorizzative del partito – naturalmente ottenute legalmente – e che tuttavia sia rimasto interiormente delle stesse idee e delle stesse convinzioni e abbia sempre agito nella stessa maniera. Non esiste. L’esperienza che abbiamo fatto ai tempi tristi del fascismo, l’esperienza che hanno fatto fuori di qui i cattolici di altri paesi, ci dice che bisogna far atto di umiliazione, anche se l’umiliazione sembra illegittima; perché questo atto di umiliazione aumenta e accresce la forza del partito; e un atto di ribellione e un atto d’insofferenza invece la distrugge. Ma che bisogno c’è che faccia proprio a voi milanesi questo discorso, a voi che avete dato l’esempio dei vostri maggiori? Mi ricordo quante volte l’amico Filippo Meda o Angelo Mauri venivano a Roma e, interpretando, dicevano, il pensiero di Milano o del Ducato di Milano, come noi dovevamo dire a quei tempi, facevano le critiche della direzione del partito di Roma. È probabile che cinquanta volte su cento erano critiche ragionevoli. Però questi uomini non hanno mai fatto un passo al di là della critica; hanno tentato di ottenere un certo risultato criticando, discutendo, ma mai, nonostante fossero uomini di grande e riconosciuto valore, avessero una posizione politica sicura, mai, dico, hanno fatto dei passi che potessero metterli in contraddizione col partito. Mi ricordo a questo riguardo delle discussioni molto interessanti anche col grande spirito di Filippo Meda. Ora però, la satira, fra Milano e Roma è più che frequente, è ovvia; come esiste una satira fra Roma e la Sicilia, come ve ne saranno per un certo tempo prima che l’amalgama del partito e della nazione sia completa. La critica è ragionevolissima, ma deve esservi anche il tentativo di ovviare a questa critica. Questo è lecito, è onesto. Ma fate che alla base vogliate guadagnare veramente la libertà della opposizione anche contro la direzione e contro gli altri. Voi dovete dare tutta la vostra azione, non soltanto nelle apparenze della vostra azione, con convinzione. Questa è gente che griderà, farà, darà l’assalto al partito, ma fuori non ci va mai perché vive in esso. Io vorrei a questo punto esprimere veramente della soddisfazione per l’unità e compattezza che i gruppi parlamentari in questa occasione di lotta hanno dimostrato. Se voi mi domandate il perché di una opposizione così furibonda contro di noi non saprei rispondervi. Non c’è nessuna ragione, non c’è nessuna logica in questo atteggiamento. Ve l’ho spiegato prima. È irrazionalità. È l’inversione audace che però si tenta, ha un effetto: l’effetto di ricordare a noi la responsabilità che abbiamo di essere compatti, di sottomettere la nostra personalità alla personalità più viva e permanente che è quella del partito. Intendiamoci bene: quando parlo di partito, penso al partito come strumento e forza della nazione; perché in fondo la sommissione, vuol dire sommissione agli interessi della nazione. Ho visto con immensa soddisfazione la compattezza dei nostri deputati e dei nostri senatori. Ho detto la frase che ho fiducia nella saggezza del Senato. Qualcuno ha affermato che ho esagerato. Non è vero, anche se tutte le frasi non sono sempre del tutto esatte. Avrei dovuto dire che ho fiducia nella saggezza della maggioranza del Senato. Quando noi facciamo richiami all’unità del partito, perché crediamo che questa sia una necessità, badate, non venitemi fuori con l’idea corporativa. Quando von Papen incominciò a parlare con Hitler per persuaderlo a rinunciare alla sua pretesa di diventare subito, senz’altro, Cancelliere, gli disse: «io do pienamente ragione a voi nel disprezzo per tutti i partiti. Per gli aspetti troppo distruttivi, demolitori, do pienamente ragione a voi. Però si potrebbe sostituire questo sistema di partiti col sistema corporativo». Ricordo a questo proposito che, accanto allo studio sul Centro germanico, feci a quei tempi – pubblicandola, con quanta prudenza potete immaginare, sotto diversi titoli sull’Illustrazione Vaticana e in altri organi di stampa, la storia del corporativismo per dimostrare come fosse esagerata l’opinione che traeva dalla Rerum Novarum e dagli accenni dei papi la bontà dell’intervento corporativo in certe situazioni nei secoli passati. Voler tradurre in politica questi princìpi per sostituirli ai partiti, è una delusione amara. Ed è anche un’illusione amara; amara illusione che purtroppo i nostri amici cristiano-sociali di Vienna hanno pagato, che Dollfuss ha pagato con la vita. Ma anche von Papen col suo ragionamento non è arrivato a persuadere nessuno e nemmeno Hitler, il quale ha risposto: corporativismo? organizzazioni sindacali? Ma la mia è l’idea fondamentale della nazione tedesca, la mia è l’idea politica rinnovatrice. E così, amici miei, – questa parola vale a proposito anche della unità del partito – che singole categorie abbiano la rappresentanza è giusto. Ma credere che con le organizzazioni sindacali o le organizzazioni di agricoltori o le organizzazioni di industriali si possa sostituire l’amalgama e la forza vera di un partito è una grossissima illusione. E del resto basterebbe vedere che cosa fanno i nostri avversari. Come ci combattono adesso? Ci combattono prendendoci gli uni staccati dagli altri. Uno sciopero per gli impiegati, un altro sciopero per gli operai dell’industria, un altro sciopero per i braccianti: ci suddividono e cercano di batterci separatamente e certe volte i nostri, costretti dalle circostanze, non forti abbastanza per poter resistere alle seduzioni, si mettono a parlare lo stesso linguaggio o un linguaggio analogo quasi che non ci fosse altra forza politica ad unirci. Ma voi che venite dal movimento cattolico sociale, avete trovato in questo insegnamento lo spirito che ci unisce e che supera questi singoli problemi di categoria. Non c’è d’altronde bisogno di far ricorso a cose tanto profonde, alle ragioni sorgive del nostro pensiero sociale; basta pensare a una cosa, amici miei. Credete davvero che il pericolo non ci sia? Recentemente, trovandomi ad Atene, nelle vicinanze del Museo delle antichità, notai sulla facciata ancora i segni delle raffiche dei mitra. Eravamo nel centro della città e io chiesi cosa era avvenuto. Erano stati i guerriglieri di Markos ; i comunisti erano arrivati fino al centro della città e per un pelo Atene non fu perduta. C’erano le flotte inglese e americana, e quindi la riscossa fu possibile. Ma voi credete che così, ad un pelo, non si sia stati anche in Italia? Nel 1948 hanno creduto fermamente di conquistare il potere e non l’hanno conquistato perché la Provvidenza ci ha mandato certi avvenimenti internazionali. Non mi dicano che sia stato semplicemente l’annuncio di Trieste. Io credo che abbia di più agito in nostro favore il modo con cui la Cecoslovacchia democratica è stata fatta cadere che non il fatto di Trieste. Lo dico ad onore del popolo italiano, il quale ha avuto coscienza, la chiara convinzione del pericolo che non si trattava nemmeno di una città a noi carissima e nemmeno del destino di una frontiera, ma si trattava della vita della nazione che era in pericolo. Amici miei, lo so, ce ne saranno centinaia di falsi e di veri amici che dicono che noi esageriamo questo spettro, lo disegniamo apposta per spaventare. Ma noi quanto più si è vicini ai loro preparativi, più si conoscono, più si dice: l’abbiamo scampata bella! E vi dico ancora di più: non bisogna rilassarsi nello sforzo; bisogna tendere i muscoli. Io mi sento alla fine della vita, ma dico, amici miei, se non volete dare a queste parole un significato testamentario date loro il significato di monito: non è tempo di questioni interne, non è tempo di questioni di categoria; è il tempo di salvare il nostro paese, salvarlo col nostro partito e con tutti coloro che riconoscono e ammettono le ragioni della democrazia. Amici miei, ricordatevi sempre: la battaglia è per l’Italia.
c9f8e3a2-279b-4758-9ce4-82f0cb2a6f33
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Ho ammirato la relazione dell’ing. Cenzato non per le parole in essa contenute, ma perché in quei fogli vi era la storia di un intenso lavoro. E particolarmente mi ha commosso l’accenno alle medaglie d’oro per merito di lavoro, concesse ad impiegati ed operai, una delle quali, a parità di merito e di condizioni, fregia il petto dello stesso ing. Cenzato. Ecco la forza di noialtri: la forza che viene dal lavoro, e che riesce a farci superare le innumerevoli difficoltà, le critiche denigratorie, le barriere che a prima vista possono sembrare insormontabili. Noi dobbiamo credere, fermamente e principalmente nelle nostre forze, nel nostro lavoro, nel destino del nostro popolo. Voglio ricordare, qui, queste voci e non per spirito di polemica: si parla di servaggio, di schiavitù, di asservimento a certi popoli e a certi governi. Noi possiamo dire oggi di essere asserviti solo al nostro lavoro. E diciamo pure che siamo uniti con altri popoli e con altri governi proprio per servire il lavoro. Gli svizzeri, che ha ricordato l’ing. Cenzato nella sua relazione, non erano anch’essi asserviti al lavoro, al nostro lavoro? L’on. De Gasperi ha quindi espresso la propria riconoscenza, e quella di tutto il paese, per i tecnici e le maestranze italiane che cooperano attivamente agli sforzi del governo. Non ci sono oggi degli uomini che cercano di fruttare il lavoro a vantaggio del capitale: ciò non è né nel nostro interesse né nel nostro programma. È per questo che, quando ci accusano di essere asserviti a qualcuno o a qualche cosa, noi possiamo rispondere di essere asserviti al lavoro, al progresso ed alle occasioni del lavoro stesso. Non disperate, amici del Sud, cittadini di Napoli: noi non possiamo improvvisare, non siamo in possesso di una bacchetta magica, ma anche per il vostro problema siamo convinti che si tratta di una questione riflettente unicamente il lavoro; un lavoro duro e complesso, faticoso e snervante, già in atti ed in via di avanzato progresso. Noi che siamo nati nel settentrione d’Italia, e che abbiamo il compito di sorvegliare la vita della intera nazione, abbiamo dimenticato i nostri luoghi di nascita. Oggi ci ricordiamo di essere innanzi tutto italiani e sappiamo che le nostre speranze per il risollevarsi dell’intera nazione sono tutte riposte nel Mezzogiorno e nelle sue magnifiche possibilità di ripresa. L’on. De Gasperi ha concluso riaffermando la sua fede nei destini del popolo italiano.
516acdc7-3ac2-4aa0-85c4-07c55cf71d65
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
La mia parola vuol essere anzitutto di riconoscimento e di ringraziamento al ministro dell’Agricoltura ed ai suoi collaboratori, agli ispettori agrari, a coloro che hanno collaborato nel campo del credito, ai funzionari in genere. È doveroso constatare che in mezzo a tante critiche che si fanno all’amministrazione, alla burocrazia, una legge appena approvata, è subito applicata, applicata nei fatti. In questo caso, i fatti sono le macchine che si vedono e che sono già all’opera in molte provincie italiane. La relazione, le statistiche, i dati forniti dal ministero ci confortano dei risultati conseguiti nell’opera che appena abbiamo iniziata. Non chiediamo una parola di riconoscimento per noi, perché tutto quello che si fa per l’agricoltura è missione, è obbligo, è dovere, è senso della realtà. Ora si tratta, con le macchine, di aumentare la produttività, di far fecondare il nostro suolo, e noi conosciamo l’utilità della macchina che lavora in profondità. Perciò, lode a quegli agricoltori che, approfittando della occasione dei prestiti concessi dal governo, investono parte dei loro capitali in queste macchine che si trasformeranno in ricchezza per loro e, in genere, in ricchezza per la nazione. Il presidente del Consiglio ha quindi trattato del problema della diffusione del mercato interno e internazionale per i prodotti agricoli: è un problema complesso che il governo intende risolvere. Sarebbe peraltro errore considerare il problema del mercato interno come a sé stante. Bisogna guardare al mondo e soprattutto all’Europa. Siamo interdipendenti per ciò che riguarda i prezzi, le merci, la produzione agricola in genere. Dopo aver accennato alla necessità di un certo protezionismo doganale, come quello fissato recentemente per le carni, l’on. De Gasperi ha ammonito che questo protezionismo doganale non può avere che carattere provvisorio, guai a noi se dovessimo fissare permanentemente la nostra fortuna su un protezionismo doganale, si tratta di provvedimenti provvisori, atti a fronteggiare una particolare situazione, si tratta di una misura di emergenza alla quale ricorrono anche altri. La necessità della produzione è lo smercio. Dobbiamo provvedere all’allargamento del mercato e andare oltre le frontiere. Ecco perché, quando parliamo di politica europea, non parliamo di una politica astratta, che non abbia concessioni e legami anche con gli interessi concreti della agricoltura, tutt’altro, si tratta di creare un mercato specialmente per certi prodotti agricoli, e quindi di organizzare i consumi in modo che la produzione possa aumentare senza deprezzarsi. Si tratta, infine, di rendere veramente possibile un progresso di carattere economico e sociale per i contadini. Nel concludere il suo discorso l’on. De Gasperi ha rilevato che al di sopra delle macchine vale soprattutto l’uomo. L’agricoltore, il tecnico, il contadino sono attaccati alla terra. L’agricoltura è fondata su quello che gli antichi romani chiamavano Humus, e da Humus viene la parola Humanitas: amore per la terra, pensiero della terra, convincimento che la terra è la base sulla quale si sviluppa la ricchezza di una nazione. È da questo pensiero che ebbe inizio la fortuna degli antichi romani. Noi abbiamo ereditato questa loro passione. Noi non abbiamo la concezione antica della divinità della terra, impersonificata in Cerere , negli altri dei, ma crediamo anche noi. Crediamo anche noi alla potenza che ci infonde forza e fede di progresso e di fedeltà alla terra. Questa potenza è Iddio, dal quale chiediamo benedizione per l’agricoltura italiana, illuminazione per il governo e per chi deve provvedere alla fortuna del nostro paese, dell’Italia.
ff242676-6fc4-41d4-99ed-0d6d9e6217a7
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’on. De Gasperi ha iniziato affermando di sentirsi uomo di responsabilità di fronte alla comunità nazionale. Che cosa è questa comunità nazionale se non l’estensione del concetto di famiglia a tutti coloro che vivono in una stessa regione, in uno stesso territorio, di tutti coloro che vivono la stessa storia, che hanno le stesse speranze, gli stessi problemi economici? L’oratore ha continuato affermando che il nostro compito principale di cittadini e di padri di famiglia è quello di educare i figli, quello di preparare la generazione futura. Tuttavia nella vita e nella società moderna è facile sfugga il controllo dei ragazzi che crescono, che sfugga la possibilità della vigilanza diretta. Il problema è ormai diventato superiore alle forze individuali e si pone come problema sociale. (Applausi, approvazioni). Ecco perché l’opera del CIF e delle associazioni è altamente meritoria. Io sono qui come capo del governo a ringraziarvi per la vostra opera nel campo dell’assistenza, soprattutto per quella rivolta alla gente povera, ai lavoratori, alla grande massa del popolo. Vi ringrazio perché voi arrivate ad attuare un’opera che sarebbe compito dell’Amministrazione dello Stato e che lo Stato, nonostante la buona volontà dei funzionari, non arriva a compiere. Occupandovi della educazione e dell’assistenza, voi vi occupate di un problema sociale della vita nazionale. La vita nazionale è qualcosa di diverso da quello che può essere la somma delle vite delle singole famiglie, delle singole regioni. La vita nazionale è una responsabilità collettiva. E che importerebbe se voi vi sforzereste nelle vostre famiglie, tra parenti, oppure nel circolo ristretto della nostra beneficenza a far bene e a educare, quando poi l’atmosfera generale fosse infetta, quando l’educazione generale, quando la stessa nazione fosse ormai disorientata nei suoi problemi fondamentali? Il lavoro è utile soltanto se unito, se i buoni si uniscono assieme, contro i pericoli e contro le minacce, e si sforzano di educare le coscienze, di educare gli spiriti e di guadagnare le masse popolari. (Calorosi applausi). L’avvenire del paese dipende dalla vostra risposta ad alcune domande: dove andiamo? Dove va la comunità nazionale? Siamo pronti a difenderci dai pericoli che si avvicinano? Vogliamo veramente arrivare a una libertà regolata nell’ordine? Vogliamo mantenere vivo l’insegnamento del cristianesimo sociale? L’on. De Gasperi avviandosi verso la conclusione, ha detto che tutto ciò che è stato fatto per la ricostruzione materiale del paese non basta. Non basta aver costruito ponti, case e strade. È necessario creare una vera comunità nazionale. Dare un’anima a questa comunità e garantire che quest’anima continui poi a vivere nei nostri figli, nelle generazioni che verranno. Perciò, esprimendovi il ringraziamento del governo, esprimo anche la fiducia che voi, donne e madri di famiglia, vi preoccupiate soprattutto di questo problema: creare un’atmosfera in cui vi sia la certezza che l’avvenire d’Italia sia un avvenire morale, abbia un esito e un fine.
6a546017-ae11-4a71-94e7-c8e4ea01b2f3
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Qui sono state pronunciate parole di lode e di riconoscimento ma anche di critica per il governo. Si è riconosciuto ciò che si è fatto, e sono state formulate richieste perché si faccia di più. Qui ci sono uomini liberi, che esprimono la loro opinione, uomini che si sentono onorati di questo rapporto di libertà. Avete ascoltato un discorso di critica e di riconoscimento da parte dell’on. Bonomi , avete ascoltato dal ministro dell’Agricoltura un discorso non di difesa e di apologia ma di esposizione di fatti, leggi, interventi concreti. La vostra opinione che l’agricoltura debba essere curata con preminenza è condivisa da tutti gli uomini del governo e il lavoro compiuto specialmente in questi ultimi due anni lo dimostra. Peraltro esistono anche gli interessi e le aspirazioni di altre categorie, di cui occorre tener conto nel quadro dell’economia generale del paese. L’on. De Gasperi ha confrontato l’Assemblea presente e un’altra Assemblea, svoltasi in uno stato che si definisce operaio, che in una sola ora ha modificato la Costituzione, ha rovesciato il capo dello Stato e ne ha nominato un altro, tutti alzando le mani senza una parola di critica o di opposizione. Credete che quella sia la libertà e che questa critica che noi svolgiamo sia quel servilismo o quell’asservimento di cui certi avversari ci accusano? O non credete piuttosto che questa sia la verità, con uomini indipendenti e consapevoli che cercano di sviluppare la propria personalità, sia pure subordinandola agli interessi generali della patria? Accennando alla discussione al Senato, l’on. De Gasperi ha deplorato il costume di una critica aprioristica e sistematica al governo, che non vuole mai nulla riconoscere al governo, che accusa falsamente il governo di violare la Costituzione, di tradire i diritti del popolo, di essere contro il popolo, di essere contro tutti i lavoratori. Quando si parla di pace e di guerra, occorre non dimenticare che soprattutto i montanari e i contadini si battono in trincea. Operai e contadini hanno invero conquistato il diritto di partecipazione alla vita politica, tutti difendendo la patria con le armi in mano spargendo il proprio sangue, con eguaglianza di diritti e doveri. Il presidente del Consiglio ha ammonito che tutto deve essere fatto per il progresso dell’agricoltura; ma le proposte dei coltivatori, tutti i loro sforzi quotidiani, tutte le iniziative del governo si ridurrebbero nel nulla se si verificasse una guerra, se si perdesse la pace. Importa soprattutto la pace, abbiamo bisogno della pace, ma la pace è inconcepibile senza la libertà. La pace non si conquista, ma [non] si consolida se non nella libertà e nell’indipendenza. L’on. De Gasperi ha detto che per tutelare la pace e l’indipendenza il governo adotta talvolta provvedimenti e misure precauzionali nei confronti di coloro che attentano alla pace, ma non lo fa per odio, non per passione di comando, perché non siamo dittatori o marescialli, ma uomini che vanno e vengono, uomini eletti dalla maggioranza del popolo, uomini che lavorano per la patria; e noi vogliamo che l’Italia sia libera e indipendente. Questo è anche il significato della prossima battaglia, perché dovete ricordare che il prevalere dell’estremismo di destra o di sinistra sarebbe fatale per il nostro paese. In democrazia possono esistere difetti, perché nessuno è perfetto, ma in democrazia è possibile correggerli, con una critica libera, come la vostra, e il popolo ha diritto e la facoltà di non eleggere chi non fa il proprio dovere; nelle dittature, invece, gli uomini conquistano il governo, e una volta ottenuto divengono tiranni, si liberano degli avversari con il sistema della «liquidazione», che spesso equivale all’impiccagione. Il problema non è di essere in favore o contro il governo, il problema è di mantenere in vita il sistema democratico, dove è possibile cambiare ciò che non funziona, è possibile correggere gli errori di chiunque. L’agricoltura potrà essere sviluppata positivamente con le efficaci iniziative adottate, con le riforme di struttura e di distribuzione. Ma occorre anzitutto aumentare la produzione perché questo è l’elemento principale di qualsiasi prospettiva di ulteriore miglioramento economico. È anche indispensabile espandere i mercati, e a questo proposito la sola Italia non basta, occorre un più vasto mercato europeo. Noi italiani non possiamo che accettare tale principio, ma a condizione che il mercato deve riguardare non soltanto le merci e i prodotti, ma anche la maggiore e più libera circolazione delle forze del lavoro. Noi abbiamo bisogno che gli italiani possano andare ovunque. Non si deve credere che nel protezionismo possa trovarsi la soluzione definitiva dei problemi economici, nel protezionismo possono essere individuate alcune soluzioni provvisorie, limitate, ma esso non costituisce la medicina che guarisce. Questa medicina è l’allargamento del mercato. L’Italia non può non volere la realizzazione di un mercato unico europeo. L’Europa unita non è una favola, una fantasia o una teoria: essa è l’aspirazione di coloro che conoscono i rimedi necessari per risolvere l’attuale situazione economica. E nell’esprimere con la scheda il proprio atteggiamento politico, occorre ricordarsi non soltanto della libertà e dell’indipendenza dell’Italia, ma anche dell’Europa unita.
77a34c34-02f4-492f-906a-368cc45fe9a7
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Cari amici, la pazienza è stata lunga e la sofferenza grande, ma la fede è stata superiore ancora a tutto; la fede soprattutto nell’entusiasmo di uomini come noi, che siamo pronti alla battaglia e alla lotta e alla vittoria, (applausi vivissimi), la fede nel popolo italiano da voi organizzato e dai voi condotto; la fede nel destino del nostro paese, che non potrà mai diventare un paese satellite. (Nuovi prolungati applausi). Oggi si distribuisce l’olivo: l’olivo è il simbolo della pace; pace a tutti coloro che, qualunque sia il loro pensiero, hanno soprattutto per meta il progresso della patria e l’amore dell’Italia (vivissimi prolungati applausi); la lotta senza tregua e senza paura contro tutti coloro che mettono in pericolo l’indipendenza della nazione e i destini del suo popolo.
ec7e87f7-8b60-4936-be46-2737e48804e5
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Vi è stato già comunicato il testo dei decreti del presidente della Repubblica. Uno riguarda lo scioglimento delle due Camere, l’altro la indizione delle elezioni per il giorno 7 giugno e la convocazione delle Camere per il 25 giugno . Devo aggiungere che il presidente nel comunicare la sua decisione, la motiva così: «il presidente della Repubblica sentiti i presidenti dei due rami del Parlamento ha oggi firmato il decreto di scioglimento della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. La riforma avvenuta nel metodo delle elezioni della Camera dei deputati non poteva non essere tenuta presente nel prendere la decisione sulla consultazione elettorale. Infatti i sistemi di elezione delle due Camere essendo oggi diversamente congegnati nei loro reciproci rapporti rispetto a quelli che erano nel 1948 è opportuno che gli elettori manifestino contemporaneamente, con i metodi ormai mutati, la loro volontà sull’indirizzo futuro dell’attività del Parlamento». Questa motivazione che è adottata dall’Alto seggio del presidente, al di sopra ed al di fuori delle situazioni interne delle Camere, non ha bisogno di ulteriori commenti per quanto riguarda, appunto, gli avvenimenti interni delle Camere. A questo proposito sarà lecito a me, testimonio oculare di quello che è avvenuto alle Camere, di aggiungere le mie impressioni. Per quanto riguarda la Camera dei deputati questa era alla fine del suo quinquennio di vita costituzionale. Per quanto riguarda il Senato, invece, posso fare qualche considerazione che non mi sembra inutile. Le circostanze che accompagnarono e seguirono l’ostruzionismo avevano ridotto il Senato in una situazione insostenibile. La maggioranza non avrebbe mai accettato, è evidente, una resa senza onore che avrebbe naturalmente incluso il ritiro del presidente il quale, dopo aver coraggiosamente affrontato la violenza della quale venne personalmente raggiunto e tenuta ferma la bandiera della democrazia e del regime parlamentare, la avrebbe poi ammainata dinanzi allo sguardo stupefatto e costernato del popolo italiano, proprio nel momento in cui esso era chiamato a decidere tra democrazia e totalitarismo, fra regime libero e Stato di polizia. La maggioranza non avrebbe certo mai consentito che fosse lasciata impunita l’offesa fatta al prestigio dell’istituzione, all’onore della Presidenza, ai princìpi dell’ordine parlamentare e avrebbe chiesto che fossero applicate le più severe sanzioni contro i prevaricatori in sede propria (senza parlare dell’incriminazione specifica in sede penale), e queste misure avrebbero provocato nuovi scontri, nuove violenze, un inasprimento generale dell’atmosfera, rendendo impossibile una collaborazione. Io credo in verità che non ci fosse altra scelta, e quindi altra soluzione, benché non mi nasconda alcune difficoltà che ne conseguono. È soprattutto disagevole per i partiti che avevano preparate le candidature per la Camera vedersi costretti in poche settimane a preoccuparsi anche delle candidature per il Senato, ma si tratta in fondo di anticipare alcuni mesi di lavoro che sarebbe sopravvenuto alla scadenza normale della legislatura del Senato, e c’è il vantaggio di poter spostare le candidature dal Senato alla Camera e viceversa. Si dice inoltre che si andrà a votare con due sistemi differenti. Cioè per il Senato con il collegio uninominale e il calcolo proporzionale di circoscrizione e per la Camera col sistema proporzionale col premio di maggioranza. Ammetto che in ciò stia una incongruenza, ma tale contrasto sarebbe esistito anche alla normale scadenza perché non era prevedibile che in questi ultimi mesi di legislatura senatoriale si sarebbe potuto introdurre anche per il Senato il sistema testè approvato per la Camera. D’altro canto anche oggidì la composizione delle due Camere è diversa, sia per il sistema rappresentativo, sia per la ripartizione dei membri tra i vari partiti. Il Senato, in quanto alla struttura, si trova in un periodo transitorio, previsto dalla Costituzione solo per l’attuale legislatura. In base a tale disposizione transitoria al Senato, oltre i 237 membri elettivi, vi sono ancora ad oggi 87 senatori di «diritto», nominati cioè in base alla Disposizione transitoria della Costituzione . Essi sono così ripartiti: comunisti 29, democratici di sinistra 2, socialisti 8, democristiani 15, liberali 3, repubblicani 3, socialdemocratici 11, del gruppo misto 16 . Taluni di questi senatori che con lo scioglimento perdono per il momento il seggio sono uomini di valore e sarebbe davvero deplorevole che la loro competenza, capacità e merito rimanessero inutilizzati, ma a ciò per parecchi di loro si potrà ovviare o inserendoli nelle varie liste dei partiti per la Camera o nella parte elettiva del Senato, ovvero molti di loro dovrebbero rientrare nel Senato, quando questo verrà completato da una legge che ricostituisca i seggi di diritto. Ciò potrà avvenire rapidamente nei primi mesi di attività delle due Camere. A tal riguardo è auspicabile che i partiti di maggioranza garantiscano reciprocamente l’appoggio nel senso che il completamento del Senato avvenga tenendo conto dell’equilibrio attuale delle loro forze. Rimane sempre la disparità che risiede nella differenza del sistema. Quello nuovo della Camera prevede il premio di maggioranza e inoltre si fonda sul quoziente nazionale, utilizza cioè a favore di ciascun partito ogni voto che venga dato in tutto il territorio della nazione, il sistema del Senato invece si esaurisce entro la circoscrizione. Così che i voti dispersi potranno rimanere inutilizzati; tutto ciò potrà tradursi per qualche partito in un numero minore di seggi in proporzione di quelli raggiungibili. Ma gli uomini di buona volontà che saranno chiamati a valutare il peso specifico di ciascun gruppo nelle due Camera e nel paese sapranno pur tener conto di tutti questi riflessi del sistema rappresentativo. Benché la differenza di struttura renda impossibile di realizzare anche per il Senato un sistematico e generale collegamento come avviene per la Camera, è però altamente augurabile che ovunque se ne presenti la possibilità, si stabilisca tra i partiti di maggioranza una leale collaborazione. Ed ora, nella vigilia pasquale, non voglio anticipare la polemica elettorale, ma sottolineare solo alcuni punti retrospettivi. Siamo stati bersaglio di attacchi, talvolta di ingiurie e di vilipendio, per giorni e notti, settimane e mesi e, non volendo dar esca all’ostruzionismo, abbiamo taciuto, e rinunciato in sede parlamentare alla difesa. Forse questa nostra ritenutezza ha fatto credere agli avversari che ci mancassero le ragioni ed il coraggio. Spero che ora ne siano disingannati. L’accusa più grave mossa contro di noi con particolare insistenza è stata quella (come disse Secchia) di voler «impedire che i partiti socialcomunisti conquistassero mai la maggioranza in Parlamento». È una falsità: i candidati di estrema sinistra si troveranno nella stessa situazione degli altri. Se, cioè, conquisteranno il 50,01 per cento dei voti, otterranno anche essi, come gli altri partiti, il premio funzionale di maggioranza. Ma essi soggiungono: voi ci sbarrate la via col collegamento dei partiti democratici. Rispondiamo: il collegamento non è privilegio di nessun gruppo. Anche essi possono collegarsi, se credono di poter concorrere alla formazione della maggioranza, ma sembra che a loro riesca meno facile l’alleanza francamente dichiarata di forze affini, che il blocco anticlericale con un contrassegno mascherato, dietro il quale si dissimulano i connotati del bolscevismo. Si preferisce la formazione nebbiogena, la cosiddetta piattaforma girante che, nel momento giusto, collochi la locomotiva sul binario della dittatura proletaria. La verità è che i socialcomunisti sono contro questa legge elettorale principalmente per due ragioni: la prima perché essa facilita la collaborazione dei gruppi democratici, la seconda perché essa rende all’estrema sinistra difficile profittare del concorso, sia pure involontario, dell’estrema destra. Essi vorrebbero una destra abbastanza forte per sfiancare la Dc ed i liberali, in modo da monetizzare lo sfiancamento in loro favore e comunque il creare nella futura Camera un tale contrasto di gruppi da permettere loro di arrampicarsi su fino alla conquista della maggioranza relativa. Di fronte a queste loro tendenze e speranze, noi affermiamo che lo schieramento che abbiamo reso possibile con la legge costituisce, nonostante le difficoltà che non mi dissimulo, uno sforzo doveroso di salvezza per la libertà del paese e del suo regime democratico. Il nostro dovere è di guardare innanzi e di non attardarci nelle piccole questioni del giorno. Ci si accusa di violare la Costituzione. È vero invece che vogliamo indurre gli estremismi ad accettare ed applicare i princìpi democratici costituzionali. Siamo in urto con i comuni [recte: comunisti] non perché vogliamo escluderli dal diritto comune, ma perché essi vogliono impedirci di ricostruire e rinnovare il paese in un regime di libertà e di democrazia. Non facciamo una politica di comprensione, ma di ricostruzione. Non reprimiamo, ma conteniamo, anche questa è una legge di contenimento che, se verrà applicata nello spirito in cui fu ideata, servirà a costituire un regime forte che imponga la necessaria disciplina al paese senza mettere in pericolo la libertà. Tutte le leggi che proporremo, in applicazione della Costituzione o in aggiornamento del Codice penale, si muovono entro la Costituzione stessa, ed hanno il fine di salvaguardarla. Noi resistiamo a qualsiasi suggerimento di avventure rivoluzionarie o reazionarie, ma in nome dei limiti della legge, e pur riconoscendo la naturale evoluzione dei tempi abbiamo il diritto di costringere anche gli estremisti al passo delle nostre istituzioni, che sono regolate dai pincìpi del progresso democratico. Ripetutamente e violentemente si è levata durante l’ostruzionismo anche la accusa che noi volevamo la legge maggioritaria per poter cambiare la Costituzione e far passare così il trattato sulla Comunità europea di difesa (CED). Accusa fallace quanto altra mai, perché noi abbiamo sempre sostenuto che il Parlamento è in grado di deliberare sulla CED in base all’art. 11 della Costituzione il quale, ricordiamolo, dice testualmente: «l’Italia… consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». In base a questa disposizione costituzionale, la Camera ha già accolto il trattato in seno alla Commissione parlamentare speciale, e certo l’attuale Parlamento, nella sua maggioranza delle due Camere, avrebbe discusso e votato il trattato, se l’ostruzionismo contro la riforma elettorale non avesse bloccato i lavori. Non dubitiamo che sarà questo uno dei primi e più importanti compiti del nuovo Parlamento, perché il trattato, secondo la nostra fermissima convinzione, non è un «patto di guerra» ma un impegno di solidarietà difensiva e di pace, pace ricostruttiva innanzi tutto tra gli Stati europei, ed una delle basi più solide di quella federazione che sola ci offre la garanzia sicura di un lungo periodo di tranquillità e di progresso. Ovunque si accerti un serio tentativo di fare cessare la guerra là dove questo flagello ancora infuria, noi partecipiamo con gioia e con desiderio alle ansie e alle speranze di tregua o di pace, ma sappiamo che una pace stabile in Europa non può venir garantita che in [una] solidarietà più vasta e più organica, capace di affrontare i duri problemi nati dalla guerra mondiale, in uno spirito di ricostruzione e di fede nella comune civiltà e nel comune avvenire. Oggi come ieri sentiamo che sugli uomini di Stato europei pesa la responsabilità di una decisione secolare, della quale domani i popoli chiederanno conto. Il popolo italiano è chiamato ora alle urne: esso non giudicherà solo dei suoi progressi e delle sue esigenze come nazione, ma ho l’orgoglio di credere che, in una più profonda consapevolezza del suo destino – consapevolezza che gli è ormai riconosciuta dall’opinione mondiale – dirà anche la sua parola sulla pace e sulla sicurezza nella Unione europea.
91b79edc-91bf-4058-bbb2-70ff94c5fccd
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Gli argomenti che voi ripetete e la forma con cui tornate ad esporli, mi lasciano sperare poco nell’utilità e nell’efficacia di una mia replica scritta o verbale. Tuttavia, trattandosi di un indispensabile ed essenziale servizio pubblico e di evidente connessione con più vasti problemi, e contando sempre sullo spirito di ragionevole disciplina dei ferrovieri, voglio sforzarmi ancora una volta di essere estremamente chiaro e preciso: 1)è noto che il disegno di legge delega sull’amministrazione statale si occupa anche dei ferrovieri e del loro trattamento giuridico ed economico. Tale legge, presentata al Senato il 25 febbraio u.s. non vi potè essere discussa a causa dell’ostruzionismo e dello scioglimento del Senato . 2)Durante questo intermezzo a Camere sciolte il governo non ha modo di fare nuovi stanziamenti per aumenti di spesa che esigono naturalmente una deliberazione parlamentare e una copertura con nuove entrate in base all’articolo 81 della Costituzione. Nemmeno è possibile pensare al decreto legge che suppone anch’esso, sia pure dopo cinque giorni, la convocazione del Parlamento e a cui ad ogni modo si dovrebbe ricorrere solo «in casi straordinari di necessità e urgenza» (come dice l’articolo 77 della Costituzione). Si ricorda in proposito che non si ricorse al decreto legge durante le vacanze natalizie nemmeno per perfezionare la legge sulle causali, legge che era stata già deliberata dalla Camera. Noto qui di passaggio che ogni riferimento che voi fate alle indennità speciali per i macchinari è fuori di luogo, perché esse sono previste dall’art. 44 delle disposizioni sulle competenze accessorie e, fino ad un certo limite, appartengono al potere discrezionale dell’amministrazione. 3)Poiché la questione sta in questi termini, ogni pressione sul governo è fatalmente destinata ad urtarsi contro una impossibilità giuridico-costituzionale. Se quindi la minacciata agitazione fosse diretta ad ottenere un miglioramento economico immediato essa sarebbe destinata in anticipo a non poter raggiungere l’effetto. Il danno notevole che essa comporterebbe per la collettività, e per i ferrovieri stessi, sarebbe un sacrificio sterile. Mi rifiuto quindi di credere che le organizzazioni possano pensare a uno sciopero di tal genere ed in tale situazione, e che i ferrovieri non comprendano che esso costringerebbe lo Stato a misure adeguate per la legittima difesa del pubblico interesse .
5c785865-7cb2-49b5-bf06-8705b18f7648
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presidente del Consiglio ha detto che questi «incontri» sono un sintomo della maturità e del progresso del popolo italiano. Egli ha aggiunto che i risultati di questa prima manifestazione sono incoraggianti e ha promesso che nel prossimo anno nuovi bandi verranno indetti e saranno aperte nuove gare. L’on. De Gasperi si è detto sicuro che i giovani vi parteciperanno con nuovo e maggiore entusiasmo. L’oratore si è poi soffermato sul significato del nome «incontri» che si è voluto scegliere. È un nome che si addice a questa manifestazione perché essa è veramente l’incontro di due generazioni: di quella che viene e di quella che declina. Mi piace questo nome anche perché esso dà l’idea di un atto volontario, di un incontro di due volontà, di un contatto che non è provocato da un ordine o da una cartolina precetto. Ma incontro è una parola che esprime un senso di dinamismo storico. Bisogna quindi che noi collochiamo questo incontro in un certo periodo e in un certo ambiente. Prima di affrontare questo tema, l’on. De Gasperi ha voluto fare dinanzi ai giovani una dichiarazione di umiltà. Egli ha detto che vivendo a Roma, sul colle romano del Viminale, egli sente più forte l’impronta e il peso dei tempi e dei secoli. Questo gli fa provare in ogni momento il senso della relatività e della limitatezza umana. Egli ha poi invitato i suoi giovani ascoltatori a considerare il valore che la loro riunione odierna può avere, collocata nell’immensità dell’universo. Sul quadrante della storia l’incontro non è nemmeno un milionesimo di secondo e nell’immensità dello spazio le generazioni che si susseguono non sono che un granello di polvere. Tuttavia queste considerazioni non devono schiacciarci, ma darci forza. Ricordate Michelangelo: «il sole è appena l’ombra di Dio padre». E noi siamo suoi figli. Lo spirito è più veloce della luce. L’atomo racchiude forze immense nel suo nucleo, ma l’uomo le domina con la forza del suo spirito. L’Italia con i suoi 47 milioni di abitanti sui 2.000 milioni di anime che popolano la terra, è piccola cosa, ma è grande cosa perché essa è culla della civiltà. Questo è il punto del nostro incontro. Quali sono le condizioni del nostro paese? Ogni anno un aumento di popolazione di 450 mila unità. Soltanto 250 mila persone trovano lavoro. Per gli altri è ora chiusa quella valvola di sicurezza che si chiama emigrazione. E poi siamo poveri di materie prime. Quando facciamo dei programmi di produzione possiamo contare soltanto su zolfo e mercurio. Ci mancano il carbone, l’acciaio, il rame, anche se abbiamo il metano e una speranza nelle forze endogene. Siamo poveri di terra. Abbiamo distribuito 700 mila ettari ai contadini, ma dovremo fare di più. Il Mezzogiorno richiede una azione speciale di soccorso. È arido, poverissimo. Sarà colpa delle generazioni e degli eventi storici, ma è anche colpa delle condizioni naturali e del sole implacabile che batte su quella terra senza acqua. Veniamo al reddito medio pro-capite degli italiani calcolato in dollari, per poterci riferire a una tabella internazionale. Un italiano dispone di 260 dollari all’anno, cioè della metà del reddito di un francese, di un quarto del reddito di un inglese, di un settimo del reddito medio americano. L’on. De Gasperi ha detto che questi dati devono essere conosciuti dai giovani, perché questa è la realtà, perché queste sono le difficoltà che i giovani debbono disporsi ad affrontare e a superare con «senso critico e muscoli robusti». La situazione è quella che è, ma essa si muoverà sotto lo sforzo dell’uomo e lo sforzo dovrà essere tenace, lungo, profondo. Il presidente del Consiglio ha fatto poi un’analisi dello stato d’animo dei giovani italiani di oggi. Essi hanno alle spalle due guerre, una, quella vittoriosa, che ha lasciato uno spirito di conquista e un desiderio di espansionismo, l’altra, terminata con la sconfitta che ha lasciato un senso di depressione, che ha portato persino a rinnegare la patria. Queste due sensibilità si mescolano nelle nuove generazioni. Da una parte l’esaltazione e l’orgoglio nostalgico, dall’altra uno spirito internazionale fino all’eccesso, fino allo spirito di diserzione. Noi siamo alla ricerca dell’equilibrio fra questi sentimenti opposti. E perciò difendiamo con accanimento ogni palmo di terreno di Trieste, mentre nello stesso tempo prestiamo la nostra opera umanitaria in Somalia e tendiamo con tutte le forze all’Unione europea. Un’altra eredità di queste due guerre è il ricordo, in alcuni nostalgico, della dittatura, in altri uno sfrenato amore della libertà intesa come individualismo. In mezzo siamo noi con la nostra fede nel regime democratico. L’on. De Gasperi ha detto che il regime democratico è un problema non solo di organi e di struttura, ma un problema di sostanza: democrazia significa libertà delle coscienze, libertà di espressione e di parola; ma queste libertà non sono possibili se contemporaneamente non vi è lo sforzo della nazione verso una unità morale e una speranza comune. Democrazia vuol dire anche giustizia sociale, protezione dei deboli; e quindi vi sono automaticamente il problema dei limiti alle libertà individuali, altrimenti è l’anarchia. Questi sono i problemi sui quali le due generazioni, quella che viene e quella che declina, si incontrano. Io so che la vostra posizione nei nostri riguardi è una posizione di critica. È giusto, non bisogna accettare l’esperienza altrui senza averla sottoposta a un ragionato esame, a mano a mano che si guadagna la capacità di affrontarlo. Ma ogni esame vuol dire studio e preparazione. Non si può presumere di rinnegare senz’altro la esperienza di una generazione passata, perché questo sarebbe come voler nuotare senz’acqua e respirare senza ossigeno. Ribellarsi al passato sarebbe un po’ un parricidio, un voler strappare l’albero alle radici. Tuttavia entro certi limiti è giusto reagire all’ambiente. E qui l’on. De Gasperi ha rivolto ai giovani una esortazione affinché essi lottino contro i mali maggiori della nostra epoca: la standardizzazione, la meccanizzazione, l’appiattimento e l’egualitarismo, soprattutto l’egualitarismo. De Gasperi ha detto che questo non è una fatale conseguenza della democrazia, ma è la degenerazione della democrazia. L’uguaglianza deve essere soltanto nel punto di partenza e nella possibilità di impiego degli strumenti di progresso, ma non deve portare all’eliminazione della personalità umana. Bisogna che i giovani sappiano anche uscire dai limiti del presente. Lo studio della storia e la ragionevole accettazione dell’esperienza altrui devono far riconoscere che l’umanità procede per gradi, di generazione in generazione per evadere verso l’avvenire con le creazioni dello spirito, con la fede negli ideali, con la protezione della nostra persona nella solidarietà nazionale e nella fraternità umana. Ho visto con gioia che accanto ai temi letterari e poetici avete affrontato problemi sociali, economici e politici. Questa diversità di interessi nei giovani mi appare come la nostra salvezza perché non potrei avere speranza in una gioventù che si esaurisce nelle astrazioni o nella contemplazione, ma neppure in una gioventù che si lasciasse assorbire soltanto dalle esteriorità della vita politica o soffocare nel determinismo economico. I laboratori scientifici trasmettono il progresso, gli altiforni e le officine servono il lavoro, i piani di produzione spingono avanti l’umanità, ma l’uomo ridiventa schiavo se la società non permette ad altri individui di espandere liberamente la propria personalità, di riallacciarci agli sforzi dei predecessori sulla via della civiltà, di protendersi verso l’avvenire, di meditare sul corso delle cose. E poiché le limitatezze, il dolore, la brevità della vita umana accompagnano il nostro destino, è necessario che vi siano degli uomini che riescano ad esimersi dalle proprie individuali esigenze per fare opera di solidarietà nella nazione e nella società, per scoprire e impartire ad altri le regole del bene, per curare i deboli, per alimentare tra noi la speranza di una vita immortale. La democrazia è libertà, non rinnegatela, giovani d’Italia, perché la libertà è come l’acqua in cui nuotate verso il progresso. Ma la fede, «sustanza di cose sperate ed argomento delle non parventi» è altrettanto necessaria al nuotatore, perché essa è come l’ossigeno per i suoi polmoni.
9dd735c1-b672-40f0-a840-0931fd391365
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Già, sono passati davvero cinque anni da quando abbiamo impostato un programma di collaborazione, da quando ci siamo presentati insieme ad altri rappresentanti di altri gruppi, e abbiamo chiesto alla nazione il voto di solidarietà e di conferma di un indirizzo che già nel governo di allora era iniziato. Vorrei ricordare agli immemori, a coloro che ci accusano, di non essere consapevoli della rotta che seguiamo, che non è di ieri, che non è attraverso l’artificio d’una legge elettorale, né per ragioni mere di opportunità che passano, che abbiamo scelto la via che oggi ancora è la nostra nei confronti della campagna elettorale, l’alleanza delle forze democratiche. L’alleanza era annunciata nel manifesto del governo del 1948, firmato dai rappresentanti di tutti i partiti che nel governo agivano ; era detto in esso: la Repubblica democratica si salva solo resistendo alle tentazioni della violenza e deferendo alla volontà popolare, espressa in libertà e nelle forme previste dallo Statuto, ogni decisione circa la costituzione e l’esercizio del potere pubblico. Serviamo con ciò sopratutto la causa della pace e della indipendenza nazionale, perché la sopraffazione di una parte politica all’interno sarebbe il preludio della guerra civile, che aprirebbe fatalmente il varco al conflitto armato fra i popoli. Appoggiare questo è dovere e interesse della nazione italiana; sospettarlo, osteggiarlo, intralciarlo, significa compromettere irrimediabilmente le sorti del nostro paese, e rendere estremamente difficile il consolidamento di una democrazia europea fondata sulle forze del lavoro e sulla cooperazione dei popoli liberi. Su queste linee direttive, diceva il comunicato di allora, si è mossa la politica interna ed estera del presente governo, e tutti i gruppi in esso rappresentati sono concordi nel reclamare che su tali linee essa debba svilupparsi ulteriormente. Credo che possiamo vantare questo esempio di politica unitaria e di coalizione come un esempio di una politica realistica e realizzatrice. La «rotta di centro», venne designata già allora, ed è vero che è più visibile e più controllabile quando si fonda sulla collaborazione fra quattro o tre partiti; ma sostanzialmente essa è sempre uguale, anche fra due, per lo sforzo onesto di trovare il punto su cui concentrare tutte le forze costruttive della democrazia, e soprattutto per l’essenza di un equilibrio fra libertà e autorità, che è la fede nella democrazia delle nostre generazioni postbelliche. Oggi ancora la legge elettorale non è che la veste di questa tendenza, uno strumento per confermarla, e i rapporti fra il nostro partito e i partiti democratici sono fondati sempre sulla tolleranza e sulla libertà. A questi nostri alleati, al di sopra di tutte le beghe meschine, dobbiamo dire una parola, una parola di franchezza, una parola di amicizia. Noi non chiediamo né adesione totale al nostro programma né, molto meno, rapporti di servizio. Il servizio è di tutti, è comune a tutti i gruppi ed è rivolto alla nazione. Chiediamo soltanto nei mutui rapporti lealtà, mutua comprensione e concorrenza nelle grandi idee, non nelle meschinerie, e chiediamo che non si facciano insinuazioni e non si cerchi di gettare ombra sulla nostra bandiera e sul nostro buon volere. Ora, detto questo per i nostri collaboratori ed i nostri amici, vediamo quali sono i nostri avversari di oggi, che sono quelli di ieri, sono identici. Vedremo però che lo schieramento, l’ordine di marcia è un po’ diverso dal 1948. Per Togliatti nel 1948 il motivo principale era 1a paura della guerra, che nel febbraio del 1948 nella sua impostazione a Pescara proclamava: «la Democrazia cristiana vuole la guerra, il pericolo è imminente; necessità dell’unione di tutte le forze sinceramente nazionali e unità… alla madre italiana. Italiani difendete la pace» . Il 27 marzo 1948 a Roma Togliatti diceva: «il popolo italiano sa che se non vincesse il Fronte democratico popolare, esso vedrebbe spuntare ancora una volta all’angolo delle sue strade, sotto la protezione dello Scudo Crociato, i gagliardetti di morte di coloro che già una volta ci hanno portato alla catastrofe» e aggiungeva: «se il Fronte democratico non vincesse, una crisi economica, la più terribile, si abbatterebbe sulle nostre industrie e su tutto il paese» . Vi domando se, potendo voi controllare quello che è avvenuto nell’ultimo quinquennio, siete disposti a rendere onore all’arte divinatoria dell’onorevole Togliatti. Ma non è che egli prenda atto dei fatti, che invece della guerra c’è stato un periodo di sviluppo pacifico, che invece dell’abbattersi della rovina sulle nostre industrie c’è stata la ricostruzione. Non è che egli prenda atto di questo per pentirsi, per riconoscere di aver sbagliato. No, oggi Togliatti, nel discorso del 17 aprile 1953, ripete le stesse cose: il problema della pace e della guerra incombe sul nostro paese, disgraziatamente incombe su tutto il mondo e per noi, per l’Italia non esiste la minima giustificazione oggettiva di ciò. E poi: «c’è chi vuole la guerra; le speranze dei provocatori di guerra sono poste oggi in Italia, nello scoppio di un conflitto internazionale e persino in una nuova guerra mondiale, attraverso i quali conflitti pensano potrebbe sorgere di nuovo per loro l’occasione propizia per lo sviluppo d’una politica imperialista autonoma. Vedete come vanno alla ricerca già oggi di ordinazioni di guerra, in Francia, in Inghilterra e in America. Sulle ordinazioni di guerra vorrebbero basare la prosperità di quella parte dell’attività industriale che essi controllano» . E l’altra accusa, oltre quella di preparare la guerra, di volerla, di agitarla; l’altra di una guerra fredda all’interno. La guerra fredda noi, secondo Togliatti, la faremmo contro i socialcomunisti. La guerra fredda consisterebbe in questo: che cercheremmo di rendere difficile a questi signori la conquista del potere politico. Per loro tutto è coordinato, è subordinato a questa conquista. Anche le recenti mosse distensive! Togliatti non si spaventa se è cambiato il tono in Russia, se oggi deve dire il contrario di quello che diceva uno o due mesi fa. Egli continua con la massima disinvoltura: «la pace si può raggiungere soltanto – sono le sue parole precise – se vi saranno azioni di popolo e azioni di governo coordinate, perché la fronte della pace comprende popolo e Stato, masse e governo». «Chiediamo al popolo italiano di pronunciarsi nelle elezioni del 7 giugno in modo che consenta all’Italia di avere alla propria testa un governo il quale unisca attivamente i propri sforzi e gli sforzi di tutti coloro che agiscono e combattono per una distensione internazionale e per la pace» . Sempre questo è lo scopo: quando c’è minaccia di guerra bisogna che essi vadano al governo per impedire la guerra, quando minaccia la pace bisogna che vadano al governo lo stesso. In realtà Togliatti ha dimenticato che egli si era recentemente compromesso con una opinione diversa sopra i problemi della guerra. Non basta che egli abbia esaltato le capacità militari del maresciallo Stalin, l’organizzazione militare russa, l’attacco in Corea, ragione della guerra; non basta che egli abbia espresso la massima speranza nell’estendersi delle guerre coloniali; non basta la glorificazione dell’attacco in Cina. A proposito di quelle guerre di cui oggi si parla, sentite l’opinione «pacifica» di Togliatti espressa nel rapporto al Comitato centrale del partito: «il movimento di resistenza e di ribellione all’imperialismo si estende ovunque e si rafforza. Nei paesi coloniali esso assume già la forma di guerra e di insurrezione aperta di popoli intieri, nei paesi imperialisti più avanzati, come la Francia e l’Italia, si traduce in un prestigio nostro crescente, in una estensione del fronte delle masse che combattono per la libertà e per la pace» . Però è vero che se gli avversari sono identici – ed io ho voluto documentare l’identità di questi avversari – e il pensiero del 1948 è il pensiero che si ripete oggi, il modo di presentarsi è diverso. I socialisti sono divisi dai comunisti, ossia marciano separati: parlo dei socialisti di Nenni, naturalmente. Ma io vorrei portare delle documentazioni anche intorno a questa realtà di divisione e di diversità di marcia. Togliatti, il 17 aprile 1953, annunciando che i comunisti si presentavano separati dai socialisti, o meglio i socialisti separati dai comunisti, disse: «noi abbiamo un patto di unità d’azione con il Partito socialista. Questo patto è una inderogabile necessità politica della situazione italiana, è un portato della storia di tutto il movimento operaio italiano e in particolare della lotta condotta per la liberazione dal fascismo e dall’invasione straniera. Questa unità è uno dei capisaldi della politica nostra e non ce ne staccheremo mai» . Quindi separazione momentanea, separazione nei movimenti, ma unità d’azione, unità di capi, unità di rendimento. Il patto di unità d’azione, che nel testo è quasi dimenticato perché né lui né gli altri ne vogliono parlare, è un patto concluso il 27 ottobre 1946, il quale prevede che ognuno di questi due partiti può prendere la propria strada, ma è detto chiaro che quando si tratti di andare all’attacco per la conquista del potere, cioè per andare al governo, allora debbono essere assolutamente insieme per prendere il potere. Che importa allora che essi si presentino staccati quando in realtà, nei momenti decisivi, sono uniti e assumono uniti la responsabilità del potere? Noi non possiamo accettare come una diversità essenziale questa modifica di schieramento e dobbiamo dire: si tratta di un movimento tattico che ha lo scopo sopratutto di portar via, verso Nenni, tutte quelle anime in pena che si dicono mezzo socialisti e mezzo socialdemocratici, e che non voterebbero facilmente per Nenni se Nenni fosse visibilmente legato, anche nel simbolo, ai comunisti. Nenni vuol darci ad intendere che questo schieramento vuole creare una situazione nuova, che egli chiama alternativa socialista ; ma egli dimentica quello che diceva al Congresso del gennaio 1947, in polemica con Saragat ed altri gruppi, quando affermava che l’unità coi comunisti era imposta da una esigenza di vita, e che sarebbe stato impossibile, inconcepibile un fronte della libertà e della democrazia senza i comunisti . «Un Partito socialista, diceva, che fosse in una fase di propaganda e di opposizione, potrebbe forse fare a meno del patto di unità d’azione, ma un Partito socialista che è al governo e che deve cercare di mantenervisi per non esporre la classe dei lavoratori a terribili rappresaglie, deve assolutamente avere il patto di unità d’azione» . Sarà permesso di rispondere che lo schieramento diverso non può essere interpretato che come una mossa tattica. Non esiste un’alternativa socialista. Esiste soltanto l’alternativa democratica da una parte e socialcomunista dall’altra. L’onorevole Nenni è un artista quando si tratta di presentare le cose con una certa morbidezza. Direi che di professione, politicamente parlando e quindi senza voler offendere, è un lubrificatore, un verniciatore. Egli ha giustificato i processi di Praga; ha esaltato Stalin, perdonandogli la soppressione dei compagni concorrenti, anche se erano vecchi socialisti; ha perfino avuto parole di comprensione per le forche di Praga. Mai una parola di biasimo o di distacco che significasse indipendenza e autonomia di pensiero. Volete vedere come lubrifica la situazione quando si tratta dei tumulti al Senato? Sapete che al Senato i compagni socialcomunisti, quando non avevano più argomenti da lanciare, hanno cominciato a lanciare le tavolette. Non è meraviglia che egli si meravigli e anche ironizzi come ha fatto nel suo ultimo discorso, col richiamo contro chi «ricama indignati commenti su una tavoletta di legno che vola nell’aula, del Palazzo Madama». Una tavoletta: pare che dica «lodoletta» e canti la canzone della Vispa Teresa. Egli ha scusato la violenza fisica come risposta immediata alla «meditata truffa» della legge. Vedete, sempre il solito commentatore che ha giustificato le repressioni di Stalin e le forche di Praga, in fondo però, elegantemente ma meno idealmente, egli fa la difesa della forza. La fa come rudemente la fa, in un suo discorso il senatore Secchia, vicesegretario del Partito comunista. Dice Secchia: «voi dite che non vi fidate delle nostre affermazioni perché ovunque i comunisti hanno conquistato il potere, là sono comparse le forche. Parliamone, se volete, di queste forche. Già vi è stato detto che in Russia e in altri paesi sono avvenute delle profonde rivoluzioni che hanno liquidato il regime di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ebbene in quei paesi i residui delle vecchie classi dirigenti non si sono rassegnati a non vivere sul lavoro e sul sudore del popolo. E si ribellano, sospinti dagli agenti dell’imperialismo nordamericano. Allora la giustizia popolare, la forza della legge e delle costituzioni di quei paesi si abbattono su costoro» . Ecco, non solo la comprensione, ma addirittura la giustificazione; e per giustificare si fanno passare per residui delle vecchie classi anche Rikof , Kamenef , triunviro con Stalin e Zinovief , Bukarin , il maresciallo Tukacewski , Jegow , Radek , Slansky , Clementis ed altri, tutti divenuti residui delle vecchie classi. E non dite che vi pare strano che in un dato paese ci siano troppi cambiamenti, e non cambiamenti circolatori come avviene dappertutto, ma addirittura che la circolazione avvenga fra poltrona ministeriale e prigione. Ieri erano in prigione, oggi vengono fuori e vanno al posto dei ministri, i quali alla loro volta vanno in prigione. Ma Nenni difende la Costituzione e la libertà. Nenni in Italia ci accusa di non aver fatto tutte le leggi organiche e le applicazioni della Costituzione che si dovevano fare. Avete – dice – lasciato passare i termini stabiliti nella Costituzione; per esempio ci rimprovera di non aver applicato dappertutto la legge regionale; ma la Regione è stata realizzata in Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e in Val d’Aosta. E Nenni è l’ultimo che ci può muovere questo rimprovero perché è sempre stato contrario ed è tuttora contrario alla Regione. Inoltre egli dice: «voi avete violato l’art. 3 della Costituzione il quale chiede l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica. Non avete fatto nulla nei confronti dell’art. 43: socializzazione. Non avete fatto niente nei riguardi dell’art. 44: «leggi agrarie». Avremmo tante cose da rispondere, Nenni compare alla Camera solo nelle grandi occasioni; nelle occasioni ordinarie, quando si fanno le leggi sul serio, non lo si vede. Il governo in questi cinque anni ha presentato 2.229 disegni di legge; e non dico che tutti siano andati a posto bene; certe volte bisognerebbe augurarsi che fossero la metà. Ma ad ogni modo si è lavorato molto. La Camera ha lavorato molto. Di questi 2.229 disegni di legge ne sono stati approvati 1.916. Fate il confronto con un periodo antecedente normale, quello del 1913-1919 (dal 1919 in poi non si può più parlare di normalità): allora vennero presentati 1.196 progetti di legge. E poi si dice: ma questo governo che fa? Non risponde mai alle interrogazioni. Voi sapete che i deputati hanno diritto a presentare delle interrogazioni. Si dice che esse giacciono senza risposta. Le statistiche dicono che sono state svolte oralmente 2.069 interrogazioni e quelle che vennero evase con risposta scritta furono 11.825 su 12.458. Vi pare che si possa dire che questo è un governo assolutista, che non ha controlli, che non agisce e non reagisce? No. Noi non abbiamo bisogno di cambiare la Costituzione, abbiamo bisogno di applicarla. Badate, non voglio escludere che ci sia in qualche momento, per qualche settore, il bisogno di una revisione costituzionale. Del resto questo provvedimento è previsto dalla Costituzione stessa e quindi può darsi che questa necessità si possa presentare. Per esempio, sarà necessario pensare ad una revisione costituzionale per il nuovo Senato. Ma in generale abbiamo bisogno, non di violare la Costituzione o di farne un’altra, ma di applicarla e di aggiornare il Codice penale. L’art. 52 della Costituzione dice: «la difesa della patria è sacro dovere del cittadino». Ma allora è necessario che noi precisiamo e, se occorre in un apposito articolo del codice, che rendiamo più severe le sanzioni contro il sabotaggio militare, il sabotaggio contro la produzione, il sabotaggio contro le istituzioni di difesa. E contro chi svolge attività diretta a reprimere nei cittadini il sentimento del dovere per la difesa della patria. Questa è la sostanza di proposte che abbiamo presentato al Senato, sulle quali discuteremo coi nostri collaboratori, liberamente, ma dovremo pure trovare una via per salvaguardare la libertà e l’autorità, anche l’autorità dello Stato nella libertà. Inoltre la Costituzione all’art. 54 dice (scusate se sono un po’ lungo ma una volta tanto questa lezione deve essere fatta) dice che tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. Perciò siamo nella Costituzione e abbiamo il diritto di chiedere al giudice di punire le azioni e le agitazioni che, esaltando la violenza, tendono a rovesciare la Repubblica e le sue basi democratiche, instaurando la dittatura o militare o di classe o di partito. Qui è estremamente difficile la formulazione del diritto, come dicono i giuristi. Ma ci deve essere una possibilità di conciliare, oppure vogliamo ammettere che i nostri princìpi sono condannati fatalmente a scomparire di fronte a chi vuole e sa imporre la disciplina coatta? Ciò dimostrerebbe che il regime democratico non è fatto per questo mondo specie in un’epoca di guerra fredda e di grosse convulsioni sociali. C’è qualcuno che, in nome della libertà politica, vuol rinunciare alla libertà esistente, cioè alla libertà della persona e della coscienza? Nell’art. 2 si dice che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La solidarietà politica implica dovere verso la nazione e verso la patria; la solidarietà economica vuol dire limite agli interessi di classe, limite che può imporre solo lo Stato con le sue leggi. Ciò vale tanto per i datori di lavoro come per i lavoratori. E se i magistrati non considerano abbastanza vincolanti le disposizioni vigenti, converrà pure precisare il lecito e l’illecito nelle agitazioni per le occupazioni delle fabbriche e delle terre, e sarà solo quando la democrazia imporrà dei limiti all’illegalismo che essa avrà la forza di attuare quello che la Costituzione dice e che Nenni invoca: l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. La Costituzione vuole questa effettiva partecipazione, ma essa è evidentemente una conseguenza della lealtà costituzionale di queste classi, del loro contegno e del loro cessare da certe agitazioni che sono assolutamente inaccettabili ed inconciliabili con la Costituzione. Non abbiamo bisogno di mutar nulla e molto meno di violare la Costituzione. Abbiamo bisogno soltanto che governo, funzionari, magistrati abbiano chiara la consapevolezza del loro dovere nazionale, sì che il popolo senta che la democrazia è un terreno solido su cui può oggettivamente svilupparsi ogni progresso: ma è anche un regime che sa e vuole difendersi dalle avventure di sinistra o di destra e salvarsi da nuove convulsioni che sboccherebbero in un’altra catastrofe nazionale. Sempre a proposito di Costituzione, nel corso della discussione al Senato ci è venuta l’idea di rivolgere a Secchia una domanda: «accettate voi sinceramente la Costituzione repubblicana italiana?». E Secchia ci ha risposto: «nell’attuale periodo storico, noi riteniamo che la Costituzione possa far progredire il nostro paese. Quanto all’avvenire, è evidente che, nel mondo, l’Italia non finirà con le nostre persone, e il popolo italiano potrà sempre decidere liberamente del suo avvenire» . Voi vedete che questo «avvenire» può essere domani, dopodomani, fra settimane, un anno, alla prossima occasione che capita. E così nell’azione passata. I socialcomunisti, ancora debbo chiamarli così, hanno agito contro di noi lottando contro tutte le leggi di una qualche importanza. Non vorrei tediarvi citando quello che dicevano di male di leggi che poi hanno riconosciute efficaci, come la legge del Piano Fanfani, la legge agraria, la legge per la Cassa del Mezzogiorno. Tutte leggi che vennero descritte alla Camera, nei loro discorsi, come tradimenti agli interessi popolari e che nella pratica ebbero naturalmente alquanti loro consensi ed anche tentativi di sfruttamento quando si è trattato di dare ad esse esecuzione. Ci resterebbe da rispondere all’altra domanda: che cosa abbiamo fatto? Vi dirò che abbiamo fatto molto, ho la consapevolezza che abbiamo fatto molto. Però devo anche confessare che una cosa non abbiamo fatto abbastanza: non siamo stati in grado di fare la propaganda per tutto quello che abbiamo fatto. Dal 1947 ad oggi le principali realizzazioni del governo democratico nel campo dell’economia possono riassumersi così: 1)ricostruzione del patrimonio danneggiato dalla guerra nei settori più delicati del paese; 2)stabilizzazione della moneta e dei prezzi e fine della spirale inflazionistica che minacciava di gettare nel caos l’intera comunità nazionale. È un merito che va riconosciuto a tutti i ministri e specialmente all’onorevole Pella qui presente; 3)soluzione dei più grandi problemi economici quali la riattrezzatura industriale, lo sviluppo delle fonti di energia, la riorganizzazione dell’industria siderurgica, lo sviluppo agricolo e il potenziamento della marina mercantile e degli altri mezzi di trasporto. Avvio a una maggiore produzione e ad una maggiore occupazione e lotta contro le difficoltà naturali e le aree depresse (pensate alla riforma agraria) conseguenti all’abbandono e all’incuria secolari. Messi in cifre, si sono rinnovati, potenziati i settori base della nostra attività economica. Per l’energia elettrica è stata raddoppiata la produzione del 1938 (da 15 a 30 miliardi di KWH); per il metano si è passati da quasi zero ad una produzione di circa un miliardo e mezzo di metri cubi. La siderurgia è stata completamente riorganizzata nella produzione e sono stati costruiti nuovi impianti a Bagnoli, Piombino e Cornigliano. Si produce oggi molto di più: e a costi assai più bassi dell’anteguerra. La produzione dell’acciaio, specialmente, è in aumento (52 per cento) e supera i tre milioni di tonnellate. Per le raffinerie la capacità produttiva è stata quintuplicata. Siamo perfino divenuti esportatori di prodotti finiti, con conseguente maggiore occupazione di lavoratori. Nella riattrezzatura industriale sono stati erogati circa 600 miliardi. Il settore più difficile, come ricorderete, è quello della meccanica. Nel 1938 un terzo della nostra produzione meccanica era destinata alla produzione di guerra e due terzi al consumo civile. Abbiamo dovuto fare la riconversione, e abbiamo ottenuto che almeno quasi tutta la quota un tempo destinata alla difesa fosse assorbita dall’esportazione e da un maggior consumo interno. Ed è anche aumentata la produzione complessiva del 30 per cento. Non ho bisogno di dirvi dello sviluppo agricolo. Sono stati avviati programmi di riorganizzazione, di bonifica, d’investimenti. È stato ricostruito il patrimonio zootecnico. È aumentato il rendimento delle coltivazioni. Un dato significativo: i trattori che nel 1938 erano meno di 40.000 oggi sono 80.000. Ebbene, Togliatti dice che chi ha fatto queste cose, non è il governo, ma gli italiani. Quale scoperta! È evidente che quello che è decisivo è l’apporto del lavoro e della intelligenza del nostro popolo, ma le leggi che abbiamo fatto hanno avuto appunto lo scopo di favorire questo lavoro, di renderlo più facile, favorendo i finanziamenti e facendo in certi casi intervenire direttamente lo Stato o a interessi per risparmio o, addirittura, con finanziamenti diretti. Ed allora ecco che si obbietta che lo Stato si è ingerito nell’economia. Ma è innegabile tuttavia che vi sono certe cose in cui l’individuo da solo o le piccole collettività come il Comune e la famiglia non ce la fanno, ed allora ci vuole l’aiuto dello Stato. Bisogna creare un ambiente di stabilità della moneta e fornire contributi e incoraggiamenti. E poi ci sono le «aree depresse». Quello che mi sarebbe difficile comprendere è che voi milanesi vi possiate lamentare che abbiamo speso e stiamo spendendo miliardi per il Mezzogiorno: avreste torto se non altro perché le somme che si spendono laggiù tornano poi anche a vantaggio delle industrie del Nord. Ma è assurdo che nel Mezzogiorno si faccia della propaganda contro di noi perché avremmo fatto questi grandi investimenti col denaro proveniente dalle province del Nord. Col programma dodecennale non dico che abbiamo fatto tutto. Abbiamo cominciato a fare. Abbiamo cominciato bene. È per questo che chiediamo di starci altri cinque anni. Nel 1952 la Cassa per il Mezzogiorno ha svolto un programma corrispondente a un milione 400 mila giornate operaie mensili e quando il programma avrà raggiunto il ritmo normale previsto dovrà portare a superare i 2 milioni. E poi avete sentito come Togliatti ci accusi di cercare le commesse di guerra per far danari dietro «gli imperialisti» per dar danari ai «grandi signori» ecc. Ieri e ieri l’altro abbiamo concluso a Parigi le nuove commesse, cioè le ordinazioni che l’America farà alla industria italiana. Queste commesse potranno dar lavoro a circa sessanta industrie. Ciò vuol dire che gli operai avranno lavoro, che non occorre più far licenziamenti; significa lavoro che aumenta. Volete che lasciamo che lavorino tutti gli altri Stati e che noi non abbiamo la nostra parte? Abbiamo dunque chiesto e possiamo dire col più grande successo: circa 210 miliardi di lavori vengono all’Italia. Quanto ai profitti, è certo ci saranno anche i grossi profittatori: ma a questi ci penserà Vanoni. Però quelli che ne profittano di più sono gli operai. E il numero degli operai che aumenta, è il numero degli operai che non occorre vengano licenziati. Non ho finito e non finirei se dovessi fare l’inventario di tutto quello che hanno compiuto i colleghi di governo che stanno qui, oltre, naturalmente, gli assenti. Voi sapete benissimo come sia stata realizzata la ricostruzione delle ferrovie, come siano stati realizzati i lavori pubblici; voi sapete come siano avviate le riforme scolastiche verso posizioni chiare. C’è gente che lavora. Qualcosa è riuscito bene, qualcosa a metà, qualcosa è ancora in fase di realizzazione. C’è gente che lavora e cerca di realizzare. E, a questo riguardo, somiglia molto alla vostra razza. Per fare questo inventario ci sono ora due mesi. Avete il tempo di farlo assieme agli altri ministri che avranno occasione di parlarvi con maggiore competenza delle singole leggi, dei singoli provvedimenti. E voi potrete criticare. Potrete dire questo va, questo non va, questo deve essere rimediato. Questa è la democrazia. Ci si domanda: qual è il vostro programma? Che cosa potremmo fare nei prossimi cinque anni? Vorrei rispondervi: continuare a fare quello che abbiamo fatto, farlo meglio, più intensamente. Ma soprattutto mi pare si possa puntare sopra un problema che è il massimo nostro, cioè il problema dell’occupazione. Noi dovremo fare uno sforzo massimo per aumentare e rendere sufficiente l’occupazione. I nostri tecnici hanno preparato un bellissimo programma, hanno preparato ottimi studi, ci hanno detto che si arriverà ad aumentare di oltre il 50 per cento la produzione di energia elettrica. Un aumento del 350 per cento è prevedibile per la produzione di metano, con una intensificazione delle ricerche e della utilizzazione delle forze endogene. È quello che si sta facendo in base alla legge appena passata in una Commissione, se non erro, alla Camera. Nel Mezzogiorno, infatti, stiamo non soltanto scavando, ma cercando di imprigionare i gas, di farli lavorare per noi, come si fa già a Larderello per le ferrovie. Se potessimo dunque aumentare di queste percentuali le fonti di energia, allora le disponibilità di tali fonti consentirebbero non solo di soddisfare le maggiori esigenze dell’attività produttiva, ma anche – specialmente attraverso un maggior impiego di metano – di semplificare le lavorazioni e di ridurre i costi. Non vi dico poi del problema edilizio. Esso ci sta sommamente a cuore. Siamo arrivati ad una media annua nell’ultimo periodo, se non sbaglio, di 700.000 vani all’anno. E se noi potessimo avere i mezzi per poter mantenere questo ritmo, specialmente con riguardo alla edilizia popolare, noi dovremmo poter risolvere anche in Italia il problema della casa, problema che è veramente angoscioso nonostante le enormi costruzioni fatte. Sistemazione idraulica dei fiumi: abbiamo visto le grandi linee della legge dei fiumi presentata dall’onorevole Aldisio. E qui non si tratta di fare il processo alle chiacchiere: volete forse negare che abbiamo speso inutilmente cento miliardi di lire per riparare i danni del Polesine? E nell’agricoltura? Nel 1950, su proposta del governo, il Parlamento ha approvato due leggi di riforma agraria applicate nei termini previsti in alcune zone d’Italia, reperendo 585 mila ettari (e sinora assegnandone circa 200 mila a più di 40.000 famiglie). Queste cifre sbugiardano la estrema sinistra, che accusa la Democrazia cristiana di aver fatto solo delle promesse. Ma la falsità degli oratori di destra che ci accusano di aver distrutto anche aziende in pieno rigoglio è dimostrata dagli esoneri dell’esproprio concessi a 106 aziende ritenute modello, per una superficie di 38.000 ettari circa. Mentre accelereremo la completa trasformazione ed assegnazione delle terre sinora espropriate, studiamo la esperienza fatta in questa materia. Sicuramente da essa trarremo motivo per quelle misure capaci di promuovere la prosperità dell’agricoltura che del resto è stata incoraggiata proprio nell’ultimo anno anche dai cospicui finanziamenti del piano dodecennale e da quelle minori per la montagna. Nell’agricoltura, come negli altri campi della vita nazionale, le leggi e le riforme debbono servire ad incoraggiare gli attivi e i coraggiosi, eliminando i poltroni e gli sperperatori. Alla luce di queste considerazioni sarà aggiornata e proseguita la politica agraria. E ora, mi spiace, ci sono anche le tasse. Uno dei maggiori impegni del governo in questo quinquennio rimarrà la riforma tributaria anche perché si è avuto il coraggio di toccare un settore nel quale gli interessi colpiti sono molti, numerosi, grandi e piccoli. In questa prima fase non si è potuto affrontare un piano clamoroso di riforma strutturale del nostro sistema tributario perché si sono dovute creare le premesse psicologiche e tecniche di più profondi rinnovamenti e si è nel contempo dovuto avere il massimo riguardo alle necessità di bilancio. Ma ora il reddito nazionale è avviato a raggiungere un livello accertabile e la sua distribuzione, anche in virtù delle altre riforme e provvidenze pubbliche, tende a migliorare sensibilmente. Queste condizioni consentono e consentiranno di passare da un sistema di imposte sul reddito misto ad una tassazione prevalentemente personale che è la espressione più evidente del regime democratico. Ma se guardiamo indietro, vediamo che in questa prima fase sono stati fatti dei passi decisivi e si sono costruite delle basi solide su cui poggiare il nuovo sistema: una graduale costante politica di riduzione dei tassi delle varie imposte, in primo luogo dell’imposta generale sull’entrata e di quella sul reddito, una più efficiente esenzione dei redditi minimi ai fini dell’imposta sul reddito, con notevole beneficio delle classi meno abbienti. Tutto ciò ha consentito di porre le premesse per ogni ulteriore sviluppo, cioè una migliore perequazione, una migliore giustizia fiscale. Punto di partenza estremamente importante doveva essere la dichiarazione unica annuale. Per la prima volta nella storia del popolo italiano il contribuente ogni anno impegna la sua parola per confessare i propri redditi al fisco. Le prime due dichiarazioni nel complesso hanno dato buoni risultati anche se le evasioni di certe categorie di redditi, evasioni che stiamo combattendo con la massima energia, non sono mancate. Ma i progressi tra la prima e la seconda dichiarazione sono notevoli e ancor più notevoli si faranno man mano che l’azione del fisco potrà espandersi in superficie e in profondità. Molti dei provvedimenti legislativi necessari sono già in preparazione; alcuni sono stati anche discussi in Consiglio dei ministri e saranno oggetto delle riforme del prossimo governo. Ora dovrei parlarvi un po’ di politica estera. Che cosa dicono gli avvenimenti attuali di politica estera? Confermano la bontà della nostra posizione atlantica. La situazione si è ammorbidita, si è evitata la guerra perché la guerra è diventata un rischio troppo grave sia perché esiste la bomba atomica, sia perché l’organizzazione atlantica è ormai una grande forza solidale europea. Al Senato ci si è detto: «voi volete questa legge-truffa per far passare la Comunità di Difesa Europea». Ma noi non abbiamo bisogno di ricorrere a nessuna legge particolare per far passare la Comunità. Pensiamo che, secondo il tenore dell’articolo 11 della Costituzione, abbiamo il diritto di chiedere al Parlamento di approvare una legge la quale unifichi anche gli eserciti, e che in ogni caso sia base per uno sviluppo europeista. Non vi nascondo che vi sono stati anche punti oscuri nella situazione. Quali sono? A parte la guerra in Corea, dove purtroppo si combatte e si muore, e quella in Indocina, che si chiamano guerre coloniali, ma che in verità sprizzano dallo stesso principio, è sempre lo stesso volto del comunismo come lo avete visto quando ho citato Togliatti. Vediamo la questione europea. Innegabilmente, qual è il punto debole cui si fa poca attenzione e del quale si discute meno? È questo: che vi sono delle questioni territoriali, delle frontiere che non sono state ancora stabilite. Queste questioni delle frontiere sono molto acute, sono questioni di larga contestazione fra uno Stato e l’altro; e non sono state risolte sopratutto perché i trattati di Potsdam e di Yalta, fatti in fretta alla fine della guerra e al principio del dopoguerra, sono trattati che si sono detti provvisori. A Yalta i famosi «tre grandi» convennero sul principio che la frontiera orientale dovesse seguire la linea Curzon; a Potsdam, sentito il governo polacco, i tre confermarono che la determinazione della frontiera occidentale della Polonia doveva essere opera del trattato di pace tedesco più tardi, ma intanto furono d’accordo che in pendenza della definitiva limitazione della frontiera occidentale gli ex territori tedeschi ad est della linea Oder-Neisse venissero amministrati dalla Polonia. Abbiamo quindi un importante territorio, importante anche per le sue miniere e per la sua produzione terriera, provvisoriamente affidato all’amministrazione polacca. Ma questo sta nel trattato. In realtà però la Polonia russificata ne ha preso possesso come la Russia ha preso possesso della sua parte della Prussia orientale e non vuole mollare: qui abbiamo una frontiera che non è riconosciuta. Abbiamo due tronconi di Germania, quello della Repubblica federale di Bonn, e quello della Repubblica democratica popolare. Questa ha fatto una convenzione particolare per riconoscere il passaggio alla Polonia di quei territori; il governo di Bonn rifiuta di riconoscere questo possesso. E qui c’è un problema innegabilmente difficile. Dice Nenni: «ecco, voi volete mettere insieme questa Germania federata di Bonn agli altri Stati d’Europa, fare dei sei Stati un’unica Europa e venire ad assumere corresponsabilità sia militari che politiche; in realtà voi provocate la guerra, andate verso la guerra. La nostra concezione è diversa». È vero che esiste una difficoltà ma noi pensiamo, invece, che una Unione federale in cui siano la Francia, l’Italia, gli Stati del Benelux e la Germania di Bonn sia più in grado di evitare qualsiasi avventura, qualsiasi errore, e sopratutto di rinunciare a qualsiasi spinta aggressiva, che non lasciando sola la Germania ad armarsi, perché allora lo spirito nazionale potrebbe spingere di nuovo i tedeschi ad un conflitto. Non è vero che in questa Unione come ha detto Lussu al Senato, ci siano «papalini»; ci sono fior di socialisti, ci sono protestanti, ci sono altri popoli. Non è questo che ci unisce: ci unisce il bisogno, e ormai la comprensione, che non c’è altra salvezza al di fuori di questa unione. Questa è la nostra concezione europeista. Ma da questa concezione momentanea risulta poi un’altra speranza, che è quella che da essa derivi uno sviluppo federalista, e che finalmente le frontiere in Europa vengano abbassate e si abbia una Comunità sola e una libera circolazione sia per le persone che per le cose e sopratutto per il lavoro. L’Italia ha senza dubbio un interesse vivissimo anche suo, oltre che interesse generale nel senso internazionale, che questa nuova costruzione dell’Europa si faccia. Ma noi abbiamo ancora una ragione particolare: ritorcere l’arma contro questi signori, i quali non possono non vedere che è vantaggio certo della nazione italiana di avere questa nuova costruzione e di parteciparvi. Essi non pensano all’interesse della nazione italiana ma a quello della Russia, di cui temono naturalmente l’opposizione. Nenni, invece, dice: «sapete cosa facciamo? Stiamo neutrali». È andato a dirlo anche, pare, a quello che ho sentito dire da fonte abbastanza sicura, a Stalin. Stalin gli ha domandato: «ma cosa intende lei quando parla di neutralità dell’Italia?». E Nenni ha risposto: «neutralità con doppia garanzia: ci garantiscono di rispettare la neutralità la Russia da una parte e l’America dall’altra». E sapete che cosa ha detto Stalin? Stalin gli ha detto: l’Italia è un paese troppo grande per fare i servizi della Russia e non può trovarsi in una posizione analoga a quella della Svizzera. Non può piegarsi a siffatte garanzie di una neutralità lesiva del suo prestigio e della sua importanza. Allora Nenni ha risposto che si potrebbe trovare un’altra forma: il patto di non aggressione. Ma di patti di non aggressione non ne abbiamo bisogno perché col Patto atlantico ci siamo obbligati a difenderci, ma siamo anche obbligati a non aggredire. E se i russi prendono un impegno del genere, esso non ha valore, come abbiamo visto ormai ripetute volte. Ad ogni modo, se la Russia volesse applicare il principio della non aggressione nei confronti dell’Italia, per forza di cose dovrebbe applicarlo anche nei confronti degli alleati dell’Italia, perché altrimenti la complicazione sarebbe grave. Vengo come sapete dalla sessione dell’organizzazione atlantica: se voi poteste assistere a queste sedute, a questo dialogo fra tutti i rappresentanti di 14 paesi, non solo ministri degli Esteri ma anche militari ed economici, vedreste una unanimità assoluta sopratutto in due cose: prima di tutto la buona volontà di accettare qualunque proposta seria che possa aprire uno spiraglio verso la pace. Però contemporaneamente la ferma volontà di non rischiare prima di essere sicuri di continuare nell’unità difensiva e di rafforzarsi, perché l’esempio ci dice che l’ammorbidimento di oggi è la conseguenza della forza dimostrata. Se mi domandaste una valutazione sopra certi gesti distensivi, io direi prima di tutto che non se ne debbono vantare i nostri comunisti, i quali fino a ieri hanno esaltato Stalin, hanno esaltato il potere militare, hanno parlato di guerra incombente. Come avete visto non sono loro che possono approfittare del cambiamento d’aria, se cambiamento c’è. In secondo luogo noi diciamo: vedremo i fatti. Se cominciassero ad esempio a far la pace là dove c’è la guerra, dovunque si combatte sul serio, come in Corea; se si cominciasse a dire: basta uccidersi l’un l’altro, facciamo veramente l’armistizio, sarebbe una bella prova. Con ciò non vorrei dire che tutte le questioni sarebbero risolte, ma ci sarebbe una spinta nuova. Lasciamo che si faccia questa prova: vedremo poi di affrontare quelle difficili. Noi ad ogni modo saremo disposti sempre all’ottimismo, ma anche alla prudenza e alla cautela. Bisogna esaminare se una data mossa che vien fatta mira a dividerci o no. Se mira a dividere per esempio l’Inghilterra dalla Francia o a tenere divisa la Germania dalla Francia allora quella non è una misura di pace, è una misura per noi pericolosa, perché può condurre al disfacimento interno quindi alla guerra. Se invece tutto quello che vien fatto è unione di forze è ricostruzione dell’Europa: questa è pace, è garanzia di pace, è la strada della pace, quella che noi percorriamo. Lasciamo quindi dire. Oggi le cose sono così, corrispondono veramente alla realtà. Quanto alle intenzioni, che volete che sappiamo noi? Ce lo dicano loro. Fino a ieri ci hanno detto che Stalin era per la pace: che anzi era la garanzia della pace. Adesso ci dicono che appena morto le cose sono cambiate e la pace ha fatto un grande cammino perché è morto. Se non lo sanno loro che sono stati in Russia all’università bolscevica e che ne seguono attentamente le mosse, chi deve saperlo? Noi no di certo. Ma un certo sospetto lo abbiamo. Qui non si tratta di domandarci se questo interessa o no il bolscevismo come ideologia, si tratta di domandarci se non c’è una certa tradizione di metodo, un certo modo russo-slavo, bizantino, diverso dalla nostra concezione. Ve ne do un esempio. Certe volte le opere d’arte, le opere poetiche sono quelle che hanno intuizioni delle situazioni. Voi conoscete il Boris Gudunov. Ebbene è un’opera grandiosa di un grande poeta russo, Puskin , il quale mette in bocca a Boris Gudunov morente davanti al figlio, erede al trono, dei consigli sull’arte di governo – vedete che non si tratta di bolscevichi, siamo indietro, ma c’è una tradizione – con queste parole: «sin dall’infanzia hai partecipato al mio fianco alle riunioni della Duma; conosci le tradizioni su cui si regge un governo sovrano. Le consuetudini sono l’anima del potere statale. Negli ultimi tempi sono stato costretto ad adottare di nuovo il bando e la pena capitale. Tu potrai abolirli: sarai benedetto per questo come lo fu tuo zio quando ereditò il trono dal “Terribile” . Col tempo poi potrai di nuovo gradualmente serrare le redini del potere. Ora allentale ma non lasciartele sfuggire dalle mani». Non vi pare divinatorio? Ora abbiamo un problema che ci riguarda più direttamente. È uno dei problemi a cui la diplomazia, secondo una frase celebre, deve pensare sempre, ma di cui non sempre sarebbe opportuno parlare, se il tacere non potesse essere interpretato come voler dimenticare. Nessuna occasione, anche minima, viene lasciata sfuggire senza proclamare e ribadire il nostro buon diritto. Quando non ne facciamo oggetto di pubbliche dichiarazioni è perché insistiamo nelle comunicazioni e nelle conversazioni di altra natura. Badate, se è vero che la dichiarazione degli alleati del 20 marzo 1948 costituisce, come costituisce, un impegno d’onore che non viene né può venire negato; se è vero, come Nenni afferma, di aver sentito dire a suo tempo da Molotov, che l’URSS resisteva alle richieste italiane solo perché aveva promesso durante la guerra a Tito la Venezia Giulia come compenso per i sacrifici fatti durante la guerra, ebbene, che cosa impedirebbe oggi all’URSS di rendere anche giuridicamente perfetta la formula proposta dagli alleati nel 1948, aderendovi ora, in un momento in cui i conti di guerra si potrebbero considerare chiusi in un ambiente di distensione, e chiudere si potrebbe anche in uno spirito di collaborazione fra l’Italia e Jugoslavia, quando si accettasse il criterio che tale collaborazione è tanto più agevole quanto più le terre confinanti sono omogenee per carattere etnico e storico? Affermiamolo anche qui, perché, a forza di insistere, la verità si fa strada. La pace adriatica è una pace costruttiva, che se garantisce all’Italia i suoi diritti, giova anche alla Jugoslavia, alla quale auguriamo pacifico sviluppo e prosperità. Almeno questa volta non ci si risponda dall’altra parte con polemiche acerbe. Tanto esse non intaccherebbero in nessuna misura la nostra pacata ma risoluta fermezza, né indebolirebbero la nostra immutabile speranza. Ora concludo. Ci si dirà: che cosa volete? Pretendete la immobilità delle vostre posizioni? Volete restare sempre ministri? Cristallizzare il potere di un partito per altri cinque anni? Fossilizzare gli uomini? Volete negare il ringiovanimento, l’intercambio? Rispondo: no, per quello che riguarda i nostri quadri, una generazione incalza l’altra, i giovani di 30 anni stanno accanto agli uomini di 70. Nuove forze sono state addestrate, anche come sottosegretari o nelle Commissioni parlamentari. Una nuova classe dirigente è stata formata e si va formando. Si dirà: ma De Gasperi non se ne va mai? È certo che io stesso ho prolungato lo sforzo al di là dei limiti dell’età naturale, ma la colpa è di chi rende ancora così aspra la battaglia e così incombente il pericolo. L’ ho sentito anche nell’ultima occasione del tumulto al Senato che c’è bisogno di tutte le forze, anche dei vecchi, fino all’ultimo momento in cui c’è necessità di resistere. La democrazia non è ancora in una posizione sicura. Questa nostra nazione non ha consolidato ancora le ossa, c’è ancora molto da fare per rendere stabile la democrazia. Il dovere per me è ancora di battermi in un posto qualunque, al governo e meglio fuori! Ma, e lo dico a proposito di una pubblicazione, vorrei avvertire che nessuno ha il diritto di attribuirmi l’ambizione di essere portato in icona sopra la folla. Io starò sempre nei ranghi e camminerò col popolo e col partito come da mezzo secolo sto facendo. Ma è necessario un ringiovanimento dei muscoli e delle arterie, è assolutamente indispensabile, badate, in ogni movimento democratico, in ogni partito, in ogni classe di governo; ma questo necessario ringiovanimento dei muscoli e delle arterie, non può dissociarsi dall’esperienza delle difficoltà superate, e sopratutto dalla prova di resistenza morale. Oh, tutti noi abbiamo molti difetti, abbiamo diversità di temperamento. Ma la prova dei fatti, che vuol dire la prova dell’attraversare le responsabilità, di assumerle coraggiosamente, questa prova deve dimostrare tre cose: primo, che in un uomo c’è il senso del dovere verso la comunità nazionale anche col proprio personale sacrificio; secondo: assoluto disinteresse personale che accetti ove occorra, per disciplina interna ed esterna, anche un servizio secondario e magari un’umiliazione. So bene che qui molti che hanno avuto la legittima ambizione di poter adire alla rappresentanza parlamentare in questa occasione non hanno potuto vederla soddisfatta. Io dico, giovani o quasi giovani, ricordatevi che la prova migliore che si può dare al proprio partito e al paese è quella di sopportare questa prova e di agire disinteressatamente. Domani il premio non può mancare. Terzo: la prova deve dimostrare che la coscienza illuminata dalla convinzione che questo nostro servizio che prestiamo nel particolare momento storico che passa – attimo fuggente – può sì essere benemerenza riconosciuta o no dai contemporanei, ma certo è apprezzata da chi domina i tempi e giudica le generazioni. Questa è la nostra forza, e deve essere questa la nobiltà del nostro stile. Direi che questo rappresenta il contributo che il nostro patrimonio spirituale può dare al progresso di tutti nella nazione. Non siamo degli esclusivisti. Ci sono delle fedi umanitarie, degli impulsi semplicemente razionali, delle concluse esperienze nazionali o internazionali, delle virtù, della filosofia o delle tradizioni che imprimono sigilli di nobiltà. E questo contributo può essere, per la spinta in avanti della nazione, prezioso, e va accettato. Dirò di più: benché l’essenza del regime democratico sia il principio della maggioranza parlamentare che governa e della minoranza che controlla, e non si possa accettare quello che con eufemismo Nenni chiama equilibrio, che potrebbe essere invece paralisi se non insidia, dirò tuttavia (benché, ripeto, il normale principio sia quello della maggioranza che governa e della minoranza che controlla), che sarebbe desiderabile che il governo potesse valersi delle capacità degli uomini che provengono dalle varie categorie della produzione, da quelle della tecnica a quelle sindacali. Ed entro i nostri quadri mi pare – non conosco ancora i risultati del lavoro di Gonella dato che sono stato all’estero – che sia stato fatto ciò che si può presentare al pubblico come una manifestazione di forza e di educazione. Ma direi di più: faccio un passo avanti. Anche fuori dei nostri quadri sarebbe auspicabile che presto o tardi, nelle vicende democratiche e nella loro evoluzione, ciò possa avvenire anche fuori di noi, allargandosi cioè le basi, spalancando le porte della Repubblica a tutti gli uomini di buona volontà, provenienti da tutte le classi. Ma è necessario ancora che preceda un periodo di chiarificazione e di filtro. Le scorie della guerra devono cadere, il fanatismo odiatore alimentato dalla scuola di Mosca e dalle prigioni, il cominformismo, cioè la guida politica e ideologica di uno Stato estero, deve trovare i suoi invalicabili limiti nella coscienza nazionale, e i princìpi fondamentali della Costituzione devono essere sinceramente accettati e inculcati. Ogni progresso, ogni evoluzione è nella legge, e non è ammessa come alternativa la sovversione. Senza dubbio c’è, per il momento, nella presentazione di Nenni, un cambiamento di tono, ma egli rimane ancora legato alla sua parabola bolscevizzante ed è ben lontano, per adesso, dal ritornare a quello che era il suo pensiero nel 1945, quando obiettando ai propugnatori della proporzionale proclamava: «la maggioranza deve poter governare altrimenti si va al caos, all’avventura e alla dittatura». Innegabilmente fa piacere sentire oggi proclamare da lui il dovere della difesa della patria, benché tale dovere diventi teoretico se si rifiutano i mezzi e le alleanze per difenderlo. Ma anche qui egli ancora è sempre fuori della sua traiettoria iniziale di quando, nel 1918, a Bologna, diceva: «ogni cittadino deve contribuire con tutte le sue forze alla resistenza se non si vuole che l’Italia finisca come la Russia». Oggi la sua meta ideale è di finire come la Russia e con la Russia. Siamo dunque sempre lontani, e la direzione di marcia è divergente. Ma lontani siamo anche dalla destra. Abbiamo fatto un certo sforzo, sopra i nostri sentimenti. Abbiamo cercato di superare il conflitto passato. Abbiamo presentato – non è colpa nostra se le vicende parlamentari non hanno permesso di definire questa legge – un provvedimento che riconosce la pensione ai mutilati della Repubblica sociale e agli appartenenti alla MVSN, già approvato alla Camera. L’idea era di spezzare la cosiddetta «spirale della vendetta», l’idea era sopratutto di giudicare con equità e serenità la massa dei combattenti. Tutti pieni di ammirazione per la Resistenza fatta con sacrificio personale e per la patria. Il nostro riconoscimento e l’onore vanno a chi ha ubbidito alle leggi dell’onore e della disciplina, e ha mantenuto fede al giuramento. Ma comprensione: comprensione e indulgenza per tutti quanti compirono i sacrifici in buona fede. Inchiniamoci con lo spirito sulla tomba del caporale alpino Giampietro Civati caduto in combattimento il 5 dicembre 1944 che, come racconta Silvestri, ha scritto questo mirabile testamento: «sono figlio d’Italia, d’anni 21, non di Graziani e nemmeno di Badoglio , ma sono italiano e seguo la via che salverà l’onore d’Italia» . È su questo sentimento che fondiamo la nostra speranza di riguadagnare alla democrazia queste forze che sembravano perdute. Ma che vogliono, i politici neofascisti, che rivendicano e riabilitano il fascismo, tutto il fascismo e ci coprono di volgari accuse? Il fascismo ha costruito, sì, non lo nego, ma noi abbiamo costruito e rinnovato immensamente di più. Ci dicono – e su certi giornali satirici questa accusa traspare – «asserviti all’America». Ma noi non ci mettiamo sull’attenti dinnanzi a Foster Dulles, come i gerarchi dinnanzi a Hitler. Con l’aiuto dell’America abbiamo salvato la moneta e recuperato l’oro della Banca d’Italia: voi avete consegnato alla Germania persino l’oro della Banca d’Italia. L’America ci aiuta a ricostruire l’esercito per difendere la pace. Senza il suo aiuto non avremmo nessuna possibilità di armare modernamente i nostri soldati: li manderemmo con la sola baionetta come i famosi 8 milioni. Non vantiamo come allora progressi che poi non si sono avverati, ma abbiamo sentito in sede internazionale questo riconoscimento: che il nostro esercito oggi, sia pure coadiuvato dalle forze di marina e dell’aviazione alleate, è in grado di sbarrare il cammino alla invasione eventuale perché munito di forze corazzate e assicurato alle spalle dalla flotta nostra e da quelle alleate. I progressi fatti sono notevoli grazie allo sforzo appassionato dei capi – ministri alla testa – e allo spirito patriottico rifatto, ringiovanito, rinforzato dei soldati e del popolo. Grazie alle alleanze l’Italia riprende fiato, ha voce nella ricostruzione dell’Europa e nella difesa della pace. Su questa via bisogna continuare con tenacia, con lealtà e con l’unione. Dunque anche qui, di fronte ai destri neofascisti, dobbiamo dire che siamo ancora lontani da una chiarificazione e non vedo elementi costruttivi per la politica nazionale. Ma anche i conservatori della Monarchia si troveranno pure un giorno (oggidì fingono di non vedere tale questione in concreto) si troveranno dinnanzi ad un’alternativa e speriamo non sia tardi. Vogliono essi consolidare questo regime democratico, oppure vogliono sottoporlo ad ulteriori complicazioni – ora che la nazione è ancora in preda ai marosi della politica interna e non ha risolto le sue questioni internazionali – con nuove scosse per la questione del regime? Il problema non è nella forma ma nella sostanza. E la sostanza sta nell’alternativa: libertà o totalitarismo, democrazia o dominio dittatoriale, oligarchia di classe. Questo oggi è il dilemma, dentro e fuori le frontiere. Questa è la linea del fuoco, qui c’è il centro della battaglia. Non bisogna disperdersi in settori secondari. La linea democratica comprende vari partiti: facciano tutti il loro dovere guardando al paese e al suo avvenire. Noi democratici cristiani abbiamo l’onore di essere il centro e di attirare su di noi gli urti di molteplici forze. È il nostro destino e il nostro dovere, ma è anche la sicurezza e la salvezza del paese! I nostri avversari, Togliatti alla testa, ironizzano sulle mie parole del 1948 quando dissi che bisognava vincere: «costi quello che costi». Quassù si comprenderà forse meglio il significato ideale di queste parole quando si ricorda che esse sono la divisa gloriosa della Brigata d’Aosta: «ca cousta l’on ca cousta, viva l’Austa!». Così noi diciamo: costi quello che costi, viva l’Italia!
1cf7e8e5-945e-46ae-b4ca-1d17bd6857cb
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Cari amici di Torino e del Piemonte! Dovete armarvi di pazienza perché io, come al solito, non vi voglio fare un discorsetto improvvisato: vi dirò delle cose annotate, cose che riassumono il lavoro fatto ed esprimono in concreto l’impegno per il domani. Vi dirò che sono veramente ammirato di questa vostra presenza in massa. Ne devo dedurre che a Torino, piova o non piova, è sempre lo stesso. Sono venuto stamane ed ho fatto, come è doveroso per chi rispetti le tradizioni, una prima visita all’aula del Parlamento subalpino. Qui è nato il Parlamento italiano, e qui riconfermo la mia ispirazione e la mia aspirazione e la mia convinzione che il Parlamento è un Istituto, pur con tutti i suoi difetti, come ogni cosa umana, che va difeso: il Parlamento è la garanzia dello sviluppo pacifico e progressivo del nostro paese. Ebbene, questa affermazione che dovrebbe essere naturale, oggi mi viene come conclusione di una esperienza tristissima. I miei colleghi che sono qui e che appartengono al Senato e alla Camera sanno a quali fatti mi richiamo: il pericolo mortale che il Parlamento ha corso attraverso l’ostruzionismo, del quale voi avete forse avuto una immagine lontana. Chi lo ha visto da vicino, chi ha sentito le parole e i discorsi, chi ha indovinato l’odio che ispirava queste parole e questi discorsi ed i propositi demolitori che erano in fondo la conclusione di tutta quella apparentemente formale opposizione di pensieri, di idee e di argomenti, chi ha visto tutto questo ha sentito che c’era un pericolo, e che questo pericolo andava scongiurato. Sissignori, costi quello che costi questo pericolo andava scongiurato. Noi non abbiamo violato la Costituzione, non siamo venuti meno ai regolamenti; soltanto abbiamo approfittato del tumulto perché durante il tumulto la volontà della maggioranza si facesse valere – e quella della minoranza, in realtà, non poteva attraverso il tumulto farsi valere perché era una espressione negativa come tutta quella attività era una espressione negativa, non una volontà efficiente che potesse portare ad un risultato pratico –. Che cosa sarebbe accaduto, amici miei, se alla Camera prima o al Senato poi l’ostruzionismo avesse vinto, se noi avessimo dovuto ritirare la legge? Non solo il governo di De Gasperi – poiché dopo un governo ne viene un altro – ma il Parlamento sarebbe stato annientato, il principio stesso della maggioranza sarebbe stato distrutto, e il Parlamento sarebbe divenuto una adunanza di pavidi uomini impotenti che avrebbe attirato su di sé il disprezzo di tutti. È questo precisamente che si voleva dalle due parti che in combutta criminosa hanno tentato di avvilire questo Parlamento, di demolirlo, di distruggerlo, E c’era in questa loro voglia, in questa loro tendenza, qualcosa di ancestrale, di avito, di tradizionale. Da tutte e due le parti, ripeto: l’estrema sinistra ricordava che i propri antenati avevano sciolta e frantumata la Duma, cacciati tutti i liberi Parlamenti, introdotto il partito unico con lista unica; e l’altra parte, la cosiddetta estrema destra, ricordava che Mussolini aveva detto che il Parlamento doveva essere trasformato in un bivacco per i suoi militi, e ricordava il listone e le glorie del manganello e il terrorismo finito con il «caso Matteotti». Entrambe queste tradizioni si univano in un ideale che per l’una era chiamato Soviet e per l’altra Corporazione ed il prezzo era la morte della democrazia parlamentare. C’era anche un gruppetto di signori ben vestiti e puliti, che si chiamavano monarchici, i quali, poiché gente ben costumata, avevano una certa riluttanza a unirsi all’opposizione, ma tuttavia lo facevano. Mi domando: a che cosa pensavano in quel momento? Pensavano al re? Ma vivaddio, voi torinesi lo sapete: i Savoia dopo Carlo Alberto sono sempre stati re parlamentari, che sostenevano il Parlamento. L’ultima volta che ebbi l’onore di recarmi dal defunto Vittorio Emanuele , nel ’24 avendogli io chiesto il permesso di dirgli la verità sul Parlamento e su ciò che bisognava fare, ricordo che mi rispose segnatamente: «sono tanti anni che sto qui e non fo altro che sentire; dica pure». In realtà fino a quel momento la Monarchia aveva rispettato la volontà del Parlamento: l’errore che ha commesso fu quello di non appellarsi al Parlamento quando l’avevano consigliato e di non ricorrere al popolo in un momento di gravi decisioni per il paese. Lo ha espiato. E ricordo bene che il figlio Luogotenente, venuto più tardi, aveva coscienza di espiare colpe non sue. Ora, che cosa vuol dire Lauro quando viene a sostenere che egli rappresenta l’ultima carta della Monarchia? Specialmente al Senato ho avuto la sensazione della gravità del problema, quando Ruini, un vecchio democratico, ebbe il coraggio di affrontare la violenza e quelle tavolette che Nenni dice «volavano nell’aula come le allodole». Da una parte Ruini, rappresentante di una vecchia tradizione democratica parlamentare, e dall’altra il nostro Negarville, che apparteneva alla squadra d’attacco […] . Quando ho visto queste due forze unite mi sono ricordato che questa collusione, questa unione c’era già stata nel passato. I più vecchi tra voi ricorderanno che Mussolini nel 1920-21 dinanzi all’occupazione delle fabbriche stava neutrale e tenne alla Camera nel ’21 un discorso per ammonire il governo a non martellare con provvedimenti di polizia il fascismo, giacché esso avrebbe potuto – sentite le parole, parole divinatorie – allearsi con il comunismo per rovesciare lo Stato, salvo poi (come diceva lui, con il suo bel vocabolario) conflittare con il nuovo alleato per la spartizione del bottino. Queste affermazioni hanno qualcosa di profetico e di divinatorio, perché anche adesso le cose stanno così: quando avessero ottenuto – se l’ostruzionismo avesse avuto il sopravvento – la decadenza e poi la paralisi del Parlamento, qualora non fosse stato possibile avere una maggioranza solida per il governo stabile, allora sarebbe incominciato il pericolo della gara a chi arriva prima. Togliatti pensa che la saldezza della sua organizzazione, la sua ANPI, le sue organizzazioni di quel genere, i suoi Moscatelli, Audisio e Longo, arriverebbero a tagliare la strada, come a Dongo; ma Almirante confida invece di arrivare prima e rimettere in azione il plotone del castello di Verona. Tutti e due a gara a chi arriva prima. E Lauro arriverebbe come Lohengrin sul cigno , o meglio su una «Liberty», una di quelle navi che questo miserabile governo di De Gasperi ha procurato dall’America per promuovere lo sviluppo dei commerci italiani. Ma in un paese ove la democrazia fosse vinta che farebbe il re? Tratterebbe con Nenni e con Corbino e Antonicelli , essendosi dichiarati questi ultimi, a Torino, né carne né pesce, cioè né anti-comunisti né para-comunisti (così almeno mi hanno riferito), e avendo definito l’on. Corbino, con dolce perifrasi, il comunismo «un aspetto particolare del mondo moderno». Questi signori fanno concorrenza a Nenni, a quello della tavoletta. E se Nenni, a proposito di quella tavoletta capitata addosso a Ruini, ha ripetuto – come ha detto a Milano con un certo successo – la canzone della «Vispa Teresa»: «vivendo e volando che male ti fo?», così anche Corbino pensa di poter, attraverso queste forme di tolleranza o di equidistanza, trovare una soluzione. Nenni viceversa dice (presentandosi con quella faccia bonaria di romagnolo simpaticone): con la mia alternativa socialista, come con la tavoletta vivendo e volando che male ti fo? Alla borghesia va ripetendo questo: in fondo, il pericolo comunista non esiste; i comunisti, dice e anche altri dicono, vanno indietro. In effetti i comunisti in questo periodo fingono di essere moderati, dissimulano la loro tattica di preparazione, lasciando andare avanti Nenni. Ma appena passato un anno la musica cambia. Ricordate che dopo le elezioni amministrative, Ingrao, su l’Unità del 31 maggio celebrava il De profundis del 18 aprile e diceva: la sinistra non ha perduto un voto, è in avanzata, bisogna che la frana clericale si trasformi in crollo e il progresso popolare in impetuosa avanzata ; e Il Secolo, giornale neofascista, intonava la stessa musica: notevole regresso della Dc, vittoria di Pirro a Roma, in nome del feticcio democratico la democristianeria del potere ha fatto di tutto per presentarsi come sola difesa contro il comunismo, ma non vi è riuscita. Ora, invece, che ci avviciniamo alle elezioni essi hanno bisogno di dire il contrario. Allora si diceva: i democratici cristiani sono andati indietro, noi andiamo avanti, ormai la vittoria è sicura. Oggi si vuole dimostrare il contrario. Sapete perché? Perché si vuol far pressione affinché i quattro partiti non arrivino insieme al traguardo del 50,1%. Allora dicono: la Dc è ancora troppo forte, il pericolo della maggioranza assoluta è grande, bisogna ridurlo, diminuirlo ad ogni costo. Perciò di dispersione di voti non ve n’è, perché i comunisti perderanno il 20-30% dei voti. Lo scopo di tutta questa manovra è di impedire non solo che vi sia una maggioranza solida, ma una qualsiasi maggioranza. È vero che avremmo in tale caso continue oscillazioni, e forse l’impossibilità di fare un governo omogeneo. Ma non importa. I borghesi si prendono il lusso di dividersi per discutere sulla Monarchia o la Repubblica, o per far rinascere l’antico conflitto, o per riabilitare la Repubblica di Salò o la guerra perduta, mentre ancora Nenni e Togliatti sono legati da un patto per la conquista del potere e fanno oggi sottomano un estremo sforzo per riuscirvi. Dicono che è difficile che riescano. Ma io affermo che è più facile che diventi presidente del Consiglio Nenni che Lauro e che è più difficile il ritorno del re che la vendetta di Almirante. Oggi chi vota esprime un atto che va considerato, valutato non per l’intenzione di chi lo compie ma per gli effetti che produce; bisogna che vi sia della responsabilità in tutti coloro che impugnano l’arma del voto per le conseguenze che si possono avere. Io posso qui parlar chiaro, perché l’alternativa che si presenta non è la mia persona o il mio partito soltanto; l’elettore dalla nostra parte può scegliere, se crede, anche i partiti collegati. Così abbiamo provveduto in democrazia alla libertà di coscienza. Voi credete che le cose siano tranquille e che non ci sia più alcun pericolo. Leggete il discorso tenuto il 19 aprile al Teatro Alfieri da Negarville. Sentite la dichiarazione: «se il monopolio politico della Dc dovesse convincere la maggioranza degli italiani e dovesse veramente far penetrare nella coscienza a volte superficiale di troppi italiani l’idea che in Italia non v’è altro governo possibile, allora si aprirebbe senz’altro la prospettiva della guerra civile, la quale potrebbe avere una scadenza più o meno prossima, ma è certo che le forze che vogliono un altro governo soprattutto per risolvere i problemi urgenti della vita popolare e della vita nazionale non avrebbero altra scelta che quella di fare l’insurrezione per cambiare governo» . Sentite la musica melodiosa di questi signori, i quali, pur trovandosi in una situazione relativamente di minoranza, hanno ancora il coraggio di fare di queste profezie e di queste minacce. Ond’è che io vi dico, e ho il diritto di dirvi: stiamo in guardia. Oggi è il 1° maggio, e i cortei che passano fanno pensare a molte cose. Ma io ne ho pensata una vedendo passare dinanzi alle vetrate tanti operai su motociclette, su motorscooter, su Lambrette: che il 1° maggio si è meccanizzato. Se vi sono tante Vespe, tante Lambrette, tanti motorscooter, e oggi non si va più tanto a piedi né solo in bicicletta, è segno che vi è stato un progresso. Sta a vedere che di questo ha colpa anche quel miserabile governo che io presiedo. È un piccolo fenomeno, se volete un piccolo sintomo, perché accanto a quelle macchine, a quella meccanizzazione, c’è un’altra meccanizzazione, vi sono i progressi dell’industria; ma è un fenomeno sufficiente per dire: mettiamo pure che le Lambrette e le Vespe sono state fatte da industriali, da operai intelligenti, ma in una atmosfera, in una condizione di economia che è stata diretta dal governo, da questo governo che rappresenta la reazione e il progresso. Non voglio qui ripetere il discorso di Milano , quindi devo richiamarmi a quanto ho detto là, lo troverete stampato. Non posso dire tutto quello che abbiamo fatto, ripetere tutte le cifre. Ne voglio aggiungere qualcuna soltanto ed integrare l’osservazione che ho fatto circa le Lambrette eccetera. È stata raddoppiata negli ultimi cinque anni la produzione elettrica, il metano, poi – non sarà merito nostro, ma degli uomini che ne hanno avuto intraprendenza, dello Stato che li ha aiutati, senza dubbio del ministro Vanoni, che ha appoggiato l’iniziativa di Mattei –, da zero è arrivato a un miliardo e mezzo di metri cubi, il 52 per cento di aumento della produzione dell’acciaio, un terzo della produzione meccanica, che era produzione per la guerra, è stata riconvertita. E badate che non soltanto le Vespe e le Lambrette si sono diffuse: i trattori, che nel ’38 erano 40 mila, oggi sono 80 mila e 80 mila rappresentano lavoro per la campagna. Vorrei ricordare (poiché molti di voi rappresentano soprattutto gli interessi dell’agricoltura) che nella campagna abbiamo fatto veramente uno sforzo notevole. Non ditemi se abbiamo fatto abbastanza o no, non domandatemelo: no, non abbiamo fatto abbastanza ed è per questo che dobbiamo fare ancora, per far di più. Ma abbiamo fatto molto, abbiamo speso per bonifiche, dal ’48 al ’53, 105 miliardi, abbiamo speso per fondo miglioramento aziende agricole 59 miliardi; la legge per la piccola proprietà e i mutui per la piccola proprietà ci hanno portato allo spezzettamento di 380 mila ettari. Nella riforma agraria – che vogliono dimenticare che abbiamo fatto, che vogliono rinnegare, perché, miserabili e meschini come sono, hanno votato contro alla Camera – per dieci anni abbiamo impegnato 365 miliardi, espropriando sinora 585 mila ettari, costituendo nove villaggi mentre 56 sono progettati, abbiamo costruito 551 case nuove, 6.113 sono in costruzione (parlo naturalmente della zona della riforma agraria, non delle case costruite all’infuori di essa); sono stati impiegati 1.902 trattori in quella zona. La legge sulla montagna prevede un altro programma per dieci anni con una spesa di 67 miliardi. Vi è poi il piano dodecennale per lo sviluppo dell’agricoltura: prestiti per acquisto di macchinario – anche qui a Torino avete avuto la vostra festa per la distribuzione dei macchinari –, in cinquantadue provincie sono state distribuite 5.593 macchine agricole. Ma, dite voi – voi non lo dite, ma lo dicono i vostri avversari – siete gli amici dei grossi, siete gli amici dei monopoli, andate d’accordo sottomano con i grandi signori per pelare i poveri. Vi ricorderò un’altra cosa, allora: la riforma fiscale. Quando si tratta di tasse si vede subito la rotta che si prende. Non abbiamo ancora fatto la grande riforma che vorremmo fare, cioè passare da un sistema di imposte di reddito misto a una tassazione prevalentemente personale, ma ad essa mirano e abbiamo fatto i passi iniziali, premessa indispensabile. Prima di tutto abbiamo provveduto ad abbassare le aliquote: abbiamo esentato sino alla quota di 240 mila lire, cioè abbiamo esonerato 436.697 modesti contribuenti, di cui 224.864 piccoli industriali e 213 mila artigiani e professionisti; abbiamo elevato il minimo imponibile a 480 mila lire per l’imposta complementare, esonerando così altri 400 mila contribuenti. Diminuendo l’aliquota, il carico dell’imposta, per i medi commercianti e industriali, è diminuito della metà, e per i medi artigiani e professionisti a un terzo. Ma adesso viene il bello. Vennero presentate le dichiarazioni obbligatorie per la prima volta in Italia nell’ottobre ’51, poi un’altra volta e un’altra ancora. Ora siamo alla terza dichiarazione. Indubbiamente non tutte queste dichiarazioni saranno veritiere la prima, la seconda e la terza volta, ma andiamo avvicinandosi alla verità, siamo sulla strada che ci porterà alla verità nell’accertamento. La Finanza ha tre anni di tempo per rivedere e cercare la verità. Si è fatta una revisione, finora sono state rivedute 145 mila dichiarazioni presentate nell’ottobre in occasione della prima dichiarazione, 118 mila nel marzo ’52 e centinaia di migliaia della complementare. Sapete cosa si è trovato? Si sono potuti accertare maggiori redditi, per una cinquantina di miliardi, per la prima e la seconda dichiarazione sulla ricchezza mobile, e una quarantina di miliardi circa sulle dichiarazioni per la complementare. Dunque, là dove si arriva alla revisione, coloro che possono vengono costretti a pagare. Siamo sulla strada di trasformare il sistema delle imposte. E se arrivassimo, ciò che può sembrare impossibile in Italia, a persuadere tutti che la strada giusta è quella di dire la verità arriveremmo anche alla giustizia sociale. Devo dire qualcosa agli amici che vanno parlando di corruzione. Ci saranno anche nelle nostre file delle pecore nere (in tutta questa massa non volete che vi sia qualcuno che pecca? I peccatori ci sono dappertutto). Ma ditemi se noi sopportiamo questo, ditemi se non è vero che quando un caso è scoperto va a finire alla magistratura, dal giudice, e viene fatta l’inchiesta. Questa è la purezza della vita. E badate, abbiamo anche votato una legge per cui se qualche deputato si fosse lasciato tentare oggi non lo potrebbe più fare perché ha dovuto rinunciare, in base alla legge sulle incompatibilità, a molti posti. D’altro canto, per noi è ancor più facile non incorrere in peccati di gola perché, nonostante quanto si va dicendo, le grosse banche, i grandi complessi industriali, i grandi giornali, le grandi editorie, non sono diretti da uomini della Dc, e il denaro dello Stato viene amministrato scrupolosamente. Si parla di monopoli e si dice: andate d’accordo con Valletta , con la Montecatini. Ma un paese miserabile, che sta risollevandosi adesso, che ha bisogno di lavoro, sul quale premono veramente la disoccupazione e la miseria, dovrebbe proprio perdere il suo tempo e suscitare attriti fra un industriale e l’altro? Non dobbiamo cercare di andare d’accordo? Andar d’accordo non vuol dire piegarsi agli interessi di una parte o dell’altra, vuol dire cercare la conciliazione, il bene, il progresso, quello che dà lavoro. Non regge dunque l’accusa che ci fanno di favorire i monopoli (come dicono ripetendo pappagallescamente una parola una volta che l’hanno coniata), perché in realtà di monopoli non vi sono che quello del tabacco e quello del sale, ed è verissimo che rendono molto allo Stato; se non ci fossero lo Stato dovrebbe attingere dalle tasche dei privati molto più denaro di quanto non cavi fuori ora. Oggi, 1° maggio, poiché ci si rimprovera nei comizi di non fare l’interesse degli operai, dirò che ho visto una cosa strana. La Cgil ha pubblicato un appello nel quale esalta il bilancio positivo della sua azione sindacale, e dice: abbiamo ottenuto notevoli successi, l’aumento degli assegni familiari nei settori privati, compresa l’agricoltura; l’estensione della scala mobile ai salari agricoli; la 13ª mensilità ai pensionati; i miglioramenti economici e normativi per numerose categorie e contratti di lavoro; l’aumento dell’indennità di licenziamento. Ma se avete avuto tutto questo compresa la tredicesima mensilità vuol dire che quasi tutti questi aumenti sono dovuti a provvedimenti legislativi o amministrativi. Chi li ha sanzionati? Il governo. Perché, allora, Di Vittorio dice che in Italia la miseria cresce e le condizioni sociali peggiorano? Se peggiorano o è colpa della Cgil o è merito della Cgil, ma se non peggiorano è merito anche del governo, non v’è dubbio. L’on. Santi stamane ha detto che il numero di disoccupati da 1.600.000 è salito a 2.200.000. Non è vero. In base a statistiche ufficiali fatte dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione risulta che il numero è diminuito a meno di 1.300.000, e pure questi sono numeri da accertarsi con cautela. In quanto alle case, Togliatti nel suo programma ha detto che bisognava costruire 300 mila vani all’anno, e la gente ha applaudito, senza pensare che noi nel ’52 abbiamo costruito 770.000 vani. Gli operai ricordino che la rivalutazione delle retribuzioni dei lavoratori e l’elevamento conseguente del tenore di vita sono dovuti soprattutto alla stabilità monetaria, perché a mano a mano che la lira perde valore anche i salari perdono notevolmente valore, ma se la lira mantiene il suo valore anche i salari restano alti. Vi cito queste cifre: nel settore dell’industria, mentre nel dicembre ’45 – fatta base cento nel 1938 – l’indice dei salari era di 1.544, e quello del costo della vita era 2.771, nel 1952 l’indice dei salari era 7.378 mentre l’indice del costo della vita era 5.575. L’indice salariale era, quindi, nel ’45 del 26,2% al di sotto di quello del costo della vita, mentre nel ’52 è stato notevolmente più alto; tutto ciò dimostra, in sostanza, un effettivo incremento dei salari reali nell’industria rispetto al ’38. Si dirà che è merito delle organizzazioni sindacali. Sì ma anche dell’intervento del Ministero del Lavoro. Ultimamente è stato per l’intervento del Ministero del Lavoro in appoggio a una richiesta della Cgil che vennero accolte da parte del patronato le richieste circa l’aumento degli assegni familiari e la realizzazione sostanziale dei principali aspetti del problema del conglobamento per quel che riguarda gli scatti d’anzianità e l’indennità di licenziamento. Una importante riforma è stata attuata attraverso parecchi decreti nel campo della previdenza sociale. Non voglio perdermi in cifre: richiamo la vostra attenzione soltanto su alcuni dati, che farà pubblicare a parte. Sull’assicurazione obbligatoria è stata approvata la legge fondamentale 4 aprile 1952 la quale introduce un trattamento minimo e concede la tredicesima mensilità, e questa realizzazione non è frutto soltanto delle lotte sindacali, ma è opera anche del Parlamento, della maggioranza parlamentare. Nel settore della tubercolosi abbiamo superato di gran lunga i sussidi che prima erano previsti. L’Istituto nazionale della previdenza utilizza finora 25.000 posti letto per lavoratori, lavoratrici madri, ecc. Non voglio entrare in particolari. Quello che vorrei vi ricordaste è la lotta che abbiamo ingaggiata contro la disoccupazione. Abbiamo introdotto i cantieri di lavoro e li abbiamo sviluppati per la realizzazione di opere di sistemazione montana, quelli di lavoro per la esecuzione di opere di pubblica utilità. A tutt’oggi, badate alle cifre, risultano istituiti 6.121 cantieri di rimboschimento, per 370.835 operai, a favore dei quali risultano spesi 25 miliardi; 12.416 cantieri di lavoro per 732.000 operai, a favore dei quali risultano spesi 54 miliardi. E non vi cito le opere che sono state compiute attraverso questi cantieri. Aggiungo i corsi per disoccupati; quelli, per esempio, avviati all’edilizia hanno costruito 6.135 vani, e tutti sono stati distribuiti in varie provincie d’Italia (attrezzi, utensili, attività artigiane). Sono stati istituiti 3.795 corsi per giovani lavoratori per 108.321 giovani dai 14 ai 18 anni, nonché 3.262 corsi per reduci per 109.500 lavoratori per 1.594.000.000 di spesa. Ho accennato rapidamente, non potendo fare altrimenti, a queste provvidenze di carattere operaio che è giusto elencare oggi, 1° maggio. Ci si rimprovera: voi siete contro lo sciopero. Permettetemi di dire una parola franca in materia. Abbiamo oggi in Italia trentasei federazioni e 451 organismi nazionali. Non credete vi sia necessità di fare una legge per regolare questi organismi? Non credete sia necessario interessarsi del problema degli scioperi, delle agitazioni? Vi sono o no esigenze assolute? Ad esempio, quando si fanno certi scioperi le organizzazioni sindacali stesse dicono che bisogna pensare al latte per i bambini, agli infermieri, alle cose più urgenti, come l’acqua ecc. Se di ciò non si preoccupasse il sindacato dovrebbe pure esservi qualcuno che se ne occupa, e cioè lo Stato. Ci vuole, dunque, una disciplina. Vi sono servizi essenziali che non si possono lasciare all’arbitrio assoluto dello sciopero. Lo stesso dicasi a proposito delle funzioni: vi sono funzioni collettive indispensabili. Volete che possano fare lo sciopero a loro piacimento i prefetti, i comandanti dei carabinieri, i carabinieri? Ma allora dove c’è una regola, una disciplina, a che servirebbe che lo Stato disponga di tutto un organismo se non la imponesse quando è necessaria? Se si vuole anche ammettere che esista – e non è vero – un diritto naturale di sciopero in tutti i casi, ci sarà anche, per lo meno, il diritto di rinunciare a questo diritto, o anzi l’obbligo, il dovere verso la collettività, in certi settori, di rinunciarvi. Non vogliamo una legge che regoli queste cose, che lasci la libertà di sciopero nelle contese economiche come lotte economiche, ma che salvaguardi gli interessi della collettività, indispensabili e necessari, e soprattutto richieda a coloro che hanno attività e funzioni una particolare moderazione nel far uso di questo diritto anche se come tale venisse riconosciuto. Tutte queste belle cose, amici miei, hanno bisogno, però, di un’atmosfera di pace. Ed ecco che ci accusano di volere la guerra. In un primo periodo – vi ricordate – fino al ’50-51, ci hanno spaventato descrivendoci la masse dell’esercito rosso, con una esaltazione fanatica nell’attacco in Corea, facendoci quasi sentire i carri armati, che da un momento all’altro potevano attraversare l’Italia e distruggere l’Europa, per costringerci alla neutralità e a venire in urto con l’America. Il secondo periodo incominciò sotto il segno delle colombe tubanti. Quando si parlava di minacce di guerra si diceva: però c’è Stalin; finché c’è Stalin – dicevano, finché c’è il «vecio» – la pace è assicurata. Era un’opinione generale. Quando è morto, invece, ricordate, è morto colui che era la garanzia della pace. E quando morì io feci una rispettosa dichiarazione e dissi: se fosse vero che era consigliere di pace, auguriamoci che questa sua tendenza trovi applicazione nel successore. Non avevo detto niente di male. Apriti cielo! Mi sono saltati addosso su l’Unità dicendomi assassino, dispregiatore della grandezza, ecc. Ma ecco, invece, che all’interno della Russia comincia la distensione: distensione pare voglia dire che quelli che erano ministri vanno in prigione, e quelli che erano in prigione diventano ministri. Non voglio criticare: è questione di metodo. Allora quelli che ammiravano e plaudivano a coloro che sono finiti in prigione e mi dicevano spregiatore perché non avevano avuto il debito rispetto per il loro ideale, adesso pretenderebbero che sputassimo addosso a quelli che sono in prigione ed esaltassimo quelli che sono venuti fuori. Noi diciamo: lasciateci un po’ orientare; siamo un pò esitanti, diffidenti. Dicono: non vedete che parlano di pace, che vogliono pace? Sta bene, se la vogliono siamo qua pronti ad accogliere le loro offerte, ma lasciatele esaminare, lasciateci accertare che non sia la solita storia. Se non sbagliamo, nel Laos c’è la guerra, sparano, attaccano. Dite voi: non sono mica i russi. No, ma sono dei vostri. L’Unità, prendete nota di quanto vi dico, l’Unità da Parigi il 30 aprile dice: «la marcia delle forze popolari – a proposito del Laos – appoggiate dai volontari» (dappertutto si tratta di volontari, come quelli di Spagna), sulla capitale del Laos continua: è la liberazione. Centomila volontari sono pronti ed assicurano il continuo afflusso di rifornimenti da Saigon. La chiamano liberazione, ma pare che sia guerra. Ma non ci sono le Nazioni Unite, non dite che bisogna fare appello all’ONU per evitare la guerra, perché allora non accettate l’appello, perché esaltate invece la guerra? Mi rifaccio all’inizio del mio discorso. Ricordate quella sera qui, quando pioveva a dirotto , quando ho avuto ancora la possibilità di leggervi una espressione dell’on. senatore Li Causi, che nel ’51 diceva: nel mondo c’è la guida dell’Unione Sovietica e la enorme volontà di lavoro del popolo siciliano trova oggi nell’Unione Sovietica l’esempio vivo di che cosa può fare un popolo che è al potere. Come il popolo coreano, che suscita la stessa ammirazione dei difensori di Stalingrado, il popolo siciliano lotterà per la pace, il lavoro, la terra e la libertà . Quando, nel bel mezzo della musica melodiosa di pace, si sentono i colpi della fucileria, da quella parte dicono: questi sono i nostri amici. E allora riprendono spirito e coraggio e incominciano ad esaltarsi di nuovo per la guerra, perché queste loro non le chiamano guerre, ma liberazioni, non conflitti, ma insurrezioni. Ma si muore anche là e vi sono conflitti e vi sono morti che si potrebbero evitare se veramente si vuole la pace. Noi diciamo allora: siamo lieti per ogni proposta seria di pace e bisogna in tutti i modi prenderli in parola quando dimostrano di volerla veramente. Ma per poterci persuadere bisogna che la fucileria cessi, che gli attacchi cessino, che la guerra venga sostituita dalla pace e dalle trattative. Questa è la prima condizione per poter poi regolare anche le altre partite rimaste aperte. Per finire, citerò anche Togliatti. Bisogna pure che mi interessi anche di lui, poiché è vostro candidato, no? Togliatti mi accusa, in un trafiletto de l’Unità, di far proprie le rivendicazioni dei nazisti ai danni della Polonia, e dice: quando è un governo guerrafondaio, quindi abbasso questo governo, bisogna capirlo . Sapete perché? Perché nel discorso di Milano ho richiamato l’attenzione degli uditori su questo fatto: che disgraziatamente i trattati, che dovevano essere trattati di pace, di Yalta e di Potsdam nel ’45 sono rimasti incompleti, sono rimasti aperti, perché in questi trattati si è detto che la definizione della frontiera fra la Polonia e la Gemania, la definizione, direi, definitiva della frontiera, si avrà nel futuro trattato di pace, e intanto si è affidato come amministrazione alla Polonia quel territorio tedesco che è al di là del Neisse e dell’Oder. Ho detto: è naturale che i tedeschi protestino, perché ci sono ancora tedeschi al di là della frontiera e vogliono l’unificazione. È fatale che avvenga così. Qual è il metodo per impedire che avvenga uno scontro, una guerra, su questa questione? Il metodo migliore è quello di legare la Germania di Bonn entro l’Unione europea, perché con le forze equilibrate dell’Italia, della Francia e del Benelux, e con l’influsso dell’Inghilterra sia possibile trattenere i tedeschi dal ricorrere a conflitti, se mai ne avessero voglia (in questo momento non ne hanno, ma potrebbero nascere, queste voglie) e ottenere una soluzione pacifica. Ecco perché sarei un guerrafondaio, perché affermo il contrario, e cioè che per evitare le guerre bisogna cercare la ricostruzione e l’Unione europea. Voi, amici, a Torino, so che comprendete più che altrove la parola unione. Torino è una città che ha accettato il sacrificio, un grande sacrificio storico, con il trasferimento della capitale, e tuttavia, ha promosso la unione italiana, sapendo che l’Italia era una grande nazione che doveva avere una grande espressione politica. Torino non ha perduto perciò la sua forza, ma è sempre una grande capitale della industria e una ispiratrice della nostra storia. Come voi sapete, sarà l’Italia del lavoro, culla della civiltà in una più grande Europa. Il vostro esempio deve essere l’esempio per l’Italia. Voi comprendete questa necessità di unione: dobbiamo unirci in Europa per avere la pace, dobbiamo unirci per avere un campo di lavoro comune, unirci perché i beni circolino, il lavoro circoli e l’italiano sia forza di lavoro rispettata in tutte le nazioni .
bc3a3602-8292-414b-afb1-d42b31c2b29a
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presidente del Consiglio ha iniziato il suo discorso richiamandosi a quanto disse a Firenze, il 12 aprile del 1948 . Egli ha respinto l’accusa dell’estrema sinistra, secondo cui la Democrazia cristiana avrebbe abusato della maggioranza conseguita nelle passate elezioni. Non è vero perché, a differenza di quanto è accaduto e accade nell’URSS e nei paesi satelliti, mai abbiamo preteso il monopolio del potere: abbiamo diviso il governo con gli altri partiti, fin quando essi hanno voluto resistervi. Non esiste un monopolio del partito di maggioranza e del potere. Non abuseremo mai, come invece ne hanno abusato in tutti i paesi i comunisti, che piano piano e certe volte non tanto piano, eliminano da ogni potere tutti gli altri partiti. La prova è stata fatta. L’on. De Gasperi ha ricordato che, alla morte di Stalin, in sole due ore si è proceduto al cambiamento del governo e alla sostituzione di tutti i più alti dirigenti dello Stato, delle forze armate, del partito, dei sindacati. Nei paesi comunisti l’alternativa è spesso fra il potere e la prigione. Forse è questa l’alternativa che Nenni e i comunisti propongono al nostro paese: l’alternativa della prigione? La legge elettorale ha lo scopo di salvaguardare il sistema di democrazia, di libertà, instaurato in Italia. Essa permetterà di costituire una maggioranza, alla quale possono partecipare, se vogliono, i quattro partiti democratici. Perché solo quattro partiti? Perché essi hanno un punto di partenza comune, cioè: il sistema democratico all’interno e la collaborazione con i popoli liberi in politica estera. Questa base comune è avversata e messa in pericolo dai socialcomunisti, dai monarchici e dai missini. Fra i quattro partiti di centro, invece, sulle più grosse questione si va d’accordo, o almeno si può fare un tratto di strada insieme, senza che ciascuno tema di essere attaccato alle spalle dall’altro. Se c’è una legge onesta, liberale, che spoglia dall’esclusività del potere, è proprio questa legge elettorale. Dopo cinque anni la propaganda dell’opposizione attribuisce al governo di aver fatto a suo tempo promesse, che invece non furono formulate, o maggiori di quelle che in realtà furono fatte, per poter dire che non sono state mantenute. Io nel ’48 parlai con prudenza e onestà. Dissi che le riforme bisognava farle man mano che si consolidava la base economica; è necessario che lo Stato intervenga con tempestività e misura per una più equa distribuzione della ricchezza fra le classi, specie per gli operai e i contadini. A questo punto il presidente del Consiglio ha citato le cifre che dimostrano i risultati della politica sociale del governo nei cinque anni della sua attività: abbiamo l’orgoglio di poter affermare che abbiamo mantenuto le promesse. Certo, l’opposizione è più facile, specialmente quando si dice sempre di no; mentre è chi fa che può sbagliare. In particolare, l’on. De Gasperi, cifre alla mano, ha rivendicato la politica di ferma difesa della lira, politica che è valsa ad equilibrare i prezzi e a salvaguardare il valore reale dei salari. Il presidente del Consiglio ha quindi riaffermato i risultati ottenuti nella politica economica e sociale, con particolare riferimento alla valorizzazione e all’incremento dell’agricoltura, alla riforma agraria, alla legge per la montagna, all’incremento della produzione e dell’occupazione, alla lotta contro la disoccupazione, alla Cassa del Mezzogiorno, allo sviluppo del programma edilizio. Ma qui l’on. Roveda , proprio qui, in Piazza della Signoria, il 1° maggio ha detto, sentite che parole: l’on. De Gasperi sarà chiamato dal buon Dio, e speriamo presto, per scontare (lo dice lui) tutti i peccati commessi in danno del popolo italiano. De Gasperi ha fatto una politica antisociale e antipopolare, una politica di sfruttamento e di miseria che potrebbe portare alla distruzione del paese. Quel giorno io ero a Torino ed ho potuto assistere dalle finestre della Prefettura al passaggio del corteo del 1° maggio. Non ho mai visto tanta gente motorizzata come quel giorno lì. Naturalmente si potrebbe rispondere che si tratta del progresso, ma è sempre un sintomo. Io rispondo all’on. Roveda e da buon cristiano gli auguro che si converta e viva; che si converta perché il buon Dio, quel buon Dio che egli invoca come punitore per me, gli perdoni tutte le menzogne che dice, perché io sono persuaso che egli lo fa per ragioni di servizio. Proprio a testimonianza del progresso conseguito in questi anni dall’economia italiana, l’on. De Gasperi ha citato le cifre riguardanti l’incremento delle fonti di energia, incremento che è decisivo per tale valutazione. La produzione dell’energia elettrica è stata infatti raddoppiata, quella del metano, da zero, è giunta ad un miliardo e mezzo di metri cubi; quella dell’acciaio è aumentata del 50% ed ha superato i tre milioni di tonnellate; quella delle raffinerie si è quintuplicata; la siderurgia è stata completamente rinnovata; sono stati erogati 600 miliardi per la riattrezzatura industriale. La produzione meccanica è aumentata complessivamente del 30%, l’industria meccanica è stata riconvertita. Si produce oggi molto di più ed a costi molto più bassi dell’anteguerra. Nel campo della protezione sociale e della difesa del lavoro e dei salari, i risultati conseguiti sono dovuti al governo e alla maggioranza parlamentare e non certo come pretende la Cgil esclusivamente all’azione dei sindacati. Ed ora parliamo della pace. I comunisti dicono nei loro manifesti che, se si vuole la pace, occorre votare per il Pci, come se gli aggressori in Corea e nel Laos fossero democristiani o saragattiani. Circa l’idea di un incontro a cinque, l’on. De Gasperi ha ricordato come egli, già nel 1950, al Senato, fece presente che lo Statuto della Organizzazione delle Nazioni Unite impegna gli Stati membri a mantenere la pace e la sicurezza e a prendere, a tal fine, efficaci misure collettive per la rimozione delle minacce di guerra. In Corea abbiamo l’esempio delle nazioni dell’ONU che si battono per respingere la aggressione. Ma ora dico per la prima volta in pubblico un’altra cosa, dopo tanti anni. Siamo stato dipinti come uomini che per fanatismo anticomunista, per passione clericale, ce la siamo presa contro la Russia e non abbiamo perciò trovato la strada della pace. Naturalmente il grosso pubblico può facilmente dimenticare il corso delle cose. Ma io sono qui a ricordare che nel 1945, ero allora ministro degli Esteri, dovemmo constatare che nelle trattative che allora si facevano per la pace, la Russia era contro l’Italia ed era il vincitore più duro e che imponeva le condizioni cosiddette punitive. Abbiamo visto con enorme dispiacere che non riuscivamo a dare una diversa idea ai potenti russi. Nemmeno il fatto che allora c’era Togliatti al governo aiutava ad uscirne fuori. Ed allora per cercare di ottenere dalla Russia delle condizioni di pace più possibili abbiamo fatto questo tentativo. Abbiamo detto: se noi otteniamo per merito della Russia una pace onesta, noi ci impegniamo a non entrare mai in nessuna coalizione offensiva contro la Russia e a mantenerci in pace. Questi passi sono stati ripetuti più volte. Io stesso ho personalmente discusso con Molotov intorno a questo argomento e l’effetto è stato negativo. La Russia ha voluto le riparazioni, la Russia le ha imposte e le ha volute a tutti i costi, la Russia ha voluto parte della flotta, soprattutto la Russia ha promesso a Tito la Venezia Giulia, ha voluto dare a Tito tutta l’Istria e gli avrebbe dato anche Trieste, se all’ultimo momento agli altri alleati non fosse riuscito di creare quell’espediente temporaneo, provvisorio, chiamato il Territorio libero, che ha avuto almeno in quel momento il risultato di salvare Trieste, che non è stata sommersa nella parte ceduta alla Jugoslavia. Tutto ciò, amici miei, accade quando i comunisti erano ancora al governo, quando non c’era ancora il Piano Marshall, quando dall’America avevamo soltanto gli aiuti, i soccorsi immediati del Piano UNRRA, tutto questo è avvenuto nonostante i nostri sforzi per la pace. E oggi i comunisti invece che lamentarsi con la loro grande protettrice la Russia, che ci ha trattato così male, oggi difendono il contegno dell’URSS e attaccano noi e rovesciano contro noi ogni colpa, contro di noi che abbiamo fatto il massimo sforzo per la pace. Non starò qui ad elencare tutti i torti che i russi ci hanno fatto finora, non solo per la questione di Trieste e per la questione delle colonie, ma anche per la nostra partecipazione all’ONU, partecipazione per la quale la Russia è stata la nostra prima avversaria. Con tutto ciò noi non siamo qui a promuovere guerre o a invocare pericoli di guerra, noi siamo per la pace e vogliamo difendere la pace. E se vi sarà un gesto serio per la pace, non quello della propaganda che fanno i nostri comunisti per le piazze, noi saremo d’accordo con chi cerchi in tutti i modi di cominciare a discutere seriamente. Ma la pace vuol dire inevitabilmente non sparare, non fare la guerra; bisogna dunque cominciare a cessare i combattimenti; poi, un po’ alla volta, quando si sia realizzato un armistizio, anche gli altri problemi saranno affrontati e risolti. Con questo spirito siamo pronti a collaborare come abbiamo già detto in sede di NATO, però non vogliamo lasciarci giocare, bisogna che l’esercito abbia tutto quello che è necessario per difendere il nostro paese. Sentiamo dire dai comunisti che l’Italia non ha bisogno di essere difesa perché non sarà mai attaccata, diciamo: tanto meglio, ma rispondeteci: se fosse attaccata da chiunque, anche dalla Russia, voi comunisti sentirete il vostro dovere d’italiani di battervi per difendere la patria? Questa risposta non è mai venuta. In verità adesso Nenni comincia a dire che per conto loro la difesa della patria la farebbero, ma in un caso solo: quando attaccata fosse direttamente l’Italia soltanto. Che se invece l’Italia venisse coinvolta nel conflitto generale, allora no, nessuna difesa atlantica. Come se non fosse vero che la neutralità di cui parla Nenni in realtà non esiste. E sapete a chi era andato a dirlo recentemente Nenni, prima che Stalin morisse? A Stalin. E Stalin ha fatto finta di non capire e ha domandato a Nenni: «non capisco bene che cosa intendete quando parlate di neutralità dell’Italia». Nenni ha risposto: «intendo dire la neutralità garantita da una parte dalla Russia e dall’altra dall’America, una neutralità come quella della Svizzera». E Stalin dà questa lezione a Nenni: «l’Italia è un paese troppo grande, ha una storia troppo illustre per potersi trattare così ed essere oggetto di contrattazione tra diversi Stati». Il che voleva dire: dovete difendervi se sarà necessario in ogni caso. In ogni caso dovrete avere una politica propria – voleva dire una politica favorevole ai sovietici – ma comunque si tratta di un concetto ben diverso da quello al quale Nenni aveva accennato. Vi confesso che quando si tratta di rispondere ai fascisti io sono molto imbarazzato a polemizzare: non so proprio cosa dire, specialmente quando si tratta di giovani o di ex giovani che vengono dalla Repubblica di Salò come l’on. Almirante. Come si può proiettare su questa nostra fertile Italia, oggi risuonante di iniziative, piena di vive energie, la tragica ombra insanguinata della Repubblica di Salò, non riesco proprio a capire. Questo non tocca la coscienza degli uomini e meno ancora i combattenti; anzi per i combattenti, che hanno lottato in buona fede abbiamo provveduto presentando al Parlamento due leggi: una in favore dei mutilati, l’altra per le pensioni agli appartenenti alla milizia. Abbiamo così dimostrato che passiamo sopra titoli e nomenclatura e guardiamo solo all’uomo e alla sua coscienza. Graziani recentemente in una intervista esalta la tradizione delle armi e dei combattenti. E poi aggiunge il solito dispregio per noi politici. «Qualunque cosa possono aver detto o dire, sono piccoli uomini (e De Gasperi commenta: i grandi sono loro), sono piccoli uomini che non hanno mai capito nulla dell’ultima moderna storia». È il demagogo sorto alla politica attraverso il disfattismo nero o rosso che sia ma soprattutto che egli possa dire che siamo noi, che non abbiamo capito la storia e rivendicare per la sua parte di averla capita, è veramente presunzione enorme che fa torto soprattutto al popolo italiano; giacché essi presuppongono mancanza di intelligenza nel nostro popolo. Graziani dice che la Repubblica di Salò fu la Repubblica dell’onore. Onore di venir meno al giuramento prestato al Re per restare fedeli al giuramento prestato a Hitler e al nazismo? Onore sarebbe quello di ammettere di essersi sbagliati, anche nel confronto con l’alleato nazista, verso il quale si credette di avere un debito d’onore. Vi darò un esempio, una delle tante prove documentarie e documentabili, che vengono alla luce attraverso i documenti diplomatici: è più che comprovato che Hitler e Ribbentrop avevano il fermo proposito di annettersi definitivamente l’Alto Adige, il Trentino e la Venezia Giulia, ed è storico che in realtà dal 1943 in poi in questi territori i tedeschi e i nazisti vi avevano assunto ogni potere reale, lasciando alla Repubblica di Salò solo qualche apparenza. Nessun dubbio ormai che in caso di vittoria nazista Trento e Trieste sarebbero state per sempre perdute dall’Italia. Ma come i neo-fascisti hanno il coraggio di rimproverare a noi di non aver ancora recuperato definitivamente quello che essi hanno perduto? Concepiamo anche nei rapporti internazionali una funzione di avanguardia, ma i giovani debbono conoscere la storia per sapere dove conduce l’avventura. Ed ora fiorentini sentite pure anche le altre campane. La nostra campana, dopo cinque anni, vi ha fatto risuonare la voce della verità. Ed oggi vi chiama a raccolta perché deliberiate come i vostri padri, con il vostro voto, sul vostro Parlamento, sul vostro governo, sul destino del vostro paese. L’avvenire è nelle vostre mani, è affidato al vostro senso cristiano della vita, al vostro amore per la patria. Il 7 giugno il popolo italiano si leverà in piedi e salverà la democrazia. Fiorentini, in alto le bandiere, in alto i cuori: sono certo che voi parteciperete alla vittoria; Viva l’Italia.
e7275584-374f-4071-879c-4c7340d619a9
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Avrei preferito astenermi dal partecipare a questa battaglia elettorale come facevano i presidenti del Consiglio i quali si limitavano a tenere discorsi elettorali nel proprio collegio. Ma allora il corpo elettorale non superava i tre milioni di unità. Oggi gli elettori sono trenta milioni, tempestati, insidiati da migliaia di discorsi. E io non posso tacere, non posso stare fermo quando ferve la battaglia e specialmente quando la nostra bandiera è attaccata, quando l’opera nostra è minacciata e quando i nostri avversari sono così insidiosi, così violenti. Allora sento tornarmi nelle ossa la gioventù. Inoltre oggi gli argomenti di meditazione sono molti più di un tempo. Voglio essere qui testimone di verità contro le menzogne che sono diffuse in ogni parte d’Italia. La prima menzogna è dei comunisti: essi dicono che la Dc è il partito della guerra, e contro la pace, e la prova è che si è contro la pace perché si è contro l’URSS e si è contro l’URSS perché l’URSS è lo Stato dei lavoratori. Le si è avversi per la concezione ideologica. Dobbiamo allora ristabilire la verità storica. Siamo venuti in urto con l’URSS perché questo Stato, a differenza di altri, mantenne nei nostri confronti l’atteggiamento più duro, manifestò uno spirito punitivo prima, durante e dopo il trattato di pace. La ragione di questo atteggiamento tenacemente ostile, è in realtà dovuta alla concezione slavista, al ruolo di tutrice dello slavismo, in quanto madre dei popoli slavi, benché sia stata motivata anche come risentimento per l’aggressione mussoliniana. L’URSS si era impegnata, in omaggio a quella concezione, a cedere alla Jugoslavia tutta la Venezia Giulia, e per questo aveva proposto una linea di confine che doveva portarci via tutto il territorio fino a Monfalcone. Sempre per questo l’URSS ha fino all’ultimo momento resistito al buon diritto dell’Italia, alle nostre richieste; essa inoltre ha insistito per le riparazioni, per la flotta, per le colonie, e tutto ciò nonostante la presenza allora di comunisti al governo. Richiamandosi al discorso di Firenze, il presidente del Consiglio ha ricordato che il 10 agosto 1945 si ebbero le prime notizie da Londra che a Potsdam la potenza che aveva mantenuto il contegno più duro verso l’Italia, era stata l’URSS. Allora abbiamo cercato di far comprendere all’URSS che noi non facevamo dipendere il nostro atteggiamento nei suoi confronti dalla nostra pregiudiziale ideologica. Mandai istruzioni in questo senso al nostro ambasciatore in Russia, Quaroni. Preciso che ebbi con Molotov tre colloqui, il primo il 24 settembre 1945 a Londra, il secondo il 6 maggio 1946 a Parigi, e il terzo il 14 agosto 1946 pure a Parigi. Su tali colloqui il mio discorso fu questo: noi siamo avversari sul piano della ideologia politica, ma noi difendiamo i diritti dell’Italia e chiediamo a voi di essere più generosi, più giusti. E questo mio discorso era in rapporto a quanto avevo detto alla conferenza della pace, quando avevo ammonito a non compiere l’errore di strapparci Trieste e avevo invitato almeno a soprassedere alla soluzione definitiva del problema. Ebbene, chi accolse più duramente questa mia manifestazione, fu proprio Molotov, il quale affermò che io avevo parlato con lo stesso spirito imperialistico che aveva animato il fascismo. Molotov aggiunse che Trieste non era mai stata italiana, che conveniva restituire a Tito tutta la Venezia Giulia, anche per compensarlo del contributo da lui dato alla guerra. Avevo detto allora a Molotov: abbiamo necessità delle comunicazioni marittime, abbiamo necessità degli aiuti economici americani per la ricostruzione, però non siamo servi di nessuno. Non siamo per l’America o con l’America contro di voi, siamo per la pace e stiamo cercando la pacificazione e la collaborazione. La risposta di Molotov fu negativa anche su questo punto. Ora Togliatti contesta le mie rivendicazioni. Egli dice: come mai voi potete avere parlato in questo modo ed io, vicepresidente del Consiglio non ho saputo nulla? Togliatti ha cattiva memoria. Egli non era vicepresidente del Consiglio, ma ministro della Giustizia e voi sapete che la politica estera è seguita dal ministro degli Esteri, d’accordo con il presidente del Consiglio. Non siamo stati scorretti, scorretto fu Togliatti quando non solo all’insaputa del presidente del Consiglio, ma anche all’insaputa del suo collega Nenni, ministro degli Esteri, si recò nel novembre del 1946 a Belgrado per trattare con Tito il baratto di Gorizia con Trieste. La conclusione di quanto vi ho detto è che noi, e non il comunismo internazionale, interpretiamo la tendenza pacifica e ricostruttiva. Mai siamo stati per l’offesa; anche nella NATO costituiamo l’elemento moderatore non soltanto nell’interesse particolare della nazione, ma nell’interesse di tutto l’Occidente europeo. Soprattutto attraverso l’Unione europea, noi tendiamo a soluzioni pacifiche, ad esempio, allo stabilimento dell’amicizia franco-tedesca. La seconda menzogna che ci viene da sinistra, da destra, da Togliatti, da De Marsanich, è che il paese è in regresso e che il governo non ha fatto niente. De Marsanich, ha voluto sentire le cifre sulla rinascita del paese da me fornite in precedenti discorsi. Egli è in errore: le cifre le ho desunte dal Bollettino ufficiale dell’Istituto di Statistica dell’aprile 1953 . Lo legga anche De Marsanich, e vi troverà la conferma dell’aumento del 52 per cento della produzione dell’acciaio, del cento per cento di quella elettrica; del settantuno per cento della produzione delle industrie chimiche e affini; del quarantatrè per cento dell’indice generale della produzione industriale, sempre con riferimento al 1938. De Marsanich dice che nel 1938, la produzione granaria fu superiore a quella del 1951. Ma bisogna fare le medie e possiamo rispondere che nel 1950 la produzione granaria fu superiore a quella del 1938 e alla media 1936-1939. E se consideriamo ancora la media constatiamo che l’indice generale della produzione agraria è salito nel 1952 al 107,9% in confronto al 100 per cento del 1938. Ad ogni campagna elettorale si parla dei fallimenti. Che monotonia nelle accuse dell’opposizione! Già ne parlammo nella campagna elettorale del 1948 e poi nelle amministrative, quando rispondemmo, cifre alla mano, alle speculazioni socialcomuniste. Ora vengono i missini nella scia della estrema sinistra. Ebbene, adesso abbiamo qualcosa di interessante da ricordare. Confrontiamo i dati con quelli del nostalgico ventennio. Il maggior numero dei fallimenti in Italia dal 1901 in poi, si è avuto nel 1932, dopo dieci anni di fascismo, con 25.402 fallimenti. Ancora nel 1935, nonostante le aquile imperiali e tredici anni di fascismo i fallimenti furono 13.865. Sempre dal 1901 ad oggi, il maggior numero di vendite di immobili per mancato pagamento di imposte e per espropriazioni forzate si ebbe nel 1935, con 13.228 vendite giudiziali, 30 volte di più delle 433 che si ebbero nel 1951. Secondo il segretario del Msi tutta l’opera legislativa di questi ultimi anni, si riassume in alcuni provvedimenti, tra questi quel provvedimento piccolino che si chiama Cassa del Mezzogiorno, che sta trasformando l’intera regione meridionale e che pone fine all’incuria e all’abbandono dei governi, compreso quello fascista. Sapete che dal 1951 al 1952 gli aumenti proporzionali nelle automobili, motocicli, trattori, consumo di energia elettrica, apparecchi radio, negli introiti delle Ferrovie dello Stato, sono stati superiori nel Mezzogiorno che nel Nord d’Italia? Sapete che il consumo dei tessili nel Sud ha potuto sollevare il settore tessile dalla crisi che lo travagliava, e sapete che la causa di tutto questo è uno di quei provvedimenti piccoli legislativi di cui De Marsanich vuole sottovalutare l’importanza? Abbiamo ancora molto da fare per aumentare la produzione e l’occupazione. Potrei entrare nei dettagli dell’opera svolta attraverso i cantieri di lavoro e le altre iniziative del governo. Se ci voltiamo indietro, abbiamo la coscienza di aver fatto molto. Ricordi De Marsanich l’Italia del 1945-46-47 e riveda le piaghe dolorose del nostro paese, riveda le file per i viveri, la borsa nera, le comunicazioni interrotte, le industrie ferme, la fame e la miseria in cui la guerra ci aveva gettato. Si volga ad oggi e veda l’operosità e il lavoro di tutti. E soprattutto non avvilisca gli italiani che in questo periodo hanno lavorato con tenacia e fede per risollevare l’Italia. Se osservassimo gli indici più significativi del progresso del tenore di vita, constatiamo che dal 1938 al 1952 gli abbonati alle radio-audizioni sono passati da 978 mila a 4 milioni 227 mila, gli abbonati ai telefoni da 424 mila a 1 milione 244 mila, i motocicli e i motoscooter da 150.964 a 335.000, le automobili da 387 mila a 804 mila. Il gas, l’energia elettrica, l’acqua, i tabacchi, i pubblici spettacoli, le spese cosiddette voluttuarie sono tutte aumentate. Ciò significa che i bisogni primari sono soddisfatti, altrimenti questo aumento non si sarebbe verificato. Devo ricordare queste cifre a coloro che, mentre a parole si dicono gli esaltatori della patria, in realtà avviliscono e mortificano il popolo e la patria. Mentre De Marsanich ha detto a Roma che l’Italia resta la coda delle nazioni, che deve rassegnarsi a restare l’ultima se vincerà la Dc, in realtà l’Italia si trovò nel ’45, alla fine del conflitto, in coda a tutte le nazioni. Ma quello non era il nostro momento: era il loro momento. E perché si trovò in coda? Leggete il libro del generale Favagrossa , ex ministro delle fabbricazioni di guerra durante il passato regime. Troverete affermazioni come questa: «per ciò che riflette il potenziamento delle forze armate, certamente non saranno mancati studi, progetti. Ma l’attuazione di essi, la vera preparazione era stata sostituita da un sistematico esercizio di bleff, nel quale l’esaltazione dello spirito, del valore personale, dell’ardimento, quindi le chiacchiere avevano rimpiazzato i fondi indispensabili per l’apprestamento dei mezzi di guerra». E ha scritto ancora il generale: «all’Italia che cammina volontariamente al ritmo sempre più celere verso la guerra, mandavano i mezzi moderni e non moderni indispensabili alla forze armate per affrontare la guerra; mancavano i quadri ufficiali e sottufficiali, e ironia della sorte, mancavano perfino le baionette, non per quei famosi 8 milioni di uomini, di cui tanto si parlava, ma anche soltanto per un quinto di essi». Il Msi oggi afferma che il suo primo avversario è la Dc, perché il partito comunista non fa paura all’Italia. Se non fa più paura di chi è il merito? Questo è un atteggiamento irresponsabile, non bisogna cadere in questa trappola. Essi sanno benissimo che il pericolo comunista esiste. E non vorranno davvero che, come il Msi ha messo i comunisti in condizioni di conquistare il comune di Bologna , e quello di Falconara qui nelle Marche, mettesse in condizioni Togliatti di conquistare qualche altra cosa. In realtà i missini contano sulle nostre forze, sui nostri battaglioni elettorali per battere il comunismo. Loro che hanno raggiunto solo il 6,9% dei voti nelle ultime elezioni amministrative, di fronte al 32,7% dei social-comunisti. È un atto di gradimento della patria aggredire la Dc. Infine De è Marsanich ha detto che non attraverso i partiti della disfatta si costruisce l’Italia nuova, libera, unita. È vero. Il partito della disfatta qual è stato? È stato uno solo: il loro. A proposito dell’atteggiamento delle destre nei confronti del problema del cattolicesimo, l’on. De Gasperi ha detto: io parlo di questo argomento con molta prudenza e con molto riguardo, perché non voglio mettere in causa la questione della coscienza individuale. Conosco il valore dell’individualismo spirituale che può animare molti giovani, anche se per passione politica sono su strade sbagliate. Questo cattolicesimo in stivaloni non mi va. Questo cattolicesimo che si unisce all’orgoglio, al disprezzo, all’odio per l’avversario, che punta tutto sulla forza e sulla potenza, è lontano dall’ideale della fraternità cristiana ed umana, è ostile allo spirito del Vangelo. Il popolo sente naturalmente che l’istinto autoritario, la volontà di potenza portano a una creazione sociale che mal si nasconde dietro la forma corporativistica o socializzatrice. Noi dobbiamo dire: attenzione, non rifacciamo un’esperienza che fu fatale e che ci condusse al disastro. Le squadre di violenza, i GAP e i SAP comunisti e i manganellatori fascisti non devono tornare. Quello sarebbe il medioevo che si riaffaccia, il vizio dei padri che rispunta. Quella non è la via per l’unità nazionale. L’unità nazionale può essere costruita soltanto nella libertà e nella fratellanza. Il presidente del Consiglio ha poi polemizzato con il partito nazionale monarchico, ricordando che Lauro in un discorso a Napoli ha manifestato grande amarezza di non essere stato compreso il Pnm nello schieramento democratico. Ma se questi monarchici negano la Costituzione, se dividono questa democrazia invece di difenderla dal pericolo mortale della dittatura bolscevica e dal ritorno della dittatura nazionalista, come possono professarsi democratici? Il presidente del Consiglio ha quindi ribadito la validità sociale, economica e politica del sistema fiscale in atto. Richiamandosi alle cifre già date in precedenti discorsi, egli ha riferito sui primi risultati della riforma fiscale, nonché sullo sviluppo dell’agricoltura, della sua meccanizzazione e dei provvedimenti predisposti dal governo per il miglioramento delle condizioni dell’agricoltura e della montagna. La Regione marchigiana ha uno sviluppo di coste marittime per quasi 200 chilometri. Una parte notevole della popolazione vive di pesca. San Benedetto del Tronto è uno dei mercati più importanti della pesca marittima e vende per oltre un miliardo 200 milioni di pesci all’anno. La maggior flotta meccanica che agisce sull’Adriatico proviene da queste coste. Comprendo quindi che la pace adriatica è di particolare importanza per la Regione. Quando si fece l’accordo con la Jugoslavia circa la pesca, dissi che si era fatta la pace dei pesci e che ora conveniva passare alla pace fra gli uomini. L’Adriatico è una via di comunicazione, non un abisso che separa le due sponde. Perché non trovare una collaborazione fra gli uomini? A Redipuglia ho ricordato un episodio della storia della prima guerra mondiale, quando l’esercito italiano intervenne in soccorso dei serbi. Molti interessi economici fra i due paesi sono complementari. Ora bisognerebbe almeno tentare di chiudere la partita della guerra. Il Trattato, che pur impose all’Italia tanti sacrifici, lasciò aperta la piaga del Territorio libero. Bisogna guarirla, perché essa minaccia cancrena. Non è questo un episodio elettorale. Il problema esiste al di sopra e al di fori di ogni contrasto elettorale e la sua soluzione è nell’interesse dei due paesi e della pace del mondo. A questo proposito l’Unità di stamane mi chiede fra l’altro se sono d’accordo che le truppe straniere sgomberino Trieste , ed aggiunge: «perché i triestini diventino padroni in casa propria». Rispondo: certamente sono d’accordo che lo sgombro avvenga non solo a Trieste, ma da ogni paese di occupazione, perché ciò suppone la conclusione di trattati di pace definitivi. Ma in quanto a Trieste, e non a Trieste sola, ci dovrà essere chi parte e chi resta e chi deve restare è l’Italia.
406444fb-257f-454c-a8ae-1a421f86f6dc
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
Il presidente del Consiglio ha iniziato il suo discorso rendendo omaggio al sindaco e alla giunta comunale di Genova che in soli due anni di attività stanno realizzando lavori per complessivi sei miliardi e 768 milioni di lire, contro i 4 milioni e 161 milioni impiegati dalla precedente amministrazione comunista nel periodo ottobre 1945-giugno 1951. Nell’esprimere il suo compiacimento per quanto si fa a Genova, il presidente del Consiglio ha tenuto a rilevare che a tale opera di amministrazione cooperano i rappresentanti dei quattro partiti democratici . In una rapida rassegna delle opere genovesi, l’on. De Gasperi si è riferito al varo della turbonave «Cristoforo Colombo», al quale ha assistito stamane e ha detto: la flotta italiana si avvia verso la rinascita, tra poco raggiungerà i 4 milioni di tonnellate ed era ridotta a sole 400 mila tonnellate nel 1945. Il sen. Terracini, che qui ha parlato, ricorre a certe statistiche internazionali per fare confronti che possono svalutare lo sforzo del popolo italiano . Egli dice che, in fondo, noi non abbiamo costruito quanto invece hanno costruito la Svezia, la Finlandia, ecc. Ma è assurdo fare paragoni tra paesi così diversi per capacità finanziaria, di così diversa possibilità e punti di partenza. Sarebbe ridicolo fare confronti tra quello che si è fatto in Italia e quello che non si è fatto in Russia, dove si sono costruite, fino al giugno 1952, navi per 2 milioni e 200 mila tonn.[ellate]. E l’URSS ha 193 milioni di abitanti. Evidentemente non si possono fare questi confronti, nemmeno per svalutare una opera che si crede sia stata compiuta dal governo; svalutandola, si svaluta soprattutto lo sforzo del popolo. L’on. De Gasperi si è compiaciuto con il ministro Cappa per quanto egli ha fatto per la ripresa della Marina Mercantile ed ha aggiunto che lo sviluppo della industria cantieristica significa anche sviluppo delle possibilità di lavoro. Oggi, ammirando il varo di una nuova nave che solcherà i mari e porterà in alto il nome dell’Italia, noi rinnoviamo l’impegno di continuare nello sviluppo della nostra flotta, proporzionalmente alle possibilità ed alle energie del popolo italiano. L’on. De Gasperi ha anche accennato al problema dell’aeroporto di Genova, annunciando il raggiungimento di un accordo fra lo Stato e gli Enti locali per il finanziamento dell’opera, il cui progetto tecnico era stato già approvato. In quanto al grande nuovo impianto siderurgico di Cornigliano, esso dimostra l’insistenza e la attività del governo anche in questo campo e segnerà, con gli impianti rinnovati di Piombino e di Bagnoli, una nuova base nell’economia industriale italiana nella quale Genova e la Liguria saranno come sempre all’avanguardia. Riferendosi alle accuse di un giornale comunista, secondo cui i licenziamenti avvenuti in due industrie siderurgiche di Genova sarebbero stati provocati dal Piano Schuman, l’on. De Gasperi ha ricordato che tale piano – che introduce il mercato comune del carbone e dell’acciaio – non è ancora entrato in vigore per quanto riguarda la siderurgia; esso, nei settori in cui si è iniziata l’applicazione, ha già dato risultati positivi. Il presidente del Consiglio ha ricordato che dal 10 febbraio, giorno di apertura del mercato comune del carbone, dei minerali di ferro e dei rottami di ferro, sono entrare in Italia 30 mila tonnellate di carbone tedesco e 400 mila di carbone belga in più del quantitativo previsto nei precedenti accordi internazionali. Intanto, il prezzo del rottame di ferro si è abbassato da 48 milioni a 34 milioni di dollari e mezzo la tonn.[ellata] ed i tecnici dicono che così la nazione, nel suo consumo, potrà risparmiare dai 12 ai 16 miliardi di lire. Il prezzo al minuto del ferro si è abbassato di 20 lire così dovrà diminuire quello dell’acciaio. Altre misure verranno prese a favore delle miniere di carbone Sulcis della Sardegna. Insomma, questa unificazione del mercato del carbone e dell’acciaio, questa nuova distribuzione non è soltanto uno sforzo di unificazione e di pacificazione europea, ma di fatto è anche una grande spinta al progresso economico. Non è quindi possibile attribuire a questo Piano Schuman conseguenze che provengono da altra causa e qui gli è gradito ricordare che un collaboratore dei più diretti del governo nel Piano Schuman è un deputato ligure, l’on. Taviani. In quanto ai licenziamenti lamentati, essi sono dovuti ad altre cause: in ogni impresa c’è una ragione diversa; o per mancanza di attrezzature moderne, o per esaurimento di mezzi. Comunque, il governo interviene e vi posso annunciare che nel caso della Bagnara o del Metallurgico il governo prenderà domani provvedimenti che saranno sì di carattere provvisorio, ma provvisorio in modo tale da assicurare a un buon numero di operai lavoro ed occupazione. L’on. De Gasperi ha trattato quindi il problema degli statali. Un problema di grande attualità, perché oggi è in atto un’agitazione. Il governo, visto che la macchina parlamentare lavorava troppo lentamente e non si arrivava mai alla tanta invocata riforma della burocrazia, presentò a suo tempo una legge, la cosiddetta legge di delega ; con essa chiede al Parlamento che stabilisca, come la Costituzione prevede, alcuni criteri fondamentali in base ai quali il governo, con decreto, applicherà la riforma. Si tratta di trasformare la gerarchia dei gradi in gerarchia funzionale nel senso di dare a ciascuno, con definite competenze e responsabilità, il potere che gli compete, di modernizzare, di burocratizzare, sotto l’impulso delle responsabilità personali, tutta l’amministrazione. Poiché si tratta, quindi, di un problema di carattere tecnico, si è palesato che il Parlamento stabilisca il principio; all’applicazione penserà il governo. Questa legge non ha potuto essere affrontata finora, a causa dell’ostruzionismo. E oggi coloro i quali si lanciano contro il governo dicendo che la legge non passa e che la questione degli impiegati non è stata affrontata ed il problema dell’amministrazione risolto, possono rivolgersi a quegli ostruzionisti che bloccarono il lavoro, rendendo impossibile arrivare ad una soluzione. Questa legge prevede misure sul trattamento economico. Voi sapete che una delle difficoltà e degli imbarazzi è che in ogni categoria vi è una serie di indennità particolari. Bisogna cercare di unificare tutte le rimunerazioni, di sostituire cioè a tutte queste rimunerazioni una rimunerazione globale, sia pure lasciando a parte la questione degli assegni familiari. Bisogna anche modificare il trattamento di quiescenza, cioè le pensioni; ma per fare questo ci vorranno danari e per averne ci vorranno nuove leggi e nuovi provvedimenti che, naturalmente, vorranno dire nuove tasse e quindi nuove entrate. Ora, è nell’interesse di tutti che questo problema sia considerato con equilibrio, con senso di responsabilità non dal punto di vista particolare dell’interesse di una categoria ma da quello dell’interesse generale. Se io oggi ne parlo qui, dove gli impiegati sono una minoranza, è perché tutti i cittadini pagano le tasse. Devo ricordare, di fronte all’attacco che ci viene da ogni parte, che non è vero che in questo periodo noi abbiamo trascurato la burocrazia e l’amministrazione in genere. Vi sono sette leggi ed un decreto legge in questi ultimi cinque anni, che hanno portato ad un aumento globale di spese per 193 miliardi. Sul bilancio dello Stato, l’onere per l’amministrazione è di 761 miliardi (onere che riguarda il pagamento dei dipendenti in attività di servizio); poi vi sono altri 108 miliardi per pensioni. In totale sono 869 miliardi. Pensate che questi 869 miliardi rappresentano circa il 56% di tutte le entrate dello Stato. Non c’è stata possibilità di concedere acconti in questo momento perché il governo non può deliberare una spesa senza la relativa copertura e non può deliberare né spese né coperture senza il Parlamento. Ora, il Parlamento è chiuso: non possiamo dare acconti e non abbiamo una cassa da cui attingere senza l’autorizzazione del Parlamento. Quindi è assurdo pretendere che il governo possa dare un acconto perché non ha l’autorizzazione a farlo. Unica cosa che il governo può fare è questa: poiché l’ostruzionismo ha differito il trattamento della questione, si potrà all’inizio della nuova Camera presentare una proposta di legge secondo cui la 13ª mensilità, che si dovrebbe pagare secondo la legge il 16 dicembre , possa venire pagata, in parte, come un acconto, anche in luglio. Spero che le Associazioni sindacali abbiano il buon senso di comprendere che il governo, con ciò, fa quello che può, quello che è logico faccia, e che deve attenersi alla volontà del Parlamento, che sarà manifesta non appena il Parlamento sarà nuovamente convocato. E spero bene che gli impiegati non si lasceranno manovrare per ragioni evidentemente politiche ed elettorali. Il governo è il governo non di una sola categoria ma di tutte le categorie; deve pensare quindi alla lotta contro la disoccupazione, allo sviluppo della produzione e del commercio, alla stabilità della moneta. E riguardo a quest’ultima, prego chi vive di un’entrata fissa di notare che in realtà se si calcolano gli indici del carovita e gli indici dei salari, dobbiamo ammettere che in questo ultimo periodo c’è stato un effettivo incremento dei salari reali nell’industria rispetto al 1938, appunto perché abbiamo tenuto fermo il valore della lira. L’on. De Gasperi ha quindi ricordato che nel 1951 disse a Genova come nell’organismo italiano vi siano tre veleni da espellere: il primo di questi è il bolscevismo, che definì concezione del mito messianico dell’Unione Sovietica, visto come Stato-Guida rivoluzionario; identificazione degli interessi dell’URSS con gli interessi della classe operaia, posti al di sopra dell’interesse della nazione, donde il tentativo di disgregare la compagine interna ed aprire al bolscevismo le coscienze e domani, quando occorresse, anche le frontiere. Mi si è accusato in questi giorni di essere uno dei più aspri nemici dell’URSS: io sarei, secondo un articolista comunista , partigiano dell’oltranzismo anti-sovietico. Perché: perché ho dimostrato che [il dissidio] tra l’Italia e l’URSS non è avvenuto per la nostra avversione ideologica, cioè per le nostre idee anticomuniste, ma perché la Russia, volendo proteggere gli interessi dello slavismo e dei paesi slavo-balcanici, fu sempre contro di noi nel problema del confine orientale e di Trieste. Questo è un fatto storico che non si può negare: è un fatto documentato e non si può contestare. Si è detto anche che io ho oltraggiato la resistenza perché ad Ascoli Piceno ho dichiarato che non bisogna accettare milizie di parte né di sinistra né di destra. Ho detto: né GAP o SAP, né squadrismo. Con ciò non contesto i meriti del tempo di guerra di una formazione o dell’altra, ma dico che in tempo di pace, in tempo di Stato ordinato, di ordine e di libertà, le milizie di parte, sia di destra che di sinistra, non devono essere tollerate. Il senatore Terracini che ha diretto con una certa esperienza l’ostruzionismo al Senato, ora che ha visto il disastro nel quale l’ostruzionismo ha gettato questa illustre assemblea, attacca noi, accusandoci di averne provocato la morte violenta e in odio al Senato, perché era troppo a sinistra. Ed aggiunge a nostra colpa, che tutta la situazione italiana, dopo il 1948, è stata violentemente proiettata verso destra. Perché? Perché sono sorti i partiti del Msi e della Monarchia; e questi, che sono nostri avversari, sarebbero sorti proprio per incitamento nostro; ma voi tutti siete testimoni che noi siamo tra due fuochi. Dopo Terracini, infatti, Delcroix dice che il colpo della legge cosiddetta truffa è diretto contro i monarchici e non contro i comunisti e che se non esistesse un pericolo comunista, il governo lo inventerebbe. Veramente Delcroix ci fa l’onore di ammettere che il pericolo comunista potenzialmente esiste; ma, egli dice, appunto per questo non bisogna rinnovare la fiducia all’attuale maggioranza, che lo ha lasciato sorgere. E poiché è naturale che qualcuno gli domandi come, allora, lo si combatta, egli dice, con tranquilla sicurezza e certezza: al momento buono vi metteremo nella impossibilità di nuocere; bisogna dunque aspettare il momento buono. E Delcroix immagina, malgrado le esperienze fatte, che questo momento Togliatti glielo offrirà. Egli dice anche che la Dc è una edizione riveduta, ma non corretta, del Partito popolare, che sarebbe sorto dopo il fallimento diplomatico della guerra vittoriosa e risorto sotto altro nome all’indomani della guerra perduta. La Dc, e per lei gli uomini che la dirigono, non avrebbe mai dovuto accettare l’umiliazione inflitta dall’Italia con il Trattato di pace. Ma la resa, l’armistizio, chi l’ha fatto? Io o il re? Accusare De Gasperi oggi è una malafede. O la resa era necessaria ed inevitabile, come probabilmente fu; ed allora, la avesse fatta il re o l’avesse fatta la Dc non potrebbe essere un demerito. O non era necessaria e fu un atto di debolezza; ed allora, come fate a giustificare il re e condannare noi? A me fa l’impressione che questi fascisti, camuffati da monarchici, in realtà contrabbandino il loro fascismo entro il Partito monarchico e cerchino di rivestire di fedeltà monarchica le loro concezioni e rivendicazioni. Delcroix è preoccupato della dittatura, ma non certo della dittatura del fascismo, che egli cantò. No. Egli teme la dittatura di De Gasperi; De Gasperi sarebbe un dittatore. È vero – egli dice – che De Gasperi non monta a cavallo, ma è tanto più sospetto perché alla dittatura ci si può arrivare con altro metodo. E pare che pensi che questo dittatore, dietro di sé, crei la dittatura dei preti e della Chiesa cattolica. E dire che sono dei «cattolici», quelli che insinuano tali sospetti! Ma d’altra parte, anche Terracini l’ha con me e dice: in uno Stato democratico il governo non scende nell’arena, non viene cioè a battagliare, a fare comizi. Perché il presidente del Consiglio fa comizi, si agita, risponde? Domando io: quando le calunnie si propagano ovunque, con che cosa devo rispondere? Forse con un decreto? Non posso fare un decreto per la verità. Debbo battermi con metodi democratici e questo è un metodo democratico. Mi rincresce di dover fare una dichiarazione di carattere personale, ma mi ci costringono gli avversari di sinistra e di destra, ribattendo la solita canzone: che io voglio rimanere al potere, che dietro questo potere c’è la macchina del partito, c’è, addirittura, la resistenza o la minaccia della Chiesa. Ora sarei lietissimo di scomparire, non solo dal governo, ma dalla scena politica, e lo farò quando gli elettori lo vorranno e quando la Provvidenza lo deciderà. Ma io ho una profonda convinzione, ho una certa scadenza, ed è questa: quando uomini come Terracini cesseranno di essere agli ordini del Cominform; quel giorno in cui il Psi, nel quale vi sono uomini moderati, ritroverà il coraggio di liberarsi dal patto d’azione col comunismo e i socialisti moderati cesseranno di essere truppe ausiliarie di Togliatti e del bolscevismo internazionale; quel giorno il concetto della libertà sarà penetrato definitivamente nell’anima italiana. Il concetto di democrazia sarà al di sopra di ogni fluttuazione e sarà giorno di pacificazione in cui ci si riconoscerà con una sola legge, una sola parola d’onore, una sola bandiera tricolore; e la violenza non sarà più esaltata, né la vendetta invocata. Allora, in quel giorno, anche le mie ossa saranno pacificate. Ma oggi ancora c’è bisogno che gli uomini che hanno fatto una lunga e triste esperienza e che possono fare testimonianza, levino la voce per ristabilire la verità dei fatti, soprattutto per impedire che l’Italia diventi una cosiddetta democrazia progressiva, cioè uno Stato satellite, che rinneghi la civiltà sua: e non abbia altra alternativa che il ritorno allo spirito di jattanza retorica e di avventura. È vero che quando parlavo qui nel 1948, non pensavo davvero al ’51, non pensavo di dover parlare ancora nel ’53. È vero: gli avvenimenti mi hanno costretto a prolungare oltre i 70 anni uno sforzo che pur aveva le sue colonne naturali d’Ercole. Ma, quando si vedono uomini, come Corbino, che hanno partecipato a governi di maggioranza – cito un esempio – e che sono politicamente intelligenti e onesti, quando li si vede perdere la bussola, tanto da concludere che ogni sforzo deve farsi per rompere le forze di centro, qualunque possa essere la conseguenze, è forse utile anche la parola di chi ricorda il crollo di tanti deputati, maestri di parlamentarismo nel 1922, di fronte alla «marcia su Roma» e di chi può ricordare al Delcroix, che fa il feroce censore della cosiddetta legge-truffa, che egli nel ’24 non respinse, ma utilizzò la legge Acerbo che era ben altra che la presente legge e nel 1924 fu eletto in un cosiddetto plebiscito, immortalato in marmoree lapidi nelle Prefetture d’Italia. Amici miei, ho la sensazione che bisogna ancora vigilare, perché il crearsi delle leggende è parallelo al risorgere dei miti. Ve ne do un esempio: in questi giorni, qualche candidato monarchico è andato a raccontare questo episodio; ascoltate le parole precise: «nella notte del martedì, dopo il referendum l’ammiraglio Stone , capo della missione alleata, si presentò a De Gasperi e disse che aveva solo due divisioni ai confini orientali d’Italia e che la Jugoslavia gli aveva fatto sapere che, ove in Italia avesse vinto la Monarchia, la Jugoslavia avrebbe attaccato e superato il confine». E così, conclude questo signore: «fu perfezionata la frode voluta e imposta dallo straniero». Ebbene, amici miei permettetemi, dinanzi a voi che rappresentate in questi momenti un tramite tra me e la nazione intera, che io smentisca una simile leggenda e la smentisca non per il gusto di farlo, rifare o correggere la storia, ma perché i miti sono sempre pericolosi, e si è provato in Italia che un mito può trascinare là dove la maggioranza non pensa di andare. Tutti ricorderanno il mio contegno leale dinanzi al referendum. Come presidente del Consiglio, rimasi al di sopra della mischia e, quando parlai, come uomo di parte, intervenni sempre in modo sereno ed equilibrato, subordinando sempre la questione della forma del regime al carattere essenziale delle sue istituzioni. Quando i risultati del referendum furono proclamati dalla Corte competente ritenni doverosamente come gli altri membri di governo, che si dovesse eseguire. Ma nego che ci sia stato qualsiasi minaccia o pressione da parte alleata per ottenere l’esecuzione del plebiscito, cioè per instaurare la Repubblica. È vero invece – come è attestato – che l’11 giugno, la sera alle ore 22.00 Stone venne da me – ed è evidente che a questo incontro si riferisce la leggenda – ad informarmi circa un colloquio da lui avuto al Quirinale la sera precedente e che in tale occasione espresse, come suo parere personale, l’opinione che la proposta suggerita come espediente provvisorio della Corte, di una Luogotenenza transitoria, da affidarsi a me, gli sembrava meritevole di essere esaminata. Stone però aggiunse di avere confermato al Re che gli Alleati non intendevano intervenire nella questione, che ritenevano di carattere interno ed italiano. Dunque minaccia jugoslava, niente intervento degli Alleati per la proclamazione della Repubblica. Se minacce jugoslave vi furono, non riguardarono il regime, né la Monarchia, né la Repubblica; semmai, si può ammettere che vi fossero buoni uffici personali dell’ammiraglio in senso dilatorio. Del resto, furono proprio i monarchici a chiamare in causa gli Alleati. Il Giornale della Sera, tre giorni prima, aveva reso pubblico il testo di una lettera diretta all’ammiraglio Stone dal presidente dell’Unione monarchica per esplicito mandato dell’Unione medesima, in rappresentanza di tutte le altre Associazioni monarchiche italiane. L’appello rivolto al presidente della Commissione alleata, chiedeva che «le autorità alleate procedessero ad una immediata verifica delle schede e dei verbali elettorali, ecc.» affermando che «il fondamento morale e giuridico della richiesta risiede nell’impegno formale assunto dagli Alleati di assicurare al popolo italiano la perfetta regolarità della consultazione elettorale». Ecco la storia; ecco i fatti; ecco la necessità, che testimonianze e voci sicure amanti della verità, cerchino di ristabilirla, perché non si formino leggende e non venga avvelenata l’opinione pubblica. Questa campagna elettorale, amici miei, è come un febbrone, che rimescola nel sangue tutti i fermenti. Se è così che la verità storica viene storpiata, ed è storia di ieri, come ricostruire nell’organismo nazionale il tessuto unitario che reagisca contro i tossici tradizionali che, nel ’51, indicavamo nel bolscevismo, nell’anticlericalismo, nell’antidemocrazia? Se vogliamo grande l’Italia non avviliamola di fronte agli stranieri presentandola come una Repubblichetta che non sa reggersi ed ha bisogno di tutori, come un popolo analfabeta che non sa votare, una penisola percorsa da dominatori stranieri, come nel Settecento. Genovesi: vi ripeto il motto lanciato dal vostro Mazzini nel 1848: «essere tolleranti verso il passato, per cercare l’unione nell’avvenire»; unione che si può fare nel rispetto della libertà e nella lealtà del regime democratico. Le idee-forza, di cui ha bisogno la coscienza pubblica, quale il riconoscimento dei valori spirituali del Cristianesimo, affermato nel comunicato dei quattro partiti democratici, e la difesa delle convinzioni religiose: entrambi sono conciliabili, sul terreno della convivenza civile, con il rispetto delle coscienze. Il nostro senso cristiano della vita si associa al senso umanitario per chiedere alle classi dirigenti spirito di generosità e di intraprendenza ed alle classi popolari uno sforzo di collaborazione ricostruttiva. Italiani! Levate le bandiere, levate i cuori alla speranza, alla certezza di una Italia che si rinnova e riprende il cammino in nome del popolo e con l’aiuto di Dio.
7d7a2b8f-5cca-4cd0-bed2-eea0e94b6c50
1,953
1Building the Italian Republic
101951-1955
L’on. De Gasperi ha iniziato ricordando che dal 24 maggio 1951, quando parlò a Bologna , alcune questioni soprattutto di politica internazionale si presentavano già nei termini nei quali si presentano oggi. Se egli deve ribadire alcuni punti, se deve precisare dei fatti, è per rispondere alle accuse degli avversari. Voi permetterete quindi che io precisi i nostri concetti e il nostro programma, proprio nella dialettica, nella polemica con gli avversari. La prima risposta dell’on. De Gasperi è stata rivolta al senatore comunista Terracini, il quale ha affermato che «in un paese democratico il presidente del Consiglio non deve scendere nell’arena e partecipare alla campagna elettorale». L’on. De Gasperi ha ribadito alcuni concetti già espressi nel discorso pronunciato a Genova domenica scorsa ed ha affermato che il governo deve rispondere dinanzi al popolo agli attacchi di cui è oggetto. Quanto all’altra accusa del sen. Terracini – quella secondo la quale il governo e la maggioranza avrebbero violato la Costituzione approvando la nuova legge elettorale (e l’attacco del parlamentare comunista non ha risparmiato lo stesso capo dello Stato) – l’on. De Gasperi ha ricordato il meccanismo della legge stessa e si è richiamato all’esempio di Bologna e di altre città, nelle quali la legge elettorale comunale, che ha lo stesso meccanismo di quella parlamentare, ha portato alla direzione dei Comuni partiti e gruppo di destra e di sinistra che avevano conseguito soltanto la maggioranza relativa dei voti . In particolare, l’on. De Gasperi si è richiamato all’esempio di Bologna, ove i socialcomunisti, insieme ad alcuni indipendenti di sinistra, ottennero nelle decorse elezioni amministrative 112 mila voti, contro [i] 110 mila dei loro avversari e con il 48 per cento dei voti, ebbero il 66 per cento dei seggi. L’oratore si è domandato ironicamente perché di fronte a tale pretesa «truffa» i socialcomunisti abbiano accettato il mandato e non si siano dimessi: la stessa domanda vale per quei gruppi di destra che, in circostanze simili, hanno conseguito il controllo di alcune città. E poi perché i comunisti ci accusano di aver violato la Costituzione e la libertà? Abbiamo forse cacciato dai Parlamenti, come è avvenuto nei paesi satelliti, i partiti avversari? Abbiamo forse messo in carcere gli ebrei, come è avvenuto nell’URSS? Abbiamo forse congiurato contro il regime democratico? L’on. De Gasperi ha quindi rievocato la discussione, alla conferenza di Parigi, sul Trattato di pace italiano, a proposito del problema di Trieste. Quando vidi che ormai si era concluso tra le quattro grandi Potenze un compromesso marcio per instaurare il cosiddetto Territorio libero, io, prevedendo il disastro che ne sarebbe derivato alla nazione e negli stessi rapporti italo-jugoslavi, proposi che almeno si rinviasse ogni decisione di un anno. Ebbene, questa proposta di rinvio fu contrastata dal rappresentante dell’URSS, il ministro degli Esteri Molotov, il quale mi accusò di difendere interessi fascisti e imperialisti perché avevo dichiarato che Trieste e buona parte del territorio circostante sono italiani, per carattere etnico e storico. Non mi meravigliavo, peraltro, che fosse l’URSS ad assumere tale atteggiamento, conforme alla sua posizione di madre dello slavismo; ma non potevo non esprimere meraviglia e sdegno per il fatto che i comunisti italiani manifestassero solidarietà con tale atteggiamento. Oggi ripeto la stessa cosa. Non ho introdotto nella polemica attacchi all’Unione Sovietica come tale, posso anzi dimostrare che noi, nonostante il nostro anti-comunismo, nonostante la nostra convinzione in un progresso democratico contrario e antitetico al sistema comunista, non avremmo mai avviato un contrasto con l’Unione Sovietica, per il fatto che essa è comunista; il nostro contrasto si fonda sul fatto che Mosca ha creduto suo dovere difendere gli interessi degli slavi, che le sono più vicini. Questo argomento è stato introdotto nella polemica per dimostrare che la Russia aveva interessi nazionali ad agire così, imperdonabili erano i comunisti italiani, che non dissociano mai la propria responsabilità da quella della cosiddetta potenza-guida del comunismo. Gia nel 1951 si discuteva della proposta del Congresso dei partigiani della pace per una conferenza tra i «Cinque Grandi» e ci si domandava se anche noi fossimo d’accordo. L’on. De Gasperi ha detto che oggi non può non ripetere quanto disse, a Bologna, nel 1951, e cioè: «figurarsi, se non sono d’accordo per una conferenza dei Cinque Grandi. Certo che sono d’accordo. Anzi, invece di cinque siano pure sei, oppure otto. E se in una conferenza dei cinque si discutesse anche di Trieste, allora il sesto dovremmo essere noi, perché Trieste è cosa nostra» . L’on. De Gasperi ha quindi detto, contro le affermazioni dei socialisti, che è stata portata nella polemica elettorale la questione dei rapporti con l’Unione Sovietica soltanto per necessità di difesa dall’accusa di dover l’urto con l’URSS per ideologia, per intolleranza faziosa, per clericalismo, per odio di classe; abbiamo il diritto di ristabilire la verità dei fatti e da questa verità risulta che i socialcomunisti non hanno mai avuto il coraggio di dissociarsi dalla politica: Togliatti per cameratismo bolscevico. Sono i nostri avversari che portano la discussione sulla politica estera. L’on. De Gasperi ha dato, a questo punto, lettura di un manifesto della Federazione giovanile comunista sarda contro l’organizzazione europea. Arrivo ora da Parigi e ho l’orgoglio di dire che anche in quella riunione la voce dell’Italia è intervenuta e si è fatta udire nel senso della pace e della collaborazione. Agli italiani debbo dire: non c’è altro modo di salvare la pace definitivamente, stabilmente, senza costruire solidarietà tra gli Stati Europei. Se vogliamo essere tranquilli, se vogliamo che non si ripeta il conflitto tra Francia e Germania, bisogna mettere insieme francesi e tedeschi, finché c’è tempo, finché siamo ancora sotto l’impressione degli orrori della guerra passata, in un’organizzazione in cui i due popoli non siano soli, ma con altri popoli che li aiutino a risolvere pacificamente le controversie. Come italiani, come europei, come cristiani che vogliono la fratellanza e la solidarietà, non c’è che costruire l’Unione europea. E poi, solo con questo metodo il centro dei problemi si sposta anche in favore delle nazioni proletarie, perché nell’Unione europea le nazioni che scarseggiano di materie prime, ma che hanno molte braccia e molto talento, come l’Italia, possono farsi valere, farsi ascoltare. Certo è un problema tutt’altro che facile. Ma ieri, dopo una lunga e vivace discussione, durante la quale tutti i rappresentanti dei sei Stati hanno manifestato le proprie esitazioni, i propri dubbi, le proprie preoccupazioni, al momento decisivo ha prevalso la certezza che sono i popoli e non solo il popolo italiano, ma tutti i popoli europei, che reclamano una costruzione unitaria per la pace. Così abbiamo adottato decisioni di principio. Restano ancora dei problemi, ma è stato deciso che sarà adottata una Costituzione per la quale sarà convocato a suffragio universale il Parlamento dei popoli europei. Non è vero affatto che si tratta di armamenti, che si tratta di favorire la guerra contro la Russia. Anzi, la questione del riarmo è secondaria, è come la forma; attraverso la formula dell’esercito comune si crea la base per la comunità degli Stati, che è la sostanza. È un problema secolare, questo, e sarei particolarmente soddisfatto se potessi dedicare questi ultimi anni della mia vita ad uno sforzo per giungere alla sua soluzione. L’on. De Gasperi ha quindi confutato la posizione dell’on. Nenni circa il problema di Trieste. Nenni non ha responsabilità di sorta, ed è quindi pronto a darci tutto: non gli costa niente. E forse, pensa anche di non poter essere chiamato a responsabilità alcuna. Ma se egli ritiene che sia così facile risolvere la questione di Trieste, perché non ne ha parlato con Stalin, quando si è recato da lui a ricevere il premio? Forse ha dimenticato di farlo? No, non lo ha fatto, perché sapeva benissimo che Molotov durante la guerra si era impegnato a dare alla Jugoslavia Trieste e tutta la Venezia Giulia. L’on. De Gasperi ha risposto anche a un’altra accusa dell’on. Nenni: quella di aver proposto leggi, delle quali non vi sarebbe alcuna urgenza; come quella contro il sabotaggio militare, affermando tra l’altro, il parlamentare socialista, che tale reato «è pressoché sconosciuto» in Italia. Com’è consolante il sorriso di Nenni oggi! Ma questo sorriso non ci fa dimenticare che, nella riunione del marzo 1950, a Stoccolma, del Comitato mondiale dei partigiani della pace, egli incitava gli operai italiani a boicottare lo sbarco dei rifornimenti americani. Quelle armi dovevano servire a ricostruire il nostro esercito. L’oratore ha citato una serie di notizie e di commenti apparsi sui giornali italiani di estrema sinistra del tempo, nonché sul bollettino del Cominform ed ha soggiunto: il governo ha represso quel tentativo di sabotaggio con tutta la sua energia, le armi furono sbarcate ed oggi le nostre divisioni sono armate perfettamente. Oggi l’Esercito non è nelle condizioni in cui si trovava nel 1940, quando fu inviato pazzamente alla guerra. Noi armiamo questo Esercito non per una guerra di aggressione, ma soltanto per difenderci nel caso che fossimo attaccati. L’oratore ha anche avvertito che senza l’aiuto degli Stati Uniti, non sarebbe stato possibile riorganizzare ed armare un esercito: il solo armamento di una divisione avrebbe richiesto una somma superiore a tutto il bilancio dello Stato italiano. Impedire o agire contro la possibilità di riarmo dei nostri soldati è tradire la causa della nazione. Fino a quando non vi sarà la pace universale, non possiamo permettere che i nostri uomini non siano vestiti come si deve, non possiamo permettere che essi non abbiano le armi necessarie: sarebbe esporre il popolo al massacro! Dopo aver ricordato che la Magistratura è intervenuta per reprimere anche l’azione dei partigiani della pace, perché fossero respinte le cartoline di controllo, inviate dai distretti, l’on. De Gasperi ha detto: se non avessimo reagito, se non avessimo impedito l’attuarsi del boicottaggio, ove saremmo arrivati? E potrebbe oggi l’on. Nenni parlare tranquillamente di neutralità sicura? La neutralità è sicura soltanto se armata. E poi, perché l’on. Nenni non si è dissociato dalla responsabilità con il movimento di sabotaggio? Non si meravigli, ora, se noi vogliamo che nel nuovo codice siano inseriti anche articoli che prevedono pene per chi avesse volontà o velleità di attuare il sabotaggio! L’on. De Gasperi ha quindi nuovamente respinto come ridicolamente assurda l’accusa dei socialcomunisti, secondo cui i movimenti monarchici e fascisti sarebbero stati suscitati dalla Democrazia cristiana. In realtà, l’assurdità di tale accusa si spiega soltanto se si riconosce che si vogliono concentrare tutte le polemiche contro la Democrazia cristiana, anche al fine di staccare dai partiti suoi alleati quelle anime deboli, oscillanti, che hanno bisogno di particolari dimostrazioni per comprendere il valore della democrazia e la pericolosità del comunismo. L’oratore ha anche rilevato che estrema destra ed estrema sinistra sono unite nell’accusa che muovono al governo di essere servo dello straniero. Quando i comunisti muovono tale accusa non ho che da pensare ai rapporti degli Stati satelliti con l’Unione Sovietica, per sapere cosa sia rapporto di servilismo, rapporto di dipendenza. Ai comunisti rispondo soltanto: il servilismo comincerebbe proprio nel momento in cui fossimo inermi o ci trovassimo in braccio ai cosiddetti partigiani della pace. Agli altri, ai fascisti – ormai, ha notato l’on. De Gasperi, conviene chiamare con il loro nome questi signori – l’oratore ha ricordato che se c’è mai stato un periodo di servilismo e di schiavitù, è stato il periodo della Repubblica sociale. Ed ha poi dato lettura di una lettera di Mussolini, consegnata da Graziani a Hitler. In questa lettera Mussolini dice: «la popolazione italiana ha l’impressione che il governo fascista repubblicano non abbia alcuna autorità neanche in materie assolutamente estranee al campo militare. Ho poi il dovere di dirvi che la nomina di un “commissario” supremo di Innsbruck per le provincie di Bolzano, Trento, Belluno ha suscitato penosa impressione in ogni parte d’Italia. Anche il distacco delle autorità giudiziarie di quelle provincie dalla Corte d’Appello di Venezia, già ordinata dal detto “commissario” ha suscitato molte induzioni… e il solo ad approfittarne sarà il traditore Badoglio». Non solo ma avrebbe anche dovuto prendere atto che un alto commissario veniva nominato nella Venezia Giulia. Ma un documento ancora più interessante è quello del 20 gennaio 1945. Sono quindici mesi che la Repubblica sociale è costituita e siamo verso la fine. Il governo si raduna e di fronte al rappresentante germanico dichiara l’impossibilità per mancanza di armi e di equipaggiamenti di chiamare anche una sola classe alle armi, mentre Bonomi, cioè il governo democratico, ne ha già chiamate dieci. Queste sono le parole del verbale: è impossibile riuscire nell’intento di preparare un esercito italiano, una pace definitiva non può essere raggiunta in Europa senza l’Unione europea. L’on. De Gasperi ha detto che gli europei debbono essere grati all’America, che aiuta moralmente la realizzazione di un’Europa unita: è per questo che il nostro rapporto con l’America è un rapporto di amicizia e da sperare a fianco degli alleati tedeschi. Il ministro dell’Interno della Repubblica sociale dice che le autorità italiane vengono sistematicamente ignorate, non ricevono nemmeno la comunicazione delle misure adottate e degli arresti eseguiti. È umiliante – esclama il ministro dell’Interno della Repubblica sociale – che il capo della Repubblica non sia in grado nemmeno di rispondere alle famiglie che domandano dopo sei, dopo dodici mesi l’arresto, che cosa sia avvenuto dell’arresto. Ed ora coloro che si vantano di essere gli eredi di una tale situazione pretendono di rivendicare la indipendenza dell’Italia a ricostruire l’esercito. A riportate in piedi l’Italia, a farla ascoltare nuovamente! E comunque, i rapporti tra noi e gli occupanti furono sempre più indipendenti. Oggi siamo alla pari con tutti! Non ci mettiamo davvero in condizioni di attenti come erano abituati a fare i gerarchi fascisti davanti a qualsiasi caporale tedesco! Nell’ultima parte del suo discorso, il presidente del Consiglio ha trattato della posizione dell’Italia nell’attuale congiuntura internazionale. Egli ha ricordato che nell’ultima riunione del Consiglio Atlantico si è discusso sulle prospettive di pace e tutti i quattordici Stati si sono dichiarati pronti ad accogliere qualsiasi occasione seria per giungere a conclusioni pacifiche. Tutti vogliamo evitare il conflitto, ma non bisogna prestarsi a giochi di propaganda. In primo luogo contano i fatti, a cominciare dalla cessazione del fuoco là dove si spara. In secondo luogo, occorre concludere i Trattati di pace tuttora non conclusi: il primo esempio, e il più facile, è rappresentato dal Trattato di pace austriaco, nel quale l’Unione Sovietica cerca di inserire anche il problema di Trieste. La pace si fa con il cessare la guerra: poi, con il disarmo: questo è anche il contenuto della proposta del presidente Eisenhower. Noi dobbiamo desiderare che le grandi potenze si mettano d’accordo e risolvano tutte le questioni in sospeso. Aggiungiamo perciò che: 1°) – nessun accordo può essere fatto senza la collaborazione dei paesi di cui si stia trattando, perché non si può discutere senza tener conto della volontà dei popoli; 2°) – di solidarietà, che tutto vuole, tranne la guerra e che ogni sforzo compie verso la pace. Noi se avremo ancora responsabilità di governo, condurremo questa politica fino in fondo, con tutta l’energia, nella convinzione di fare opera che corrisponde all’interesse morale e materiale del popolo.